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venerdì 30 aprile 2010

Per Stephen Hawking forme di vita aliene intelligenti esistono quasi certamente.

L’astrofisico, forse più famoso del mondo, che il 9 maggio in prima serata ci presenterà il suo nuovo documentario del titolo "Nell'Universo con Stephen Hawking" - ottima occasione per gli appassionati dei misteri dello spazio per approfondire le teorie più affascinanti e i possibili scenari galattici - confessa senza mezzi termini di non aver dubbi sull'esistenza degli extraterrestri in base a molte evidenze scientifiche ormai accettate dalla maggioranza degli scienziati.

Gli fa eco il professor Cristiano Cosmovici, bioastronomo romano dell’Istituto di fisica dello spazio interplanetario e dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) anche lui convinto dell’esistenza nell’universo di altre civiltà evolute e tecnologicamente avanzate quanto la nostra e forse anche superiori.

A confermare questa teoria affascinante (ma non scevra da timori da parte di chi teme una possibile invasione da parte di alieni armati di astronavi letali e con alle spalle un pianeta ormai prosciugato da ogni risorsa naturaIe) si aggiunge il radioastronomo Usa Frank Drake che ha realizzato un’equazione, da cui risulta che soltanto nella nostra galassia esistono 5 milioni di pianeti abitati da altri esseri viventi, di cui 5mila con una civiltà molto evoluta.

Ciascuno di questi corpi celesti si trova infatti all’interno di sistemi solari in tutto simili a quello della Terra. Da ultimo, anche la Pontificia Accademia delle Scienze e la Specola Vaticana al termine di severi studi di astrobiologia è arrivata, dopo tormentate contorsioni metafisiche, alla stessa conclusione. Quindi non ci sono più dubbi: nell'universo non siamo più soli come ritenevamo fino a pochi decenni fa.

Ma cosa dimostra una scoperta così importante? Che tutte le religioni sono delle colossali bufale perché si fondano sul creazionismo, mentre solo la teoria materialistica e naturalistica della realtà, teorizzata da Darwin (che con Democrito, Epicuro, e Lucrezio restava nell'ambito della speculazione filosofica), riesce a spiegare scientificamente l'origine della vita. Essa dimostra, infatti, che i processi che si svolgono nel nostro mondo, e in tutti gli altri mondi possibili, sono il prodotto di leggi immanenti al mondo stesso e quindi non hanno niente a che vedere con leggi trascendenti, riferibili ad una qualsiasi divinità.

Con Darwin l'uomo non è un essere creato da dio, a sua immagine e somiglianza, per essere posto al centro dell'universo (dogma antropocentrico dei creazionisti) come tutte le religioni lo hanno lusingato a credere, ma semplicemente il prodotto di un mix di caos e determinismo che lo ha assemblato così com'è. Addirittura, avrebbe potuto essere assemblato in qualcosa di molto diverso.

E infatti gli scienziati sono certi che negli altri pianeti la vita potrebbe essersi realizzata in forme molto diverse dalla nostra. Quindi in base all'evoluzionismo darwiniano, l'uomo è soltanto una variazione casuale nell'esplosione del vivente. (È un po' dura da ingoiare, ma è così).

Ma c'è un altro risvolto importante da esaminare. Ora, che finalmente anche la Chiesa è arrivata ad ammette la possibile esistenza degli omini verdi, magari più intelligenti di noi, come la mettiamo con la “salvazione” strettamente limitata alla specie umana?

L'innesto del paganesimo nel cristianesimo personale di Paolo (“L'invenzione del cristianesimo”) 91

Comprendendo che la sua missione era ormai rivolta alla conversione dei gentili, verso i quali sentiva più affinità spirituale che coi suoi correligionari, ritenuti incapaci di uscire dalla loro concezione tribale, egli inserisce nella nuova teologia che andava elaborando, gli elementi più significativi che caratterizzavano la religione pagana.

Quindi, dopo aver recuperata la parte spirituale del messianismo, che si riprometteva di costruire uno Stato ideale nel quale gli uomini si amassero tra loro come fratelli, dove la povertà, intesa come scelta di vita, avesse eliminato l'arroganza delle ricchezza e resi gli uomini uguali, dove infine regnassero la verità e la giustizia, e dopo aver scorporata da esso ogni rivalsa nazionalistica e di terrorismo politico, Paolo, che conosceva alla perfezione il mondo pagano e le sue profonde aspirazioni, innesta in esso la figura di un salvatore universale, che dopo essersi incarnato e immolato per il bene dell'umanità, risorge dalla morte, come gli dèi Osiride, Attis, Mitra e Dioniso, sicuro che avrebbe avuto un enorme riscontro in milioni di persone, perché toccava le loro ansie più profonde e dava una risposta di salvezza al loro immaginario collettivo.

Al tempo stesso Paolo, attratto dai culti misterici orientali e dal fatto che ad Antiochia i cristiani ellenisti cominciavano ad invocare Cristo con l'appellativo di Kyrios, cioè Signore in senso divino, iniziò quel processo di deificazione del Cristo che avrebbe lentamente trasformato Gesù uomo, da Messia escatologico e apocalittico, in "Nostro Signore Gesù Cristo Figlio di Dio” e lo avrebbe fatto assurgere lentamente alla parità col Padre.

Se Paolo fu l'iniziatore di questo processo di deificazione, penseranno poi i suoi seguaci, seguiti dai discepoli di Marcione, dai Padri dalla Chiesa e soprattutto dall'imperatore Costantino nel Concilio di Nicea del 325, a codificare questa sua divinità consustanziale al Padre e a imporla anche a quanti non la condividevano.

A completamento della sua nuova teologia Paolo inserì anche, con l'istituzione dell'eucaristia, la teofagia, così profondamente sentita da tutto il mondo gentile, che vedeva in essa l'unione amorosa del dio salvifico con l'uomo. Infine, volendo dare al neocristianesimo un rito iniziatico che sostituisse la circoncisione, ritenuta da Paolo un serio ostacolo per chi voleva abbracciare la fede in Cristo, sancì il rito del battesimo, già in uso tra i pagani.

Questo in sintesi il corpus paolino dal quale nasce gran parte del cristianesimo. Non elaborò il culto di Maria e la nascita verginale, che fu in gran parte opera dei suoi seguaci e dei Padri della Chiesa, i quali, per convalidare la deificazione di Cristo si trovarono nella necessità di dargli un seme divino. Infatti, nelle tredici Lettere paoline, Maria non viene mai nominata e di lei c'è solo un cenno indiretto, laddove dichiara Gesù " nato da donna" (Galati 4,4), senza aggiungere altro.

giovedì 29 aprile 2010

La religiosità italiana in cifre

Il "Calendario De Agostini 2010" dà questi dati sulla religiosità in Italia che si prestano a qualche considerazione:
* Cattolici in maggioranza
* Protestanti 400.000
* Ortodossi 100.000
* Testimoni di Geova 236.000
* Valdesi 25.000
* Ebrei 30.000
* Musulmani circa 1 milione
* Non religiosi/atei circa 10 milioni.

Sulla cosiddetta maggioranza cattolica, occorre, però, distinguere i praticanti (24,4%) e i non praticanti (52,1%). Inoltre le donne sono più religiose rispetto agli uomini (78,9% vs 74,1%) mentre gli uomini sono più agnostici (11,4%) e atei (10%). La religiosità degli italiani varia anche con l'età. È più diffusa tra i 45-64enni (84,8%) e gli ultra 65enni (81,9%); nei giovani invece è molto più bassa: tra i 25-34enni (16,8%) e tra i 18-24enni (12,2%).

Quali importanti considerazioni possiamo trarre da questi dati? Anzitutto che la religiosità vera, in un Paese considerato fortemente cattolico come l'Italia, riguarda meno di un quarto degli italiani. Poi, questa religiosità è rappresentata soprattutto da anziani mentre è scarsamente sentita dai giovani. Possiamo anzi dire che i giovani, forse molto più informati tramite i media, la sentono sempre di meno.

A mano a mano che si esaurisce la presenza degli anziani, la religione è condannata, quindi, a ridursi sempre di più. Una prova evidente di questo fenomeno l'abbiamo constatando che nelle cerimonie domenicali la presenza dei giovani e sempre più scarsa, e nel costume essi non tengono più in considerazione gli insegnamenti religiosi. Praticano, in gran parte, il sesso libero e le unioni di fatto; quelli che si sposano, sempre meno, preferiscono il matrimonio civile.

Resiste ancora il battesimo, anche se è in leggero calo. La confessione, invece, è calata a picco perché i cosiddetti peccati per i giovani non hanno più senso. Nonostante ciò la Chiesa, specie quella di Ratzinger, si ostina ad essere sempre più intollerante e conservatrice e non accetta di adeguarsi all'evoluzione della società. Il precetto evangelico: il sabato è fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato, viene da essa del tutto ignorato.

Il Cristo mistico, vera salvezza per l'intero genere umano (“L'invenzione del cristianesimo”) 90

Di fronte a questa generale ignominia c'era per Paolo una sola via d'uscita a rappresentare la vera salvezza per l'intero genere umano: il Cristo mistico che si era immolato sulla croce non solo, come credevano i cristiano-giudei di Gerusalemme, per tornare da Risorto dal cielo e, cacciate le legioni romane, instaurare il regno di Jahvè sulla Terra, ma soprattutto per redimere l'intera umanità dal peccato e portarla nel regno dei Santi.

Il termine "Cristo" perde per lui ogni riferimento all'Unto del Signore, al Messia liberatore e si trasforma in una possessione totale, in un Dio conosciuto in maniera interiore, in un Redentore celato, in un Santissimo Sacramento. Tutte le Scritture, per chi sapeva coglierne il significato interiore e le implicazioni spirituali, prevedevano da sempre, secondo lui, la venuta nel mondo del Salvatore. Questo Salvatore era il Cristo.

"Vi sia dunque noto, fratelli, che per opera di lui vi viene annunziata la remissione dei peccati e che per lui chiunque crede riceve giustificazione (perdono) da tutto ciò da cui non fu possibile essere giustificati mediante le Legge di Mosè (Atti 13,38-39).

La fede nel Cristo mistico, che gli era stato rivelata nella sua apocalisse o epifania sulla via di Damasco, diventa l'ossessione di Paolo, la forza propulsiva che lo spinge ad un apostolato frenetico e pronto a sfidare ogni pericolo personale.
Cristo diventa agli occhi di Paolo il mitico Redentore cui gli esseri umani, troppo deboli e troppo stupidi per praticare la virtù, dovevano rivolgersi per ottenere la liberazione e la salvezza. Infatti col sacrificio della Croce: " ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro" (Galati 1, 4).

La Croce si trasforma per Paolo nella porta della redenzione, nel punto di riferimento di tutta la sua fede e, se per i cristiano-giudei di Gerusalemme rappresentava il simbolo dell'umiliazione, del tradimento e del fallimento, per lui racchiude il mistero del progetto di Dio per la salvezza del mondo.

La fede nel Cristo mistico, nella gloria della Croce, diventa per Paolo la Nuova Rivelazione, il Nuovo Patto di Dio con l'intera umanità, e sostituisce e cancella, superandolo, il vecchio Patto stipulato da Mosè sul Monte Sinai.

mercoledì 28 aprile 2010

Il “chiacchiericcio” sulla pedofilia ecclesiastica si fa sempre più assordante.

Non solo preti, frati, monache e personale laico cattolico sono coinvolti negli scandali sessuali ma la macchia si estende anche a coinvolgere alti prelati, tra i quali alcuni vescovi e qualche cardinale. Quindi il “chiacchiericcio” del cardinal Sodano si fa sempre più assordante. Speriamo non arrivi a lambire il soglio più alto.

Mentre negli Stati Uniti non si allenta la pressione dei media e in Germania si riunisce per la prima volta il vertice anti-pedofilia voluto dalla Merkel, lo scandalo della pedofilia nella Chiesa continua a registrare nuovi colpi di scena. È il caso del cattolicissimo Belgio dove ieri mons. Roger Vangheluwe vescovo di Bruges ha rassegnato le dimissioni, a sorpresa, subito accettate dal Papa.

Per la prima volta, un vescovo confessa non solo di avere nascosto abusi perpetrati da preti sotto la sua giurisdizione, ma di averli compiuti in prima persona. Secondo il presidente della commissione indipendente per il trattamento degli abusi sessuali nei Paesi Bassi, Peter Adriannsens, gli abusi del vescovo si sono protratti «per più anni e in più fasi».

Finora la commissione ha ricevuto una ventina di denunce, e in molti casi gli abusi sono andati avanti «almeno sei anni, prima che si intervenisse». Sono accusa gravissime che fanno dire all'arcivescovo di Bruxelles e primate del Belgio, Andrè-Joseph Leonard: «siamo di fronte a una situazione particolarmente seria: oggi è un giorno nero per la Chiesa, vogliamo prima di tutto chiedere scusa alle vittime, alle famiglie e alla società».

Unica nota positiva in questa bufera di scandali che colpiscono la Chiesa è la coraggiosa presa di posizione del clero europeo che comincia a riconoscere finalmente le sue colpe.

Ciò che non avviene in Italia dove i vescovi, sostenuti dall'opinione pubblica ipocrita e perbenista e da una classe politica bipartisan, prona alla Chiesa, hanno sempre insabbiato le denunce contro i preti pedofili, riducendole a semplice chiacchiericcio.

La natura umana corrotta e peccatrice alla base della teologia paolina (“L'invenzione del cristianesimo”) 89

Non è facile intuire e capire il profondo travaglio che portò questo grande riformatore religioso, al cui confronto il Gesù storico non è nessuno e il Gesù teologico, ereditato dalla Chiesa, una sua totale invenzione, a forgiare un messaggio che toccasse le ansie più profonde degli uomini della sua epoca, la loro aspirazione all'amore universale e all'innata esigenza di giustizia sociale, e che facesse sentire la salvezza come un rapporto intimo e diretto tra l'uomo (l'uomo qualunque) e Dio.

Va subito precisato che la dottrina cristiana che Paolo fece propria, e che ricaviamo dalle sue Lettere, non deriva dai Vangeli, anzi sono invece i Vangeli che derivano da questa. Nasce dalla sua convinzione personale che la natura umana è corrotta e che solo il sacrificio di Gesù Cristo può redimerla.

L’universalità della corruzione umana è il punto focale della teoria paolina. Secondo essa gli uomini, sia ebrei che pagani, sono cattivi per natura, scellerati, schiavi del peccato, immersi fino al collo nella «sporcizia della lussuria», nelle «passioni nefande» (Efesini 2,3; Romani 6,17.

Inoltre: essi «sono ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia e malizia, pieni d’invidia, di istinti assassini, di discordia, di perfidia e abiezione; sono denigratori, calunniatori, nemici di Dio, gente violenta e altezzosa, millantatori, ingegnosi nel male, insensati, sleali, privi d’amore e di misericordia» (Romani 1,29 e sgg.). Sembra di leggere un trattato di criminologia.

Predicando il suo Vangelo tra i giudei della diaspora e i pagani, aveva maturato la disperata convinzione che l'umanità viveva in un mondo in cui operavano potenze demoniache che scatenavano nell'uomo follie, malvagità, violenze, sfrenata lussuria e infermità di ogni genere. Israele, il popolo eletto, per la sua salvezza aveva ricevuto la Torà, la Legge di Mosè, ma l'aveva sistematicamente disattesa, trasformandola in una condanna.

I pagani, nella loro peccaminosa perversione, s'erano illusi di lavare i loro peccati con il sangue di Mitra o di Eracle, cospargendoselo durante i riti sacrificali, e di sconfiggere la morte mediante la discesa di questi semidèi agli inferi. Follie, insensatezze, che impedivano all'uomo di vedere che la sua vita era breve, ripugnante e brutale.

martedì 27 aprile 2010

Il cardinale Dario Castrillon Hoyos conferma che papa Wojtyla approvò in pieno l'insabbiamento di un caso di pedofilia.

In una fragorosa rivelazione il cardinale Castrillon, prefetto della Congregazione per il Clero, rende noto che papa Wojtyla autorizzò la lettera di elogio a un vescovo francese per aver fatto ostruzionismo alla giustizia alcuni mei dopo che il cardinale Ratzinger aveva reso noto il Motu proprio papale "Delictis gravioribus", che ordinava ai vescovi del mondo di trasmettere ogni caso al Sant’Uffizio (Congregazione per la Dottrina della fede).

Le sbandierate "linee guida" messe online sul sito ufficiale della Santa Sede, secondo cui "si deve sempre seguire la legge civile per quanto riguarda la denuncia dei crimini alle appropriate autorità" trovano in questa rivelazione una chiara smentita e si mostrano alla stregua di ipocrite menzogne.

Ecco il fatto clamoroso. Il prete pedofilo René Bissey. tipico predatore che tra il 1989 e il 1996 compie ripetuti abusi sessuali su minori, viene condannato dal tribunale francese di Bayeux a18 anni di carcere. In contemporanea viene condannato a tre mesi, con la condizionale, anche il presule di Francia – mons. Pierre Pican, vescovo di Bayeux – per aver rifiutato di denunciare alla magistratura il sacerdote della sua diocesi, nonostante fosse a conoscenza da molti anni della sua condotta immorale e non fosse mai intervenuto a fermarla.

In seguito a questa sentenza, il cardinale Castrillon Hoyos prende carta e penna e al vescovo reticente Pican scrive: "Lei ha agito bene, mi rallegro di avere un confratello nell’episcopato che, agli occhi della storia e di tutti gli altri vescovi del mondo, ha preferito la prigione piuttosto che denunciare un prete della sua diocesi".

Quindi mostra la lettera a papa Giovanni Paolo II che, in persona, non solo la approva elogiando il vescovo Pican per essere stato un modello di padre che non consegna i suoi figli alla giustizia, ma invita il cardinale ad inviarla a tutti i vescovi del mondo e a metterla su Internet.

Il cardinale Castrillon ha raccontato tutto questo al quotidiano La Verdad nel corso di una conferenza nella città spagnola di Murcia confermando pienamente l'omertà della Chiesa che ha imposto fino a poco fa il “segreto pontificio” sugli scandali degli ecclesiastici onde insabbiare tutte le prove a loro carico ed evitare di sottoporli alla giustizia ordinaria, considerando i sacerdoti pedofili non punibili dalla legge dello Stato perché al di sopra di ogni giudizio terreno.

Il cardinale Castrillon si è sempre comportato da convinto insabbiatore. Alcuni anni fa era intervenuto a favore di un sacerdote pedofilo dell'Arizona, padre Robert Trupia, che aveva molestato decine di ragazzini. L'alto prelato aveva tentato di ostacolare in tutti i modi il vescovo di Tucson, Manuel Moreno, prima che costui riuscisse a «spretarlo» nel 2004. Troppo tardi però perché l'ignobile prete costò alle casse della diocesi un cospicuo risarcimento.

La nuova dottrina di Paolo (“L'invenzione del cristianesimo”) 88

Finalmente libero dai controlli della Chiesa di Gerusalemme, Paolo si sentì pronto a rinunciare al messianismo e a rinnegare il suo legame anche col giudaismo, ormai resi inutili, secondo lui, dal sacrificio della Croce, e ad elaborare la sua via per la salvezza che non sarebbe dipesa più, come nel passato, dall'osservanza della legge mosaica, ma solo dalla fede in Gesù Cristo.

Con alacrità quasi febbrile si diede quindi a creare la sua nuova teologia nell'intento di elaborare una religione che accogliesse, in un geniale sincretismo, le aspirazioni del mondo ebraico e di quello gentile, e che appagasse l'immaginario collettivo di un salvatore universale, che trasversalmente era condiviso da tutto il mondo antico.

Invasato da un sacro furore che lo spingeva a spregiare pericoli anche mortali, si dedicò ad un apostolato frenetico pur consapevole che la sua nuova teologia avrebbe determinato tra i due cristianesimi: quello giudaico e quello ellenistico, una frattura totale e irreversibile.

Infatti tra le due opposte concezioni: quella dei cristiano-giudei di Gerusalemme, chiusa nell'etnia e ortodossia ebraica, legata al rispetto assoluto della Legge e convinta dell'imminente ritorno del Risorto, e quella paolina, aperta ai gentili, decisa a degiudeizzare il cristianesimo per aprirlo al mondo pagano, contrapponendo al concetto di salvezza esseno-zelota, il principio salvifico di un salvatore spirituale e universale, tipico dei greci, dei persiani, dei caldei e di gran parte del mondo antico, il divario era assoluto e inconciliabile.

Se in questo scontro avesse vinto il messianismo javista, il cristianesimo non sarebbe rimasto altro che una setta fanatica e fondamentalista, destinata a sparire durante le guerre giudaiche del 70 e del 135 e nessuno di noi avrebbe mai sentito parlare di Gesù.

Ma le cose, invece, sono andate diversamente, e di ciò dobbiamo dar atto esclusivamente a Paolo, il quale, nonostante il suo comportamento menzognero nei confronti dei giudeo-cristiani e le sue grandi mistificazioni che vedremo in seguito, fu il vero inventore del cristianesimo.

Egli seppe, da autentico genio religioso (della qual cosa bisogna dargli atto), trasformare una concezione settaria, fondamentalista, fanatica, xenofoba e teocratica, quale era il messianismo javista di stampo esseno-zelota, in un nuovo messaggio di liberazione e di salvezza per l'intera umanità.

lunedì 26 aprile 2010

Le frontaliere della Ru486

Il divieto attuato fino a pochi giorni fa dal governo italiano dell'utilizzo della Ru486, la pillola dell'aborto terapeutico, ha provocato molti disagi e molti danni economici a parecchie donne italiane, costrette, loro malgrado, a recarsi fuori d'Italia per ottenere legalmente quello che in Italia era vietato.

Negli ultimi anni un numero crescente di donne “con la valigia” ha valicato la frontiera degli Stati confinanti, soprattutto della Svizzera, per ottenere la procedura farmacologica applicata con la RU486 ritenuta dovunque indolore e senza complicanze di sorta.

Secondo Carlo Luigi Calmi, deputato del Partito popolare democratico svizzero, molte di queste donne, che l'anno scorso hanno abortito nel Canton Ticino presso le strutture elvetiche ottenendo la massina privacy, un'ottima assistenza medica, anche per opera di medici italiani sul posto, erano lombarde.

La direttrice del Dipartimento sanità e socialità del cantone, Patrizia Pesenti ha dichiarato : «La nostra legislazione non permette di rifiutare una richiesta di prestazione sanitaria ad una persona, anche se straniera. La donna può chiedere l’interruzione di gravidanza a un medico o una struttura sanitaria. Noi teniamo sotto controllo la situazione costantemente». Senza pesanti condizionamenti morali, nelle piena libertà della sua scelta e senza imporle il ricovero ospedaliero.

Ci troviamo, ovviamente, in un Paese molto più civile e libero del nostro, non sottoposto alla plumbea cappa oscurantista del Vaticano e privo di medici che, ipocritamente, si avvalgono dell'obiezione di coscienza per far carriera.

Ora che anche in Italia la Ru486 è finalmente permessa, anche se i pasdaran leghisti e destrorsi, zuavi pontifici, faranno di tutto per contrastarla e per renderne difficile l'utilizzo, le donne italiane potranno finalmente eliminare i disagi e le forti spese che avrebbero dovuto sostenere se obbligate e recarsi all'estero, ma dovranno vigilare con grinta per non farsi annullare, tramite i mille nuovi cavilli che la Chiesa imporrà ai nostri politici, i diritti acquisiti.

La svolta di Paolo (“L'invenzione del cristianesimo”) 87

"Quando giunsero dalla Macedonia Sila e Timòteo, Paolo si dedicò tutto alla predicazione, affermando davanti ai giudei che Gesù era il Cristo (cioè l'Unto, il Messia). Ma poiché essi gli si opponevano e bestemmiavano, furibondo per le continue frustrazioni cui lo sottoponevano i suoi correligionari, scuotendosi le vesti disse loro: "Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente; da ora in poi io andrò dai pagani" (Atti 18,5-6.

Qui siamo di fronte ad una svolta senza ritorno. Paolo ha raggiunto alcune granitiche certezze che saranno alla base della sua nuova strategia: che i suoi correligionari della diaspora erano irrecuperabili e andavano lasciati al loro destino; che l'attaccamento al ruolo messianico di Gesù e alla sua regalità, sempre ostentati dai cristiano-giudei, determinava un ostacolo insormontabile all'evangelizzazione sia degli ebrei della sinagoga, sia dei pagani, perché dava adito alle accuse di violazione degli editti di Cesare, di insubordinazione contro lo Stato e di trasgressione della lex Iulia de maiestate (Atti 17,7).

Bisognava quindi avere il coraggio di gettare il messianismo alle ortiche. Sila si rese conto dei cambiamenti che stavano avvenendo in Paolo, l'abbandonò e tornò a Gerusalemme a riferire.

domenica 25 aprile 2010

Il punto di vista secondo cui il credente sarebbe più felice dell'ateo è
assurdo, … tanto quanto la diffusa convinzione che l'ubriaco è più felice
del sobrio.
G. B. Shaw

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 16^ Puntata

Lia si era fatta nel frattempo una ragazza bellissima e molte mamme, che avevano figli in età di matrimonio, la guardavano con interesse. Davide era da poco rientrato dall'Egitto e aveva poco più di dodici anni quando una sera, mentre era nella casa dei nonni, vide entrare i genitori del giovane Alfeo e capì al volo lo scopo di quella visita. Guardò la zia con lo smarrimento negli occhi, ma lei lo strinse a sé e gli disse: "Non temere, tu resterai sempre il mio nipotino prediletto".

Il matrimonio tra Lia e Alfeo fu concordato rapidamente, come si costumava a quei tempi, e celebrato dopo qualche mese. Davide ne soffrì parecchio e quando la zia annunciò che aspettava un figlio fu preso da una forte gelosia nei confronti del nascituro. Non appena, però, ella mise alla luce un bellissimo maschietto, cui fu posto il nome di Giacomo, Davide gli si affezionò così tanto da non avvertire più nessuna gelosia nei suoi confronti e da considerarlo quasi più fratello di Joses. La zia era stata di parola, aveva conservato verso il nipote il suo grande affetto di prima e lo aveva trasmesso anche ad Alfeo e Davide veniva sempre accolto festosamente nella loro casa.

Nel frattempo Giuditta si rese conto di aspettare il terzo figlio, con gran gioia di Isacco che desiderava una famiglia numerosa. Anche questa volta nacque un maschietto cui fu posto il nome di Giacomo. Tutti furono felici dell'arrivo di un nuovo membro nella famiglia all'infuori di Joses che non mostrò alcuna emozione. Anzi non tardò a manifestare nei confronti del fratellino, prima indifferenza, poi fastidio e, infine, qualche forma d'ostilità. Lo infastidiva molto se piangeva e si rifiutava di badare a lui anche per poco tempo. Nonostante il carattere duro e chiuso di Joses, che creava qualche problema, la famiglia cresceva in grand'armonia ed era molto ben vista da tutti. Il lavoro di Isacco, che procedeva sempre bene, assicurava benessere e serenità.

Joses manifestò ben presto pochissima propensione per la scuola e tanta per il lavoro. A scuola era svogliato e litigava spesso coi compagni. Il maestro, com'era nei tempi, lo puniva con la verga, ma lui non si piegava ai castighi e continuava a rifiutare la scuola. Sicché Isacco, con gran dispiacere, lo tolse dalla sinagoga prima del previsto e lo portò in bottega. E lì avvenne la sua metamorfosi. S'interessò moltissimo al lavoro, rivelando doti notevoli d'abilità e di creatività. Dimostrò un interesse particolare all'intaglio e alla scultura. I suoi motivi erano foglie, frutti e fiori che sapeva riprodurre con rapidità e maestria e che suscitavano la meraviglia di tutti.

Di nascosto, però, contravvenendo a quanto stabilito dalla Legge che vietava nel modo più assoluto la riproduzione d'esseri umani, scolpiva in bassorilievo, ma anche a tutto tondo, piccole figure di squisita fattura. Era insomma un artista nato. Per merito suo il lavoro nella bottega aumentò perché i ricchi mercanti della zona, che già subivano l'influsso della Grecia e di Roma, cominciavano ad avvertire l'esigenza di circondarsi d'oggetti raffinati. Ciò suscitava, d'altra parte, rabbiose reazioni da parte di alcuni farisei che vedevano di malocchio questa penetrazione pagana nel costume ebraico, fino allora privo di ogni esigenza estetica.

Col passare del tempo Davide cresceva in bellezza e intelligenza. Un po' più alto dei suoi coetanei, col corpo asciutto e ben proporzionato, aveva un aspetto molto aggraziato che colpiva chiunque lo avvicinasse. I suoi capelli di color castano dorato, gli occhi verdissimi e intensi, il colorito chiaro della pelle, appena ambrata per effetto del sole, e, soprattutto, l'espressione amabile e dolce del suo viso, lo riempivano di fascino e facevano sì che tutti lo notassero e lo guardassero con interesse. Le ragazze lo rubavano con gli occhi e molte mamme ambivano in cuor loro di averlo come genero.

Ma Davide era piuttosto distratto e indifferente a questo proposito. Pur comportandosi con affabilità e dolcezza con tutte le ragazze, specie quando entrava nelle case per motivi di lavoro (Joses non gradiva molto i contatti con la gente e preferiva lavorare in bottega) alla fin fine lo sentivano assente, come assorto in qualche cosa, per loro, d'inesplicabile.

Non amava la compagnia e dopo il lavoro, se non andava da Lia e dal cugino Giacomo, verso cui aveva una predilezione particolare, s'intratteneva raramente coi compagni della sua età, troppo diversi da lui e molto limitati nei loro interessi. Preferiva passeggiare da solo tra il verde ridentissimo della campagna, sedersi all'ombra di un olivo o di una vite, ascoltare il canto degli uccelli, guardare in lontananza le montagne azzurre che esercitavano su di lui un fascino particolare.

Talvolta saliva sull'altopiano vicino, sempre battuto da una dolce brezza, e di lì contemplava il panorama che si apriva ai suoi piedi: le misere casupole del villaggio, la sinagoga che pareva troneggiare in mezzo ad esse, i pozzi, attorno ai quali c'era sempre un intenso viavai di ragazze, qualche frantoio isolato, le tombe intagliate nella roccia, le macchie grigie e verdi formate dagli olivi e dalle vigne. Lì rimaneva solitario anche per un paio d'ore, finché il sole non tramontava di là dei monti, sempre assorto nei suoi pensieri e nei suoi ricordi.

sabato 24 aprile 2010

L'indecoroso trucco dell'otto per mille.

La Chiesa cattolica attraverso numerosi spot pubblicitari invita gli italiani a donarle l'otto per mille facendo credere che la somma raccolta sarà destinata ad opere assistenziali, cioè a soccorrere i bisognosi. È una autentica bufala.

La quasi totalità di quanto lo Stato versa alla Chiesa con l'otto per mille, in sostituzione della vecchia “cungrua”, serve a pagare gli stipendi ai sacerdoti e a costruire nuove chiese, visto che in Italia ce ne sono troppo poche. Solo le briciole sono destinate a fini umanitari ed assistenziali.

Ma quanto effettivamente versa lo Stato italiano alla Chiesa con questa tassa? La bella cifra di oltre mille miliardi di euro (due mila miliardi delle vecchie lire) comprensiva della quota che gli italiani le destinano e di quasi la totalità di quella di chi non ha indicato alcun destinatario.

Come si spiega un fatto del genere? Molti contribuenti pensano che, non firmando, non finanzieranno né le istituzioni religiose né lo Stato. Questo, purtroppo, non è vero. Anche se non si firma, l'otto per mille delle tasse dovute verrà comunque prelevato dallo Stato e ripartito fra le istituzioni aventi diritto, tra le quali la Chiesa cattolica In conclusione, la Chiesa, con appena il 36% delle donazioni effettive arraffa quasi tutto il malloppo dell'otto per mille, vale a dire il 90%.

Bisogna quindi negare l'otto per mile a tutte le confessioni religiose, perché per un ateo il principio di laicità non è negoziabile, e destinare la propria quota solo allo Stato anche se, sottobanco, lui la destina in parte alla Chiesa o la usa per scopi impropri, come sovvenzionare la campagna in Iraq. Purtroppo i laici non hanno altra scelta al momento.

E nel resto d'Europa? In Spagna se uno non firma, la sua quota rimane allo Stato. In Germania i contribuenti possono scegliere di destinare una percentuale del loro reddito ad una confessione religiosa e in tal caso lo Stato si limita alla raccolta senza oneri da parte sua. Nel resto d'Europa vige il principio dell'assoluta volontarietà dei contributi a favore di confessioni religiose. Solo il nostro Paese, il più indebitati d'Europa, foraggia generosamente la Chiesa coi soldi dei contribuenti anche atei e non credenti.

A proposito dell'editto di Claudio (“L'invenzione del cristianesimo”) 86

A proposito dell'editto di Claudio, appena accennato, vale la pena di considerarlo con più attenzione perché potrebbe illuminarci sul clima di tensione che esisteva tra i giudei della diaspora, rimasti fedeli alla sinagoga, e i cristiano-giudei che si erano introdotti tra di loro per propagandare la nuova dottrina della parusia.

Abbiamo visto in precedenza che alcuni cristiano-giudei di Antiochia si erano trasferiti a Roma e con la loro predicazione dell'imminente ritorno di Gesù dal cielo per creare il nuovo Stato santo d'Israele, avevano gettato scompiglio nella numerosa e piuttosto malvista comunità ebraica.

Secondo gli storici romani Tacito e Svetonio questa setta cristiana era animata da odio non solo contro i romani ma addirittura contro l'intero genere umano. A giustificazione di questo loro giudizio, piuttosto pesante, va ricordato che i cristiani ebrei di Roma erano fortemente imbevuti di messianismo e consideravano imminente la distruzione dell'impero romano per opera di Jahvè.

A riprova di ciò basti citare quanto scriveva allora Giovanni, l'autore dell'Apocalisse, in quel suo libro profetico, considerato rivelato dalla Chiesa Cattolica: "Ecco, (Cristo) viene sulle nuvole e ognuno lo vedrà; quelli che lo trafissero (cioè i romani) e tutte le nazioni della Terra si batteranno il petto per lui" (Apocalisse 1,7). E prosegue definendo Roma come la grande Babilonia, la madre delle meretrici e degli abomini della Terra e auspicando una sua distruzione imminente. Parole che denunciavano un clima infuocato ed esaltato da parte di questa minoranza cristiana.

La tensione tra i giudei cristiani, legati al messianismo javista, e i giudei della sinagoga, che invece volevano semplicemente osservare i precetti della Torà e occuparsi dei fatti loro, esplose violenta nel 41 e costrinse l'imperatore Claudio ad espellere dalla capitale gli ebrei cristiani perché (secondo Svetonio) erano continuamente in tumulto per istigazione di Chrestus, (deformazione del nome Cristo).

Questo episodio è molto significativo e ci fa capire, come abbiamo denunciato in precedenza, perché anche Paolo, durante il suo apostolato in Asia, entrasse spesso in conflitto con gli ebrei della sinagoga e fosse più volte da loro percosso e minacciato di lapidazione. Questi ebrei non volevano saperne della fine dei tempi e del ritorno del Risorto, che probabilmente consideravano un falso Messia, volevano rimanere fedeli alla Torà, essere lasciati in pace e occuparsi dei fatti loro.

Consideravano Paolo e i suoi collaboratori degli istigatori. "Quei tali che mettono il mondo in subbuglio sono qui…Tutti costoro vanno contro i decreti dell'Imperatore affermando che c'è un altro re, Gesù" (Atti 17,6-7). Ambrogio Donini in “Storia del Cristianesimo” (A. Donini, Storia del Cristianesimo, Teti, Milano, 1975), a proposito del nome di cristiani afferma: “Il nome di cristiani è nato in un ambiente non palestinese e veniva usato in senso d'ironico disprezzo (gli “unti”, gli “impomatati”) per distinguere gli ebrei della Sinagoga (ortodossi) dai nuovi convertiti, considerati gente strana, dalla lunga capigliatura, un po' come i nostri capelloni.” Chiaro riferimento al loro voto di nazireato che li costringeva a non far uso di forbici e rasoio.

Naturalmente questi erano i cristiano-giudei legati a Gerusalemme, non i pagano-cristiani seguaci di Paolo. Partendo da questi antefatti possiamo comprendere la radicale trasformazione di Paolo a Corinto e il conseguente abbandono di Sila.

venerdì 23 aprile 2010

L'ateo Nick Clegg, leader dei Liberal democratici, futuro Primo Ministro del Regno Unito?

Che ne direste si il papa avesse come Segretario di Stato un ateo? Sarebbe la cosa più inverosimile del mondo. Eppure la Regina Elisabetta, capo della Chiesa d'Inghilterra, e quindi una specie di papa anglicano, rischia di ritrovarsi un Primo Ministro ateo. E' quello che succederebbe se vincesse le imminenti elezioni il liberal-democratico Nick Clegg.

In tal caso, e ci sono molte probabilità che ciò possa accadere, si verificherebbe quanto auspicato da Anthony C. Grayling, autorevole filosofo inglese, che in un editoriale apparso nel 2008 sul quotidiano britannico “The Guardian”, dichiarava esplicito che “ci sono molte ragioni per cui sarebbe un grande vantaggio per tutti avere un ateo come primo ministro”.

Anzitutto non accetterebbe “di ricevere messaggi dal cielo che gli dicono di andare in guerra” come è accaduto a Bush per l'Iraq. Secondariamente, non sarebbe succube dei gruppi religiosi che ricattano lo Stato pretendendo privilegi, sostanziose prebende economiche, l'immunità dalle critiche e dalle satire e innumerevoli altri benefici. In terzo luogo, salvaguarderebbe meglio i diritti civili, l'autodeterminazione delle persone e la laicità delle istituzioni pubbliche.

Vi sembra poco? Sarebbe l'inizio di una nuova era, di un nuovo illuminismo politico. Il fatto che il leader dei liberali inglesi, entrato in campo da outsider, in appena due settimane di campagna elettorale, secondo i sondaggisti, abbia superato col 33% delle preferenze i Tory e i Labour, ha colto tutti di sorpresa.

In base al sistema maggioritario e alla geografia dei collegi elettorali inglesi, se questa percentuale fosse confermata alle urne il 6 maggio, i Lib-Dem raddoppierebbero gli attuali seggi arrivando a 130, e, diventando essenziali per qualsiasi coalizione di governo, potrebbero aspirare alla guida del Paese.

Ateo dichiarato, europeista convinto, cravatta gialla, modi pacati e disinvolti nel dibattito tv, sorriso accattivante, Clegg è diventata in poche settimane popolare quanto Winston Churchill, l'icona della politica britannica in assoluto.

Sposato con la spagnola Miriam Gonzalez Durantez, che non ha mai preso la cittadinanza inglese, e padre di tre figli, Antonio, Alberto e Miguel, Clegg ha già dettato le sue condizioni per un'eventuale alleanza di governo: abolizione delle imposte per i redditi più bassi, aumento delle spese per l'istruzione dei giovani disagiati, un'economia più «verde», una riforma del sistema elettorale in senso proporzionale e una maggior difesa dei diritti civili nel rispetto della libertà di pensiero di tutti. Un altro Zapatero dunque!

Secondo viaggio missionario (“L'invenzione del cristianesimo”) 85

Ormai sempre più convinto che il suo apostolato avrebbe incontrato l'ostilità dei connazionali della diaspora, Paolo decise di ripartire per una seconda missione in Asia Minore e in Grecia per dedicarsi soprattutto ai pagani. Ma fece in modo di non portare con sé Barnaba perché, dopo l'accusa d'ipocrisia che gli aveva rivolto durante lo scontro di Antiochia, non si sentiva più in sintonia con il collega Questo rifiuto scatenò l'ira di Barnaba che, da allora, lo abbandonò definitivamente e partì per un'altra missione assieme a Marco, figlio di Pietro.

In questo suo secondo viaggio, Paolo dovette portare con sé Sila, inviato da Gerusalemme per stargli al fianco e spiarlo. Non aveva ancora deciso di rompere definitivamente coi cristiano-giudei; stava però già elaborando la sua nuova teologia, senza farla trapelare per non insospettire Gerusalemme.

Forse fu durante questo periodo di collaborazione con Sila che Paolo fece redigere, sotto la sua supervisione, una prima versione del testo evangelico che oggi va sotto il nome di Vangelo di Marco. Alcuni studiosi sono propensi a credere che sia stato redatto a Efeso da un discepolo di Paolo appartenente alla comunità giudeo-cristiana espulsa da Roma in seguito all'editto di Claudio.

Questo testo, che pare fosse approvato da Gerusalemme per merito di Sila, fu usato da Paolo per evangelizzare l'Asia Minore e fu probabilmente spedito alla comunità giudeo-cristiana di Roma, quando alcuni ebrei (forse Prisca e Aquila) esiliati alcuni anni prima per editto dell'imperatore Claudio e diventati seguaci di Paolo a Corinto, poterono rientrare nella capitale dell'Impero.

giovedì 22 aprile 2010

La Corte Costituzionale ha rigettato il ricorso presentato dalle coppie gay. No al matrimonio, sì ai riconoscimenti giuridici.

La sentenza emessa dalla Corte Costituzionale, che ha rigettato il ricorso presentato da due coppie omosessuali che chiedevano la pubblicazione delle loro nozze all’albo pretorio del Comune, ha fatto cantare vittoria agli esponenti più retrogradi e oscurantisti del nostro Paese, sempre ostili alla concessione dei più elementari diritti civili già goduti in quasi tutta l'Europa (tranne Grecia e Italia) e in molti Paesi del terzo mondo, ma si è trattato di una vittoria di Pirro.

Infatti, nonostante il centrodestra, il Forum delle Famiglie e la Chiesa abbiano esultato, interpretando la sentenza come una pietra tombale sui matrimoni gay, in realtà la Corte, pur riconoscendo che le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio propriamente detto, nel quale i coniugi devono essere persone di sesso diverso, ha altresì riconosciuto che il Parlamento deve legiferare sulla materia per garantire i diritti costituzionalmente garantiti anche alle coppie gay.

Per la Corte, l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, rientra nella nozione di formazione sociale, protetta dalla Costituzione, e deve ottenere, nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.

Se però, come si può presumere da certe dichiarazioni fatte dall'Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, la Chiesa, perenne nemica di ogni libertà civile, frapporrà ogni ostacolo all'emanazione di una legge che regolarizzi le unioni gay, sarà giocoforza presentare ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo. Solo l'Europa laica potrà salvarci, allora, dall'oscurantismo medioevale che ottenebra la quasi totalità della nostra classe politica.

Armistizio precario con Gerusalemme (“L'invenzione del cristianesimo”) 84

Di fronte alle proteste piuttosto dure di Paolo e Barnaba, gli apostoli li convocarono a Gerusalemme per un chiarimento. L’esito dell’incontro fu un armistizio precario: a predicare ai giudei provvedeva la comunità di Gerusalemme, ai pagani invece Paolo che otteneva per loro la dispensa provvisoria dalla Legge ma anche l'obbligo di osservare un minimo rituale giudaico (Galati 2,10; Atti, 15,28 sgg.). Era sottinteso però, che gradualmente, frequentando le sinagoghe, i cristiani ellenisti avrebbero abbracciato l'ebraismo e si sarebbero sottoposti alla circoncisione.

Quando poco dopo Pietro giunse ad Antiochia per una visita, il fragile armistizio saltò e tra Pietro e Barnaba da una parte e Paolo dall'altra scoppiò un contrasto sulle norme alimentari che si rivelò subito insanabile. Nello scontro Pietro perse la faccia, in quanto accettò di sottostare alle disposizioni impartite da Giacomo (il vero primo degli apostoli), e Paolo si ritenne libero di dare regole e direttive proprie ai suoi seguaci, considerandosi non più vincolato con Gerusalemme.

Da quel momento Paolo fu duramente osteggiato da tutti i giudeo-cristiani che cominciarono a contestare il suo apostolato tra i pagani e ad accusarlo di falsità e di ipocrisia e di predicare non la parola di Gesù, ma se stesso. I rapporti con la Chiesa di Gerusalemme divennero da allora in poi sempre più difficili, ma Paolo, obtorto collo, in un primo momento dovette subirli. La sua autorevolezza era ancora troppo scarsa rispetto a quella degli apostoli e soprattutto di Giacomo, considerato la colonna della nuova Chiesa.

mercoledì 21 aprile 2010

La prova schiacciante che comprova l'insabbiamento degli scandali di pedofilia nella Chiesa.

Paolo Flores d'Arcais su il Fatto Quotidiano, del 15 aprile si pone la domanda: “Negli ultimi tre decenni, la Chiesa gerarchica di papa Wojtyla e di papa Ratzinger ha denunciato a polizia e magistratura i casi di pedofilia ecclesiastica di cui veniva a conoscenza?” La risposta purtroppo è un categorico “Mai”.

Ciò dimostra in modo lapalissiano la totale omertà della Chiesa e fa capire di "chi" sono le responsabilità per la tragedia di decine di migliaia di bambini violentati da sacerdoti cattolici. Non solo la Chiesa di Wojtyla e di Ratzinger non ha mai denunciato al "braccio secolare" i suoi pastori colpevoli ma li ha sempre perdonati, nascosti, protetti, in taluni casi perfino imboscati, frapponendo tutti gli ostacoli possibili per impedire che venissero perseguiti dalla giustizia, perché la Chiesa è sempre santa anche se i suoi ministri sono indegni.

Non per niente negli Usa è accusata di un reato assai grave che si chiama "ostruzione di giustizia". Le terribili parole di condanna di Gesù: “Ma chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare” (Matteo 18:6) sono state proterviamente ignorate da ogni ecclesiastico allo scopo di salvaguardare il buon nome della Chiesa e i suoi immensi patrimoni, minacciati da possibili richieste di risarcimento.

Le sbandierate "linee guida" del 2003, messe online sul sito ufficiale della Santa Sede, secondo cui "si deve sempre seguire la legge civile per quanto riguarda la denuncia dei crimini alle appropriate autorità", attribuibili all’allora cardinal Ratzinger, si definiscono come ipocrite menzogne dal momento che non hanno dato adito ad una sola denuncia. Se quel documento fosse stato davvero operativo, significherebbe che da sette anni tutti i vescovi del mondo hanno disobbedito al Papa e al suo Prefetto della Congregazione per la difesa della Fede.

In realtà hanno soltanto obbedito al “segreto pontificio” che li obbligava ad insabbiare tutte le prove. La Chiesa gerarchica, anziché gridare al complotto e a contestare la stampa, dovrebbe quindi immediatamente abrogare il famigerato “segreto pontificio”, sostituendolo con l’obbligo per ogni diocesi e parrocchia di denunciare alla giustizia ogni caso di pedofilia di cui vengano a conoscenza.

Anche l’associazione americana delle vittime di abusi (Snap) chiede tramite il suo rappresentante Bill Nash, che "il Vaticano e le diocesi istituiscano un registro online dei preti credibilmente accusati di abusi".

Primo dissidio con Gerusalemme (“L'invenzione del cristianesimo”) 83

A Gerusalemme non tutti erano d'accordo sull'inserimento dei non ebrei nella nuova comunità cristiana. Alcuni farisei vi si opponevano recisamente, convinti che il ritorno del Risorto riguardasse il solo popolo eletto e non i pagani peccatori. Erano ancora fermi al concetto di religione tribale.

Probabilmente a sollevare il problema era stato Marco, il figlio di Pietro, che improvvisamente (forse non condividendo la conversione dei pagani) aveva interrotto la sua collaborazione con Paolo e Barnaba ed era rientrato a Gerusalemme, mettendo in guardia quella comunità sul metodo seguito da Paolo.

Allora la Chiesa di Gerusalemme, divenuta sotto Giacomo totalmente ligia al giudaismo, sospettando che la comunità ellenistica guidata da Paolo avesse ormai assunto una caratteristica tutta propria che la poneva in aperta contraddizione con la tradizione giudaica, mandò alcuni suoi inviati (per Paolo “falsi fratelli intromessisi”) ad Antiochia a studiare la situazione e ne nacque una «violenta polemica» (Galati 2,4; Atti, 15,2) con Paolo, che rasentò la ribellione.

Quando, dopo lunghe discussioni, la Chiesa di Gerusalemme decise di aprire il cristianesimo ai gentili, impose loro, come conditio sine qua non per essere accolti come cristiani, l'obbligo di farsi prima ebrei, di abbracciare cioè in toto la legge mosaica e di subire la circoncisione. Condizione estremamente dura e insopportabile per i gentili ma facilmente comprensibile per gli ebrei che ritenevano il cristianesimo non una nuova religione, come diverrà successivamente con Paolo, ma un completamento dell'ebraismo.

Paolo e lo stesso Barnaba si resero subito conto dell'assurdità della cosa. Già la legge ebraica era di difficile osservanza in Palestina, dove la maggior parte della popolazione era ebrea, e diventava quasi impossibile per gli ebrei della diaspora che vivevano in mezzo ai gentili perché, tra le altre cose, imponeva il rispetto rigoroso del riposo del sabato, del tutto ignorato dai pagani e oggetto di scherno da parte loro, e prescriveva norme alimentari e di purificazione di difficile attuazione al di fuori della Palestina.

Se, per il pagano che voleva convertirsi, si aggiungeva a queste difficoltà anche l'obbligo della circoncisione, per di più in età adulta e con tutte le conseguenze che implicava, non ultima l'umiliazione di una mutilazione spregevole che simboleggiava una castrazione, appariva evidente per Paolo l'impossibilità per un gentile di convertirsi.

martedì 20 aprile 2010

La Corte europea dei diritti dell'uomo toglie il divieto della fecondazione eterologa.

Viviamo in un Paese in cui la credenza cristiano-cattolica di alcuni condiziona i diritti di tutti per cui lo Stato legifera per i cattolici e non per i cittadini. Anche se i cattolici pretendono di essere la maggioranza (ma tra atei, agnostici, indifferenti, scettici, non praticanti, divorziati, coniugati civilmente, conviventi, coppie di fatto, sbattezzati e credenti in altre religioni e così via è difficile sostenerlo) lo Stato deve legiferare in modo laico perché agendo in tal modo non solo non impone ai cattolici norme contrarie al loro credo ma consente ai laici, che non si sentono legati ad una fede, di non seguire norme religiose che ritengono superate, disumane e oppressive.

Facciamo il caso della procreazione assistita. La legge 40, in parte cassata dalla Consulta qualche mese fa per l’incostituzionalità di alcuni suoi punti, accoglie in pieno i precetti cattolici in materia di procreazione, ma danneggia pesantemente la salute e i diritti delle donne che ne devono ususfruire. Infatti nega la crioconservazione degli embrioni, la fecondazione eterologa e la diagnosi pre-impianto (indispensabili per evitare la nascita di bambini malformati o affetti da patologie gravi come la sindrome Down), cose considerate perfettamente conformi alle regole della natura è quindi etiche e accettate da tutti gli Stati europei fuorché dalla Chiesa.

Allora perché in Italia vietarle in ossequio a principi religiosi che milioni di italiani considerano disumani e campati in aria? Perché negare la diagnosi pre-impianto e costringere una donna a successivi accertamenti e magari, in caso di malattie genetiche del feto, all'aborto? Perché vietare la fecondazione eterologa nel caso di totale infecondità maschile? Perché proibire la crioconservazione degli embrioni costringendo una donna a ripetute stimolazioni ormonali che ne devastano la salute? La risposta è sempre la stessa. Per la Chiesa tutto ciò che essa considera peccato, vuole che venga punito come reato.

Ma quello che pensa la Chiesa non dovrebbe interessare minimamente allo Stato perché il suo obbligo è quello di garantire la salute e il benessere di tutti cittadini, nel rispetto della loro libertà di scelta, non di obbligarli a seguire coercitivamente obblighi morali derivati da assurde favole religiose. Purtroppo in Italia lo Stato è latitante e fa gli interessi del Vaticano e non degli italiani. Per fortuna, di fronte all'oscurantismo medioevale che ottenebra la quasi totalità della nostra classe politica, c'è l'Europa a darci una mano.

La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, infatti, ha emanata il primo aprile scorso una sentenza contro l'Austria che, al pari dell'Italia, non consente in alcun caso la fecondazione eterologa in vitro. Si annuncia quindi una valanga di ricorsi contro il divieto assoluto di questo tipo di fecondazione nel nostro Paese. Già sono molte le associazioni che hanno annunciato ricorsi giudiziari in diverse città italiane, a partire da Bologna, per passare poi a Firenze, Catania e Milano.

Anche in Italia sarà quindi finalmente possibile usufruire di questo importante tipo di fecondazione la cui proibizione finora obbligava migliaia di coppie a recarsi ogni anno all'estero, con grossi loro disagi economici e fisici.

Primo viaggio missionario di Paolo (“L'invenzione del cristianesimo”) 82

La Chiesa di Gerusalemme, preso atto del ruolo di leader di Paolo, superando dubbi e riserve, inviò Barnaba, l'unico che riteneva la sua conversione sincera, ad incontrarlo e a proporgli un'azione missionaria in Asia Minore e lungo le coste del Mediterraneo per convincere gli ebrei della diaspora, allora molto numerosi in tutte le contrade dell'Impero, dell'imminente ritorno di Cristo dal cielo (Atti 13,1).

Così, Paolo e Barnaba, coadiuvati dal figlio dell'apostolo Pietro di nome Marco, si diedero a diffondere il Vangelo (la parusia) tra gli ebrei che vivevano fuori della Palestina e che parlavano esclusivamente la lingua greca. Ma incontrarono quasi sempre da parte di costoro una forte ostilità e un rifiuto ostinato (Paolo per poco non venne addirittura lapidato).

Questi ebrei di tendenza conservatrice, che volevano semplicemente frequentare la sinagoga, fare l'elemosina e dedicarsi ai propri affari, non tolleravano di essere coinvolti nell'esaltazione del ritorno del Messia e della fine dei tempi. Se il ritorno di Cristo, infatti, comportava spazzar via Imperatore, senato, tribunali e quant'altro, ciò suonava estremamente sedizioso alle loro orecchie. Era chiaro che per loro Gesù non era il Messia Martirizzato ma un falso Messia.

Paolo e Barnaba decisero allora di rivolgere la loro predicazione ai gentili timorati di Dio. Costoro erano quei pagani che frequentavano le sinagoghe come uditori, essendo favorevolmente impressionati dal modo di vita ebraico che imponeva il monoteismo, severe norme morali e l'assistenza ai bisognosi, e si dimostrarono spesso molto più disponibili e ricettivi degli ebrei ad accettare la prospettiva dell'imminente restaurazione del Regno di Dio.

lunedì 19 aprile 2010

“Le sagrestie di Cosa nostra”

Ho scritto in un precedente post (29.03.10) che fino a pochi anni fa la Chiesa ha taciuto sulle mafie, non le ha mai considerate alla stregua di nemici ideologici. Oggi il silenzio è stato in parte interrotto da qualche vescovo della Calabria, come mons.Luigi Renzo, vescovo di Mileto, e mons. Giancarlo Maria Bregantin, vescovo di Locri, e la mafia è subito partita al contrattacco.

Era abituata a farla da padrona in tutti i campi e a trovare molta accondiscendenza da parte dell'alto e basso clero. Frati con la lupara, sacerdoti che durante l’omelia sbeffeggiavano i pentiti di mafia, alti prelati che negavano l’esistenza di Cosa nostra, erano fatti piuttosto comuni fino a poco tempo fa in tutte le regioni dominate dalla criminalità organizzata.

Vincenzo Ceruso, scrittore palermitano, nel suo libro “Le sagrestie di Cosa nostra” che ha come sottotitolo “Inchiesta su preti e mafiosi.” descrive bene il filo rosso che lega la Chiesa all’organizzazione criminale, tra omertà e collusione. Secondo lui le mafie si comportano come una Chiesa nella Chiesa e usano la religione come collante con la società civile perché i mafiosi non sono degli emarginati, anzi sono perfettamente inseriti nel tessuto sociale della società tramite la Chiesa.

Lo strumento principale che il mafioso usa per insinuarsi, spesso con successo, nel tessuto ecclesiale sono le confraternite religiose così numerose nel sud. La sola Palermo ne conta circa 250.Per gli affiliati alle confraternite, farsi vedere, durante le frequenti processioni, a portare le statue raffiguranti immagini sacre, è un modo per riaffermare il loro potere agli occhi della gente.

È bastato, infatti, che il vescovo di Mileto abbia dato disposizioni precise per rifiutare agli affiliati delle cosche di Sant'Onofrio (Vibo Valentia) di prendere parte alla processione alla vigilia della Pasqua, durante la quale avevano il privilegio di portare la statua di San Giovanni che rappresenta la forza, e subito c'è stato un attentato contro il priore della parrocchia. Il grave atto ha richiesto l'intervento della Dda di Catanzaro.

Questi segnali di ribellione da parte della Chiesa, anche se importanti, sono ancora isolati e sporadici perché ci sono ancora molti, troppi ecclesiastici, in combutta con le cosche e perché spesso la chiesa, come edificio sacro, diventa il luogo ideale per favorire alleanze mafiose utilizzando strumentalmente i sacramenti.

Se un capomafia fa da padrino di battesimo, da testimone o si sposa, istituisce un’alleanza criminosa con altre famiglie e rafforza il suo potere. La collusione tra mafia e Chiesa risulta quindi, allo stato attuale delle cose, ancora lontana da un possibile scioglimento, nonostante la buona volontà di qualche eroico ecclesiastico.

Prima visita a Gerusalemme (“L'invenzione del cristianesimo”) 81

Quando Paolo decise di recarsi nella città santa e contattare quelli che erano gli unici depositari dell'insegnamento di Cristo (39 d.C.?), a causa del suo passato di spietato persecutore, tutti lo schivarono e riuscì a malapena ad avvicinare due dei cosiddetti apostoli: Pietro e Giacomo (uno dei fratelli di Gesù, non il figlio di Zebedeo) per merito di Barnaba, un ebreo della diaspora molto stimato dagli apostoli perché a Gerusalemme aveva venduto tutti i suoi beni immobili e ne aveva dato il ricavato alla comunità cristiana (Galati 1,18-19 – Atti 10,26-27)).

Quindi, senza l'intervento di Barnaba, Paolo, a causa del suo passato di spietato aguzzino che i cristiano-giudei ricordavano fin troppo bene, sarebbe stato evitato da tutti. Non è da escludere che in città dovesse muoversi con circospezione per evitare di dar nell'occhio ai grandi sacerdoti che non gli avevano perdonato il suo voltafaccia di Damasco e che pare avessero messo una taglia sulla sua testa.

Comunque il suo contatto con la Chiesa di Gerusalemme fu breve, limitato a pochi incontri e assolutamente negativo; segnò indubbiamente l'inizio del conflitto fra lui e la comunità di Gerusalemme che si aggraverà nel tempo. Gli Atti degli Apostoli, estremamente tendenziosi e composti probabilmente da Luca, discepolo di Paolo, cercheranno, senza riuscirci, di occultare gli aspri conflitti che seguiranno tra Paolo e la comunità di Gerusalemme.

Stabilitosi ad Antiochia ove si era costituita una comunità cristiana fondata dai giudei-ellenisti fuggiti da Gerusalemme, ne divenne ben presto il leader indiscusso e carismatico. Lì ad Antiochia Paolo iniziò quella evoluzione che lo porterà, sotto l'influsso del paganesimo, a passare dall’ambito culturale palestinese a quello ellenistico e a creare il suo cristianesimo personale che soppianterà in seguito quello giudaico.

domenica 18 aprile 2010

«La religione rappresenta un insulto alla dignità umana. Con o senza di essa, ci sarebbero sempre buoni che farebbero il bene e cattivi che farebbero il male. Ma perché i buoni facciano del male, occorre la religione».
Steven Weinberg, premio Nobel per la fisica

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 14^ Puntata

Ester e la figlia Lia erano intente a preparare la cena che consisteva in pane senza lievito, un po' di agnello arrosto alle braci e delle erbe amare. Aspettavano il ritorno di Cleofe per cenare assieme. Ad un tratto sentirono un certo trambusto nel giardino. In un primo momento pensarono che fosse Cleofe che scaricava la legna raccolta per la campagna, come faceva spesso.

Ma delle grida infantili le fecero sussultare. Accorsero alla porta e subito alte espressioni di gioia si alzarono in cielo. Lia, come trasognata, si fermò un attimo a guardare Davide e il fratellino che si tenevano per mano con un'espressione smarrita. Poi si precipitò ad abbracciarli entrambi, piangendo di gioia. Intanto Giuditta stringeva Ester tra le sue braccia e Isacco contemplava la scena sorridendo felice. Poco dopo arrivò anche Cleofe e la festa fu completa.

In tanti anni d'abbandono, la casa di Isacco si era resa fatiscente. Ci vollero alcuni mesi di duro lavoro per rimetterla a nuovo. Con l'aiuto di alcuni provetti muratori, Isacco riuscì a renderla molto più attraente di prima. Ibrahim lo aveva ricompensato generosamente e quindi non aveva problemi di denaro. Anche la bottega fu restaurata e ampliata e per di più arricchita di molti utensili da lavoro, per quei tempi nuovissimi, che egli era andato a comprare personalmente a Cafarnao. Il lavoro non tardò ad arrivare.

La fama di quanto aveva fatto a Efrem era giunta anche in quella zona, e dai villaggi limitrofi cominciarono a presentarsi clienti danarosi. Dovette assumere un paio di garzoni e cominciò anche a portare con sé nel lavoro il piccolo Davide, che ormai aveva dodici anni, dapprima per qualche ora il giorno, poi, a mano a mano che cresceva, per l'intera giornata.

Ogni mattina Davide andava a scuola nella sinagoga, assieme agli altri ragazzi del villaggio. Il metodo d'insegnamento era quello orientale: si metteva in mano ai fanciulli un libro delle Scritture, l'hazzan o maestro ne leggeva un versetto, i fanciulli lo ripetevano in cadenza finché l'avevano memorizzato, e poi lo trascrivevano. In tal modo imparavano a leggere e a scrivere. A Davide non piacque molto quel metodo basato sulla memoria e la ripetitività, ma capì subito, da bambino intelligente qual era, che doveva adattarsi al nuovo clima.

Naturalmente, date le esperienze linguistiche fatte in Egitto, si rivelò subito molto più abile dei suoi coetanei ad imparare a leggere e a scrivere l'aramaico, suscitando l'ammirazione del maestro e l'invidia, per non dire l'ostilità, dei suoi compagni. Coi quali, a dire il vero, egli stentava molto a legare. Li trovava chiusi, molto formalisti, e litigiosi per ogni nonnulla. Non fece mai parola con nessuno, nemmeno col maestro, del periodo trascorso in Egitto e delle meravigliose esperienze che aveva fatto coi suoi amici egiziani.

Ma il loro ricordo dolcissimo invadeva ogni giorno, prepotentemente, la sua mente e gli stringeva il cuore, mentre qualche lacrima nascosta gli scendeva sul viso. Quasi tutte le sere, steso sul pagliericcio assieme a Joses, aspettava che il fratellino si addormentasse per poi colloquiare con la fantasia coi suoi compagni d'Egitto, parlando ora in greco, ora in latino e ora in egiziano.

Col fratellino le cose non andavano molto bene. Joses era piuttosto diverso da lui, sia nel fisico che nel carattere. Più scuro di pelle, aveva capelli neri e ricci, occhi grandi, molto belli e nerissimi, e un corpo robusto. Tutti affermavano che assomigliava parecchio al nonno Cleofe, papà di Giuditta. Davide, al contrario, era chiaro di pelle, coi capelli lisci di un castano dorato e gli occhi di un verde intenso. Era asciutto, slanciato, e faceva presagire una statura più alta della media.

Anche nel carattere i due fratelli erano diversissimi. Joses era chiuso e in casa non parlava quasi mai. Piuttosto scontroso, non gradiva gesti affettuosi e carezze e preferiva starsene da solo. Non accettava rimproveri e bastava uno sguardo severo per farlo immusonire per intere giornate. Era anche molto geloso del fratello, senza che ci fossero motivi particolari che giustificassero questo sentimento.

Aveva, però, anche delle buone qualità. Era sempre scrupolosamente pulito e non era mai ozioso, nonostante la sua giovanissima età. Guardava perplesso il fratello che invece amava starsene seduto e immobile a pensare per lungo tempo. Davide gli voleva bene e, comprendendo il suo carattere scontroso e permaloso, lo trattava sempre con gran dolcezza. Ma lui stava sulle sue e non accettava confidenze da nessuno.

Nonostante col fratello e coi compagni i rapporti fossero talvolta difficili, Davide usava con tutti molta amabilità e gentilezza e mai entrava in conflitto con chicchessia. Le sue coetanee lo guardavano con grande interesse, non solo perché era bello ma anche per la sua dolcezza. C'era sempre un dolce sorriso sul suo viso, anche se talvolta velato da un tocco di malinconia.

C'era una persona, però, che l'amava con grandissimo affetto e che lui contraccambiava alla pari, la zia Lia. Aveva per quel suo nipote una tenerezza infinita, mista ad una grande ammirazione per la sua bellezza, la sua gentilezza e la sua intelligenza. Forse a renderlo a lei così caro era stata la drammatica vicenda legata alla sua nascita. Ogni giorno lo andava a trovare e sempre lo copriva di tenerezze e di baci. Probabilmente era questo il motivo che suscitava in Joses, che si sentiva meno considerato dalla zia, una certa gelosia per il fratello.

sabato 17 aprile 2010

Anche la Chiesa Anglicana critica aspramente il Vaticano.

Benedetto XVI nel prossimo settembre dovrebbe recarsi in visita nel Regno Unito. Alcune associazioni di cittadini inglesi stanno organizzando vigorose proteste contro questa visita del papa che, secondo loro, non porterà nessun beneficio .

La più agguerrita di queste associazioni, conosciuta come “Make the Pope pay“, che raccoglie milioni di sostenitori dei diritti umani e che combatte le discriminazioni tra i cittadini, accusa il papa di ostacolare, col suo oscurantismo religioso, la realizzazione di una società più umana e più giusta nel mondo e, per di più, di costare al Regno Unito 20 milioni di euro, tutti a carico dei contribuenti britannici.

Le altre associazioni che raggruppano gay, femministe, fautori del birth control, cattolici favorevoli alla libera scelta sull’uso del condom e tutti quelli cui stanno a cuore i diritti civili sempre negati dalla chiusura mentale e dalla politica oscurantista del clero cattolico, sono un coro unico contro la visita del papa.

A questi si aggiungono le migliaia di manifestanti, che il 28 marzo scorso, hanno protestato davanti alla cattedrale cattolica di Westminster a Londra per chiedere le dimissioni di Papa Benedetto XVI, colpevole, secondo loro, di aver permesso a preti pedofili di evadere la giustizia.

Ma non è finita. A Londra, a Downing Street, sul sito ufficiale dell'ufficio del primo ministro Gordon Brown, decine di migliaia di persone stanno sottoscrivendo una petizione contro il papa che lo mette sotto accusa per essersi sempre opposto ai diritti delle donne, all'uso dei profilattici, all'aborto, ma anche al diritto alla contraccezione per prevenirne la necessità. Contestano anche il divieto alla ricerca sulle cellule staminali e la mancata uguaglianza giuridica, voluta dal Vaticano, di lesbiche, gay, bisessuali e transgender e quindi la discriminazione di omosessuali e transessuali.

A complicare le cose si è messo anche l'Arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams che, a seguito dello scandalo pedofilia, rompendo il protocollo ecumenico, ha espresso dure critiche contro i vertici ecclesiastici cattolici, scrivendo che la Chiesa Romana in Irlanda "ha perso tutta la sua credibilità". Insomma una generale levata di scudi contro il pontefice romano. Tutto fa prevedere che la visita papale potrebbe innestare una forte opposizione e qualche dimostrazione ostile.

La forte tempra morale di Paolo (“L'invenzione del cristianesimo”)80

Paolo dalle sue Lettere ci appare come un individuo di forte tempra morale. È probabile che il disagio interiore da lui provato per aver perseguitato i primi cristiani (aveva partecipato anche alla lapidazione di Stefano, il primo martire della Chiesa), acuito dal fatto che era in procinto di compiere un'altra missione crudele, abbiano scatenato in lui un forte complesso di colpa che sfociò in una violenta crisi epilettica durante la quale avvenne in lui una subitanea rivoluzione esistenziale, una totale catarsi. Le successive visioni, di cui parla Paolo, potrebbero coincidere con altre crisi epilettiche.

Per tre anni Paolo predicò il ritorno del Risorto in Arabia (Giordania attuale) e a Damasco (Galati 1,15-17), senza conoscere niente della dottrina di Gesù (nelle sue Lettere egli non accenna a Gesù taumaturgo ed esorcista, non fa riferimento al ricco materiale della passione e alle parabole, ignora le diatribe tra Gesù i farisei e gli scribi a proposito della Legge mosaica, non conosce il battesimo per mano del Battista, né le tentazioni e neppure la missione in Galilea), e senza aver mai incontrato un apostolo e ignorando totalmente la Chiesa di Gerusalemme, solo basandosi sulle sue presunte rivelazioni celesti (allucinazioni epilettiche), e forse su quanto aveva appreso durante gli arresti e gli interrogatori dei cristiano-giudei da lui compiuti a Gerusalemme.

Questo comportamento, simile ad un esilio volontario, sembra molto strano e probabilmente fu determinato dal fatto che il suo turbolento passato di persecutore lo costringeva a rivolgersi a gente che non lo aveva conosciuto prima e che quindi non poteva contestarlo.

venerdì 16 aprile 2010

La gaffe del cardinal Bertone

Il cardinal Bertone, numero due del Vaticano, durante la sua visita in Cile, ha detto che l'omosessualità, e non il celibato dei preti, sta dietro gli scandali degli abusi sessuali sui bambini.

Quest'affermazione gratuita e antiscientifica, autentica gaffe che testimonia come le nomenclatura vaticana viva nel panico e non sappia cosa inventare per salvarsi dalle sue specifiche, gravissime responsabilità omertive a tutti i livelli, ha scatenato forti reazioni contrarie sia da parte del mondo scientifico, sia dai difensori dei diritti civili del mondo occidentale e naturalmente da parte delle associazioni gay e perfino di organizzazioni cattoliche.

Che ci sia un rapporto statistico-scientifico tra omosessualità e pedofilia è sicuramente una falsità sconfessata da tutti gli studiosi del problema. Detta da un teologo questa falsità è ancora più grave. La Chiesa cattolica dà l'idea di stare adottandoi strategie sgangherate per difendersi dalle crescenti rivelazioni  sulla pedofilia del clero che stanno suscitando indignazione nell'intero Occidente.

Tutti i giornali d 'America, Inghilterra, Francia, Germania e perfino della cattolicissima Spagna sono unanimi nel condannare, senza mezzi termini, non solo l‘amalgama inaccettabile' tra omosessualità e pedofilia come titola Le Monde, proprio oggi contraddetto da due abusi recenti fatti da sacerdoti su due ragazzine, una italiana e una cilena, ma anche dall'invenzione di assurdi complotti sionisti (come quello denunciato dal vescovo emerito mons. Babini) determinati dal fatto che il New York Times, che è stato in prima file nel denunciare gli scandali dei preti, appartiene a un ebreo.

Quanto sta emergendo dal marciume del clero ci ha fatto conoscere l’analfabetismo della Chiesa in materia di rigore morale,  trasparenza, emersione, verità; e ci ha fatto capire che la Chiesa non sembra comprendere le dimensioni  che lo scandalo va assumendo e le violente reazioni che sta suscitando.

Rivela l'inglese Guardian che il noto opinionista Richard Dawkins sostiene che "Il Papa dovrebbe andare sotto processo”. “Gli abusi sessuali di bambini non sono peculiari della Chiesa cattolica” egli scrive,” ma sono le successive coperture, più ancora del reato originario, a screditare di più un'istituzione. E qui il Papa è davvero nei guai". A suo parere, dovrebbe essere una corte civile a decidere se Ratzinger è colpevole o innocente.

Anche in America si stanno moltiplicando i procedimenti nei quali le parti offese chiedono che lo stesso Benedetto XVI venga messo sul banco degli imputati e obbligato a difendersi. Le cose si stanno mettendo veramente molto male per la Chiesa

L'illuminazione sulla via di Damasco (“L'invenzione del cristianesimo”) 79

Ma un fatto nuovo, straordinario e sovrannaturale (secondo la sua testimonianza), cambiò all'improvviso la sua vita (36 d.C.?). Quest'evento viene raccontato pittorescamente in versioni diverse, due volte nelle sue Lettere ( Galati 1,15; 1 Cor. 9,1; 15,8) e tre negli Atti (Atti, 9,3-9; 22,6-11; 26,12-18).

Durante una spedizione punitiva contro i cristiano-ellenisti di Damasco (era stato incaricato dal sommo sacerdote Caifa di arrestarli e tradurli a Gerusalemme), fu folgorato da una visione celeste che lo portò ad una radicale conversione personale. Così passò dalla parte di quelli che fino ad allora aveva così ferocemente perseguitato, i seguaci della "Via", diventando, da quel momento in poi, altrettanto fanatico nella divulgazione della parusia (ritorno di Gesù dal cielo) quanto lo era stato prima nel tentare di ostacolarla.

Questa sua conversione coincise con una rovinosa caduta (da cavallo?) che possiamo sicuramente attribuire ad un improvviso attacco epilettico. Gli studiosi non hanno dubbi sull'epilessia di Paolo. Il neurologo A. Ragot scrive: “Paolo era soggetto a crisi epilettiche: oscuramento, aura luminosa e sonora, caduta, coma, cecità, afasia che regrediscono nei giorni seguenti, paralisi che migliora progressivamente lasciando ogni volta conseguenze emiplegiche definitive.” ( A.Ragot. Paolo di Tarso, Quaderno del Circolo Renan, 4° trim., 1963) Tutti fenomeni accaduti a Paolo durante la sua prima rivelazione.

Ma la medicina odierna, a proposito dell'epilessia, spiega dell'altro. Secondo Vilayanur Ramachandran, dell'Università San Diego di California, le crisi epilettiche dei lobi temporali del cervello inducono visioni e voci religiose particolarmente vivide che permangono anche dopo gli attacchi (V.Ramachandran, Che cosa sappiamo della mente, Mondadori, Milano, 2004). Ciò, nel caso di Paolo, spiegherebbe la folgorazione di Damasco, le ripetute testimonianze delle sue visioni e i presunti rapimenti al terzo cielo.

D'altronde è lo stesso Paolo che nelle Lettere conferma indirettamente la sua malattia accennando spesso ad una spina nel fianco, forma allegorica per indicare un disturbo fisico ricorrente, che più volte aveva chiesto a Dio di togliergli, e scrivendo in Galati: “Voi sapete, fratelli, che fu a causa di una malattia del corpo che vi annunciai il vangelo” (da lui sempre dichiarato una rivelazione divina) (Galati 4,13). Ai suoi tempi l'epilessia era considerata un morbo sacro che gli dèi riservavano a coloro che sceglievano come loro intermediari.

giovedì 15 aprile 2010

Margherita Hack: “Libera scienza in libero Stato”

Margherita Hack famosa astronoma, astrofisica, accademica dei Lincei, nonché atea di ferro e presidente onorario dell’Uaar (l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) ha pubblicato ““Libera scienza in libero Stato”, un libro che si configura come un vero j’accuse contro la decadenza della scuola italiana in tutti i campi, soprattutto in quello scientifico.

La Hack si chiede: perché il gap di conoscenze scientifiche dei nostri adolescenti rispetto ai loro coetanei europei aumenta inesorabilmente? Perché il livello culturale della nostra scuola è tra i più bassi d'Europa (dati PISA, Programme for International Student Assessment e OCSE)? E trova molte spiegazioni.

La prima affonda nella particolare storia della cultura italiana che, condizionata dalla filosofia di Benedetto Croce prima e di Giovanni Gentile poi, ha sempre considerato “la scienza una forma di cultura minore”, retrocessa a sapere puramente tecnico, con la conseguente organizzazione del nostro sistema di istruzione in un’ottica umanistica, mentre paradossalmente nel resto d'Europa lo studio della scienza faceva passi da gigante.

Seconda causa: l’interventismo della Chiesa cattolica, da sempre nemica della scienza (vedi il processo a Galilei), perché la considera potenzialmente negatrice della religione e che, in un Paese presunto laico come l'Italia, si arroga il diritto di decidere l’eticità dei campi di indagine (ultimi casi eclatanti: il dibattito sulle cellule staminali e la procreazione assistita) e interferisce nei programmi di studio. Esempio clamoroso: per imposizione del Vaticano in Italia la teoria evolutiva non viene trattata nella scuola dell'obbligo.

Infatti nel 2004 (DL 19 febbraio n.59). l'allora ministra della Pubblica Istruzione, Moratti, fece togliere ogni riferimento a Darwin e all'evoluzione nei programmi scolastici del primo ciclo, facendoli scivolare nel pieno Medio Evo. Si doveva tornare al racconto del mitico vasaio, in base al dogma del primato della fede sulla ragione, sostenuto dalla Chiesa.

Quando, di fronte alle proteste del mondo scientifico, la ministra fu costretta a fare marcia indietro, obtorto collo concesse agli insegnanti, che lo desideravano, di accennare all'evoluzionismo (come si trattase di un optional) nella speranza che non lo facessero. Per cui è rimasto spesso vistosamente ignorato in ogni ordine di scuola italiana. E poi ci lamentiamo perché i giovani disertano le facoltà tecnico-scientifiche, oggi sempre più importanti per lo sviluppo di ogni Paese, e privilegiano quelle giuridico-letterarie. Per forza: nelle nostre scuole i giovani non sono educati al rigore scientifico e all'autonomia critica ma “all’ora di religione” durante la quale, come verità, vengono insegnate delle favole assurde, vere circonvenzioni di minori.

Infine, ed è la nota più dolente, manca alla nostra classe politica la volontà di garantire un funzionamento decente della scuola pubblica: indispensabile perché «crea cittadini, non crea cattolici, né protestanti né marxisti», è aperta a tutti, favorisce l’uguaglianza, diventa luogo di confronto costruttivo, «non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta». Mentre alla scuola statale vengono sempre più lesinati i mezzi per un suo decente sviluppo si concedono sempre più privilegi e finanziamenti alle scuole clericali, in barba all’articolo 33 della Costituzione che ammette l’istituzione di scuole private “senza onere per lo Stato”.

In conclusione: pochi soldi per la scuola pubblica e la ricerca, ma tanti, tantissimi per l'ora di religione e le scuole private. A proposito dell'ora di religione: lo Stato italiano, unico tra i Paesi liberali d’Occidente, spende la bellezza di 1 miliardo per insegnare questa disciplina opinabile ed evanescente inutile e controproducente per tutti (cattolici, protestanti, musulmani, ebrei, atei).

Periodo persecutorio di Paolo (“L'invenzione del cristianesimo”) 78

Paolo entra in scena circa un anno dopo la crocifissione di Gesù e si presenta subito come un fanatico agente dei sadducei, partecipando attivamente agli attacchi contro i nazirei di Gerusalemme. Gli Atti (22,4; 8,3; 26 e sgg.) ce lo presentano come un fanatico persecutore dei cristiani ellenisti e testimone non occasionale della lapidazione di Stefano, il protomartire cristiano, e lui stesso nelle sue Lettere lo conferma senza mezzi termini.

"Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri" (Galati 1,13-14).

"[Paolo]infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione" (Atti 7,3). E ancora: "Sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, [Paolo] si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati" (Atti 9,1-2).

Lo scopo di tanto accanimento era di bloccare sul nascere il messianismo javista dei primi cristiani, foriero di tremende catastrofi. Non era quindi una persecuzione religiosa ma politica. Paolo era fermamente convinto che i sommi sacerdoti, che desideravano mantenere lo status quo, esprimessero il volere di Dio, mentre gli zeloti e i messianisti in genere, che volevano sconvolgere tutto, erano dei pazzi criminali che andavano eliminati e magari crocifissi.

Egli era fin troppo felice di dar loro la caccia con feroce determinazione. Dobbiamo tener presente che i cristiani di quel particolare momento storico non erano dei pacifisti, come diverranno i gentili convertiti successivamente da Paolo, bensì dei giudei messianisti legati agli zeloti, aspiranti alla rinascita del regno di Jahvè e alla cacciata dei romani.

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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)