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lunedì 30 aprile 2012

Il falso Jahvè. Il paradigma reale. 101


Molti israeliti, a causa delle imposte esose, furono costretti a vendere la loro terra, dono inalienabile di Dio, e diventare schiavi a motivo dei debiti. Ciò suscitò enorme malumore tra il popolo e intaccò profondamente la coesione interna tra le varie tribù, sempre precaria a causa della loro diversità e dei loro antagonismi.

La Bibbia, come vedremo tra poco, ha esagerato la grandezza e l'importanza di Salomone. Tutto ciò che racconta su di lui suona spropositato: la saggezza, la ricchezza, il numero di mogli e concubine. Agli occhi degli ebrei della cattività babilonese il periodo di Salomone dovette sembrare l'età d'oro d'Israele, e quindi la sua figura e le sue opere edilizie vennero accostate al fasto regale della città mesopotamica e mitizzate.
Il che non regge all'esame di una rigorosa analisi archeologica e storica (M. Magnusson, BC, op. cit., pagg. 138-136).

Le ricerche effettuate nella Palestina del periodo non avallano la ricchezza attribuita alla corte di Salomone. Il materiale rinvenuto ci mostra una cultura materiale appena modesta. Lo stesso vale per il Tempio. Si trattava di un edificio relativamente piccolo e, anche ammessa la sua sontuosità, ci riesce difficile credere che abbia richiesto il lavoro di trentamila uomini per sbozzare le travi, ottantamila per estrarre le pietre dalle cave e settantamila per trasportarle.

Inoltre, nei tanti paesi vicini ad Israele, che nel X secolo a.C. stillavano cronache scritte, nessuno sembra essersi accorto dell'esistenza di questo sovrano che, a detta della Bibbia, viveva in una corte satrapesca, intratteneva intensi rapporti commerciali con gli Stati confinanti e stringeva con loro alleanze politiche.

Salomone e la regina di Saba


L'innesto del paganesimo nel cristianesimo personale di Paolo (“L'invenzione del cristianesimo”) 100


Comprendendo che la sua missione era ormai rivolta alla conversione dei gentili, verso i quali sentiva più affinità spirituale che coi suoi correligionari, ritenuti incapaci di uscire dalla loro concezione tribale, egli inserisce nella nuova teologia che andava elaborando, gli elementi più significativi che caratterizzavano la religione pagana.

Quindi, dopo aver recuperata la parte spirituale del messianismo, che si riprometteva di costruire uno Stato ideale nel quale gli uomini si amassero tra loro come fratelli, dove la povertà, intesa come scelta di vita, avesse eliminato l'arroganza delle ricchezza e resi gli uomini uguali, dove infine regnassero la verità e la giustizia, e dopo aver scorporata da esso ogni rivalsa nazionalistica e di terrorismo politico, Paolo, che conosceva alla perfezione il mondo pagano e le sue profonde aspirazioni, innesta in esso la figura di un salvatore universale, che dopo essersi incarnato e immolato per il bene dell'umanità, risorge dalla morte, come gli dèi Osiride, Attis, Mitra e Dioniso, sicuro che avrebbe avuto un enorme riscontro in milioni di persone, perché toccava le loro ansie più profonde e dava una risposta di salvezza al loro immaginario collettivo.

Al tempo stesso Paolo, attratto dai culti misterici orientali e dal fatto che ad Antiochia i cristiani ellenisti cominciavano ad invocare Cristo con l'appellativo di Kyrios, cioè Signore in senso divino, iniziò quel processo di deificazione del Cristo che avrebbe lentamente trasformato Gesù uomo, da Messia escatologico e apocalittico, in "Nostro Signore Gesù Cristo Figlio di Dio” e lo avrebbe fatto assurgere lentamente alla parità col Padre. Se Paolo fu l'iniziatore di questo processo di deificazione, penseranno poi i suoi seguaci, seguiti dai discepoli di Marcione, dai Padri dalla Chiesa e soprattutto dall'imperatore Costantino nel Concilio di Nicea del 325, a codificare questa sua divinità consustanziale al Padre e a imporla anche a quanti non la condividevano.

A completamento della sua nuova teologia Paolo inserì anche, con l'istituzione dell'eucaristia, la teofagia, così profondamente sentita da tutto il mondo gentile, che vedeva in essa l'unione amorosa del dio salvifico con l'uomo. Infine, volendo dare al neocristianesimo un rito iniziatico che sostituisse la circoncisione, ritenuta da Paolo un serio ostacolo per chi voleva abbracciare la fede in Cristo, sancì il rito del battesimo, già in uso tra i pagani.
Questo in sintesi il corpus paolino dal quale nasce gran parte del cristianesimo. Non elaborò il culto di Maria e la nascita verginale, che fu in gran parte opera dei suoi seguaci e dei Padri della Chiesa, i quali, per convalidare la deificazione di Cristo si trovarono nella necessità di dargli un seme divino. Infatti, nelle tredici Lettere paoline, Maria non viene mai nominata e di lei c'è solo un cenno indiretto, laddove dichiara Gesù " nato da donna" (Galati 4,4), senza aggiungere altro.

domenica 29 aprile 2012

Peccato e Redenzione. L'ascetismo imposto al cristiano per la salvezza dell'anima. 68


Nelle sue Lettere, che influenzarono potentemente i futuri quattro Vangeli nonché gli Atti degli Apostoli, egli, in preda ad una forma di delirio, si scatena contro il corpo, da lui chiamato la “carne”, considerandolo la sede del peccato, e afferma che il cristiano deve «spossare e asservire il corpo», «ucciderlo» (1 Cor. ,27; Galati, 5,24; Romani, 8,13; Colossesi 3,5), in quanto esso è un «corpo di morte» e tutto ciò che vuole «significa morte» e «odio contro dio» (Romani, 7,18; 7,24; 8,6 sgg.).

In Galati scrive con veemenza: “Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissenso, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezza, orge e così via” (Galai 5, 19-21).

Un vero catalogo di nefandezze e turpitudini che rendono l'uomo più malvagio degli animali allo stato brado. Quindi la vita del cristiano, per contrastare la sua degradazione, doveva incentrarsi nell’ascetismo, inteso come mortificazione del corpo. 

La parola ascetismo (dal greco áskesis: esercizio, allenamento), era in origine riferita all’ambito atletico, inteso come irrobustimento fisico. 

Ma con Platone questo termine mutò completamente significato, e con un totale capovolgimento semantico prese ad indicare il ferreo dominio delle passioni, la mortificazione del corpo, la rinuncia ad ogni forma di mondanità e di gioia di vivere, soprattutto della sensualità.


L'enigma svelato. 115


Jeu, il rabbino di Damasco, era sempre prodigo di notizie quando si recava nella copisteria, così Giuda e Davide erano al corrente di quanto accadeva a Gerusalemme e ad Antiochia. Naturalmente l'argomento verteva quasi sempre sui cristiani, odiati a morte dal rabbino.
Così un giorno costui raccontò tutto giulivo che a Gerusalemme il nuovo re Agrippa, appena nominato dall'imperatore Claudio, si era messo a perseguitare, con accanimento e ferocia, zeloti e seguaci della Via. Ad uno di questi, Giacomo di Zebedeo, aveva già fatto mozzare il capo e altri li aveva cacciati in prigione. Ma la cosa si era fermata presto per l'improvvisa morte del re.
Quello che maggiormente faceva invelenire il rabbino era il fatto che ad Antiochia Paolo facesse molti proseliti tra i gentili che frequentavano il suo gruppo di giudei e che i nuovi convertiti, chiamati cristiani, cioè messianisti, lo considerassero il loro capo indiscusso. Non mancò di sottolineare che tra cristiani e giudei della sinagoga le ostilità erano continue e più volte i giudei avevano portato i cristiani in tribunale con l'accusa di sovversione e di violazione della "lex Iulia de maiestate". "Sono tutti ribelli incalliti" ripeteva amareggiato.
"Giacomo di Zebedeo ha avuto quello che si meritava" disse Giuda a commento del racconto del rabbino. "Era uno dei più violenti messianisti della banda dei seguaci di Gesù. Mi sorprende che suo fratello Giovanni e Cefa non abbiano fatto la stessa fine", concluse perplesso. Seppero in seguito che Cefa era fuggito di prigione e si era rifugiato per qualche tempo ad Antiochia per rientrare a Gerusalemme appena re Agrippa era morto.
Fu durante uno dei suoi periodici viaggi d'affari che Paolo dopo un incontro con Rufo venne anche a salutare Davide e Giuda. Ad essi raccontò che, essendo diventato il più autorevole capo dei cristiano ellenisti di Antiochia, a Gerusalemme era cessata la diffidenza nei suoi confronti e che Giacomo, fratello di Gesù, gli aveva proposto un viaggio missionario in Asia e in Grecia, assieme a Barnaba, per diffondere la parusia tra i molti ebrei della diaspora. Era imminente la sua partenza e al ritorno li avrebbe informati sull'esito della sua missione.
Ritornò infatti dopo più di un anno e si precipitò in casa di Giuda impaziente di raccontare le avventure del suo viaggio.
Giuda e Davide lo invitarono in biblioteca ansiosi di conoscerle.  

In nomine Domini 12


"Parlami di questi antichi filosofi", chiese il giovane mostrando vivo interesse alla cosa.
"La sintesi del loro pensiero, riguardo alla religione, è semplicissima: la religione è un'illusione fittizia creata da saggi legislatori per incutere negli uomini il necessario rispetto per lo Stato e le sue leggi. Quindi è nata per esclusivi scopi politici. I primi a formulare questa teoria sono stati i filosofi greci Evemero e Crizia; successivamente essa è stata elaborata da molti altri, in particolare da Cicerone nel suo trattato De natura deorum e da Lucrezio nel suo poema De rerum Natura. Lucrezio definisce la religione una pia fraus.
"In un frammento del filosofo greco Crizia, viene spiegata la nascita della religione ricostruendo i tre stadi della storia dell'umanità: lo stadio primitivo di barbarie naturale in cui gli uomini vivevano in uno stato totale di anarchia e di atroci contese; lo stadio dell'introduzione delle leggi imposte con la coercizione, rivelatesi però incapaci di instaurare la giustizia perfetta, poiché i delitti nascosti restavano impuniti; infine, l'invenzione della religione che con l'idea dell'onniscienza divina cui nulla sfugge, prevedendo un premio per i virtuosi e un castigo per gli empi, metteva un freno ai crimini occulti e conferiva nuova autorità alle leggi. L'effetto benefico della religione prevedeva però che rimanesse segreta la sua funzione fittizia, cioè la sua falsità; solo così il popolo era indotto a obbedire alle leggi e a sopportare lo Stato. Per rendere accettabile e soprattutto credibile la religione, i grandi legislatori come Minosse, Mosè e Licurgo dovettero quindi ricorrere alla rivelazione divina, dovettero cioè fingere di aver ricevuto la loro dottrina direttamente da un dio, facendo riferimento ad una particolare divinità: Giove, Jahvè, Apollo e così via. Ecco perché Mosè salì per quaranta giorni sul monte Sinai da solo, e quindi senza testimoni che avrebbero potuto smentirlo, a scolpire le sue famose tavole della legge, e presentarle al suo popolo come scritte direttamente dal dito di dio. Quindi anche Mosè seguì il principio di inventarsi un dio quale autore della sua opera legislativa, facendolo ritenere la fonte sovrumana dell'autorità della legge.
"I requisiti fondamentali della religione rivelata, non spiegabili a livello razionale, furono: una fede cieca; una ferrea disciplina morale che prevedesse un premio per i virtuosi e un castigo per gli empi e, infine, una pletora di rutilanti cerimonie e di riti simbolici e magici, da celebrarsi in templi maestosi, abbelliti da variopinte immagini sacre, allo scopo di ottenere la fascinazione dei sensi e indurre morbosi stati di misticismo. Concludendo e volendo parafrasare la Bibbia: non è dio che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza ma, all'incontrario, è l'uomo che ha creato dio guardando se stesso. Scriveva infatti Democrito, alcuni secoli prima di Cristo: se i buoi volessero raffigurare Giove, come lo rappresenterebbero? È chiaro: con le corna e la coda".
"Teoria affascinante e catastrofica insieme", esclamò Alberico sconsolato. "Insomma", riprese poi con una certa animosità, "che cos'è che ha valore per te?"
"Oh, finalmente la domanda che mi aspettavo!", fece Ascanio con sollievo. "Ogni uomo, consapevolmente o inconsapevolmente, persegue un fine. Farò qualche esempio. C'è chi smania per la brama di potere e non indietreggia di fronte a nessun crimine per raggiungerlo: re Ugo e tua madre ne sono l'esempio. C'è chi, come il monaco Teocrazio, detto da tutti Crapula, persegue il piacere più smodato, abbassandosi al livello di un bruto per soddisfare i suoi più immondi istinti. C'è chi, al contrario, come il monaco Sulpicio, persegue con ossessione la santità: preghiere, digiuni, cilicio, continua mortificazione dei sensi e pensiero fisso e maniacale su dio. Io non aspiro a nessuna di queste cose e men che meno alla santità; tra Teocrazio e Sulpicio preferisco Teocrazio; almeno lui, a modo suo, qualcosa riesce ad afferrare della vita e a dare inizio ad una probabile conoscenza. Sulpicio, invece, vive in un mondo ossessivo, chiuso, prigioniero di se stesso, estraneo a tutto e a tutti e quindi morto ad ogni possibile evoluzione".
"E il tuo fine?", chiese Alberico con una sottile punta d'ironia.
"È il più arduo di tutti. Sono convinto che il destino dell'uomo sia quello di imparare e di conoscere, anche se non perverrà mai a capire tutto quello che lo circonda. Quindi io perseguo la conoscenza. Non però quella che si ricava soltanto dai libri. Oddio, essi possono senz'altro dare un grande contributo allo scopo, specie quelli, come i libri dei filosofi, che trasmettono la conoscenza che gli altri hanno faticosamente raggiunto. Ma la conoscenza che io intendo la si ottiene soprattutto riflettendo su tutte le esperienze che la vita ci offre, anche quelle negative, peccaminose e crudeli. Possiamo chiamarla anche con altro nome: evoluzione interiore. Con essa otteniamo una verità provvisoria, piccola, limitata. L'unica possibile per noi umani e diversa in ciascuno di noi. La verità assoluta non fa parte dell'uomo terrestre. L'aldilà non è il paradiso o l'inferno, come predica la religione, ma il luogo in cui proseguiremo l'arricchimento della nostra conoscenza, della nostra evoluzione. Quindi la mia non è una religione ma una filosofia".
"Ora mi rendo conto perché hai sempre rifiutato la carica di vescovo che papa Giovanni X voleva conferirti", esclamò il giovane annuendo con la testa.
"Non avrei mai potuto svolgere un incarico in cui non credevo, anche se avrebbe comportato per me prestigio, potere e ricchezza. Il diaconato, ricevuto ancor molto giovane, quando non avevo maturato la mia attuale filosofia, me lo sono dovuto tenere, ma l'ho considerato soltanto, e lo considero tuttora, un espediente per svolgere la mia attività intellettuale e curiale. Ma torniamo a te. Mi avevi detto che volevi estorcermi una promessa. Di che si tratta?"


sabato 28 aprile 2012

Il falso Jahvè. Il paradigma reale. 100


La descrizione del Tempio la troviamo nel I Libro dei Re e nel II Libro delle Cronache. Si trattava di un edificio, tutto sommato, modesto se paragonato ai grandiosi templi di Babilonia e dell'Egitto. Alto circa quindici metri, lungo una trentina e largo dieci, aveva le mura fiancheggiate da colonne e il tetto circondato da puntali dorati. Due colossali colonne isolate si ergevano ai lati della porta, a loro volta affiancate da due statue giganti di cherubini.

Il santuario era diviso in due parti. Nella prima, più ampia e aperta a tutti, si trovavano i bracieri per i sacrifici animali e l'altare maggiore con la Menorah, il candeliere d'oro a sette bracci, simbolo della presenza di Dio. Nella seconda parte, più interna, riservata soltanto ai grandi sacerdoti, chiamata la sancta sanctorum o santuario dei santi, veniva conservata l'Arca dell'Alleanza. Quest'ultima, dopo la sua collocazione nel Tempio, perse il suo carattere itinerante e diminuì rapidamente d'importanza.

Le imponenti costruzioni del Tempio e dei due palazzi reali, congiuntamente alla creazione di un enorme harem con diverse concubine straniere e allo sfarzo sibaritico di cui si era circondato, richiesero, a detta della Bibbia, un prezzo molto elevato in termini fiscali e umani. Gran parte del popolo era costretto a lavorare in corvè e a versare pesanti tributi .


Il Cristo mistico, vera salvezza per l'intero genere umano (“L'invenzione del cristianesimo”) 99


 Di fronte a questa generale ignominia c'era per Paolo una sola via d'uscita a rappresentare la vera salvezza per l'intero genere umano: il Cristo mistico che si era immolato sulla croce non solo, come credevano i cristiano-giudei di Gerusalemme, per tornare da Risorto dal cielo e, cacciate le legioni romane, instaurare il regno di Jahvè sulla Terra, ma soprattutto per redimere l'intera umanità dal peccato e portarla nel regno dei Santi.

Il termine "Cristo" perde per lui ogni riferimento all'Unto del Signore, al Messia liberatore e si trasforma in una possessione totale, in un Dio conosciuto in maniera interiore, in un Redentore celato, in un Santissimo Sacramento. Tutte le Scritture, per chi sapeva coglierne il significato interiore e le implicazioni spirituali, prevedevano da sempre, secondo lui, la venuta nel mondo del Salvatore. Questo Salvatore era il Cristo.

"Vi sia dunque noto, fratelli, che per opera di lui vi viene annunziata la remissione dei peccati e che per lui chiunque crede riceve giustificazione (perdono) da tutto ciò da cui non fu possibile essere giustificati mediante le Legge di Mosè (Atti 13,38-39).
La fede nel Cristo mistico, che gli era stato rivelata nella sua apocalisse o epifania sulla via di Damasco, diventa l'ossessione di Paolo, la forza propulsiva che lo spinge ad un apostolato frenetico e pronto a sfidare ogni pericolo personale.
Cristo diventa agli occhi di Paolo il mitico Redentore cui gli esseri umani, troppo deboli e troppo stupidi per praticare la virtù, dovevano rivolgersi per ottenere la liberazione e la salvezza. Infatti col sacrificio della Croce: " ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro" (Galati 1, 4).

La Croce si trasforma per Paolo nella porta della redenzione, nel punto di riferimento di tutta la sua fede e, se per i cristiano-giudei di Gerusalemme rappresentava il simbolo dell'umiliazione, del tradimento e del fallimento, per lui racchiude il mistero del progetto di Dio per la salvezza del mondo.
La fede nel Cristo mistico, nella gloria della Croce, diventa per Paolo la Nuova Rivelazione, il Nuovo Patto di Dio con l'intera umanità, e sostituisce e cancella, superandolo, il vecchio Patto stipulato da Mosè sul Monte Sinai.

venerdì 27 aprile 2012

Pesante crisi del cattolicesimo in Usa


Negli Usa il cattolicesimo è in crisi. Quattro sono i fattori che lo determinano: il calo dei fedeli, l'evaporazione delle vocazioni, lo scandalo dei preti pedofili e infine, la crisi finanziaria di molte diocesi, svenate dai pesanti rimborsi alle vittime abusate dal clero.

Tutte le ultime inchieste sulla religiosità degli Stati Uniti forniscono dati convergenti: cresce il numero di chi non crede (tanto da spingere qualche commentatore a parlare dell’ateismo come di "un nuovo potere"); tra i credenti, cresce il numero di chi crede senza appartenere ad alcuna Chiesa; tra le Chiese, quella cattolica è l’organizzazione che subisce le perdite più pesanti, tamponate per ora dall’afflusso di immigrati di origine ispanica (provenienti da nazioni in cui, peraltro, il proselitismo evangelico si fa di giorno in giorno più aggressivo).

Le vocazioni calano vertiginosamente perché mentre i preti anziani vanno in pensione ed altri preti, ancor giovani, vengono allontanati perché coinvolti in scandali di pedofilia, la nuova gioventù, sempre più sedotta dal secolarismo, non avverte alcuna attrazione per la carriera ecclesiastica. Pesa molto, in tempi sempre più permissivi, l'obbligo al celibato, anche se spesso nascostamente violato da molti ecclesiastici, di rango vescovile.

Recentemente il vescovo ausiliare della diocesi di Los Angeles, monsignor Gabino Zavala, ha confessato al Papa di avere due figli, che vivono con la madre in un altro Stato, e ai quali deve offrire un adeguato sostegno economico per pagare i contributi per gli studi. La vicenda di Zavala ha importanti precedenti, altrettanto eclatanti, come quello dell'arcivescovo di Atlanta, Eugene Marino, dimessosi dopo che venne resa pubblica la sua storia d’amore con una diacona, e, da poco, lo scandalo toccato al segretario della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, l’arcivescovo di Santa Fe, Robert Sanchez, reo confesso di aver avuto cinque amanti.

Le conseguenze della crisi religiosa si fanno pesantemente sentire obbligando i vescovi a sopprimere molte parrocchie e a fonderne altre. Il vescovo Richard G. Lennon, titolare della diocesi di Cleveland, nello stato americano dell’Ohio, che comprende più di 750.000 cattolici, ha chiuso 29 parrocchie e ne ha accorpate altre 41. Il piano di ristrutturazione taglia di fatto 52 parrocchie su 224. Ma non è tutto,. 

Dopo che negli anni scorsi le diocesi di Chicago, Detroit e Boston hanno chiuso o aggregato decine di parrocchie spesso per ovviare alle difficoltà finanziarie nate dallo scandalo pedofilia, ora tocca a New York. L'arcidiocesi della Grande Mela ha annunciato che metterà i lucchetti a 31 chiese e 14 scuole, dando il via alla più vasta riorganizzazione degli ultimi centocinquanta anni.

La diminuzione della partecipazione alla Messa e l'abbandono di molti fedeli non impediscono ai vescovi cattolici più oltranzisti di alimentare aspri conflitti per impedire l'approvazione dei matrimoni gay, ormai universalmente accettarti dall'opinione pubblica americana, e di continuare con asprezza la loro campagna contro i contraccettivi, fingendo ipocritamente di ignorare che la quasi totalità delle donne cattoliche li usa apertamente, infischiandosene dei loro divieti.

Più i fedeli si disinibiscono, più la casta episcopale americana si irrigidisce nel conformismo medioevale che tanto piace a papa Ratzinger ma che, di fatto, allontana sempre più la popolazione dalla Chiesa.

Monsignor Gabino Zavala


La natura umana corrotta e peccatrice alla base della teologia paolina (“L'invenzione del cristianesimo”) 98


Non è facile intuire e capire il profondo travaglio che portò questo grande riformatore religioso, al cui confronto il Gesù storico non è nessuno e il Gesù teologico, ereditato dalla Chiesa, una sua totale invenzione, a forgiare un messaggio che toccasse le ansie più profonde degli uomini della sua epoca, la loro aspirazione all'amore universale e all'innata esigenza di giustizia sociale, e che facesse sentire la salvezza come un rapporto intimo e diretto tra l'uomo (l'uomo qualunque) e Dio.

Va subito precisato che la dottrina cristiana che Paolo fece propria, e che ricaviamo dalle sue Lettere, non deriva dai Vangeli, anzi sono invece i Vangeli che derivano da questa. Nasce dalla sua convinzione personale che la natura umana è corrotta e che solo il sacrificio di Gesù Cristo può redimerla.

L’universalità della corruzione umana è il punto focale della teoria paolina. Secondo essa gli uomini, sia ebrei che pagani, sono cattivi per natura, scellerati, schiavi del peccato, immersi fino al collo nella «sporcizia della lussuria», nelle «passioni nefande» (Efesini 2,3; Romani 6,17), Inoltre: essi «sono ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia e malizia, pieni d’invidia, di istinti assassini, di discordia, di perfidia e abiezione; sono denigratori, calunniatori, nemici di Dio, gente violenta e altezzosa, millantatori, ingegnosi nel male, insensati, sleali, privi d’amore e di misericordia» (Romani 1,29 e sgg.). Sembra di leggere un trattato di criminologia.


Predicando il suo Vangelo tra i giudei della diaspora e i pagani, aveva maturato la disperata convinzione che l'umanità viveva in un mondo in cui operavano potenze demoniache che scatenavano nell'uomo follie, malvagità, violenze, sfrenata lussuria e infermità di ogni genere. Israele, il popolo eletto, per la sua salvezza aveva ricevuto la Torà, la Legge di Mosè, ma l'aveva sistematicamente disattesa, trasformandola in una condanna. 

I pagani, nella loro peccaminosa perversione, s'erano illusi di lavare i loro peccati con il sangue di Mitra o di Eracle, cospargendoselo durante i riti sacrificali, e di sconfiggere la morte mediante la discesa di questi semidèi agli inferi. Follie, insensatezze, che impedivano all'uomo di vedere che la sua vita era breve, ripugnante e brutale.

San Paolo


giovedì 26 aprile 2012

Peccato e Redenzione. L'ascetismo imposto al cristiano per la salvezza dell'anima. 67


Per meritare la felicità eterna il cristiano, secondo Paolo, aveva l'obbligo di praticare, durante il suo soggiorno terreno, una vita virtuosa.

Ma, secondo lui, la natura umana era estremamente corrotta, a causa del peccato originale, e, per redimerla, richiedeva una condotta morale rigida e spietata.
L’universalità della corruzione umana è un punto focale della teoria paolina secondo cui gli uomini, sia ebrei che pagani, erano cattivi per natura, scellerati, schiavi del peccato, immersi fino al collo nella «sporcizia della lussuria», nelle «passioni nefande» (Efesini 2,3; Romani 6,17).

Inoltre: essi erano « ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia e malizia, pieni d’invidia, di istinti assassini, di discordia, di perfidia e abiezione; denigratori, calunniatori, nemici di dio, gente violenta e altezzosa, millantatori, ingegnosi nel male, insensati, sleali, privi d’amore e di misericordia» (Romani 1,29 e sgg.).

Le sue Lettere sembrano speso un trattato di criminologia, tanti sono i crimini imputati all'uomo.

Predicando il suo Vangelo, cioè l'imminente ritorno in Terra del Risorto. tra i giudei della diaspora e i pagani, aveva maturato la disperata convinzione che l'umanità viveva in un mondo in cui operavano potenze demoniache che scatenavano nell'uomo follie, malvagità, violenze, sfrenata lussuria e infermità di ogni genere. Israele, il popolo eletto, per la sua salvezza aveva ricevuto la Torah, la Legge di Mosè, ma l'aveva sistematicamente disattesa, trasformandola in una condanna. 

I pagani, nella loro peccaminosa perversione, s'erano illusi di lavare i loro peccati con il sangue delle vittime di Mitra o di Eracle, cospargendoselo durante i riti sacrificali, e di sconfiggere la morte mediante la discesa di questi semidèi agli inferi. Follie, insensatezze, che impedivano all'uomo di vedere che la sua vita era breve, ripugnante e brutale.

Di fronte a questa generale ignominia c'era per Paolo una sola via d'uscita a rappresentare la vera salvezza per l'intero genere umano: una vita tutta dedita alla penitenza, alla contrizione, al freno degli istinti e delle passioni. Quindi egli introdusse nel suo cristianesimo personale le perversioni penitenziali delle religioni misteriche che aveva appreso come modelli e le impose a tutto l’Occidente.


La nuova dottrina di Paolo (“L'invenzione del cristianesimo”) 97


Finalmente libero dai controlli della Chiesa di Gerusalemme, Paolo si sentì pronto a rinunciare al messianismo e a rinnegare il suo legame anche col giudaismo, ormai resi inutili, secondo lui, dal sacrificio della Croce, e ad elaborare la sua via per la salvezza che non sarebbe dipesa più, come nel passato, dall'osservanza della legge mosaica, ma solo dalla fede in Gesù Cristo.

Con alacrità quasi febbrile si diede quindi a creare la sua nuova teologia nell'intento di elaborare una religione che accogliesse, in un geniale sincretismo, le aspirazioni del mondo ebraico e di quello gentile, e che appagasse l'immaginario collettivo di un salvatore universale, che trasversalmente era condiviso da tutto il mondo antico.

Invasato da un sacro furore che lo spingeva a spregiare pericoli anche mortali, si dedicò ad un apostolato frenetico pur consapevole che la sua nuova teologia avrebbe determinato tra i due cristianesimi: quello giudaico e quello ellenistico, una frattura totale e irreversibile. Infatti tra le due opposte concezioni: quella dei cristiano-giudei di Gerusalemme, chiusa nell'etnia e ortodossia ebraica, legata al rispetto assoluto della Legge e convinta dell'imminente ritorno del Risorto, e quella paolina, aperta ai gentili, decisa a degiudeizzare il cristianesimo per aprirlo al mondo pagano, contrapponendo al concetto di salvezza esseno-zelota, il principio salvifico di un salvatore spirituale e universale, tipico dei greci, dei persiani, dei caldei e di gran parte del mondo antico, il divario era assoluto e inconciliabile.

Se in questo scontro avesse vinto il messianismo javista, il cristianesimo non sarebbe rimasto altro che una setta fanatica e fondamentalista, destinata a sparire durante le guerre giudaiche del 70 e del 135 e nessuno di noi avrebbe mai sentito parlare di Gesù.

Ma le cose, invece, sono andate diversamente, e di ciò dobbiamo dar atto esclusivamente a Paolo, il quale, nonostante il suo comportamento menzognero nei confronti dei giudeo-cristiani e le sue grandi mistificazioni che vedremo in seguito, fu il vero inventore del cristianesimo. Egli seppe, da autentico genio religioso (della qual cosa bisogna dargli atto), trasformare una concezione settaria, fondamentalista, fanatica, xenofoba e teocratica, quale era il messianismo javista di stampo esseno-zelota, in un nuovo messaggio di liberazione e di salvezza per l'intera umanità.

San Paolo


mercoledì 25 aprile 2012

Il falso Jahvè. Il paradigma reale. 99


Dalla figura regale idealizzata di David sorse, al tempo dei Maccabei, l'ideologia messianica che preconizzava l'avvento di un Messia il quale, divenuto il re ideale del tempo finale, avrebbe ristabilito il regno davidico e portato a compimento la promessa di un ininterrotto regno di Dio sulla Terra.

Il mitico alone che si sviluppò ben presto attorno alla figura di questo re fece passare in secondo piano quella che fu la sua vera personalità. Non si trattava di uno stinco di santo. Col re Saul, che lo aveva benignamente accolto a corte e che gli aveva dato in sposa la figlia Mikal, si comportò come un cospiratore.

Fu un adultero incallito e non esitò a fare uccidere l'amico Uria per impossessarsi di sua moglie Betsabea della quale si era invaghito. Governò in modo tirannico la famiglia e lo Stato e mandò a morte il figlio Assalonne che si era ribellato al suo dispotismo. Ma sul piano della storia David è stato un vincente ed è stato quindi tramandato come il re più carismatico d'Israele e il progenitore del futuro Messia.

Alla morte di re David gli successe il figlio Salomone.
Questo monarca, tramandatoci dalla Bibbia come mitico e leggendario, aveva ereditato dal padre le doti politiche e organizzative e dalla madre Betsabea il gusto per il satrapismo. Egli, sempre secondo la Bibbia, seppe dare ad Israele una forte organizzazione statale, un'amministrazione efficiente, una capitale degna di questo nome e un Tempio che divenne il centro cultuale del regno, per il cui servizio creò un clero integrato nello Stato.

Ma nonostante la costruzione del Tempio in onore di Jahvè, Salomone consentì a molte delle sue settecento mogli e trecento concubine (1Re 11,1), quasi tutte d'origine straniera, l'adorazione dei loro dèi e quindi favorì lo sviluppo del sincretismo religioso statale che incontrò forti resistenze presso i seguaci del monoteismo rigoroso.

La leggenda vuole che, divenuto immensamente ricco (ma non si sa come), nel quarto anno del suo regno, realizzando il sogno del padre, abbia dato inizio alla costruzione del primo e unico tempio coperto di Gerusalemme, nonché di due sontuosi palazzi reali, uno per sé e l'altro per la consorte principale, una principessa egiziana che era una delle sue settecento mogli, e il suo harem (I Re 7,1-12).

Re Salomone


La svolta di Paolo (“L'invenzione del cristianesimo”) 96


"Quando giunsero dalla Macedonia Sila e Timòteo, Paolo si dedicò tutto alla predicazione, affermando davanti ai giudei che Gesù era il Cristo (cioè l'Unto, il Messia). Ma poiché essi gli si opponevano e bestemmiavano, furibondo per le continue frustrazioni cui lo sottoponevano i suoi correligionari, scuotendosi le vesti disse loro: "Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente; da ora in poi io andrò dai pagani" (Atti 18,5-6).

Qui siamo di fronte ad una svolta senza ritorno.
Paolo ha raggiunto alcune granitiche certezze che saranno alla base della sua nuova strategia: che i suoi correligionari della diaspora erano irrecuperabili e andavano lasciati al loro destino; che l'attaccamento al ruolo messianico di Gesù e alla sua regalità, sempre ostentati dai cristiano-giudei, determinava un ostacolo insormontabile all'evangelizzazione sia degli ebrei della sinagoga, sia dei pagani, perché dava adito alle accuse di violazione degli editti di Cesare, di insubordinazione contro lo Stato e di trasgressione della lex Iulia de maiestate (Atti 17,7).

Bisognava quindi avere il coraggio di gettare il messianismo alle ortiche. Sila si rese conto dei cambiamenti che stavano avvenendo in Paolo, l'abbandonò e tornò a Gerusalemme a riferire.

San Paolo


martedì 24 aprile 2012

La casta politica italiana sempre più clericale


Come accaduto con la pillola del giorno dopo e la pillola abortiva RU486, anche quella dei cinque giorni dopo, arrivata in Italia superando mille ostacoli ed enormi ritardi rispetto al resto dell'Europa, è stata subito contestata dalla parte più retriva del parlamento italiano, sempre al servizio del Vaticano e nemico dell'autodeterminazione femminile.
La Ellaone è, infatti, in vendita da meno di un mese, per la precisione dal 2 aprile, e già un gruppo di 85 parlamentari ha già chiesto che ne venga bloccata la vendita,  perché si tratterebbe non di un contraccettivo d’emergenza, bensì di un farmaco dall’effetto abortivo. Ma  l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha specificato da tempo, e con estrema chiarezza scientifica, che la contraccezione d’emergenza non ha effetti abortivi perché semplicemente inibisce o ritarda l’ovulazione.
Tra l’altro l’Italia è l’unico Paese, dei 28 dove la pillola è commercializzata, in cui il medico per prescriverla è tenuto a verificare l’assenza di una gravidanza preesistente, attraverso un test di gravidanza negativo. Stante la procedura complicata imposta dalla nostra legge, l'utilizzo della pillola risulta pressoché impossibile. Come ho osservato in un precedente post è inimmaginabile che nelle 120 ore seguenti il rapporto si possa ottenere la prescrizione del test di gravidanza da un medico, effettuare le analisi, ritirare il referto, recarsi nuovamente dal medico per la ricetta e poi, se in tutto ciò ancora non sono passati i fatidici cinque giorni, acquistare la pillola in farmacia.
Pensate quante donne: studentesse, lavoratrici o casalinghe, possono trovare il tempo per superare tutta questa kafkiana procedura, ogni volta che hanno un rapporto a rischio. Ma l’associazione parlamentare ‘Intergruppo per il valore della vita’ nonostante tutti questi impedimenti vuole che la vendita sia sospesa, e a tal fine ha presentato un’interrogazione al ministro della Salute, Renato Balduzzi.
Paradossalmente l'azione di questo ‘Intergruppo per il valore della vita’, ostracizzando la pillola, potrebbe provocare un incremento del numero di gravidanze indesiderate con conseguente ricorso all'aborto. Ma anche incrementare l'acquisto delle pillole Ellaone on line, dove non è richiesta né ricetta medica né test di gravidanza. Però la Sigo (Società italiana di ginecologia e ostetricia) ha denunciato i pericoli che possono incorrere le donne che acquistano la pillola on line.
Ciò non impensierisce minimamente la maggior parte dei nostri politici infingardi e ipocriti cui importa solo imporre, per legge (in base alla sana laicità d'Oltretevere), i veti vaticani. 

A proposito dell'editto di Claudio (“L'invenzione del cristianesimo”) 95


A proposito dell'editto di Claudio, appena accennato, vale la pena di considerarlo con più attenzione perché potrebbe illuminarci sul clima di tensione che esisteva tra i giudei della diaspora, rimasti fedeli alla sinagoga, e i cristiano-giudei che si erano introdotti tra di loro per propagandare la nuova dottrina della parusia.

Abbiamo visto in precedenza che alcuni cristiano-giudei di Antiochia si erano trasferiti a Roma e con la loro predicazione dell'imminente ritorno di Gesù dal cielo per creare il nuovo Stato santo d'Israele, avevano gettato scompiglio nella numerosa e piuttosto malvista comunità ebraica. Secondo gli storici romani Tacito e Svetonio questa setta cristiana era animata da odio non solo contro i romani ma addirittura contro l'intero genere umano.

A giustificazione di questo loro giudizio, piuttosto pesante, va ricordato che i cristiani ebrei di Roma erano fortemente imbevuti di messianismo e consideravano imminente la distruzione dell'impero romano per opera di Jahvè. A riprova di ciò basti citare quanto scriveva allora Giovanni, l'autore dell'Apocalisse, in quel suo libro profetico, considerato rivelato dalla Chiesa Cattolica: "Ecco, (Cristo) viene sulle nuvole e ognuno lo vedrà; quelli che lo trafissero (cioè i romani) e tutte le nazioni della Terra si batteranno il petto per lui" (Apocalisse 1,7). E prosegue definendo Roma come la grande Babilonia, la madre delle meretrici e degli abomini della Terra e auspicando una sua distruzione imminente. Parole che denunciavano un clima infuocato ed esaltato da parte di questa minoranza cristiana.

La tensione tra i giudei cristiani, legati al messianismo javista, e i giudei della sinagoga, che invece volevano semplicemente osservare i precetti della Torà e occuparsi dei fatti loro, esplose violenta nel 41 e costrinse l'imperatore Claudio ad espellere dalla capitale gli ebrei cristiani perché (secondo Svetonio) erano continuamente in tumulto per istigazione di Chrestus, (deformazione del nome Cristo).

Questo episodio è molto significativo e ci fa capire, come abbiamo denunciato in precedenza, perché anche Paolo, durante il suo apostolato in Asia, entrasse spesso in conflitto con gli ebrei della sinagoga e fosse più volte da loro percosso e minacciato di lapidazione. Questi ebrei non volevano saperne della fine dei tempi e del ritorno del Risorto, che probabilmente consideravano un falso Messia, volevano rimanere fedeli alla Torà, essere lasciati in pace e occuparsi dei fatti loro. Consideravano Paolo e i suoi collaboratori degli istigatori. "Quei tali che mettono il mondo in subbuglio sono qui…Tutti costoro vanno contro i decreti dell'Imperatore affermando che c'è un altro re, Gesù" (Atti 17,6-7).

Ambrogio Donini in “Storia del Cristianesimo” (A. Donini, Storia del Cristianesimo, Teti, Milano, 1975), a proposito del nome di cristiani afferma: “Il nome di cristiani è nato in un ambiente non palestinese e veniva usato in senso d'ironico disprezzo (gli “unti”, gli “impomatati”) per distinguere gli ebrei della Sinagoga (ortodossi) dai nuovi convertiti, considerati gente strana, dalla lunga capigliatura, un po' come i nostri capelloni.” Chiaro riferimento al loro voto di nazireato che li costringeva a non far uso di forbici e rasoio.

Naturalmente questi erano i cristiano-giudei legati a Gerusalemme, non i pagano-cristiani seguaci di Paolo. Partendo da questi antefatti possiamo comprendere la radicale trasformazione di Paolo a Corinto e il conseguente abbandono di Sila.

Claudio imperatore


lunedì 23 aprile 2012

Il falso Jahvè. Il paradigma reale. 98


Alla morte di Saul, infatti, grazie alle sue notevoli doti militari e politiche, David egli riuscì a raccogliere intorno a sé tutte le dodici tribù d'Israele e a creare un regno forte e unitario che in breve unificò, secondo la Bibbia, tutta la Palestina e si estese a sud, fino a incorporare il territorio di Edom, e a nord ad annettere parte della Siria.

Venne quindi considerato dagli ebrei il vero costruttore del regno politico d'Israele (M. Magnusson, BC, op. cit., pagg.119-137). Egli scelse Gerusalemme come capitale del nuovo Stato e qui egli portò l'Arca dell'Alleanza in attesa di costruire un tempio che l'accogliesse definitivamente.

Con David, Israele maturò la convinzione di avere trovato la propria identità e la propria forza, di essere diventato il depositario della missione divina di diffondere dovunque la fede del Dio unico Jahvè, di splendere davanti a tutti i popoli della Terra come luce di verità, come popolo santo. La convinzione cioè che il Regno d'Israele non poteva essere altro che il prototipo del "regno di Dio in Terra."

Assieme ad Abramo, il fondatore della stirpe, e a Mosè, il legislatore e il liberatore, David, come unificatore del popolo ebraico e fondatore del primo regno unito, entrò presto nella triade più carismatica d'Israele. La sua figura, già idealizzata nei libri delle Cronache, nella più tardiva rielaborazione del Deuteronomio fu mitizzata e ai suoi discendenti venne addirittura promessa da Jahvè un'ininterrotta sovranità su una Terra Promessa, ampliata a dismisura:

Voi v'impadronirete di nazioni più grandi e più potenti di voi. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, sarà vostro; i vostri confini si estenderanno dal deserto fino al Libano, e dal fiume, il fiume Eufrate, fino al mare occidentale“(Deuteronomio 11,23/24).

Re David


Secondo viaggio missionario (“L'invenzione del cristianesimo”) 94


Ormai sempre più convinto che il suo apostolato avrebbe incontrato l'ostilità dei connazionali della diaspora, Paolo decise di ripartire per una seconda missione in Asia Minore e in Grecia per dedicarsi soprattutto ai pagani.

Ma fece in modo di non portare con sé Barnaba perché, dopo l'accusa d'ipocrisia che gli aveva rivolto durante lo scontro di Antiochia, non si sentiva più in sintonia con il collega Questo rifiuto scatenò l'ira di Barnaba che, da allora, lo abbandonò definitivamente e partì per un'altra missione assieme a Marco, figlio di Pietro.
In questo suo secondo viaggio, Paolo dovette portare con sé Sila, inviato

da Gerusalemme per stargli al fianco e spiarlo. Non aveva ancora deciso di rompere definitivamente coi cristiano-giudei; stava però già elaborando la sua nuova teologia, senza farla trapelare per non insospettire Gerusalemme.

Forse fu durante questo periodo di collaborazione con Sila che Paolo fece redigere, sotto la sua supervisione, una prima versione del testo evangelico che oggi va sotto il nome di Vangelo di Marco.
Alcuni studiosi sono propensi a credere che sia stato redatto a Efeso da un discepolo di Paolo appartenente alla comunità giudeo-cristiana espulsa da Roma in seguito all'editto di Claudio.

Questo testo, che pare fosse approvato da Gerusalemme per merito di Sila, fu usato da Paolo per evangelizzare l'Asia Minore e fu probabilmente spedito alla comunità giudeo-cristiana di Roma, quando alcuni ebrei (forse Prisca e Aquila) esiliati alcuni anni prima per editto dell'imperatore Claudio e diventati seguaci di Paolo a Corinto, poterono rientrare nella capitale dell'Impero.

San Paolo


domenica 22 aprile 2012

Peccato e Redenzione. La nuova teologia di Paolo: l'immortalità dell'anima e la redenzione. 66


Il concetto di redenzione, dopo quello del peccato originale, diventa così il secondo pilastro fondamentale del cristianesimo, il cuore pulsante della nuova religione. Se l'uomo non fosse stato redento da Gesù Cristo, tutto l'edificio del cristianesimo risulterebbe inutile.

Peccato originale e redenzione sono quindi inscindibili per il cristianesimo. Lo conferma Tommaso d’Aquino con la celebre formula: «Peccato non existente, Incarnatio non fuisset»; cioè: «Se non vi fosse stato il peccato [originale], non avrebbe avuto luogo neppure l’Incarnazione» («Summa Theologiae», III, q. 1, a. 3).

Per la scuola tomista, Cristo si è incarnato per redimere l’umanità peccatrice; dunque, egli ci ha riscattato a caro prezzo perché fossimo liberati dagli artigli del diavolo e dalla morte stessa, frutto del peccato, donandoci il dono dell'immortalità.

Ma a sua volta l'immortalità comporta l'idea terrificante del giudizio di dio al momento della morte per stabilire se, in base alla nostra condotta, meritiamo il premio o il castigo nell'aldilà eterno. Questo concezione era diffusa fin dai tempi più remoti presso la religione degli antichi Egizi, dove il dio Anubi con la testa da sciacallo pesava sulla bilancia il cuore dei defunti per pronunciare il suo verdetto.

Tommaso d'Aquino


L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità). 114


Il rabbino di Damasco era diventato un cliente assiduo di Giuda e lo teneva costantemente informato sui seguaci della Via. Giuda venne così a sapere che Paolo, rientrato dal suo esilio in Arabia, si era stabilito ad Antiochia ove aveva creato disordini nella sinagoga della città. I giudei della sinagoga si rifiutavano di accettare la sua parusia e giudicavano Gesù un falso Messia, mentre i timorati di Dio, quei pagani che frequentavano le sinagoghe come uditori, attratti dal monoteismo e dalla profonda eticità dell’ebraismo, la accoglievano con entusiasmo. Per distinguerli dai giudei della sinagoga, furono chiamati "cristiani". Questa parola greca significava "messianisti" perché il termine Messia, cioè Unto, Liberatore d'Israele, veniva tradotto in greco col termine Cristo (Christòs). Paolo dunque era diventato il capo dei cristiani ellenisti con grande disappunto degli ebrei della sinagoga.
Appena Rufo venne a sapere che Paolo era rientrato dall'Arabia, lo invitò a Damasco. Egli non si fece attendere e in incognito si presentò prima a Rufo per discutere di affari e poi in casa di Giuda. Fu accolto con grande rispetto, nonostante le divergenze religiose, e ospitato per alcuni giorni.
Erano molte le cose che volevano dirsi Giuda, Davide e Paolo perciò, dopo un lauto pranzo servito da Berice, si appartarono, questa volta nel giardino fiorito.
"Sono tornato pochi giorni fa da Gerusalemme", esordì Paolo. Era così cambiato che sembrava un altro uomo, totalmente diverso da quello che conoscevano."Ho incontrato i capi della Via e ho rischiato grosso".
"Chi hai visto esattamente?" chiese Giuda.
"Giacomo, fratello di Gesù, Cefa e Giovanni di Zebedeo. Li ho incontrati quasi in segreto, per intercessione di Barnaba, un ebreo di Cipro che ho conosciuto ad Antiochia. Gli altri membri della setta mi sono stati preclusi per timore di una loro vendetta nei miei confronti a causa delle mie passate persecuzioni. Sono stati molto freddi e duri con me. Non credono alla mia conversione. Soprattutto non credono alle mie visioni".
"Non è facile per chiunque credere nelle visioni degli altri", ammise Davide.
"Eppure io le ho frequenti, nitidissime e più vivide della realtà".
"Non pensi che siano legate al tuo morbo sacro?" chiese Davide con schiettezza.
Paolo rimase perplesso. "In un certo qual modo sì", ammise. "Ma gli attacchi cui vado soggetto sono gli strumenti di Dio per illuminarmi. Per niente la mia malattia si chiama morbo sacro".
"E cosa vedi esattamente?" chiese Davide.
"Mi sento come rapito al terzo cielo, in un mondo ineffabile. Sono avvolto da una luce splendente e da suoni meravigliosi. Vedo Gesù, il Crocifisso Risorto, seduto alla destra del Padre, circondato da angeli. Gesù mi invita a diffondere nel mondo l'annuncio della sua imminente venuta, senza fare distinzione tra ebrei e gentili. Quando ridiscendo sulla Terra mi sento invadere da un sacro fuoco che mi incita all'azione".
"Che altro vedi?"
"In altre visioni vedo Gesù crocifisso che offre il suo martirio a Dio. La morte sulla croce del Messia martirizzato si è impressa nella sua mente come un marchio a fuoco. Ho assistito, mentre ero guardia del Tempio, ad alcune crocifissioni durante le quali ho visto i corpi straziati dei crocifissi coperti di sudore, sangue, pus ed escrementi, nella più atroce sofferenza e indegnità umana. Come è possibile, mi chiedo, che il prescelto del Signore, l'Unto, il Messia d'Israele abbia dovuto subire una morte così orribile? Solo un profondo significato mistico può giustificare un così atroce evento. Gesù, il Messia, è morto da martire per salvare l'umanità intera, cioè giudei e gentili, da una condizione generale di perdizione e di peccato. Dio ha predisposto la salvezza attraverso la morte di un essere divino, il Signore della gloria, Gesù Cristo, che con la sua morte ha consentito che la liberazione sia concessa a tutti, senza distinzione tra circoncisi e incirconcisi. Gesù che muore sulla croce è il simbolo della volontà salvifica di Dio. Quindi la Croce, anziché terribile offesa, è il mistero della nuova vita, è l'evento mistico, frutto di un disegno divino, momento d'inizio della salvezza dell'umanità".
"Che intendi fare ora che hai contro Gerusalemme e i giudei della diaspora legati alla sinagoga?" chiese Giuda.
"Continuerò a diffondere in Asia, in Grecia e lungo il Mediterraneo, ai miei connazionali e ai gentili la fede nel ritorno del Risorto e nella salvezza di tutti gli uomini col sacrificio della Croce. Sapete bene che sono divorato da un fuoco sacro che niente e nessuno potrà spegnere dentro di me se non la morte".
Le parole di Paolo fecero ad entrambi un'enorme impressione. E se dietro quel suo incrollabile fanatismo ci fosse lo zampino del Potere? Davide cominciò a pensarlo con insistenza.


In nomine Domini 11


Il tempo intanto era passato veloce e già si appressava il mezzogiorno. Una fantesca bussò alla porta dello studiolo per avvertire il diacono che la mensa era pronta. Infatti nella stanza attigua, che fungeva da cucina, c'era una tavola apparecchiata, allietata da una pentola fumante di zuppa di farro, alcuni pani di color bigio, un po' di caccio pecorino e una brocca di vino. Attorno alla tavola la fantesca e i tre ungari aspettavano in piedi l'arrivo del loro padrone.
"Se vuoi spartire con noi questo povero pasto ne sarò felice e onorato", fece Ascanio indicando la tavola apparecchiata.
"Assaggerò solo un po' del tuo vino", rispose Alberico "perché devo rientrare a palazzo per non insospettire mia madre. Ma fra qualche ora ritornerò perché sono ancora molte le cose che voglio sapere da te e perché voglio strapparti una promessa".

"Hai parlato diffusamente di papa Giovanni X", riprese Alberico al suo ritorno, dopo una breve visita a palazzo Teofilatto per tranquillizzare sua madre, "ma, fra i vari papuncoli o pontificoli che ultimamente si sono succeduti a brevi intervalli, alcuni dei quali sono morti in modo oscuro e violento o deposti da usurpatori, nessun altro, secondo te, è stato all'altezza del sua alta carica?"
"Soltanto uno", rispose il diacono, "Sergio III".
"Ma secondo la vox populi fu un papa rotto a tutti i vizi e che si è macchiato di gravi delitti", disse Alberico sorpreso per quel nome.
"Proprio così", fece il diacono divertito per il disappunto che si leggeva nel volto del giovane. "La vox populi, una volta tanto, si dimostra veritiera. Infatti non vi è stato delitto, per infame che fosse, di cui papa Sergio non si sia macchiato, e non vi è stato vizio di cui non sia stato schiavo. Un cardinale che lo conosceva bene affermava di lui che fu il più scellerato di tutti gli uomini. Ciò non toglie che fu anche un grande papa".
"Com'è possibile?", sbottò Alberico al colmo del disgusto.
"Dipende da quali parametri si vuol usare per determinare la grandezza di un papa. Se per te un grande papa è il sant'uomo, tutto preghiere, virtù e cilicio che ha come fine supremo la ligia osservanza di tutti i precetti religiosi, rispetto ai quali nient'altro conta, ebbene, questo è il papuncolo dei papuncoli. Per la Chiesa, ai tempi in cui viviamo, non vale niente. Vale ancor meno, anzi è pernicioso per essa, anche il papa che persegue soltanto l'appagamento dei suoi vizi o della sua smodata bramosia di potere. Vedi papa Stefano VI, quello del sinodo cadaverico, esempio classico di follia distruttiva. Per essere un grande papa, in questa nostra travagliata epoca storica, bisogna avere come scopo supremo il buon governo dello Stato e soprattutto il potenziamento della Chiesa Romana, intesa come istituzione più politica che religiosa. Per il raggiungimento di questo scopo tutti i mezzi sono validi, anche il crimine più efferato. Meno quindi un papa oggi sottostà alla religione, meglio amministrerà la cattedra di Pietro. Sergio III addirittura non credeva in niente, affermava che tutte le religioni sono invenzioni umane. Dovendo dissanguarsi per la ricostruzione di San Giovanni in Laterano e di altre basiliche in rovina diceva sconsolato: l'uomo fa enormi sacrifici per edificare grandiosi templi a celebrazione della sua stupidità".
"Atroce!", esclamò Alberico allibito.
"No. Amaramente vero!" lo corresse il diacono.
"Ma allora, anche tu non credi in niente", sbottò Alberico visibilmente scandalizzato.
"Se alludi alla religione ufficiale e a qualsiasi altra religione esistente sulla Terra, hai perfettamente ragione. Le ritengo, come affermava Sergio III, tutte invenzioni umane. E aggiungo anche: invenzioni perniciose. Il cristianesimo, se non fosse stato deformato da Paolo e dai Padri della Chiesa, avrebbe potuto essere la suprema filosofia della fratellanza universale, invece è diventato una pessima istituzione religiosa che con la sua intolleranza e il suo dogmatismo ha fortemente ostacolato l'evoluzione spirituale dell'uomo e si è trasformato nel potere temporale della Chiesa. E noi oggi dobbiamo difendere in tutti i modi, anche col crimine, questa istituzione, perché ormai è diventata l'unica nostra salvezza. Vedi tutti questi codici che si stipano negli scaffali del mio studiolo? In essi ho raccolto il fior fiore della saggezza universale. Penso che in tutta Roma non esista oggi l'equivalente. Ho setacciato tutti i monasteri di cui sono venuto a conoscenza, alla ricerca ansiosa di autori antichi greci e latini che trattassero l'argomento religioso: Evemero, Crizia, Cicerone, Lucrezio e Livio, per citarne alcuni. Ebbene, tutti concordano nell'affermare che le religioni sono pure invenzioni".
"Hai detto autori greci? Conosci anche questa lingua? Oggi a Roma si parla male perfino il latino e penso che nessuno conosca il greco", chiese Alberico incuriosito.
"Hai ragione. Un esiguo numero di monaci eunuchi, rapiti in Oriente e venduti da noi, hanno insegnato al alcuni questa antica lingua. Io sono uno dei pochi fortunati che la conosce per merito dell'eunuco Eudossio che me l'ha trasmessa".


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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)