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martedì 31 luglio 2012

L'ostruzionismo della Chiesa ai diritti umani e civili la rende inconciliabile con le più elementari libertà democratiche.


La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, ha significato il primo tentativo di attribuire diritti e libertà agli esseri umani in quanto tali e non sulla base di «una norma superiore di origine trascendente» e in ossequio ad una autorità religiosa, ritenuta «unica detentrice delle eterne leggi iscritte da Dio nella natura».
I diritti umani sono stati, e sono, quindi il supremo tentativo di costruire un’etica laica, non soggetta ad autorità o verità provenienti dall’esterno, o dall’alto, ma capace di trarre da se stessa i propri presupposti e i propri fondamenti. Per cui accettarli vuole dire accogliere la società e la sua laicità; al contrario, rinnegarli significa riportare la società al medioevo oppressivo. E quanto sta facendo, con dura determinazione Benedetto XVI secondo il quale i diritti umani, che la società trae da se stessa, sono il frutto del relativismo e contrastano coi diritti naturali fondati sulla Verità eterna ed immutabile di cui la Chiesa si proclama erede e il papato custode.
Da quel lontano 1789 la Chiesa non ha smesso di contrastare i diritti umani con bolle ed encicliche sempre più violente. Già fin da subito: nella bolla Quod Aliquantum del 1791, papa Pio VI osservava che “ritenere tutti gli uomini uguali e liberi” costituiva non solo un atto contrario alla ragione, ma anche alla dottrina cattolica», mettendo di fatto in contrapposizione cattolicesimo e diritti umani, «così come erano stati enunciati dall’Assemblea nazionale francese».
Per non parlare di Pio IX che con l’enciclica “Quanta cura” dell’8 dicembre 1864, proclamò, senza mezzi termini, che la democrazia distrugge la giustizia e la ragione. A questa enciclica accluse anche il Syllabo, che condannava, come “errori dell’età nostra”, le più significative conquiste della civiltà, tra le quali, in primis: democrazia, razionalismo, liberalismo, matrimonio civile, libertà di pensiero e di coscienza e, ciliegina sulla torta, la teoria nefanda che la Chiesa non dovesse possedere uno Stato per diritto divino. Fu, il suo, un disperato tentativo di riportare l’umanità indietro di due secoli, a prima dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese.
Dei papi successivi solo Leone XIII con la Rerum novarum, la prima enciclica sociale (1891), riconobbe, obtorto collo, la necessità di riconoscere alcuni diritti «che dovevano essere posti a base di un assetto della società in grado di affrontare e risolvere i mali provocati dalle tumultuose trasformazioni indotte dalla rivoluzione industriale». Ma sempre sotto «il controllo ecclesiastico sulla vita collettiva».
Quando nel secondo dopoguerra fu emanata la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 il Vaticano si guardò bene dal sottoscriverla. Giovanni XXIII indicendo il Concilio Vaticano II, tentò di aprire la Chiesa verso la modernità ma il tentativo abortì quasi subito. Infatti con Paolo VI, Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI il Concilio Vaticano II è stato a poco a poco affossato e il ritorno al passato medioevale attuato con determinazione.
I diritti naturali come aborto, eutanasia, autodeterminazione e matrimoni gay, tanto per citare i più importanti, che Benedetto XVI, individua frutto del «relativismo» considerato il principale nemico, della religione, sono stati definiti contrari a dio e alla natura e contrastati in tutti i modi possibili con l'appoggio incondizionato di gran parte della classe politica conservatrice e illiberale. Sui diritti civili l'Italia, col Vaticano in casa, è il fanalino di coda dell'intera Europa.


Papa Leone XIII


Demonizzazione del corpo e repressione delle sane gioie della vita (“L'invenzione del cristianesimo”) 178


Il disprezzo del corpo, «consideralo un immondezzaio, qualcosa che ti fa schifo al solo pensarci» secondo Giovanni d’Avila, dottore e santo della Chiesa, era tale che innumerevoli monaci lo trascuravano completamente, lasciandolo denutrito, sporco e irsuto. San Francesco addirittura considerava come fratelli i pidocchi, compiacendosi di averne in grande abbondanza per il corpo.

Dalle cronache del tempo sappiamo che, nel Medioevo. tutti si lavavano poco, ma che gli asceti erano inavvicinabili per il fetore che emanavano. Non solo loro, ma anche i grandi ecclesiastici, non si lavavano mai per non dover toccare le loro parti intime, da loro dette le “pudenda”, durante il bagno, e cadere in tentazione. Santa Caterina da Siena insegnava, infatti, che i lavamenti del corpo non erano propri della sposa di Cristo (il quale, durante gli amplessi mistici, doveva forse turarsi il naso).

Naturalmente usavano anche poco forbici e rasoi per cui avevano l'aspetto dei nostri barboni. Tanto erano puliti e curati i pagani antichi, tanto erano sporchi e irsuti i cristiani di tendenza ascetica.In un contesto simile la donna era vista come una tentazione, il mondo come una valle di lacrime e la vita come una perenne mortificazione.

Gli storici ci raccontano che, nei primi secoli del cristianesimo, molti monaci ed eremiti che vivevano in Siria e in Mesopotamia, erano nudi o vestiti di stacci e che si nutrivano esclusivamente brucando l’erba, come ci racconta lo storico Sozomeno (Storia della Chiesa 7,15). In Etiopia, gli eremiti del territorio di Chimezana erano diventati così concorrenti con le capre del luogo che i pastori si videro costretti a ricacciarli nelle loro spelonche, dove morirono di fame.

Sappiamo che nel VI secolo un anacoreta, che viveva presso il Giordano, era da tutti conosciuto come Pietro il Pascolatore e che Apa Sofroniade, un altro anacoreta dello stesso periodo, brucò per settant’anni, nudo, sulle rive del Mar Morto. Più vegetariani di così! Ma ci sono testimonianze di un ascetismo inimmaginabile che ci riempiono di orrore e di ribrezzo. Ecco alcuni esempi.

Santa Margherita Alacoque, vissuta nel XVII secolo, nella sua autobiografia ci narra che, per penitenza, beveva con somma sua delizia soltanto l’acqua usata nel lavaggio dei panni sporchi, mangiava pane ammuffito e non disdegnava le feci degli ammalati di diarrea. Fu fatta santa da papa Pio IX, forse come protettrice dei coprofagi. Un’altra santa, Sant’Angela di Foligno (XIII secolo) beveva l’acqua con la quale aveva lavato i lebbrosi. Santa Caterina da Genova (XVI secolo) leccava con la sua lingua la sporcizia dagli abiti dei poveri, inghiottendo sterco e pidocchi. Più che di asceti, qui siamo di fronte a degli psicotici demenziali.

Santa Margherita Alacoque


lunedì 30 luglio 2012

Il falso Jahvè. 1L'ideologia a fondamento della Bibbia. 140


Abbiamo visto che la Bibbia è un conglomerato di scritture in cui sono confluite antiche tradizioni, saghe, leggende, avvenimenti storici o pseudo storici, nonché l'intero complesso del materiale legislativo e letterario accumulato nel corso dei secoli dal popolo ebraico. Ma qual è il comune denominatore che accomuna queste scritture?

Troviamo in esse una ideologia di base, che permea l'intero sacro testo e che possiamo sintetizzare in alcuni punti fondamentali: Israele discende da un unico capostipite di nome Abramo; Jahvè è stato sempre il suo unico e solo Dio; Jahvè ha stipulato con il suo popolo un Patto di Alleanza e di fedeltà in base al quale lo ha innalzato al rango di popolo eletto fra tutti i popoli della Terra e in premio gli ha concesso il possesso perenne della terra di Canaan, la Terra Promessa.

Infine, Dio ha manifestato un costante interesse nelle vicende del suo popolo per cui quando Israele è stato fedele gli ha concesso prosperità e benessere, quando invece è ricaduto nell'idolatria lo ha colpito con desolazione e morte. Sono questi i leit-motiv che ispirano tutti gli avvenimenti descritti nel sacro testo.

Bibbia


Perversioni e superstizioni del cristianesimo (“L'invenzione del cristianesimo”) 177



Tutte le religioni, essendo frutto di aberrazioni mentali, sono impregnate di perversioni e di superstizioni. Ma è il il cristianesimo che ha saputo elaborare, più di ogni altra religione, queste forme obbrobriose che rasentano in molti casi la demenzialità, come vedremo nelle prossime puntate Eppure, milioni di cristiani, specialmente cattolici, accettano queste mostruosità senza avvertire né il ridicolo, né l'assurdo, tanto profondo è il plagio cui sono stati sottoposti, fin dalla prima infanzia.

Cominceremo dall'ascetismo, vera e propria follia autodistruttrice che nel passato, specie nel Medioevo, ha tormentato milioni di cristiani; poi tratteremo degli pseudomiracoli, falsamente attribuiti alla onnipotenza divina, e, infine, del culto delle reliquie che segna il culmine del feticismo, della superstizione e della necrofilia.

La parola ascetismo (dal greco áskesis: esercizio, allenamento), era in origine riferita all’ambito atletico, inteso come irrobustimento del corpo. Ma con Platone questo termine mutò completamente significato, e con un totale capovolgimento semantico prese ad indicare il ferreo dominio delle passioni, la mortificazione del corpo, la rinuncia ad ogni forma di mondanità e di gioia di vivere. Nella Chiesa primiva, e per tutto il Medioevo, la fuga dal mondo, l’astinenza, la rinuncia ai sensi e alla corporeità, la mortificazione più ossessiva, una vita ininterrotta di penitenza e di pensieri fissati sul mea culpa, erano l’imperativo categorico non solo di molti ecclesiastici ma anche del popolino più minuto.

San Basilio, dottore della Chiesa, proibiva ai cristiani qualsiasi divertimento, anzi persino il riso e le gioie più innocenti della vita. San Gregorio di Nissa paragonava l’intera esistenza umana ad un “letamaio” e considerava peccaminoso anche odorare il profumo di un fiore o contemplare la bellezza di un tramonto.

Per tutto il Medioevo cristiano l’ideale più elevato, inteso come precetto divino, era un’esistenza ostile al corpo e agli istinti naturali, anche più comuni e sani, come il nutrirsi e le pratiche di erotismo. Anzi, tutto quanto apparteneva al sesso, era considerato peccaminoso in sommo grado. 

Mentre era considerato santo ciò che patologicamente rinnegava ogni forma di piacere: l’astinenza, i lunghi digiuni, i torrenti di lacrime, la sporcizia, la veglia forzata, e tutti gli eccessi masochistici della fustigazione. In altre parole: la rinuncia totale ad ogni gioia di vivere e la demonizzazione del corpo. Per molti storici l’Europa medievale assomigliava quasi a un enorme manicomio.

San Basilio


domenica 29 luglio 2012

Peccato e redenzione. Le nequizie morali. 94


Non occorre spendere parole per spiegare come l'Aids sia oggi una delle malattie più devastanti del pianeta. Fortunatamente sono state trovate, di recente, efficaci cure che consentono di contenere l'evolversi della malattia. Ma per impedirne la diffusione serve soprattutto la prevenzione che può essere aiutata enormemente dall'uso dei profilattici. Secondo il cardinal Alfonso Lopez Trujillo, presidente vaticano del Pontificio consiglio per la famiglia, però, e per molte altre figure ecclesiastiche di rango elevato (vescovi dell'America latina e dell'Africa) i profilattici trasmettono l’Aids perché, secondo loro, vengono fabbricati con molti fori microscopici, attraverso i quali può passare il virus.

Una criminale menzogna, avvallata anche da papa Benedetto XVI nella sua prima visita in Africa il 17 marzo 2009, scatenando le ire dei governi di Francia, Germania, Spagna e dell'Unione Europea, nonché della prestigiosa rivista scientifica londinese The Lancet che lo ha accusato, senza mezzi termini, di aver "pubblicamente distorto le prove scientifiche” per mascherare la criminale decisione della Chiesa di vietare l'uso dei profilattici, considerandoli peccaminosi strumenti anticoncezionali. Solo il governo italiano, totalmente appecorato al Vaticano, ha difeso le devastanti affermazioni papali, assieme all'opposizione, chiusasi ipocritamente in un assordante silenzio.

L'immoralità delle religioni riguarda ancora molti altri aspetti, come i crimini e le atrocità che hanno commesso e commettono tuttora nel mondo. Ma di questo parleremo diffusamente in un capitolo a parte, che ci riserverà non poche sorprese. 

L'enigma svelato 128


Giuda, ormai avanti negli anni, aveva affidato a Dianteo la conduzione dei suoi affari e, benché fosse diventato uno dei più importanti uomini della città, si recava sempre più raramente nel Foro. Preferiva starsene tranquillo nel suo giardino assieme a Davide. All'ombra di un sicomoro trascorrevano molte ore del giorno riandando con la memoria ai grandi avvenimenti dei quali erano stati in parte protagonisti.
L'argomento più importante sul quale discutevano tutti giorni, riguardava le conseguenze della pseudoresurrezione di Gesù. Erano sgomenti di fronte all'immensa cosa che ne era scaturita. Il cristianesimo, che si stava diffondendo a macchia d'olio in tutto il mondo greco-romano, era in gran parte opera loro e di Maddalena. Ma dovevano riconoscere anche che, senza Paolo, le conseguenze della loro azione sarebbero state vane.
Il Potere aveva saputo muovere le pedine al momento giusto: prima Gesù, poi la sua pseudoresurrezione e, infine, Paolo. Convenivano che Paolo era sì un esaltato e un visionario che aveva inserito senza scrupoli, nella nuova religione da lui creata, riti e figure del paganesimo e aveva messo in moto la progressiva deificazione di Gesù; ma gli riconoscevano anche, e senza riserve, enormi meriti sulla fondazione del cristianesimo; soprattutto di aver compreso e diffuso la percezione del divino che è in noi, la necessità di un'etica forte che diventasse baluardo al lassismo edonistico del mondo pagano e, infine, l'universalità e la fratellanza tra gli uomini. Un altro punto a suo favore era che aveva svincolato il cristianesimo dalla matrice ebraica che altrimenti lo avrebbe soffocato tra le spire della Torà. Ora che Gerusalemme era stata cancellata dalla faccia della Terra e con essa i giudeo-cristiani, la chiesa paolina non avrebbe avuto più ostacoli alla sua diffusione e, ben presto, avrebbe travolto il paganesimo, diventando la religione di gran parte dell'umanità.

Col trionfo del cristianesimo di Paolo, Davide giunse alla conclusione che anche la sua missione era terminata e che quindi la sua permanenza a Damasco non aveva più scopo. Sarebbe ternato nell'oasi dei saggi caldei per fare la ricapitolazione della sua vita e prepararsi alla morte che ormai sentiva vicina. Avvertiva ogni giorno telepaticamente il loro richiamo, ma temeva la reazione di Giuda. Ormai si sentivano come fratelli e Giuda non faceva un passo senza consultarsi con lui. Il distacco, quindi, sarebbe stato molto doloroso. Con tatto affrontò la cosa quando gli sembrò che Giuda fosse più disponibile ad accoglierla. Ma Giuda all'udirla rimase sconvolto e non riuscì a trattenere a lungo le lacrime. Per molti giorni non seppe darsi pace e Berice temette per la sua salute. Ma Davide, a poco a poco riuscì a fargli superare l'angoscia del distacco. Quando alla fine Giuda si rassegnò alla perdita del suo più caro amico, concordò con lui le modalità della partenza. Convocarono il nabateo Ismin che avevano conosciuto a Petra e presero tutti gli accordi per il lungo viaggio. Egli li rassicurò che il percorso non era pericoloso e ciò tranquillizzò molto Giuda. La partenza però fu straziante e ancora Berice temette per la salute di Giuda. Ismin promise di farsi rivedere al ritorno, e mantenne la promessa. Dopo circa un mese ritornò da Giuda a comunicargli che Davide era felicemente arrivato a destinazione, accolto dai saggi caldei con grande affetto.  

In nomine Domini 25


Durante il ritorno Giovanni XII non riusciva a nascondere il suo sollievo per come si stavano mettendo le cose ed era diventato euforico e ciarliero, com'era spesso nel suo costume.
"Perché non torni a vivere in Laterano nelle tue vecchie stanze di una volta, in modo che ti abbia a portata di mano quando mi servi?", chiese inaspettatamente ad Ascanio, il quale non si aspettava una proposte del genere. "Sai bene che ho licenziato il nobilastro Macuto, avendo capito che è stato un perfido consigliere". Sentendo in cuor suo di aver la conciliazione con l'imperatore a portata di mano, stava maturato il proposito di riavere il diacono costantemente al suo fianco, come ai tempi migliori.
E di fronte al silenzio di Ascanio: "Perché ti ostini a voler rimanere in quel tuo orto solitario?", riprese con una punta di stizza. "Mi piacerebbe tanto una volta venirlo a vedere per capire che cos'ha di così importante per te. Ho sentito che hai al tuo servizio solo un vecchio ungaro e una fantesca decrepita. Come puoi vivere in quel modo, senza domestici e senza protezione. Sai bene che Roma è piena di briganti che non esitano un attimo ad ammazzarti anche per una manciata di spiccioli. Il loro capo è un certo Saracino che non ha paura neanche del diavolo. Anzi, pare che sia proprio il diavolo ad aver paura di lui, tanto è feroce. Non sei terrorizzato a vivere così solo nel tuo orto, difeso da un barbaro ungaro. A me solo al pensiero di vivere con un ungaro mi vengono i brividi".
"Vostra Santità non deve preoccuparsi per la mia incolumità", rispose amabilmente Ascanio, sorpreso per quelle attenzioni del papa. "I briganti vanno dove sanno di trovare dei tesori. Da me troverebbero solo vecchie pergamene e codici consunti di cui non saprebbero cosa farsene. E poi in passato ho aiutato qualcuno di loro che era nei guai e di questo i briganti non si dimenticano, nonostante la loro ferocia. Per quanto riguarda l'ungaro, poi, mi è devoto come un cagnolino".
"Ma alle volte anche i cani di casa azzannano", rispose il papa, deluso che le sue richieste non trovassero accoglienza.
"Potresti chiamare con te anche il vecchio cardinale Giacomo", continuò il papa. "Siete ormai le uniche persone di cui mi fido e che possono tirarmi fuori dai molti guai in cui mi sono cacciato seguendo i consigli dello scellerato Macuto".
"Dubito molto che il cardinale Giacomo, con la sua avanzata età e la sua malferma salute, accetti incarichi di governo. E se li accettasse non sarebbe disposto a ritornare a vivere a palazzo, come del resto non lo sono io. Siamo vecchi, troppo vecchi e a palazzo c'è una gran confusione che ci frastorna".
"Ma siete ancora molto lucidi e, soprattutto, avete un'esperienza di governo che a me, purtroppo, manca del tutto. L'ho capito a mie spese, e se riuscirò ad uscire da questa esperienza infame, che mi sta riempiendo di angoscia, voglio solo affidarmi alle vostre mani, come fece mio padre Alberico, che così saggiamente ha governato sotto la vostra guida".
Era la prima volta che Ascanio sentiva parole così assennate dal giovane papa. Evidentemente le ultime atroci esperienze che l'indegno figlio di Alberico aveva sofferto, lo avevano costretto a maturare e a rinsavire.
Il giovane papa rientrato nelle sue stanze, fece chiamare subito il domestico più fidato. Si chiamava costui Cassio ed era un giovane sulla quarantina molto intelligente ed astuto. Conosceva così bene il suo padrone, che gli bastava un'occhiata per capirne lo stato d'animo e comportarsi di conseguenza. Cassio aveva notato che negli ultimi tempi, specie dopo il rientro da Tivoli dove s'era rifugiato per sfuggire all'imperatore, il papa aveva subìto dei notevoli cambiamenti, sia nella condotta privata sia in quella politica e religiosa. Aveva molto attenuato la sua frenesia per la caccia, aveva interrotto molte amicizie coi giovani patrizi romani, specie i più scapestrati, e si interessava di più agli affari di Stato e della Chiesa. Era evidente per Cassio che le pesanti accuse che il vescovo Liutprando gli aveva rivolto nella lettera inviata a nome dell'imperatore, avevano profondamente umiliato sua Santità, lo avevano reso consapevole del suo degrado, dello scandalo che aveva prodotto nell'intera cristianità e gli avevano fatto nascere il desiderio di porre un po' di ordine nella sua vita privata. L'episodio poi dell'uccisione della giovane Priscilla, verificatasi nel tentativo di farla rapire per sottoporla alle sue voglie, se pure era imputabile alla ferocia di un suo sgherro, lo aveva molto abbattuto. Insomma il papa stava positivamente cambiando, e questo anche per merito di Cassio che si era sempre prodigato per attenuare gli eccessi del suo padrone e spesso, in varie circostanze, lo aveva costretto quasi con imperio e con grosso rischio personale, a fermarsi prima dell'irreparabile. Più volte infatti, quando il giovane papa in preda all'ebbrezza stava per abbandonarsi agli eccessi più sfrenati, con dolce violenza lo aveva costretto a rientrare nelle sue stanze. Talvolta, senza farlo pesare, sapeva dare al giovane papa dei preziosi consigli, come quello di richiamare al suo servizio il diacono Ascanio.
Non sempre però Cassio riusciva a frenare le smanie papali, specie quando queste erano rivolte al sesso femminile, vero punto debole di Giovanni XII. Se il giovane papa infatti s'invaghiva di una donna, che magari aveva appena intravista durante una funzione religiosa, non si dava pace finché non l'aveva, con le buone e con le cattive, sottoposta alle sue voglie. Quasi sempre la faccenda s'aggiustava con l'offerta di ricchi doni o di importanti incarichi ai mariti o ai parenti, ma talvolta poteva anche finire in tragedia, come nel caso di Priscilla.
In quei giorni il giovane papa, pur assillato dalla paura di essere sull'orlo della catastrofe e preso da molti impellenti impegni, stava spasimando per una giovine che aveva notato due settimane prima nella Basilica di San Pietro, durante una funzione religiosa. Seduta in prima fila, costei seguiva la cerimonia con grande devozione, solo che ad un tratto, mentre era intenta alle sue preghiere, il velo che la nascondeva agli occhi di tutti, le cadde inavvertitamente per terra e il suo viso bellissimo apparve in tutto il suo splendore, lasciando il giovane papa senza fiato. La giovane, confusa per quello che le era accaduto, aveva raccolto il velo e si era subito dileguata dalla chiesa. Quella folgorante apparizione aveva scatenato nel papa una vera ossessione amorosa che non gli dava tregua nemmeno quando era circondato dalle sue favorite.
Il povero Cassio dovette sguinzagliare per la città i più astuti segugi alla ricerca del nome e dell'abitazione della giovine donna, senza però trovare il minimo indizio che conducesse a rintracciarla.


sabato 28 luglio 2012

Il falso Jahvè. Quando, come e perché fu composta la Bibbia. 139


A Gerusalemme, durante i cruciali decenni che conclusero il settimo secolo a.C., sotto la guida del re Giosia, sedicesimo discendente di re David, un nutrito esercito di sacerdoti, scribi e profeti, volendo aprire la strada ad una radicale riforma religiosa che cancellasse ogni traccia di culto straniero nel paese e riaffermasse l'unicità di Jahvè come unico Dio d'Israele, e volendo nel contempo preparare il terreno per la restaurazione del grande Stato panisraelita, il mitico regno unito di David e Salomone, che nell'immaginario collettivo era ritenuto l'età dell'oro, si diedero a raccogliere per iscritto le leggende, i racconti eroici e i miti locali che erano stati tramandati nel corso dei secolo nelle varie tribù, a rielaborarli, alla luce della nuova teologia rigidamente monoteistica che si andava affermando, e in taluni casi ad inventarli ex novo.

Le più recenti e indiscusse scoperte archeologiche, infatti, attuate in tutto il territorio dell'antico Israele, in Siria e sul Sinai, hanno dimostrato in modo ineccepibile che molti eventi della storia biblica non si sono verificati nei tempi e nei modi descritti nel sacro testo, come le peregrinazioni dei patriarchi, l'Esodo dall'Egitto, la conquista della terra di Canaan e il glorioso regno unito di David e Salomone, e che alcuni degli episodi più famosi sono stati inventati di sana pianta. La maggior parte degli studiosi biblici, però, è concorde nel ritenere che i testi fondamentali del giudaismo: il Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio) e la cosiddetta Storia Deuteronomistica (Giosuè, Giuduci, Samuele 1-2 e Re 1-2) si formarono nella Gerusalemme del settimo secolo a.C.

Un libro, la Bibbia, né rivelato né storico, quindi, anzi pieno di contraddizioni, di incongruenze, di esagerazioni mitologiche, di efferate crudeltà e di episodi grotteschi, esilaranti e talvolta osceni, come vedremo tra poco. Il popolo d'Israele è il principale protagonista di questa rappresentazione la cui importanza per la storia dell'umanità rimane unica sia dal punto di vista letterario che di quello religioso.


Anche il paradiso non deriva dalla Bibbia ebraica (“L'invenzione del cristianesimo”) 176


Ma, esattamente, come viene immaginato questo utopico e chimerico giardino delle delizie, dal quale nessuno è mai venuto a relazionarci? Assolutamente un antimondo, tutto all’incontrario della nostra valle di lacrime. Un mondo incantato, con tutte le meraviglie più inverosimili e mitico come una favola infantile. Infatti, secondo la Chiesa, nel Giorno del Giudizio risorgeremo dalla polvere col nostro corpo fisico, per cui è evidente che il paradiso non dovrebbe essere solo un mondo spirituale, ma, come lo vedono i musulmani, ricolmo di delizie materiali di ogni specie. Il nostro corpo, infatti, risorto in splendida forma, nonostante l’età che l’ha condotto alla morte, sarà reso eterno e immutabile, per cui non conoscerà malattie, decadenza e vecchiaia. Non avrà bisogno di nutrirsi né di soddisfare bisogni fisiologici e libici, come nel nostro basso mondo.


Come trascorrerà tutto quel tempo interminabile a sua disposizione? In una perenne, indicibile gioia, determinata dallo splendore della presenza di dio. Ma non solo. Per alcuni Padri e Dottori della Chiesa (Tertulliano e Tommaso d’Aquino), sadicamente inebriati dei tormenti infernali, il culmine dell’eterna beatitudine in paradiso sarà la contemplazione dei dannati nel fuoco inestinguibile. Ve lo immaginate uno che vive beato in paradiso assistere, con suprema gioia, alle pene atroci cui è sottoposto nell’inferno un congiunto stretto, magari un padre, un figlio o un fratello? Questo spettacolo non diventerebbe per lui un atroce tormento, per l’eternità?

La fantasmagorica rappresentazione del paradiso e l'orripilante mostruosità dell'inferno non avendo, come abbiamo dimostrato, un vero fondamento biblico e nemmeno evangelico, possiamo considerarle una totale invenzione della Chiesa, il supremo ricatto inventato per dominare le coscienze dei fedeli e imporre la succube osservanza alla sua dottrina, promettendo la felicità nell'aldilà e imponendo la rassegnazione nell'aldiquà.

Tommaso d'Aquino


venerdì 27 luglio 2012

Un italiano che consideri i diritti civili il nocciolo duro della laicità per chi può votare alle prossime elezioni?


La laicità è la base della democrazia, il suo fondamento e il suo nutrimento. La difesa ad oltranza dei diritti civili, anche dei diritti delle minoranze, è il nocciolo duro della laicità, e qualifica il grado di democrazia di una nazione. In Italia la laicità non esiste perché il nostro Paese è totalmente succube del potere clericale e la Chiesa impone in ogni campo i propri oppressivi interessi alla comunità nazionale. La regola aurea del costituzionalismo americano: nessun comportamento dello Stato deve “ostacolare o favorire una religione” in Italia non vale.
E allora che prospettive hanno i laici, che sono alcuni milioni, di poter scegliere alle prossime elezioni un partito che soddisfi le loro legittime aspettative? Purtroppo, alla stato attuale, nessuna. Tutti i partiti sono massicciamente inquinati dal clericalismo infiltrato ad arte dalla Chiesa per condizionarli dal loro interno. La destra berlusconiana, eufemisticamente chiamata il partito della libertà, ha sistematicamente negato quei principi di uguaglianza e autodeterminazione della persona che sono propri della laicità e si è sempre dimostrata ligia gli ordini d'Oltretevere. .
Lo stesso dicasi della Lega che, dopo aver tradito il dio Po col dio Mammone del Vaticano è diventata un partito più clericale della ex DC. Dell'UDC di Casini basti dire che è totalmente composta di zuavi pontifici, pronti a sacrificarsi sulla breccia di Porta Pia. Ma a sinistra le cose non vanno meglio. Il PD sotto il profilo della laicità è diventato un partito ignobile dominato dalla parte ultracattolica dei margheriti (Bindi, Fioroni, Letta e Franceschini). Questa minoranza è arrivata a sacrificare il concetto di non discriminazione dei cittadini (negare il matrimonio ai gay è questo, senza tanti giri di parole) e di autodeterminazione della persona, per allinearsi agli ordini dei sessuofobi vaticani. Il documento sui diritti imposto al partito dai margheriti è vergognoso perché non dice nulla sulla 194, poco sul fine-vita e parla solo di Dico per gli omosessuali, senza tenere conto dei veri diritti delle coppie gay.
Restano l'Idv e i Radicali. L'Idv parla bene, si mostra più decisa a difendere i diritti civili ma non dà piena affidabilità laica come quando il sindaco di Napoli De Magistris bacia l'ampolla del sangue di san Gennaro con la fascia tricolore addosso o il sindaco di Palermo Orlando presenzia alla festa di santa Rosalia. per consegnare la città alla protezione della santuzza. Questi atteggiamenti pseudorerligiosi espressi in veste istituzionale sono la negazione della laicità.
In quanto ai Radicali, ai quali dobbiamo certamente riconoscere le battaglie storiche per i diritti dell'aborto e del divorzio, nonché quelle attuali per l'autodeterminazione della persona (anche in tema di maternità), l'uguaglianza e la non discriminazione, ebbene anch'essi non sempre hanno dato grande affidabilità politica. E molti non riescono proprio a perdonare loro l'alleanza con il Pdl di Silvio Berlusconi in più di un'occasione. Questo per quanto riguarda i partiti storici.
Sul fronte del "nuovo", troviamo il Movimento cinque stelle, che però non ha mai voluto chiarire la sua disponibilità a difendere la piena laicità dello Stato. E allora? Mala tempora currunt per i veri laici, evidentemente, e non si profila all'orizzonte una forza politica disposta a inimicarsi la Chiesa per difendere la laicità dello Stato e i diritti civili dei cittadini.


Rosy Bindi


Anche il paradiso non deriva dalla Bibbia ebraica (“L'invenzione del cristianesimo”) 175


Il termine paradiso, di origine sanscrita, definiva anticamente il giardino imperiale persiano, simbolico luogo di delizie e di perenne e assoluta perfezione, e fu usato nella Bibbia dei Settanta per indicare il Giardino dell’Eden. Di lì è passato nelle tradizione cristiana per designare il luogo della felicità ultraterrena.

Come abbiamo visto a proposito dell’inferno, anche la certezza di una beata vita eterna nell’aldilà non deriva dalla Bibbia ebraica, ma è un’invenzione cristiana. Nel Nuovo Testamento, però, il paradiso viene accennato solo di sfuggita. Nei Vangeli di esso troviamo appena due allusioni che sanno entrambe di rifacimenti posteriori, cioè di aggiunte tardive. La prima, in Matteo, riferita al Giudizio Universale (Matteo 25, 31-46); ignorata dagli altri evangelisti; la seconda, in Luca, che riporta la risposta di Gesù alla richiesta del “buon ladrone” crocifisso con lui: “Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in paradiso” (Luca 23,43).

Ma questo versetto è ritenuto da molti esegeti un falso perché contraddetto da Marco che scrive: “Anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano” (Marco 15,32), negando con ciò che uno dei due ladroni si fosse pentito. Infine c’è un cenno in Paolo che in Corinzi 2, 12,4 afferma di essere stato rapito in paradiso e di aver udito parole indicibili.
Queste sono le uniche citazioni nel Nuovo Testamento del termine paradiso. Vi sembra logico ritenere che un così fondamentale principio della fede cristiana, sia stato totalmente ignorato dalla Bibbia ebraica e introdotto di sfuggita, per non dire di soppiatto, nel Nuovo Testamento? Cosa vi fa supporre un fatto del genere? Che è tutta una bufala inventata dalla Chiesa.



giovedì 26 luglio 2012

Peccato e redenzione. Le nequizie morali. 93


La scelta di decidere del nostro corpo è un fondamentale diritto democratico proclamato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, firmata da tutti gli Stati occidentali, all'infuori del Vaticano e di alcuni Stati totalitari del mondo. Se il cittadino è libero nelle sue opinioni e nel suo voto, si deduce che egli è anche sovrano su una sfera privata, dove i suoi valori di coscienza sono insindacabili.

Questo diritto è anche sancito dalla nostra Costituzione che all'articolo 32 prescrive che, in presenza di esplicito rifiuto del paziente capace di intendere e di volere, il medico deve desistere da qualsiasi atto diagnostico e curativo che avvenga contro la volontà del paziente.

Dove, però, la Chiesa raggiunge il massimo della ferocia è nell'imporre che si tenga in vita, artificialmente, mediante la nutrizione forzata, chi si trova in uno stato vegetativo permanente, applicandogli sonde di ogni genere e facendo soffrire le più atroci torture ai congiunti che devono assistere, per anni, un corpo degradato e privo di ogni dignità, dichiarato dai medici psichicamente morto. Questa disumana ferocia, degna del mostro Jahvè in nome del quale viene imposta, è ancora ferma al concetto antiscientifico che la vita è data dal battito cardiaco e non, invece, dalla funzione cerebrale.

In base a questo principio si dovrebbe, oggi, mantenere in funzione, per un tempo indeterminato, anche per decenni, un corpo senz'anima, inteso come un ammasso di cellule puramente vegetative. Una mostruosità che solo una religione aberrante può concepire. L'autodeterminazione del proprio corpo è voluta da tre cittadini su quattro in Italia, ma assolutamente impedita dai nostri politici, su dettatura vaticana.

Costituzione Italiana


L'inferno è stato inventato dalla Chiesa (“L'invenzione del cristianesimo”) 174


Solo nel Nuovo Testamento nasce il concetto di questo luogo eterno di pena e viene associato alla "Geenna", una valle presso Gerusalemme che era adibita a discarica pubblica, dove ardeva sempre il fuoco per bruciare i rifiuti della città e i cadaveri degli appestati. Essendo un luogo orrido, maleodorante e sempre in preda alle fiamme, si era trasformata, a poco a poco, nel simbolo dell’inferno.

Le Lettere di Paolo, i più antichi documenti del Nuovo Testamento dai quali derivano i Vangeli canonici, ignorano l’inferno come eterno castigo. Ma nei Vangeli, posteriori alle Lettere di Paolo, troviamo che Gesù parla della Geenna, del “fuoco inestinguibile” riservato a chi sino alla fine della vita rifiutava di credere e di convertirsi. Matteo nel suo Vangelo dice che Gesù “manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridor di denti” (Matteo 13,41-42), e riporta le parole di condanna: ‘Via, lontani da me, maledetti, nel fuoco eterno!” (Matteo 25,41).

Molti esegeti e teologi però sono convinti che questi detti, attribuiti a Gesù, non siano mai stati da lui pronunciati (sono, infatti, in completo contrasto con lo spirito evangelico) ma aggiunti posteriormente nei Vangeli da parte della Chiesa delle origini, la quale, per spingere alla conversione i pagani ostinati, faceva leva sui castighi divini più crudeli e terrificanti. Infatti l'inferno era riservato soprattutto a chi rifiutava la conversione.

La credenza dell'inferno eterno la troviamo appena accennata negli scritti più antichi dell'età patristica, con delle perplessità da parte di alcuni Padri della Chiesa, come Origene, Gregorio di Nissa, Teodoro di Mopsuestia ed altri. Per costoro le pene dell'inferno non erano eterne, ma temporanee (una specie di purgatorio). Infatti essi ritenevano che alla fine dei tempi, all'arrivo cioè della parusia, tutta l’umanità si sarebbe salvata in Cristo e avrebbe avuto luogo la “restaurazione finale” (apokatàstasis) di tutti gli essere umani e del cosmo. Tale salvezza avrebbe coinvolto i condannati all’inferno e perfino i demoni (Origene, De principiis). Ma la loro tesi non fu accettata dalla Chiesa, sempre più preoccupata di reprimere le eresie per mezzo di spietate punizioni temporali e spirituali, specie quella che si macchiava del peccato più grave, il peccato "ad mortem", così chiamato perché nessuna contrizione lo può cancellare, e che consiste nel rifiuto di riconoscere in Gesù l'inviato di dio e nel papa il suo successore.

Così nel 1215 il IV Concilio Lateranense proclamò che i peccatori "riceveranno come il diavolo una pena perpetua". Tesi ribadita successivamente nel Concilio di Firenze (1439), di Trento (1547), del Vaticano I (1870) e dal Vaticano II nel 1965 (cap. VIII, 48 della Lumen Gentium). Quindi l'inferno, per la Chiesa, è la punizione globale e irreversibile di chi muore in peccato mortale.

La massa dei credenti identifica puerilmente l'inferno come un enorme fornace in cui un fuoco eterno arrostisce i dannati, e a vigilarlo ci sono i diavoli con tanto di corna, forconi e code arricciate. Una vera demenzialità!  

Gregorio di Nissa


mercoledì 25 luglio 2012

Il falso Jahvè. Quando, come e perché fu composta la Bibbia. 138


La Bibbia è senz'altro il libro più famoso del mondo occidentale. Ogni suo versetto, ogni sua parola sono stati, e sono tuttora, oggetto di studio e di esegesi. Per secoli è stata considerata da ebrei e cristiani un libro rivelato, scritto cioè sotto dettatura divina e quindi “vero” in ogni suo particolare. Oggi le cose sono cambiate.

Soltanto gli ortodossi ebrei e cristiani e alcune sette protestanti rimangono fermi al concetto di rivelazione. Per tutti gli altri la Bibbia è la fonte primaria di identità e di riferimento spirituale del popolo ebraico, il libro creato per raccontare la sua storia e la nascita delle sue istituzioni ed anche il grande codice base della cultura religiosa occidentale.

Ma qual è la genesi di questo sacro testo che è a fondamento dell'ebraismo e del cristianesimo e ha influenzato anche l'islamismo?Più di duecento anni di studi e di ricerche storiche, e fondamentali scoperte archeologiche avvenute di recente, ci hanno portato finalmente a capire quando, perché e come ha avuto origine la Bibbia.

Ebbene, questa grande saga in parte mitica, in parte epica e in parte vagamente storica, fatta di leggende, memorie, tradizioni popolari, mistificazioni profetiche e propaganda teologica, fu composta durante il Regno di Giuda, in un lasso di tempo di appena due o tre generazioni, alla fine del settimo secolo a.C. e avrebbe subito ulteriori revisioni durante l'esilio di Babilonia e la restaurazione del post-esilio per diventare definitiva in epoca ellenistica. Ma come si è formata?

Bibbia


Il dogma dell'inferno non deriva dalla Bibbia ebraica (“L'invenzione del cristianesimo”) 173



Secondo la morale ricattatoria e mercantile della Chiesa, vero e proprio materialismo etico, che dichiara che se fai il bene vai in paradiso sennò vai all'inferno, l'aldilà è il luogo della suprema felicità o dell'eterno tormento. Cominciamo ad esaminare l'eterno tormento.

Il Catechismo n. 1035 recita: “La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, il fuoco eterno". Questo dogma della punizione eterna, il più terribile e devastante della Chiesa, secondo il “sensus fidelium”, cioè l'istinto di fede dei cristiani, non ha oggi molti credenti e in futuro ne avrà sempre di meno. Il suo rifiuto è in progressivo aumento anche da parte di non pochi ecclesiastici, che pur non rinnegando in modo palese l’inferno, di fatto ne ignorano l’esistenza, non parlandone mai nelle omelie domenicali e nelle catechesi.

Ma come nasce nella Chiesa il dogma dell'inferno? Nell'Antico Testamento l'immortalità dell'anima non era ammessa, tanto che nel Qoèlet, libro biblico considerato Parola di dio, è scritto: «La sorte degli uomini e delle bestie è la stessa, come muoiono queste muoiono quelli. C’è un soffio vitale per tutti: non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità» (Qoèlet 3,19). Con la morte, quindi, secondo il teologo biblico, tutto finisce, sia l'anima sia il corpo, perché tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere.

I Sadducei, cioè l’alto clero del Tempio di Gerusalemme detentore dell'ortodossia ebraica, sostenevano infatti che Mosè non aveva mai parlato né dell'immortalità dell'anima né della "resurrezione dei morti", e non credevano nella perpetuazione dell'individuo dopo la morte, in corpo e spirito. Quindi, per loro non esisteva un aldilà dove le anime sarebbero state punite con l'inferno.

martedì 24 luglio 2012

Perché i vescovi italiani non vogliono la nascita di un nuovo partito cattolico.



Lo scorso 24 giugno, Ernesto Galli Della Loggia, il politologo laico-devoto la cui moglie Lucetta Scaraffia è una firma autorevole dell'Osservatorio Romano, sul Corriere della Sera ha lamentato che “ con la fine della DC, il cattolicesimo italiano sembra aver cessato di essere matrice di una possibile cultura politica”, auspicando quindi la nascita di un nuovo partito cattolico.
Evidentemente l'esimio politologo non ha capito che il crollo della Democrazia Cristiana, anziché costituire la premessa di un nuovo svincolo delle ingerenze cattoliche nell'attività di governo, ha viceversa prodotto la democristianizzazione di tutte le forze politiche con l'inserimento in ogni partito di una quinta colonna vaticana incaricata di bloccare dall'interno ogni apertura verso la conquista dei diritti civili e la laicità dello Stato.
Se fosse tornato in vita un partito cattolico, esplicitamente sostenuto dalle gerarchie ecclesiastiche, avrebbe avuto (vedi L'Udc) uno scarso seguito e avrebbe consentito agli altri partiti di far proprie le istanze laiche più sentite dai cittadini. Cosa perfettamente capita dai vescovi italiani. Quindi un partito esplicitamente cattolico non si doveva fare, molto meglio manovrare i propri burattini all'interno dei vari partiti, senza esporsi direttamente, bloccando di fatto ogni possibile conquista laica.
Ecco perché tutti i partiti italiani sono massicciamente inquinati di clericalismo e il nostro Paese è sempre più arretrato rispetto agli altri Paesi dell'Occidente. Ecco spiegato perché la sinistra italiana, che dovrebbe essere la più strenua propugnatrice della laicità dello Stato e dei diritti civili, è la più squallida d'Europa e del mondo occidentale. Bloccata dagli zuavi pontifici, tipo Bindi, Fioroni, Letta, Franceschini, non vuole il riconoscimento delle unioni di fatto e delle coppie gay, non vuole tassare il clero né meno che mai la finanza vaticana, nega aprioristicamente l'autodeterminazione delle persone e via discorrendo. In altre parole è uno squallido partito che non merita il voto degli italiani liberi e laici.

Ernesto Galli Della Loggia


I dogmi dell'aldilà (“L'invenzione del cristianesimo”) 172


I dogmi che riguardano l'aldilà, cioè il paradiso e l'inferno, sono nati in seguito al fallimento della parusia. Tutto il cristianesimo primitivo, sia giudaico che ellenistico, nei primi tre secoli della nostra era incentrò la sua esistenza sull'imminente ritorno del Signore dalle nuvole, come attestano molti passi delle Lettere di Paolo, Pietro, Giacomo e Giovanni e dell'Apocalisse, nonché la produzione letteraria dei Padri della Chiesa e la vita della primitiva collettività cristiana.

«La fine di ogni cosa è vicina» preannunciava la Prima Lettera di Pietro (1 Epistola di Pietro, 4,7) e la Lettera agli ebrei ammoniva: «Ancora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve venire verrà, e non si farà aspettare» (Epistola agli ebrei 10,37). E Giacomo: «Siate dunque pazienti, cari fratelli, fino alla venuta del Signore... Il giudice è alle porte» (Epistola di Giacomo 5,7: 5,9).
Per tutto l’intero II secolo rimase costante l’idea del prossimo ritorno di Gesù, come provano tutte le fonti cristiano-antiche, interne o esterne al Nuovo Testamento. Perfino nel III secolo il Padre della Chiesa Cipriano sostenne, con estrema decisione, l’imminente ritorno del Signore. Ci furono a questo proposito, in quell’epoca, degli episodi grotteschi. Tanto per citarne uno: in Siria, un vescovo si incamminò verso il deserto seguito da tutti i fedeli, bambini compresi, per andare incontro all’imminente arrivo del Signore, con le conseguenze che si possono facilmente immaginare.

Col passare del tempo fu palese a tutti che Gesù, sulla prossima fine del mondo, s’era ingannato e la delusione dei cristiani fu enorme e molti di loro, dopo essersi stancati di levare gli occhi al cielo, sulle cui nuvole lo attendevano in carne e ossa, abbandonarono la fede in un Signore così poco puntuale (Tertulliano. De Patientia, 2).

Ma la Chiesa, con mirabili contorsioni teologiche, trasferì allora la parusia nell’aldilà e riuscì a salvare capra e cavoli e a giustificare la sua istituzione. Infatti, allorché l’arrivo imminente del Regno di dio si rivelò un abbaglio, essa, dopo che gli Imperatori avevano elevato il cristianesimo a religione di Stato, ritenne rinviata sine die la parusia e dichiarò, tramite i suoi vescovi che allora se la passavano magnificamente bene, che non era più il caso di parlare della fine del mondo, anzi questa aspettativa andava aspramente combattuta come un’ingenuità. Mediante una simile falsificazione il cristianesimo venne salvato e la Chiesa fu consolidata nei secoli.

Tertulliano


lunedì 23 luglio 2012

Il falso Jahvè. Fine del regno di Giuda. 137


Pochi anni dopo ci fu una seconda e più crudele occupazione a causa di un'insurrezione tentata dal re Sedecia, messo sul trono dai babilonesi. E questa volta Gerusalemme fu rasa al suolo col suo Tempio e il resto dell'élite deportata. L'ultimo re di una dinastia che aveva regnato per secoli fu torturato e imprigionato a Babilonia, i suoi figli furono tutti uccisi.

La stirpe di David cancellata per sempre. Ma la religione e l'esistenza come nazione del popolo d'Israele, nonostante la catastrofe e la latitanza di Jahvè, sopravvissero miracolosamente.

Ciò fu dovuto al fatto che ormai il gruppo "per l'unità di Jahvè" si era affermato definitivamente e si era diffuso in tutti gli strati della popolazione di Giuda, ma soprattutto perché, sotto la regia di Giosia, era nata la Bibbia, il manifesto ideologico fondamentale, il punto di riferimento che compendiava tutte le istanze teologiche, storiche e sociali degli israeliti.


Re Sedecia


L'immacolata concezione e l'assunzione di Maria (“L'invenzione del cristianesimo”) 171


La vicenda di Maria, però, non finisce qui. Quando Tertulliano e Agostino rispolverarono il peccato originale che, commesso da Adamo ed Eva, si è trasmesso sessualmente all’intera umanità, per cui noi tutti nasciamo con questa tara e abbiamo bisogno del battesimo per togliercela, Maria sarebbe stata a sua volta infettata dalla colpa primigenia e l’avrebbe trasmessa anche al suo pargolo divino. Come rimediare? Semplice, dichiarando che Maria era stata concepita immacolata.

Ma l’esenzione di Maria dal peccato d’origine trovò una forte opposizione in eminenti teologi del passato, come Bernardo di Chiaravalle, Tommaso d’Aquino, Bonaventura, Alessandro di Hales e dall’intero ordine dei frati dominicani, tanto è vero che alcuni di costoro, per questo motivo, finirono sul rogo a Berna il 31 maggio 1509. Questi oppositori, in pieno accordo con Agostino, ritenevano che la trasmissione del peccato d’origine avvenisse attraverso l’atto sessuale e quindi solo Gesù ne sarebbe stato immune, in quanto concepito teogamicamente e non sessualmente. Maria, no. Ma Pio IX nel 1854, considerandosi già allora infallibile come pontefice, non tenendo in alcun conto Agostino e gli altri teologi e dottori che la pensavano diversamente, sancì il dogma dell’Immacolata Concezione.

Sistemata definitivamente la questione del concepimento immacolato di Maria, rimaneva un altro problema in sospeso. La Madonna: Vergine nel concepimento, Vergine incinta, Vergine nel parto, Vergine madre (quanti ossimori!), Vergine perpetua , madre di dio e concepita immacolata, poteva, morendo, disperdere le sue carni, che avevano generato dio, nella terra come tutti i mortali? Mai più!

Così Pio XII nel 1950, col dogma dell’Assunzione, decretò che la Madonna al momento della morte, in un tripudio di angeli salì incorrotta al cielo (perdendo la cintola durante l'ascensione, tuttora oggetto di culto nel duomo di Prato, in Toscana), smentendo la tradizione trasmessaci dalla Chiesa delle origini secondo la quale Maria, dopo la morte, era stata sepolta nei pressi del Getsemani. E qui, per il momento, la storia di Maria, che da quanto deduciamo dai Vangeli altro non era che la madre di una famiglia molto numerosa che le procurò non poche sofferenze, sembra concludersi.

Assunzione di Maria


domenica 22 luglio 2012

Peccato e redenzione. Le nequizie morali. 92


L'eutanasia non solo attiva (suicidio assistito con l'aiuto di un medico) ma anche passiva (sospensione delle cure) secondo la Chiesa Cattolica è un omicidio, perché la vita è stata donata da dio e solo lui può disporne. A quale entità soprannaturale si riferisce la Chiesa come donatrice di vita?

Al mostro Jahvè che ordina a Israele: «Nelle città di questi popoli che il Signore tuo dio ti dà in eredità non lascerai in vita nessun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio come il signore tuo dio ti ha comandato di fare» (Deuteronomio 20,16-17)? Sarebbe questo il dio che ci vieta di smettere di soffrire inutilmente per salvaguardare il dono irrinunciabile della vita che ci ha dato?

O, invece, questo ente mostruoso, invocato dalla Chiesa, serve a mascherare il fatto che se ciascuno di noi fosse libero di decidere della propria salute, del proprio corpo e della propria vita e della propria sessualità, crollerebbe il potere di ogni religione?

E come giustifica la Chiesa questo suo accanimento “pro vita” di oggi con la posizione da essa assunta nel passato nei confronti della vita di milioni di persone che non condividevano o mettevano semplicemente in dubbio i suoi comandamenti e dogmi, condannandoli perciò al rogo, alle torture e agli omicidi di massa?

E, infine, si può considerare “morte naturale” mantenere artificialmente in vita una persona mediante macchinari inventati dall’uomo solo recentemente? E prima di tale invenzione, cosa intendeva la Chiesa per “morte naturale”?


L'enigma svelato 127


Un giorno Demetrio si presentò nella copisteria di Giuda con un documento nuovo da ricopiare in più copie per essere distribuito a tutte le le chiese cristiane della zona. S'intitolava "Vangelo secondo Marco" e raccontava gli ultimi due anni della vita di Gesù. Davide e Giuda lo lessero con enorme interesse e scoprirono che era un testo molto abborracciato e confuso, pieno di inesattezze e di grossolane alterazioni degli avvenimenti realmente accaduti, ed anche di incredibili omissioni. Probabilmente era stato scritto su ispirazione di Paolo, che poco o niente conosceva della vera vicenda terrena di Gesù, non avendolo mai conosciuto da vivo ma visto e sentito soltanto nelle allucinazioni provocate dal suo morbo sacro. La cosa che più li stupì riguardava la messianicità di Gesù che veniva camuffata in tutti i modi, anche se traspariva qua e là, soprattutto nel riconoscimento delle sua regalità ribadita ben sei volte nel testo. Il trucco più eclatante per negarla consisteva nel dimostrare che Gesù non era stato condannato al suplizio della croce per insurrezione armata ma per blasfemia, per essersi cioè proclamato figlio di Dio. Cosa assurda perché la blasfemia era punita in Israele con la lapidazione decretata dal sinedrio, mentre la crocifissione per i romani non riguardava in nessun caso il reato religioso ma solo quello esclusivamente politico. Sempre nel tentativo di demessianizzare Gesù, i suoi seguaci più facinorosi come Cefa, Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo e gli altri membri della banda dei figli del tuono, erano stati trasformati in apostoli pacifisti. Ma tutto il testo era pervaso di pacifismo, dell'invito alla non violenza, dell'offrire l'altra guancia anche al nemico; tutte cose che erano l'esatto opposto di quanto avevano praticato Gesù e i suoi seguaci.
Per scagionare i romani dall'accusa di aver condannato Gesù, era stato introdotto un processo ebraico, celebrato assurdamente nella casa privata del sommo sacerdote Caifa. Processo non solo mai esistito ma contrario ad ogni procedura seguita dal Sinedrio. L'eucaristia, il pasto teofagico pagano, derivato dai culti misterici di Attis, Adonis, Dioniso, Mitra ed Eracle e adottato da Paolo per sostituire il pasto comunitario degli esseni, era fatto istituire in questo testo da Gesù stesso durante l'ultima cena, cosa assolutamente negata dai veri partecipanti a quella cerimonia che precedeva l'insurrezione. Un'alta cosa che stupì molto Giuda e Davide fu la completa cancellazione di due figure determinanti nella vita di Gesù, quella di Lazzaro e di Maddalena. Perché, si chiesero stupiti, una simile dimenticanza od omissione? Non tardarono a trovare una risposta plausibile. Nel processo di divinizzazione di Gesù, Paolo doveva avvolgerlo in un alone di misticismo incompatibile con il ruolo troppo terreno del matrimonio e quindi cancellare ogni traccia della sua famiglia acquisita. Notarono anche la quasi completa sparizione della parusia e la sostituzione dell'imminente Regno terrestre di Jahvè con quello utopico del Regno dei Cieli, rinviato ad un tempo indefinito.
Giuda, con sua enorme sorpresa, si trovò accusato di aver tradito Gesù col bacio del riconoscimento.
"Chissà poi perché io avrei dovuto dare quel bacio a Gesù per farlo riconoscere quando a Gerusalemme era noto a tutti per i suoi continui scontri coi farisei, per la sua entrata trionfale in città e per la cacciata dei profanatori del Tempio!" fece Giuda sarcastico.
Infine li fece molto sorridere il racconto confuso e caotico della resurrezione di Gesù che, praticamente, si basava sulla esclusiva testimonianza di Maddalena. Ancora una volta si resero conto che i veri ignoti artefici di quella incredibile vicenda, che stava cambiando il mondo, erano stati loro due e Maddalena, naturalmente mossi dal Potere.
Quando Demetrio venne a prendere le copie del Vangelo di Marco raccontò che Paolo, dopo due anni di attesa a Roma, era stato assolto da Nerone ed era subito partito per la Spagna, considera l'Ultima Thule, cioè l'estremo confine della Terra.

Da Gerusalemme Ptolomeo portava notizie sempre più catastrofiche. Ormai le imboscate degli zeloti contro i romani erano all'ordine del giorno e la situazione era diventata insostenibile. Il comandante della legione di Siria aveva chiesto a Roma poderosi rinforzi per fronteggiare quella che diventava di giorno in giorno una ribellione di massa. A Cesarea iniziarono ben presto gli sbarchi delle truppe romane, guidate dal generale Vespasiano, pronte a schiacciare la ribellione. La guerra aveva inizio.
Dal loro tranquillo rifugio di Damasco Giuda e Davide seguirono con viva trepidazione la dura repressione romana di fronte alla resistenza degli insorti. Soprattutto colpì loro la disperata resistenza di Gamala, il suicidio in massa degli zeloti che rifiutarono la resa, e la distruzione del Tempio di Gerusalemme e di gran parte della città. Dopo quattro anni di guerra durissima la Palestina era quasi rasa al suolo e la maggior parte degli abitanti uccisi o dispersi. Una vera ecatombe. Anche la Chiesa cristiana di Gerusalemme era stata sterminata e i pochi sopravvissuti dispersi.
Ptolomeo, rifugiatosi nella Decapoli, si era salvato per miracolo, ma con la distruzione del Tempio e la fine dei sacrifici cessava anche la sua attività di trasportatore di pelli.


In nomine Domini 24


"Cominciamo con l'esaminare uno di questi dettagli", disse Ascanio, incuriosito più che mai, "per esempio la nascita di Gesù".
"Gesù non è nato né a Betlemme come sostengono gli evangelisti Luca e Matteo, né a Nazaret", incominciò Simone. "Anzi, Nazaret non è mai nominata in questo Vangelo e Gesù non viene mai chiamato nazareno ma nazireo, cioè appartenente alla setta di coloro che avevano fatto voto di nazireato.
"Gesù sarebbe nato a Gamala, città del Golan, centro di accesi zeloti, quei ribelli fondati da Giuda il Galileo che si era proclamato Messia e fu crocifisso dai romani con i suoi due mila seguaci poco dopo la nascita di Gesù. La famiglia di Gesù, come la maggior parte delle famiglie ebraiche, era piuttosto numerosa. Oltre a Gesù, il primogenito, c'erano altri quattro fratelli, nominati anche nei nostri Vangeli: Giacomo, Giuda, Giuseppe e Simone, e alcune sorelle delle quali una, di nome Maria come la madre, seguì costantemente il fratello durante la sua attività pubblica".
"Quindi la verginità di Maria è un'altra invenzione!" fece il papa, manifestando enorme sorpresa.
"Un abbaglio dei Padri della Chiesa", rispose prontamente Simone, che s'aspettava la domanda, "soprattutto di Gerolamo e Agostino, i quali presero alla lettera la Bibbia dei Settanta nella quale il termine ebraico "almah", riferito da Isaia alla madre del futuro Messia, che significava in ebraico "ragazza nubile", cioè in età di marito, venne tradotto erroneamente col termine greco "parthenos", cioè "vergine". D'altra parte io che sono nato in Palestina so per certo che nessun ebreo ha mai pensato che il Messia sarebbe nato da una vergine".
"Di bene in meglio!" sbottò il papa con una punta di sarcasmo. "Se andiamo avanti di questo passo non una virgola è vera dei nostri Vangeli".
"Non tiriamo conclusioni affrettate", intervenne con tono deciso Ascanio, che appariva il meno scandalizzato di tutti. "Prima esaminiamo attentamente l'intero contenuto di questi rotoli, poi ne trarremo le conclusioni adeguate e se queste smentiranno la nostra santa religione, come purtroppo potrebbe accadere, prenderemo l'unico provvedimento saggio che ci resta, distruggere i rotoli e dimenticare tutto quello che abbiamo sentito".
"Una cosa obbrobriosa", scattò a dire Simone con gli occhi lampeggianti d'ira repressa. "Non possiamo distruggere la verità come fecero gli antichi Padri della Chiesa, quando si trovarono di fronte allo stesso nostro dilemma. Furono loro infatti a gettare nel rogo tutti i documenti dei cristiano-giudei primitivi che raccontavano la vera storia di Cristo per rimpiazzarli coi Vangeli canonici di ispirazione paolina".
"Mio caro, amatissimo Simone", rispose Ascanio con un amabile e sincero sorriso di simpatia, "purtroppo la verità è talvolta molto più nociva della menzogna. Comunque non è compito nostro, cioè mio o tuo, decidere la sorte di questi rotoli ma di Sua Santità. Spetta a lui l'ultima parola".
"Prendiamo la cosa con calma", intervenne allora il giovane papa, che si era nel frattempo calmato e rasserenato. "Per oggi accontentiamoci di questo preambolo che certamente ci farà riflettere a lungo. Nei prossimi giorni riprenderemo l'esame dei rotoli e vedremo in dettaglio i loro contenuti. Sono molto ansioso di conoscerli anche perché mi consentiranno di imparare sulla nostra santa religione molte cose che ancora non so. E poi questo luogo mi piace molto e voi due siete due saggi meravigliosi che mi ispirano una grande ammirazione e simpatia". E prima di accomiatarsi volle abbracciarli entrambi con visibile affetto.
Al rientro in Laterano la lettera da spedire ad Ottone era stata ricopiata con estrema cura su una pergamena arricchita di eleganti ornamenti. Il diacono Ascanio la rilesse più volte con attenzione, prima di sottoporla alla firma del papa.
Giovanni XII, dopo aver apposto la sua firma, sollevato e fiducioso decise che l'avrebbe subito consegnata personalmente al vescovo Otcherio per un immediato inoltro all'imperatore. Accompagnato da Ascanio si recò a palazzo Teofilatto, ove il vescovo di Spira era rinchiuso in una specie di prigione dorata. Abbracciò con calore il vecchio prelato, e, come aveva consigliato Ascanio, gli porse la lettera aperta perché ne leggesse il contenuto e potesse così perorare con più efficacia la sua causa presso l'imperatore. Otcherio fu molto lusingato per il gesto di fiducia del papa e lesse a voce alta la lettera, facendo capire al diacono con lo sguardo, che ne riconosceva la paternità. Quindi espresse a Giovanni XII il suo impegno a convincere l'imperatore a raggiungere una completa riconciliazione. Promise che sarebbe partito alle prime luci dell'alba e che avrebbe raggiunto Ottone in un paio di giorni.
Il giovane papa, più sollevato che mai, appose il suo sigillo alla lettera e si accomiatò dall'alto prelato con grande rispetto.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)