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lunedì 31 dicembre 2012


A tutti “auguri di buon anno”.

Con l'anno nuovo “Impegno laico” subirà un ridimensionamento avendo l'autore esaurito la scorta dei testi redatti in precedenza. La frequenza diverrà bisettimanale e i post svolgeranno brevi approfondimenti del cristianesimo dalle sue origini ai tempi recenti, ricavati in gran parte dalla Storia critica della Chiesa di Karlheinz Deschner. Saltuariamente verranno trattati anche argomenti di attualità. Tutto il materiale pubblicato nel biennio 2010-2012 rimane comunque a disposizione di chi vuole consultarlo. 

In nomine Domini 46


"Questo è un piccolo paradiso terrestre", esclamò Simone appena sceso dalla carrozza, mirando sbalordito il rigoglio di colori che l'orto di Ascanio mostrava ai suoi occhi. E nonostante la gran fatica che gli costava il camminare, volle percorrere per un po' il lungo viale alberato che si apriva davanti alla modesta casa del diacono.
"In pochi giorni, vivendo all'aperto ed esercitandoti nella deambulazione", fece Ascanio, "riacquisterai un po' della tua vecchia elasticità e il giardino sarà tutto tuo. Potrai anche, se lo vorrai, cogliere qualche ortaggio e qualche frutto. Per il momento è meglio che non ti affatichi troppo. Sediamoci quindi un po' al sole a riscaldare le nostre vecchie ossa".
La fantesca, ormai anch'essa avanti negli anni, aiutata da Beda portò nel punto più accogliente del giardino una vecchia panca che giaceva inutilizzata nella stalla.
"Per ora accontentiamoci di questa sistemazione provvisoria", fece Ascanio, invitando Simone e Adeodato a sedersi. "Fra poco Beda sistemerà le cose in modo che ognuno di noi abbia, qui nel giardino, un suo piccolo tavolo con sedia, per potersi dedicare ai suoi ozi preferiti".
Anche le due camerette per la notte furono subito apprestate alla meglio. Ma quello che sorprese e meravigliò sia Simone sia Adeodato fu la scoperta dello studiolo del diacono, interamente rivestito alle pareti da scaffali zeppi di codici. Rimasero per un bel po' muti e assorti per la meraviglia davanti all'incredibile spettacolo che si presentava ai loro occhi. Non avevano mai visto una raccolta così ricca di testi latini e greci, comprendenti tutte le epoche del passato, e avevano la sensazione di essere entrati in un piccolo tempio del sapere.
"Quale immane fatica ti è costata copiare tutte queste opere!", esclamò Simone, mostrando la sua stupefatta meraviglia.
"La fatica più grande è stata quella di trovarle", rispose Ascanio con una punto d'orgoglio. "Durante il mio servizio sotto papa Giovanni X ho viaggiato in lungo e in largo per l'intera Italia e dovunque mi recavo, con l'appoggio del Pontefice, entravo nei monasteri e nei palazzi antichi ad esaminare i rotoli in loro possesso. Poi di notte, al debole chiarore di un lumino ad olio, li trascrivevo pazientemente. Per fortuna che il papa aveva con sé più di un amanuense ed io ne approfittavo per farli copiare anche per me. Tutto il denaro che guadagnavo col mio lavoro, lo spendevo quasi interamente per comperarmi l'occorrente per scrivere".
"Sbalorditivo!" ripeteva Simone estasiato. E di tanto in tanto afferrava un codice per dargli una rapida occhiata. "Non pensavo di trovare in questa casa così tanti amici del passato".

Mentre Simone e Adeodato ammiravano i codici della biblioteca di Ascanio, Beda attendeva ai suoi consueti lavori nell'orto. Spesso venivano in suo aiuto alcuni contadini del luogo ma quel giorno era solo. Fu in un punto ombroso e solitario del giardino, contrassegnato da un antico ceppo marmoreo sul quale talvolta il diacono Ascanio si sedeva per riposare durante le sue frequenti passeggiate, che qualcosa attirò la sua attenzione. Si avvicinò perplesso a controllare la palizzata. La trovò intatta e si tranquillizzò. Ma un piccolo fruscio su un grosso albero vicino gli fece sollevare lo sguardo. Rimase paralizzato e col cuore in gola vedendo Saracino, appollaiato su un ramo, che lo stava fissando col suo macabro ghigno.
"Sei venuto ad uccidermi?" chiese con fil di voce il povero Beda.
"Ma dai, ormai siamo amici!", rispose Saracino col suo fare beffardo. "Sarai l'unico ungaro che risparmierò, contravvenendo al mio giuramento".
"Che sei venuto a fare, allora?" chiese Beda un po' sollevato.
"A dare un'occhiata al diacono Ascanio. Un tempo era forte e gagliardo, ora invece lo trovo vecchio e fragile. Vorrei proteggerlo. Sai, i tempi sono tristi. Verrò ogni tanto a dargli un'occhiata, ma tu non spaventarti a quel modo. E se c'è un pericolo in vista, corri subito a cercarmi". E con un balzo saltò sulla palizzata e sparì. Beda decise che non avrebbe detto niente al diacono di quello strano incontro.

Il venerando Simone s'abituò ben presto alla sua nuova vita. Da principio era rimasto stordito da tutto il verde che lo circondava, che quasi gli dava una sensazione di soffocamento. Non aveva mai visto una natura così esuberante e travolgente. Nel paese d'oriente ove era nato, contrassegnato dal deserto, il verde era una specie di sogno proibito. Ora invece aveva assunto l'aspetto di un sogno eccessivo. Tutto quello che lo circondava era oggetto per lui di scoperte continue: il colore e il profumo dei fiori, la fragranza dei frutti e il cicaleccio quasi assordante, in certi momenti della giornata, degli uccelli. Si era presto rinvigorito e trascorreva lunghe ore a camminare da solo o con Adeodato lungo i viali del giardino. Aveva la strana sensazione che la sua vita avesse avuto inizio solo dopo il suo arrivo nella casa di Ascanio. Il periodo precedente lo vedeva vago e annebbiato. Gli occhi, ormai logori, non gli consentivano di dedicarsi molto alla lettura, ma Adeodato gli veniva in aiuto declamando con raffinata espressività i brani più significativi dei suoi autori preferiti.
Il momento più bello della giornata era verso il tramonto, quando tutti e tre, in attesa della parca cena, facevano assieme sorreggendosi l'un l'altro, l'ultima passeggiata, e camminando commentavano gli avvenimenti del giorno. Beda, che usciva spesso per fare delle commissioni, li teneva al corrente dei fatti più significativi. Erano venuti così a sapere che l'imperatore era entrato in città, accolto festosamente dal popolo e dagli ecclesiastici e che l'elezione del nuovo papa era imminente. Ma seguivano quegli avvenimenti con distacco, quasi non li riguardassero più.

Fu con enorme stupore, ma anche con una grande inquietudine, che Ascanio, il giorno dopo l'ingresso dell'imperatore in città, sentì una carrozza avvicinarsi all'entrata del suo orto. Aveva dato disposizioni, quando aveva lasciato il Laterano, che per nessun motivo al mondo lo venissero più a cercare. Perciò quell'imprevista visita lo rese subito ansioso. Dalla carrozza vide scendere Teofrasto, maestro di palazzo Laterano, che dopo un inchino profondo lo invitò ad entrare nella carrozza per un breve colloquio. Lo attendeva Otcherio, vescovo di Spira.
"Mio caro diacono", disse il vescovo dopo un affettuoso abbraccio, "vengo a nome dell'imperatore. Ti propone di indossare la tiara. Conosce tutto il tuo passato e sa che nessuno oggi a Roma è più preparato di te per questo altissimo compito".
"Prego vostra Beatitudine di ringraziare l'imperatore per la grande stima che mi dimostra", rispose amabilmente Ascanio, "ma di riferirgli anche che non posso accettare la sua proposta. Ormai sono vecchio e stanco e l'unico desiderio che ho è di trascorrere, nella più completa solitudine, il poco che ancora mi rimane da vivere per prepararmi degnamente al gran giorno".
"Conoscendoti, avevo già anticipato all'imperatore la tua risposta", disse con un sorriso Otcherio. "Forse non mi crederai, ma ho per te una profonda ammirazione e altrettanta invidia".
E dopo un secondo e più affettuoso abbraccio lo accomiatò.

"Che volevano da te?" chiese incuriosito Simone, quando lo vide ritornare.
"Che uscissi ancora dal mio orto", rispose Ascanio con un ampio sorriso sulle labbra. "Ma io ho risposto che ne uscirò soltanto dentro la mia bara".
FINE




Il falso Jahvè. Il monoteismo biblico e quello cristiano. 201


Fu il monoteismo cristiano dunque a rompere l'armonia religiosa del mondo e a creare le guerre di religione, seguito, sei secoli dopo la sua nascita, dall'islamismo che seguì il suo esempio con le sue guerre sante.

Prima che ciò avvenisse, il politeismo aveva saputo creare, sotto il profilo religioso, un'atmosfera di armonia e di pace nel mondo pagano, in base alla quale tutti gli dèi godevano di pari dignità e venerazione (a similitudine dei Santi della Chiesa Cattolica) ed erano, per così dire, intercambiabili. Mai nell'antichità, infatti, si erano verificate persecuzioni contro chi non professava la stessa fede del gruppo di appartenenza, o guerre di religione tra popoli che adoravano divinità diverse; anzi, si formavano spesso, tra i centri cultuali dedicati ai vari dèi, fraterni gemellaggi che implicavano scambi reciproci di pellegrini e stretti rapporti commerciali.

Con la fine del politeismo l'armonia religiosa è cessata per sempre e da allora il mondo è stato sconvolto da un'incessante conflittualità che ha seminato odio e intolleranza tra i popoli. Il monoteismo dei grandi misteri egizi, la più alta e sublime concezione spirituale raggiunta dall'uomo, postulava un Dio unico, dotato di bontà infinita, libero da tutte quelle passioni terrene e plateali, come aggressività, gelosia, vendicatività che di solito gli uomini attribuiscono al Dio inventato a loro immagine e somiglianza; un Dio anche sommamente pacifico perché aborriva la guerra, rifiutava i sacrifici cruenti, amava la serenità dell'esistenza umana, i sentimenti del cuore e il rispetto della natura.

Questo sublime monoteismo, destinato in origine a pochi illuminati per la sua incommensurabile elevatezza, una volta trasmesso alla massa del popolo ebraico, ha generato Jahvè, un demone vulcanico sinaitico, primordiale e sanguinario, inteso solo come nume tutelare del popolo d'Israele e saltuariamente come un Dio-Signore che propone agli uomini una esistenza vissuta secondo verità e giustizia, a similitudine di quello egizio dei grandi misteri da cui derivava. 

Il Dio d'Israele, ereditato dal cristianesimo e dall'islamismo e trasmesso alle popolazioni pagane, ha dato origine a sua volta a due religioni universali, aperte cioè a tutto il genere umano, ma da sempre contrapposte e nemiche perché, ritenendosi reciprocamente rivelate, si sono ritenute depositarie uniche e assolute della verità. Ciò le ha spinte ad un proselitismo, spesso fanatico e intollerante, che ha seminato il mondo di lutti di ogni genere nel passato con le crociate cristiane e le jihad (guerre sante) islamiche e che tuttora si presenta come l'ostacolo maggiore alla pacifica convivenza tra i popoli.
FINE

Le fonti ebraiche. (“L'invenzione del cristianesimo”) 297


Le fonti ebraiche sono nulle come quelle latine e in base ad esse Gesù risulta praticamente uno sconosciuto. L'autore fondamentale è Giuseppe Flavio, che in Antichità Giudaiche (o Storia dei Giudei) ci tramanda due riferimenti importanti: uno riguarda Gesù e l'altro il fratello di Gesù, di nome Giacomo Ma la sua testimonianza (conosciuta come «Testimonium Flavianum») è considerata dagli storici un'evidente manipolazione della Chiesa e quindi totalmente falsa.

II testo si riferisce a Gesù, ma, come spiega l'esegeta Guy Fau: "I passaggi riguardanti Gesù, detto il Cristo, appaiono la prima volta nel IV secolo per opera di Eusebio di Cesarea non trovandosi ancora nell'opera “Storia dei Giudei” ai tempi di Origene (185-254), poiché è proprio Origene che ci assicura nel suo "Contra Celsum", che Giuseppe Flavio non ha mai parlato di un Gesù detto il Cristo. La falsificazione è quindi così manifesta che la Chiesa stessa non difende più questi due passi di Giuseppe Flavio" (Guy Fau - La Fable de Jesus Christe. III - Le silence des auteurs Juifs, Editions de l'Union rationaliste, Paris, 1964).

Anche lo storico ebreo Giusto di Tiberiade nella sua cronaca che va da Mosé agli anni in cui vide la luce il Vangelo di Giovanni, tace di Gesù esattamente come Giuseppe Flavio, nonostante fosse suo contemporaneo e quasi conterraneo. Infatti, viveva a Tiberiade non lungi da Cafarnao. Ce lo conferma il patriarca Fozio di Costantinopoli che avendo il libro di Giusto sottomano (svanito nel X secolo) si meravigliava del fatto che non parlasse di Gesù.

Il dotto ebreo Filone di Alessandria, che sopravvisse a Gesù di circa vent’anni, e di cui possediamo circa cinquanta scritti, nelle sue opere parla diffusamente delle sette giudaiche, in particolar modo degli esseni e menziona perfino Pilato ma ignora totalmente Gesù e anche Paolo. E pensare che, a detta di Fozio, era ritenuto un cristiano pentito.

Sono invece importanti, per capire la derivazione di molti detti di Gesù e del suo messianismo javista, i Rotoli del Mar Morto, rinvenuti a Qumran nel 1947 e alla fine del 2001 pubblicati in versione integrale. Comprendono i commenti ai testi biblici scritti dalla comunità degli esseni e gli statuti che erano alla base della loro setta, quali: la Regola della Comunità, la Regola dell'Assemblea, il Documento di Damasco, le Regole della Guerra dei Figli della Luce contro i Figli delle Tenebre e il Commentario di Abacuc.
FINE

domenica 30 dicembre 2012

Il falso Jahvè. Il monoteismo biblico e quello cristiano. 200


Il Dio cristiano, elaborato dalla Chiesa, non entra nelle vicende terrene con premi o punizioni ma interviene solo dopo la morte dell'individuo per giudicare il suo operato. In caso positivo, lo premia col paradiso; in caso negativo con le pene eterne dell'inferno. Il castigo dell'inferno non ammette redenzione ed è la forma più spietata di punizione divina. Talmente spietata che per molti è ritenuta "un assurdo morale" e rappresenta la negazione di Dio stesso in quanto gli attribuisce sentimenti di odio e di vendetta, assolutamente inammissibili in un Essere Supremo, considerato sommamente giusto e misericordioso e che sempre ama, perdona e riconcilia.

Un Dio giudice inappellabile nega quindi categoricamente che “Dio sia un Padre infinitamente buono e misericordioso" come predicano i Vangeli e contrasta col Gesù evangelico che invitava i suoi discepoli a perdonare sempre, settanta volte sette. La pena eterna dell'inferno, non avendo un vero fondamento biblico e nemmeno evangelico, è quindi considerata da molti il supremo ricatto inventato della Chiesa per dominare le coscienze dei fedeli e imporre col terrore la succube osservanza alla sua dottrina.

3) Jahvè non pretendeva che il suo popolo propagasse al restante genere umano il suo culto. Anzi lo vietava espressamente in quanto proibiva i contatti degli israeliti con le altre popolazioni e soprattutto i matrimoni misti. Si apparteneva al popolo eletto solo per elezione, non per conversione. In altre parole: ebrei si nasceva, non si diventava con un atto di fede. Il proselitismo quindi veniva escluso. Esattamente l'opposto di quanto ha esigito il Dio cristiano. Il cristianesimo ritenendosi depositario della verità assoluta, rivelata, eterna e immutabile, ma soprattutto unica ed esclusiva, fin dal suo apparire non ha accettato di convivere con altre verità diverse dalla sua, che avrebbero potuto metterla a rischio di contaminazione.

Perciò, l'obbligo categorico del cristianesimo di imporsi a tutto il genere umano, anche all'ebraismo da cui derivava. Se con le buone, bene; altrimenti con ogni altro mezzo. Ecco quindi le crociate e l'evangelizzazione coatta, perpetrata con torture, stragi e genocidi. Quanti fiumi di sangue, quanti fiumi di lacrime in nome del Dio, chiamato eufemisticamente dagli aguzzini che infierivano nel suo nome: "Padre amoroso e misericordioso"!

Jahvè, tetragramma


In nomine Domini 45


"Perché il giovane papa non è venuto con te?", chiese Simone al diacono Ascanio, quando lo vide arrivare da solo nella sua cella.
"Non senti il lugubre scampanio che sta inondando tutta Roma?", rispose Ascanio.
"Sì, ma che significa?", chiese sorpreso il monaco.
"Che il papa è morto", fece Adeodato.
"È morto? Com'è possibile? Era nel fior della giovinezza e in piena salute", fece Simone sbalordito e incredulo.
"Stanotte è stato colpito da un ictus apoplettico, è caduto a terra ed è morto sul colpo", rispose Ascanio. "Può accadere anche ai giovani".
Seguirono attimi di cupo silenzio.
"Sono venuto per eseguire le sue estreme volontà", riprese Ascanio.
"Cioè?"
"Distruggere i rotoli e i codici in cui li hai tradotti. Sono documenti troppo pericolosi per la nostra religione. Non possiamo permetterci che vadano in mano a menti deboli e sconsiderate", rispose deciso Ascanio.
"Ma dicono la pura verità," ribatté con foga Simone.
"Alle volte la verità è più nociva della menzogna", rispose sconsolato il diacono. "La verità, in certe circostanze particolari, esige menti forti e coraggiose e tempi propizi. Oggi siamo ben lontani da questo. Forse solo in un futuro più o meno lontano sarà possibile ristabilire la verità sul cristianesimo".
"Ma nel frattempo noi distruggiamo le prove della sua falsità", fece Simone scandalizzato.
"Le prove, per chi avrà l'acume e il coraggio di ricercarle, sono implicite negli stessi testi canonici. Molte delle cose che tu ci hai detto a proposito di questi preziosi rotoli io le aveva già intuite analizzando le molteplici contraddizioni dei Vangeli e degli Atti e le molte assurde diatribe dei Padri della Chiesa contro gli eretici. In questi testi, considerati dalla Chiesa rivelati, nonostante le manomissioni da essa operate attraverso i secoli per renderli compatibili con la sua ortodossia, affiorano di continuo numerosi e preziosi indizi che rivelano, a chi sa coglierli, la falsità del nostro cristianesimo. Per il momento non ci è consentito di farlo. Se divulgassimo i contenuti di questi testi l'intera cristianità entrerebbe in una crisi senza ritorno e il mondo musulmano, che ci stringe d'assedio minacciando fin la nostra stessa Roma, ci fagociterebbe senza scampo. Piomberemo da una falsità in un'altra ancora peggiore. Volenti o nolenti dobbiamo tenerci il cristianesimo così com'è. È il nostro male minore".
"Non mi hai convinto", fece Simone contrariato, "ma mi piegherò al tuo volere e a quello del papa".
"Tu non sai quanta angoscia provo nel cuore a dover fare una cosa così orribile. Ma purtroppo non c'è alternativa", concluse Ascanio smarrito e desolato.
Intanto Adeodato era andato dal maestro di casa a chiedere un braciere acceso da portare nella cella di Simone.
"A che vi serve?" aveva chiesto costui sbalordito. "Non mi sembra che oggi sia una giornata particolarmente fredda!" Ma aveva ottemperato alla richiesta senza ulteriori domande.
Il braciere ardente fu collocato al centro della cella che ne fu subito riscaldata e illuminata. Quando il maestro di casa uscì, la stanza fu sprangata a dovere. Nessun estraneo doveva assistere a quella lugubre cerimonia.
"Procediamo, senza indugio!", disse Ascanio sempre più accorato. Intanto Adeodato aveva accumulato sul tavolo i due rotoli di papiro e i codici nei quali erano stati tradotti. Simone e Ascanio li presero in mano per l'ultima volta, toccandoli con venerazione, come fossero oggetti sacri. I loro occhi umidi tradivano un'emozione profonda. Li tennero a lungo così nelle loro mani, come se non riuscissero più a staccarsene. Alla fine li rimisero lentamente sul tavolo e con un cenno della mano indicarono ad Adeodato di gettarli nel braciere. Al lieve crepitio della loro combustione tutti chiusero gli occhi per non vedere quel sacrilego rito.

"E adesso, che ne sarà di noi?" fece il monaco perplesso.
"Nessun problema", rispose amabilmente il diacono. "Fuori c'è una carrozza che ci spetta. Andremo tutti e tre nel mio orto sull'Aventino. Ci staremo a meraviglia. Una ciotola di zuppa di farro, una pagnotta, un po' di caccio e una coppa di vino non ci mancheranno mai".
"E tutti questi nostri amici?" fece Simone, accennando ai molti rotoli e codici degli scaffali.
"Sono già tutti ospiti della mia casa", rispose Ascanio con una punto d'orgoglio. "Sono più di cinquant'anni che come un segugio vado alla loro ricerca in tutti i monasteri e palazzi antichi di Roma e delle città d'Italia."
Non fu facile per il venerando Simone scendere le scale e salire in carrozza. Era così anchilosato dagli anni e dall'immobilità che Ascanio e Adeodato dovettero sorreggerlo per le braccia.




sabato 29 dicembre 2012

Il falso Jahvè. Il monoteismo biblico e quello cristiano. 199


Il cristianesimo ereditò il Dio dell'Antico Testamento e lo fece suo. Quindi il Dio biblico è divenuto anche il Dio cristiano. Ma tra le due forme di monoteismo: quello biblico e quello cristiano, c'è un abisso. Nel Nuovo Testamento il Dio biblico non è più chiamato Jahvè perché si è scisso in tre persone distinte: il Padre, il Figlio (Gesù Cristo) e lo Spirito Santo. Queste due ultime persone sono del tutto sconosciute nella Bibbia ebraica e mai nel sacro testo si accenna a loro. La Chiesa ha dovuto escogitare infiniti sofismi per far combaciare la Trinità cristiana col Dio unico Jahvè ma non è riuscita ad evitare, ai suoi esordi, scontri teologici durissimi che hanno determinato scismi ed eresie.

Il monoteismo cristiano con l'affermazione della Trinità e con l'eliminazione del secondo comandamento del Decalogo biblico, fondamentale per la Bibbia ebraica, che proibiva le immagini sacre, ha consentito anche la nascita del culto della Madonna e di una pletora di santi che hanno determinato, come afferma Freud, una forma di politeismo mascherato e hanno rinnegato il monoteismo rigoroso di Jahvè. (Ma almeno, come contropartita, hanno dato vita alla creazione di innumerevoli e grandiose opere d'arte).

Ma ci sono altre fondamentali differenze tra i due monoteismi che qui vogliamo evidenziare.
1) Tutta la teologia biblica considerava il Patto di fedeltà tra Dio e il suo popolo come finalizzato esclusivamente alla sopravvivenza di Israele. In cambio della sua fedeltà Israele avrebbe vinto i nemici e sarebbe vissuto imperituro in una specie di Regno di Dio in Terra. Nessun cenno alla redenzione spirituale dell'uomo. Per gli ebrei la morte segnava la fine di tutto e non c'era un al di là in cui l'anima avrebbe seguitato a vivere.

Nel Qohèlet, libro biblico considerato Parola di Dio, è scritto: «la sorte degli uomini e delle bestie è la stessa, come muoiono queste muoiono quelli. C’è un soffio vitale per tutti: non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità» (Qohèlet 3,19). Con la morte quindi, secondo il teologo biblico, tutto finisce, sia l'anima che il corpo, perché tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere.

La teologia cristiana invece si fonda su un principio totalmente opposto: il compito dell'uomo non è di vivere felice su questa Terra ma guadagnarsi la vita eterna nell'aldilà, accettando con pia rassegnazione le sofferenze di questo mondo (considerato una valle di lacrime) e seguendo con rettitudine i precetti divini. Quindi, mentre Jahvè è un Dio che tutelava soltanto la sopravvivenza materiale del suo popolo, il Dio cristiano si occupa del bene spirituale del singolo individuo e solo marginalmente interviene a soccorrerlo, con la cosiddetta Provvidenza Divina, a livello terrestre.

2) Nonostante che il Dio cristiano si riveli nel Nuovo Testamento un Dio-Signore che si cura, con infinito amore, delle sue creature, mentre Jahvè nella Bibbia si manifestava geloso e vendicativo col suo popolo, in realtà entrambe queste due divinità sono estremamente crudeli, anche se in modo diverso. Jahvè castigava il suo popolo, quando ricadeva nell'idolatria, infliggendogli calamità di ogni genere: guerre, schiavitù, invasioni, malattie e morte. Ma gli dava la possibilità di evitare queste punizioni col ravvedimento e il ritorno all'osservanza del Patto.


Le fonti romane. (“L'invenzione del cristianesimo”) 296


Gli storici romani Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane hanno scritto su Cristo poche righe (senza mai chiamarlo col nome di Gesù), dalle quali emerge un personaggio totalmente diverso da quello che ci propongono i Vangeli. Non un predicatore pacifico, propugnatore della non violenza e dell'amore universale, ma un agitatore politico estremamente pericoloso, sul genere dei terroristi che oggi minacciano l'Occidente. Di conseguenza anche i cristiani sono descritti come una setta turbolenta e perniciosa responsabile di frequenti disordini per istigazione del loro Messia (Cristo).

Gli storici latini ben sapevano che il termine greco Christos traduceva l'ebraico Messia (Mashiah in aramaico) che era un titolo regale che significava "l'Unto", cioè il prescelto da Jahvè per essere il re dei Giudei, e, in perfetta sintonia con Pilato, consideravano giusta la condanna a morte di Gesù come un ribelle che propugnava la liberazione nazionale e religiosa del suo popolo. Come abbiamo visto in precedenza a proposito di Tacito anche i testi latini sono stati talora oggetto di interpolazioni da parte di amanuensi cristiani per essere adattati alle sue esigenze catechistiche e teologiche della Chiesa.

Plinio il Giovane


venerdì 28 dicembre 2012

I preti "di frontiera" del Nord Est, vicini a quelli di Austria, Germania e Svizzera, chiedono alla Chiesa di accogliere trans, omosessuali e divorziati.


Un appello accorato fatto da una decina di preti "di frontiera" il 18 dicembre scorso chiede che le numerose persone oggi respinte dalla Chiesa Cattolica possano ritornare nel suo seno secondo lo spirito evangelico.“La Chiesa accolga tutte le persone, eterosessuali, omosessuali e transessuali, e non affermi che ci sono valori non negoziabili, perché di fronte alle storie delle persone dovrebbe aprirsi un dialogo e non dovrebbero esserci forme di ostracismo”.
Questa "lettera di Natale" scritta e firmata da una decina di preti di Trieste, Udine, Pordenone. Gorizia, Padova e Vicenza è stata indirizzata a religiosi e laici per richiamare l'attenzione su temi importanti per le comunità cristiane come l'accoglienza, l'ascolto, la giustizia, la non violenza, il rispetto delle differenze, il rispetto dell'ambiente,la pace e l'aiuto ai bisognosi, oggi sempre più numerosi.

I "preti di frontiera" hanno inoltre scritto di sentirsi vicini ai movimenti che nelle vicine Austria, Germania o Svizzera, chiedono una riforma della Chiesa Cattolica perché essa possa aprirsi non solo all'accoglienza di tutte le persone, dagli omosessuali ai transessuali, dai divorziati ai risposati, ma anche al sacerdozio femminile e al celibato dei preti. Comincia, forse, anche in Italia, che annovera il clero più retrogrado d'Europa, a prendere piede il movimento della Pfarrer Initiative nato a St. Pölten (Austria) nel 2006, quando 300 e più parroci chiesero riforme e cambiamenti nella Chiesa e un nuovo concilio ecumenico.

Oggi dal suo epicentro in Austria il movimento si è rapidamente diffuso in Svizzera, Germania, Stati Uniti, Francia, Australia e Irlanda. In Irlanda si muove l’Association of catholic priests che raccoglie circa 850 sacerdoti, negli Stati Uniti si è sviluppata un’associazione omologa che raccoglie fino ad ora 750 sacerdoti. Analoghe iniziative sono partite in Francia e in Australia. In Germania c’è stato l’appello di solidarietà sottoscritto da 240 professori di teologia che si muove nella stessa direzione. Monsignor Helmut Schueller, iniziatore e capofila della Pfarrer Initiative, sta organizzando per il 2013 un congresso che raggruppi rappresentanti ecclesiastici di molti Paesi cattolici, col proposito di poter scuotere la Curia romana dal suo letargo medioevale e di rimettere in moto il Concilio Vaticano II.

Ma è chiaro che papa Ratzinger, che ha eliminato anche gli ultimi residui del Vaticano II, dopo la massiccia demolizione che ne aveva attuato il papa polacco, non accetterà nemmeno una delle proposte della 'Pfarrer-Initiative'. Piuttosto si dimetterà adducendo il pretesto della sua tarda età. Lui, sordo ad ogni richiesta di riforme, vuole una Chiesa mummificata nei secoli.



Helmut Schueller


Nelle Lettere Paolo parla pochissimo di Gesù. (“L'invenzione del cristianesimo”) 295


Nelle Lettere Paolo parla pochissimo di Gesù, che non ebbe mai modo di conoscere se non attraverso le sue presunte visioni celesti, e degli apostoli che avvicinò di sfuggita solo quattro volte. In Galati, dice che Gesù era un ebreo, nato da donna. In Romani, che discendeva da David, si rivolse solo ad Israele, fu senza peccato e siede alla destra di Dio, aspettando il giorno del suo ritorno, ritenuto da Paolo imminente. In Corinzi, che aveva dei fratelli, che fu crocifisso, ma resuscitò il terzo giorno, mostrandosi a Pietro, agli apostoli e allo stesso Paolo. Non accenna alla verginità di Maria e all'annunciazione, invenzioni tardive dei suoi seguaci.

Elementi comuni alle Lettere sono: il rigore etico indispensabile per aspirare alla salvezza; il significato mistico della morte e resurrezione di Gesù; l'attesa spasmodica della parusia (cioè del ritorno di Cristo dal cielo) e l'assoluta fede in Cristo.

Ma al di là dei contenuti comuni, ogni Lettera fa riferimento a situazioni particolari delle singole chiese fondate da Paolo, e reca i consigli per ovviare ai problemi che le travagliavano. In alcune Lettere ci sono importanti riferimenti personali che ci consentono di conoscere qualcosa della vita di Paolo, dei suoi contrasti con la Chiesa di Gerusalemme, delle sue autodifese nei confronti dell'accusa di essere un millantato apostolo. Non sempre le notizie che ricaviamo dalle Lettere collimano con quelle che riscontriamo negli Atti. Le Lettere, però, assieme agli Atti, sono documenti di fondamentale importanza per la conoscenza (anche se parziale) del cristianesimo primitivo e della formazione della teologia paolina. Sono scritte in uno stile appassionato e d'intensa religiosità.

Fin dal suo primo apparire ebbero un'enorme ripercussione presso tutti i cristiani ellenisti perché venivano lette e commentate in pubblico e scambiate tra le varie chiese ellenistiche. La loro influenza sulla nascita del cristianesimo eguagliò forse quella dei Vangeli, che nella versione attuale, come abbiamo visto, discendono direttamente dall'influsso di Paolo.

Lettera di Paolo


giovedì 27 dicembre 2012

Peccato e redenzione. Epilogo. 133


E per finire, il cristianesimo ha tolto all'uomo la gioia di vivere. Anche se l'ascetismo, imposto da Paolo e dai Padri della Chiesa e soprattutto da Agostino, con l'attuale società sempre più secolarizzata, ha perso gran parte della sua iniziale virulenza, persiste ancora subdolamente in molti assurdi divieti e anatemi che rendono grama e infelice la vita di molte persone, ostacolando tutte le fondamentali libertà dell'uomo e producendo danni psicologici con la minaccia di punizioni terribili ed eterne per chi non segue i suoi precetti. Tutto ciò è un crimine mostruoso contro l'umanità che aspira ad una vita che sia la più serena e felice possibile su questa Terra.

Perché la vita terrena è la nostra unica certezza. Qui siamo sicuri di esistere, ne abbiamo in ogni istante la consapevolezza. L'aldilà è solo una chimera, imposta agli uomini a caro prezzo come illusione. Solo quando avremo smesso di illuderci di essere immortali, come ci fa credere la religione, senza produrre nessuna prova al riguardo, e avremo accettato la nostra condizione di esseri provvisori su questa Terra, recupereremo la volontà di vivere nel migliore dei modi possibili, in armonia con la nostra umanità più genuina, libera e sovrana, e nella massima disponibilità alla pacifica, serena, ed empatica fratellanza universale. 

Solo allora il mondo cesserà di essere una valle di lacrime, come lo vogliono le religioni oscurantiste, e il genere umano conoscerà finalmente un'era di maggior benessere generale e la nascita di elevate forme di autentica spiritualità. Questa nuova epoca avrà un unico principio inderogabile e non negoziabile: garantire la massima felicità possibile a tutti gli esseri umani, anche a quelli che vivono nel più sperduto angolo del nostro pianeta.

FINE


Le Lettere di Paolo. (“L'invenzione del cristianesimo”) 294


Le quattordici Lettere attribuite a Paolo sono documenti che hanno subito dal I al IV secolo delle indubbie contraffazioni. Non tutte sono di sicura attribuzione; alcune infatti potrebbero essere degli artifici letterari dei suoi discepoli. Tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che la Lettera agli Ebrei non è di Paolo e forse nemmeno la seconda Lettera ai Tessalonicesi. Molti dubitano anche della paternità della Lettera agli Efesini. In base ad uno studio esegetico dei concetti espressi in esse, alle ricerche filologiche e storiche e di confronto eseguite dalla scuola di Tubinga, e ad un'analisi elettronica eseguita sul vocabolario dei testi, sono soltanto quattro le Lettere di sicura attribuzione: la Lettera ai Romani, quella ai Galati, e le due ai Corinzi (Josif Kryevelev, Analisi storico critica della Bibbia, Edizioni Lingue Estere, Mosca, 1949),

Le quattro di cui si parla risultano a loro volta così manipolate e contraffate, che alcuni esegeti, come M. Goguel (L'apotre Paul et Jèsus Christ, Libraire Fishbacher, Paris, 1904), giungono ad affermare che le due lettere ai Corinzi sono un assemblaggio di sei altre Lettere mal ricucite, e che la Lettera ai Romani presenta ben cinque finali. Considerando le contraffazioni eseguite sulle quattro Lettere, che possono essere ritenute autentiche, cosa dobbiamo dire delle altre dieci e soprattutto delle ultime quattro che furono sicuramente redatte dopo il 140, non essendo tra quelle portate a Roma da Marcione? Lascio a voi la risposta.

Scritte nell'arco di quindici anni, le Lettere di Paolo sono i documenti più antichi del Nuovo Testamento e di fondamentale importanza per conoscere alcune vicende della vita avventurosa di Paolo e la creazione della sua teologia. La prima Lettera ai Tessalonicesi viene fatta risalire all'anno 50-51.

mercoledì 26 dicembre 2012

Il falso Jahvè. .Paolo di Tarso e l'invenzione del cristianesimo. 198


Nel 325, volendo dare una sistemazione definitiva al cristianesimo, Costantino convocò e presiedette personalmente il primo concilio ecumenico della Chiesa, quello che porta il nome di Concilio di Nicea. I vescovi convenuti dai più lontani angoli dell'Impero in numero di trecentotredici, finirono per redigere un testo, denominato Credo degli Apostoli, col quale venne codificata tutta l'ortodossia cristiana.

In questo documento fondamentale, una specie di "magna charta" del cristianesimo, Costantino impose esplicitamente ai vescovi, spesso riluttanti, i principi che riteneva indispensabili perché la nuova religione fosse la continuazione di quella pagana, cara alla Roma imperiale.

Ecco allora che Gesù, sulla falsariga degli dèi pagani del Vicino Oriente, protagonisti di un'incarnazione terrena e di una morte e resurrezione rituale, fu proclamato Dio incarnato, partorito da una vergine, esattamente come Horo, l'eroe solare egiziano figlio della vergine Iside, come Adonis, l'eroe solare persiano figlio della vergine Astarte. E il Cristo cessò così di essere l'Unto di Jahvè per diventare definitivamente uguale a Dio nella natura e nella sostanza, perdendo ogni collegamento con il Messia delle profezie bibliche.

Come giustamente osservò Freud nella sua opera più volte citata "L'uomo Mosè e la religione monoteistica", il cristianesimo segnò un regresso rispetto all'ebraismo. Non fu più strettamente monoteistico in quanto il Dio Uno si tramutò in un Dio Trino e furono progressivamente introdotte, sia pure mascherate, diverse figure divine del politeismo, come la Madonna, che prese il posto della Grande Madre, e i santi, identificabili come dèi minori.

Vennero inseriti alcuni riti simbolici, derivati dalle religioni misteriche molto diffuse nell'Oriente dell'Impero romano, quali l'eucaristia. Soprattutto, il cristianesimo non si oppose alla penetrazione di elementi superstiziosi, magici e mistici, destinati a essere di grave intralcio per l’evoluzione spirituale nei due millenni successivi.
Per concludere: "Il trionfo del cristianesimo fu una nuova vittoria dei sacerdoti di Ammone sul Dio di Akhenaton, dopo un intervallo di millecinquecento anni e su una scena più vasta" (S. Freud, op. cit., pag. 410).

Sigmund Freud


Gli Atti degli apostoli. (“L'invenzione del cristianesimo”) 293


Sono attribuiti, come abbiamo visto in precedenza, ad un discepolo di Paolo che esplicitamente se ne attribuisce la paternità. Si tratta di Luca, un medico di origine siriana convertito personalmente da Paolo, che seguì l'apostolo in molti dei suoi viaggi e fu testimone oculare di alcuni avvenimenti che racconta in prima persona. Ma abbiamo visto che l'attribuzione non è certa e che, secondo alcuni, riguarderebbe un certo Dema, probabilmente proprietario e conduttore dell'imbarcazione che servì a Paolo per molti dei suoi viaggi. Sono documenti poco attendibili, perché scritti per esaltare la teologia paolina in contrapposizione a quella giudaica, e spesso sono anche in contraddizione con le Lettere che la Chiesa attribuisce a Paolo.

Nacquero con l'intento di dimostrare che tra i due cristianesimi sviluppatisi dopo la crocifissione di Cristo: quello dei cristiano-giudei della Chiesa di Gerusalemme, guidato da Giacomo, fratello del Signore, di tendenza messianica ed ascetico-essena, e quello dei neo-cristiani ellenisti, fondato e guidato da Paolo, di tendenza universalistica e salvifica, c'era stata una continuità lineare, una derivazione spontanea che escludeva conflitti e divergenze. 

Ma il tentativo di nascondere le grosse tensioni scoppiate tra le due Chiese e l'inevitabile scisma di Paolo dall'ortodossia ebraica, fallisce miseramente in mezzo a molteplici incongruenze. Infatti, in questa narrazione delle vicende degli apostoli troviamo dei vuoti incredibili. Gli apostoli sono accennati di sfuggita solo una volta e nel corso della narrazione si fa menzione soltanto di Pietro, Giovanni e soprattutto di Giacomo, fratello di Gesù. Pietro scompare dal testo dopo lo scontro con Paolo ad Antiochia e non compare mai a Roma, dando ragione a coloro che sostengono che i presunti riscontri storici ed archeologici della presenza di Pietro nella capitale dell'Impero sono del tutto inesistenti e quindi risulta privo di ogni fondamento anche il suo martirio sul Colle Vaticano.

Più che gli Atti degli Apostoli potremmo chiamarli gli Atti di Paolo perché gran parte del testo si concentra esclusivamente sull'operato di questo millantato apostolo, esaltandolo oltremodo. Vanno considerati, quindi, come propaganda finalizzata a convincerci che il neocristianesimo di Paolo discende direttamente dalle visioni celesti di questo millantato apostolo, che mai conobbe Gesù nella carne, e mai quindi ne apprese la dottrina.


martedì 25 dicembre 2012

25 Dicembre


CRISTO SINCRETICO
dal CALENDARIO LAICO di Marcus Prometheus

XXV Dicembre MMDCCLXV a.U.c. (2765 ab Urbe condita = dalla fondazione di Roma). 25 Dicembre 2012 e.v. (=era volgare= d.c.= data convenzionale), 25 Dicembre Roma antica: Dies octavus ante Kalendas Ianuarias = Ante diem octavum Kalendas Ianuarias = a.d. VIII Kal Ian. = Ottavo giorno prima delle Calende di Gennaio

Anno 7 avanti l'era volgare, (oppure 6 oppure 5 oppure 4 avanti Cristo): secondo i moderni storici cristiani è l'anno in cui sarebbe nato Cristo (se è esistito storicamente, cosa messa in dubbio sempre più da altri data l'assenza di testimonianze contemporanee).
Anno 1 dopo Cristo: sarebbe la data del primo Natale di Gesù secondo il creatore della datazione calendaristica degli anni a partire dall'anno del concepimento e della nascita di Cristo, adottata oggi da quasi tutto il mondo non islamico.
Egli fu Dionysus Exiguus monaco del VI secolo, abitante della Scytia minor, ovvero della attuale Dobrugia, regione costiera della Romania sulla costa del mar Nero.

IL NATALE FESTA DI TUTTI
Gli antichi romani il 25 Dicembre celebravano il gioioso dies Natalis, cioè giorno natale di molti dei solari.
I cristiani dei primi 4 secoli, invece, celebravano la nascita di Gesù (successivamente trasformato in loro Dio), il 6 di Gennaio.
Solo secoli dopo (fra il 337 ed il 450 dopo Cristo), per soppiantare le feste di questi dei solari, i cristiani spostarono al 25 Dicembre anche il natale del loro Dio per appropriarsi del significato del ben più antico NATALE dei POLITEISTI che era il Natale del solstizio e del ritorno della luce del 25 Dicembre, il natale di Dionisio-Bacco, del Sole invincibile, di Helios, di Mithras.

Chi non si riconosce nella tradizione cristiana, dunque non si senta fuori posto durante le festività natalizie, ma festeggi pure, con parenti ed amici e con la intera comunità italiana ed occidentale le feste del ritorno della luce, riconoscendole come proprie, come laiche o come pagane con tutti i diritti di priorità rispetto all'appropriazione cristana. Rivendichiamo come festa laica il ritorno di giornate di luce più lunghe, ottimo motivo per festeggiare.

E di fronte ai cristiani che alzano la bandiera del tradizionalismo, rivendichiamo le autentiche tradizioni autoctone romane precedenti alla loro e da loro snaturate.
Ed anche l'albero di Natale non ha niente di originariamente cristiano! La tradizione di festeggiare alberi era tipicamente pagana ed aspramente condannata già dalla Bibbia. L'abete poi (con precedenti romani), è di tradizione nordica, al solito tardivamente fatta propria dai cristiani eppoi più recentemente "laicizzatasi" quasi completamente nel sentire comune.
I laici reagiscano alla retorica religiosa ma NON estraniandosi dalla propria comunità, bensì rivendicando orgogliosamente le proprie radici nella tolleranza e nella libertà di pensiero dei tempi "pagani".
Se consideriamo (come fanno perfino i neopagani) che il paganesimo non è stato una religione, bensì un atteggiamento tollerante verso tutti i modi di pensare e tutte le tradizioni, non avremo difficoltà a mantenere intatto il nostro laicismo pur recuperando pienamente il folclore gioioso delle nostre radici più profonde.

25 Dicembre NATALE : il giorno della rinascita della luce, è una data sicuramente importante, visto che sembra abbia dato il NATALE a molti Dei
.il più importante dei quali è Dionisio o Bacco o Libero, dio del vino della gioia e delle orgie di Grecia e Roma. Moltissime sono le similitudini fra i misteri di Dionisio (conosciuto da 13 secoli prima di Cristo) ed il "mito cristiano": Dioniso (uomo che divenne dio), era venerato come "dio liberatore" (dalla morte) perchéuna volta defunto discese agli inferi ma dopo alcuni giorni tornò sulla terra. Proprio questa sua capacità di resurrezione offriva ai suoi adepti la speranza di una vita ultraterrena tramite il suo divino intervento. Anche per essere ammessi al culto dionisiaco era necessario essere battezzati, introdotti al tempio e sottoposti ad un rigido digiuno. Altra somiglianza fra il culto di Dionisio e quello ben più tardo di Gesù è nel rituale che prevedeva l'omofagia (consumazione della carne e del sangue di un animale, identificato con Dioniso stesso), come segno di unione mistica con il suo corpo ed il suo sangue.

Oltre a Dionisio fra i nati verso il solstizio d'inverno ci sono anche: Ercole, Sol Invictus,  Elio Gabalo, Mithras (nato in una grotta , sotto gli occhi di pastori che lo adorarono, culto dei militari di Roma e quindi diffuso in tutti gli angoli dell'impero dalle legioni), Adone, Attys,  Kybele (o Cibele) dea della Frigia, Astarte (o Asteroth) della Fenicia, dea suprema, nonché dea della fecondità e dell'amore, venerata anche dal re Salomone a Gerusalemme, Dumuzi (detto Tammuz a Babilonia), Baal, Marduk, dio supremo del pantheon Babilonese, Osiride dio supremo egizio della morte e rinascita, Horus, figlio di Osiride ed Iside con cui costituiva una popolarissima triade che (insieme alle tante altre triadi di dei popolarissime in tutto il mediterraneo) è stata d'ispirazione alla triade cristiana di Dio padre, Madonna e Bambino Gesù, Ra, il dio Sole egizio corrispondente ad Helios, Krishna, (attualmente il dio più importante dell'India) e un'altra decina di dei fra i quali Zaratustra in Persia, Bacab dio dei Maya dello Yucatan, Huitzilopochtli e Quetzocatl entrambi del Messico centrale azteco.

Molti di questi semidei e dei discesero agli inferi e da lì fecero ritorno (in totale sono sei: Dioniso, Adone, Attis, Tammuz, Baal-Marduk, Osiride). Alcuni di questi dei sono morti attorno all'equinozio di primavera (che è il periodo della Pasqua) e risorti dopo qualche giorno, a volte proprio dopo 3 giorni, come Gesù, e, infine, sono nati da una vergine.



Assenti in Giovanni l'eucaristia e il primato di Pietro. (“L'invenzione del cristianesimo”) 292


Esaminare tutte le divergenze richiederebbe troppo tempo ma su almeno un paio vale la pena di soffermarci. Cominciamo dall'assenza più incredibile, quella dell'istituzione dell'eucaristia.

Confrontando nei Vangeli sinottici i brani relativi all'ultima cena noteremo che tutti e tre descrivono l'istituzione dell'eucaristia con le stesse parole scritte da Paolo nella sua prima Lettera ai Corinzi (1 Corinzi 11, 23-29). Giovanni, invece, ignora completamente questa istituzione ma rivela particolari importanti, ignoti agli altri evangelisti, come la lavanda dei piedi.

L'eucaristia, quindi, fu un'assoluta invenzione paolina, messa in evidenza anche dal fatto che gli Apostoli non conoscevano una comunione sacramentale. Dopo la preghiera nel Tempio, spezzavano il pane in casa di uno di loro senza sacerdoti e senza alcun apparato cultuale e nemmeno sacramentale (Atti, 2,46; 6, 1 sg.). Infatti la teologia critica non trova alcun rapporto fra il pasto della comunità cristiana primitiva e l’atto cultuale della comunione propagato da Paolo.

Anche il primato di Pietro viene ignorato da Giovanni. Non c'è alcun cenno alle parole di Matteo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa…” (Matteo 13,20-22). Al contrario, chi in Giovanni sembra prevalere sugli altri apostoli è un personaggio misterioso chiamato: "quel discepolo che Gesù amava" (Giovanni 12,23) di cui abbiamo parlato a proposito di Lazzaro di Betania.

L'episodio del XXI capitolo, che tenta di recuperare il ruolo primario di Pietro mediante la triplice affermazione di Gesù risorto "pasci le mie pecorelle" (Giovanni 21,15-17), è chiaramente un falso accettato da tutta la teologia critica e anche da teologi cattolici.

Concludiamo l'analisi del Vangelo di Giovanni facendo rilevare che è il più antiebraico dei quattro. In esso non c'è l'automaledizione che troviamo in Matteo (25,25), ma la netta convinzione che Gesù sia stato giustiziato per motivi politici voluti dal clero collaborazionista dei romani per cui i brani apertamente antisemiti, secondo D. J. Goldhagen, sono centotrenta e in uno di essi Gesù afferma che gli ebrei hanno «per padre il diavolo» (Giovanni 8,44).     

Daniel J. Goldhagen


lunedì 24 dicembre 2012

Il falso Jahvè. .Paolo di Tarso e l'invenzione del cristianesimo. 197


La Chiesa di Paolo, rimasta unica e incontrastata padrona del campo dopo la seconda Guerra Giudaica del 135, che segnò praticamente la fine dei cristiano-giudei di Gerusalemme, fece distruggere il Vangelo degli Ebrei, il solo considerato autentico dagli apostoli (Epifanio, Haer. XXIX, 9,4) ancora legato alla messianicità di Gesù, e al suo posto fece diffondere i Vangeli canonici, redatti conformemente alla sua nuova teologia. Allo scopo di recepire le aspettative salvifiche dei pagani verso i quali era diretto il nuovo cristianesimo paolino, vennero inserite in questi Vangeli le leggende mitologiche dell'annunciazione, della nascita verginale, dell'istituzione dell'eucaristia, della deificazione di Gesù, e così via.

Venne inoltre proclamata l'assoluta estraneità di Cristo dal messianismo esseno-zelota, mediante l'introduzione nei Vangeli del processo ebraico inteso a scagionare i romani dalla responsabilità della condanna a morte di Gesù, e l'inserimento dei proclami di pacifismo, di amore universale e di perdono verso i nemici (quindi anche i romani) che mai furono pronunciati dal Gesù storico in quanto avrebbero comportato per lui la lapidazione immediata a furor di popolo.

Fu dunque Paolo il vero inventore del cristianesimo quale noi oggi conosciamo. Senza il suo geniale apporto, il cristianesimo giudeo sarebbe rimasto una piccola setta fondamentalista, ancorata all'aspettativa apocalittica del ritorno di Gesù dal cielo, e destinata, a seguito delle guerre giudaiche, a svanire nel nulla, al punto che con ogni probabilità oggi ne ignoreremmo l’esistenza e forse anche quella del suo fondatore.

Il neocristianesimo paolino, diffusosi rapidamente tra i gentili in tutto l'impero romano a seguito dell'infaticabile apostolato del suo creatore e dei suoi seguaci gentili, fu perfezionato dai primi Padri della Chiesa e poi definitivamente codificato dall'imperatore Costantino nel 325 d.C.Costantino, che possedeva il genio sincretico di Paolo, si era reso conto che il cristianesimo era oramai vincente, e che invece di combatterlo con le persecuzioni, come poco prima aveva fatto inutilmente Diocleziano, conveniva istituzionalizzarlo e in tal modo controllarlo e assoggettarlo all'Impero. Bisognava trasformarlo da nemico in un alleato sottomesso così da togliergli ogni residuo potenziale eversivo.

D'altra parte, dopo tre secoli, la dicotomia tra il cristianesimo e il giudaismo messianico si era ormai conclusa, ed era divenuta irreversibile. Una volta riconciliatosi col cristianesimo, Costantino volle assegnare a Cristo gli stessi attributi teologici delle divinità pagane che andavano per la maggiore e nelle quali lui stesso credeva, le quali svolgevano un ruolo salvifico incarnandosi in una vergine, pur essendo di natura divina, immolandosi per la salvezza dell'umanità e resuscitando dalla morte. Mitra era una di queste divinità, molto amata dai soldati che l'avevano importata a Roma dall'Oriente, e assai venerata anche da Costantino.

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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)