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martedì 31 dicembre 2013

La teologia scientifica convalida la tesi della teologia critica. 101

La teologia scientifica crede che le parole di Gesù siano state tramandate più accuratamente delle sue azioni, ma ammette anche che i discorsi e i racconti evangelici sono stati progressivamente contaminati e spesso del tutto inventati.

Un fenomeno del genere è analogo a quello verificatosi nel giudaismo: la Halakha, cioè la sezione giuridica del Talmud, è stata tramandata più esattamente della Haggada, cioè del materiale leggendario e teologico ampiamente riveduto e corretto dagli Scribi.

Ma nemmeno le parole di Gesù erano assolutamente intoccabili, giacché furono riplasmate e moltiplicate con chiose e altri ingredienti a seconda dell'evolversi della teologia nascente. . Per alcune è possibile provare che non furono mai pronunciate, per altre il problema resta aperto, per altre ancora è lecito affermarne l’autenticità.

Sono perlopiù autentiche solo quelle parole di Gesù, che contraddicono la dottrina della Chiesa. Vediamo un esempio molto chiarificatore. In Matteo 10,5 Gesù dice: Non andate dai pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; andate piuttosto (soltanto) dalle perdute pecore della casa d’Israele.

La frase è autentica proprio per il fatto che i cristiani fecero esattamente il contrario di questa raccomandazione di Gesù, attuando il missionariato più oppressivo verso i pagani. Sicuramente i cristiani non avrebbe inventato parole come queste, che contraddicevano apertamente la sua prassi. Ma per giustificare questo atteggiamento, in seguito, alla fine del vangelo di Matteo fu introdotto l’ordine del battesimo, sempre ignorato nei Vangeli.

In questo ordine, in aperto contrasto con le parole su citate (e autentiche), il Gesù «risorto» ordina: «E dunque, andate e insegnate a tutti i popoli e battezzateli in nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo...» (Matteo 28,19). Tale ordine, viene unanimemente considerato un falso da tutta la Teologia critica perché in contrasto col versetto 10,5 appena citato (Non andate tra i pagani...) ma anche perchè introduce la SS.Trinità che ai tempi di Gesù nessuno conosceva essendo stata inventata dalla Chiesa soltanto nel IV secolo .

Halakhah


venerdì 27 dicembre 2013

La vita e l’insegnamento di Gesù nel giudizio della moderna teologia storico-critica. 100

Se vogliamo tracciare un quadro della vita di Gesù, abbiamo poco materiale a disposizione. Quindi dobbiamo semplicemente affidarci al risultato dell’analisi filologica dei testi, in base ai quali il contenuto del messaggio di Gesù continua a essere problematico.

All’attività critica dei cattolici, guidata attentamente dall’alto e severamente sorvegliata, si contrappone una ricerca sui Vangeli vecchia di quasi due secoli ad opera di teologi protestanti liberali, del cui immenso lavoro condotto con eccezionale acribia il cattolico non è nemmeno in grado di farsi un’idea.

Molte cose sono state acclarate in maniera definitiva, molte altre vengono energicamente contestate, ma sono stati ottenuti risultati essenziali. Così la moderna teologia storico-critica dichiara unanimemente che non è possibile ricavare quasi nulla intorno alla vita di Gesù, né dei suoi singoli stadi, né della sua specificità spirituale, né, tanto meno, della sua evoluzione.

I Teologi critici non si limitano a lasciare da parte, per mancanza di fonti disponibili, la descrizione evangelica della vita di Gesù, le singole situazioni, le notizie dei tempi e dei luoghi e la maggior parte dei miracoli (giudicati secondari e inventati in un secondo tempo), ma anche talune parti del suo insegnamento tradizionale.


La teologia critica ritiene che la dottrina del Gesù storico non è identica alla sua riproduzione da parte degli Evangelisti. Al contrario, la ricerca non vincolata ai dogmi, ai giuramenti e agli imprimarur indica che la predicazione gesuana nel suo cammino attraverso i primi Apostoli e i missionari più antichi, fino alla seconda e alla terza generazione di cristiani (alla quale appartengono gli Evangelisti), ha subìto, involontariamente o a ragion veduta, modificazioni e ritocchi sostanziali.

martedì 24 dicembre 2013

Perché i Teologi Cattolici sono totalmente sottomessi alla Chiesa? 99

Perché sono coercitivamente influenzati dalla Chiesa in un’età in cui non sono capaci di pensiero autonomo, e tanto meno di attività intellettuale personale. Via via che crescono, vengono condizionati dalla considerazione che si deve credere soltanto in ciò in cui credettero anche i loro padri, i loro nonni, i loro progenitori.

A questo sentimento si aggiunge poi la venerazione per l’autorità: lo stesso Sant’Agostino, come abbiamo visto, prestava fede al vangelo solo in nome dell’autorità della Chiesa, la quale, a sua volta, si fonda sulla tradizione evangelica: il classico cane che si morde la coda!

Presso le loro Università gli studenti di Teologia vengono istruiti in modo assolutamente unilaterale: non sanno pressoché nulla di libera ricerca, ignorano anche la Teologia critica del Protestantesimo e quel poco che ne sanno vien loro ammannito in maniera completamente distorta.
Le teorizzazioni degli avversari (teologi protestanti o storici biblici) vengono totalmente deformate e ricoperte di ridicolo e nelle Facoltà di Teologia Cattolica, gli autori critici vengono screditati come moralmente guasti, maligni e stupidi.

Va da sé che a questi studenti viene impedita la lettura delle opere condannate dalla Chiesa e non viene consentita la lettura delle opere inserite nell’Index Librorum Prohibitorurn. Discussioni vere e proprie coi professori sono inesistenti.

 Padre Alighiero Tondi, teologo gesuita, insegnate in una Università Pontificia, dopo aver abbandonato la Chiesa scrisse: «E’ impossibile discutere coi dicenti; il loro cervello è fossilizzato; essi non vedono, ed è facile rendersi conto che alcuni di loro non vogliono credere, altri non possono: messi alle strette, montano su tutte le furie. Se uno manifesta l’ardire di oltrepassare certi confini, viene immediatamente bollato come ignorante, anche se molto garbatamente; oppure lo si convince che non ha capito e che non è capace di capire, perché non ha un cervello metafisico».

Naturalmente non tutti i teologi hanno lo stomaco per ingannare se stessi e per credere in dottrine logicamente e storicamente insostenibili per cui non è raro il caso che qualcuno di essi, pur rinnegando, dentro di sè in toto la fede cattolica, continui a professarla esteriormente. Evidentemente non hanno il coraggio di uscire dalla Chiesa per il timore della povertà materiale e dell’emarginazione sociale, specialmente nei paesi esclusivamente cattolici.

In Italia, ad esempio, sotto il regime fascista, in base al Concordato col Vaticano, un sacerdote che abbandonava la Chiesa, veniva interdetto da tutti gli impieghi pubblici: «Lo scopo di tutto ciò era gettare sul lastrico gli spergiuri, e spingerli spietatamente alla morte». Oggi, fortunatamente, con l'avvento della democrazia, in Italia la situazione è cambiata, ma è tuttora difficile per un teologo cattolico uscire dal gregge e contrastare la Chiesa.


Alighiero Tondi



venerdì 20 dicembre 2013

Perchè i teologi cattolici sono arretrati rispetto ai teologi protestanti? 98

I teologi cattolici non hanno alcuna libertà di indagine e di conseguenza la Teologia Cattolica è un insieme di assurdità irrazionali. Per mezzo dei dogmi, in cui tutto va a finire nell’irrazionale e nel soprannaturale, i Papi hanno fin dal principio vietato ai teologi ogni ricerca personale e ogni indagine critica .

Così, ad esempio, prima della definizione dell’assunzione in cielo di Maria in corpo e anima, molti teologi cattolici avevano definito sdegnati l’impossibilità della sua elevazione a dogma, perché da una leggenda non poteva, a loro avviso, nascere dogma alcuno. Ma, dopo la proclamazione del dogma paventato, tutti si adeguarono e si piegarono immediatamente a sostenerlo.

Inoltre i Teologi Cattolici sono obbligati dal giuramento antimodernista, imposto da Pio X nel 1910, che li vincola alle decisioni della Commissione papale sugli Studi Biblici, la quale condanna pressoché in blocco tutti i risultati acquisiti dalla Teologia storico - critica. Questo giuramento, vieta addirittura agli studiosi cattolici di illustrare e di spiegare le scritture del Nuovo Testamento e dei Padri della Chiesa senza l'approvazione dell’autorità ecclesiastica, la quale è sempre pronta a negare ogni possibile revisione critica o indagine scientifica.

Infine, le pubblicazioni di questi intellettuali soggiacciono all’imprimatur della
Chiesa, e non solo quando si tratta di libri, ma anche di articoli su periodici e quotidiani. Sono queste le ragioni per cui i Teologi Cattolici in possesso di serie inclinazioni critiche (cosa, per altro, piuttosto rara) possono occuparsi solo di questioni secondarie, mentre i problemi fondamentali restano per loro saldamente vietati e riservati esclusivamente alla Commissione papale.

Tutto quel che concerne questioni di principio può essere trattato dai Cattolici che si occupano di Storia della Chiesa solo ed esclusivamente per raccogliere testimonia pro domo sua; devono fornire, insomma, non una spiegazione storica dei dati di fatto, ma indicazioni tendenzialmente dogmatiche, costretti per ciò stesso a usare violenza al corso effettivo della storia, reinterpretata alla luce dei dogmi successivamente elaborati.


Pio X



martedì 17 dicembre 2013

I polemisti anticristiani. Parte quarta. 97. Porfirio

Porfirio (233-304), forse cristiano in gioventù e molto probabilmente seguace di Origene,non riuscì a convincersi della verità delle dottrine cristiane. Divenne il più grande discepolo di Plotino, il vero fondatore della filosofia neoplatonica, che, a sua volta,aveva avuto modo di disputare a Roma con Gnostici cristiani.

Dei 15 Libri di Porfirio Contro i Cristiani, composti durante una convalescenza in Sicilia, sono a noi pervenuti alcuni estratti e talune citazioni, a dispetto dell’azione metodica di distruzione condotta dalla Chiesa. Egli accusa gli Evangelisti, che considera bugiardi e falsi, di aver fabbricato dei miti, evidenziandone con profonda conoscenza specifica e con grande acutezza dialettica le numerose contraddizioni.

Eppure lo stesso Agostino dovette riconoscere l’alto livello intellettuale e la profonda dottrina di Porfirio. D’altra parte, il grande Dottore della Chiesa, il cui motto preferito erano le parole di Paolo: «Che cosa possiedi, che tu non abbia ricevuto?»(1 Cor. 4, 7), ha saccheggiato l’opera di Porfirio in misura tale da rendere lecita l’affermazione che sia stata la sua fonte principale delle sue opere.

Padri della Chiesa, meno legati a Porfirio, lo hanno definito il padre di ogni sfacciato insulto contro i cristiani, e certuni lo hanno gratificato con gli appellativi di malfattore, calunniatore, folle e cane impazzito. Oggi invece si scorge in lui uno degli ultimi intellettuali della classicità morente, uno spirito originale e nobilissimo, che ha precorso la critica moderna quasi come un professore di teologia.

Nell’antichità, del resto, la storicità dei Vangeli non fu messa in dubbio solo dagl iavversari dei cristiani: nientemeno che lo stesso Agostino confessava: «In verità, se non fosse per l’autorità della Chiesa cattolica, non presterei affatto fede al Vangelo»! In altri termini, Agostino fonda l’attendibilità dei Vangeli sull’autorità della Chiesa; ma la Chiesa, a sua volta, basa la propria pretesa di autorità rinviando ai Vangeli!

E così fu solo grazie ai roghi, ultima ratio theologorum, come dice Schopenhauer, che per più di un millennio venne misconosciuto il riconoscimento della scarsa validità storica dei Vangeli.

E oggi l’indagine critica sul Cristianesimo si trova in sostanza ancora là, dove l’avevano lasciata i pagani Celso e Porfirio. Questo perché i teologi cattolici sono ancora fermi al concetto di fede cieca e ignorante imposto dalla Chiesa che stabilisce che le Scritture, specialmente il Nuovo Testamento, debbano considerarsi assolutamente autentiche e veritiere. Perciò oggi non le si può più stravolgere. I risultati della scienza moderna devono essere respinti e bollati come erronei. D’altra parte, le scelte sbagliate della Chiesa devono essere considerate vere. Perciò diventa necessario per essa credere che il bianco sia nero.


Sant'Agostino


venerdì 13 dicembre 2013

I polemisti anticristiani. Parte terza. 96. Porfirio

Porfirio (233-304) fu forse il più implacabile polemista anticristiano. Nella sua opera “Contro i cristiani” in 15 libri, con puntigliosa acutezza dialettica e profonda dottrina, accusò gli evangelisti, da lui definiti falsi e bugiardi, di aver mitizzato la vita di Gesù.

Subito dopo Costantino la sua opera fu messa al bando e nel V secolo, sotto Teodosio II, anche gli ultimi esemplari di essa furono messi al rogo per volere della Chiesa, assieme alle molte opere cristiane che polemizzavano col filosofo. Erano troppo pericolose perché contenevano lunghe citazioni di Porfirio, considerate un micidiale veleno. Agostino, uno dei più grandi Padri della Chiesa, trovò nell'opera di Porfirio la fonte principale della sua dottrina e, sottobanco, lo saccheggiò.

L ‘opera di Porfirio venne scritta con un dispiegamento tale di intellettualismo raffinato e di intelligenza religiosa, quale mai né prima né dopo raggiunse nessuna trattazione sulla Chiesa. In essa è prefigurata tutta la critica biblica moderna, così come oggi riconoscono molti studiosi contemporanei.

Perfino per molti teologi ancor oggi Porfirio rimane non contraddetto. Nella maggior parte delle tesi di fondo da lui sostenute, egli ha ragione.



martedì 10 dicembre 2013

I polemisti anticristiani . Celso.(Parte seconda) 95

Con la sua profonda dimestichezza con i trattati cristiani allora in voga, Celso riconobbe in essi una mistura di elementi stoici, platonici, ebraici, persiani ed egizii e lo dimostrò ampiamente nel suo libro "Il Discorso Vero", prontamente fatto distruggere dalla Chiesa nascente. Esso ci è stato parzialmente tramandato da Origene che scrisse contro di lui l'opera famosa "Contra Celsum".

Il libro di Celso conteneva, infatti, obiezioni talmente fondate, che circa 70 anni dopo la sua comparsa Origene, l’intelligenza più significativa della Chiesa precostantiniana, si vide costretto a controbatterlo dovendo ammettere, però, che molte contraddizioni del Cristianesimo rilevate dal filosofo pagano erano ineccepibili.

Spesso le argomentazioni del filosofo pagano parevano illuminanti persino a lui stesso, per cui tenta di sfuggirvi con mille scappatole. Qualche volta non è nemmeno in grado di ribattere alcunché per cui il materiale probatorio, che Celso aveva tratto dalla mitologia greca, dalla storia della filosofia e della religione antiche, viene addirittura passato sotto silenzio da Origene.

Così egli tralascia del tutto molte delle osservazioni, anche essenziali dell’avversario, e certo non per trascuratezza o per mancanza di tempo ma per non sapere come ribattere. Più di una volta Origene attribuisce surrettiziamente a Celso tesi da lui inventate di sana pianta, benché le argomentazioni di Celso siano certamente un po' colorite, ma sempre fondate su precisi dati di fatto, come ha dimostrato la moderna filologia.

Origene, pur essendo il massimo teologo dei primi tre secoli, trovandosi spesso in difficoltà a controbattere Celso, cerca di cavarsela a buon mercato dicendo a ogni pie' sospinto, che Celso è un cervello di prim’ordine, ma ingarbugliato. Però, è proprio dalle informazioni di Origene che abbiamo fra le nostre mani la prova migliore del contrario.




venerdì 6 dicembre 2013

I polemisti anticristiani . Celso.(Parte prima) 94

Dal II secolo cominciò a farsi strada in alcuni filosofi pagani una forte avversione verso il nascente cristianesimo e verso l’attendibilità storica delle scritture cristiane. I più importanti polemisti anticristiani furono Celso e Porfirio.

Intorno al 180 il filosofo platonico Celso divenne il primo grande avversario del Cristianesimo. Dotato di una formazione culturale criticamente fondata e polivalente, condusse la propria battaglia contro il Cristianesimo a un livello non attinto da altri critici del Cristianesimo quali Epitteto, Marc’Aurelio, Luciano.

Con “Il discorso vero” del 178, Celso, mise in luce, molto acutamente, le molteplici contraddizioni del cristianesimo, puntualizzando tutti gli imbrogli che i cristiani stavano facendo “per costruire la figura di un mago che, qualora fosse veramente esistito, poteva tutt'al più essere quella di uno dei tanti ciarlatani che avevano percorso la Palestina imbrogliando la gente”. E a proposito del fondatore della setta dichiarò esplicito: “Colui al quale avete dato il nome di Gesù era in realtà un capo brigante”, ritenendolo uno zelota violento e non un mistico pacifista.

E per quanto riguarda i racconti evangelici scrisse sarcastico: “La verità è che tutti questi pretesi fatti, non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato; senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità. È noto a tutti che ciò che avete scritto, è il risultato di continui rimaneggiamenti, fatti in seguito alle critiche che vi venivano portate” (Celso, Contro i Cristiani, I, 62).

Inoltre accusò i predicatori cristiani di scegliere i loro seguaci tra “gli ottusi, gli ignoranti, o gli stupidi» ai quali imponevano: “non chiedere nulla: credi e basta. La tua fede ti salverà”.

Questo libro, puntualmente distrutto dalla Chiesa perché forse conteneva delle rivelazioni troppo imbarazzanti sul conto di Gesù, noi lo conosciamo in parte per merito di Origene, vigoroso polemista cristiano, che scrisse un libello intitolato “Contra Celsum” per confutare le accuse anticristiane dell'autore pagano. Origene, però, nel confutarlo, dovette riconoscere che molte tesi sostenute da costui erano fondate (Origene, Contra Celsum,3,8 op. cit.).


Celso



martedì 3 dicembre 2013

La triplice morte del povero Giuda (seguito) 93

Nel II secolo il Vescovo Papias, uno dei «padri apostolici», espone una fine ancor più raccapricciante di Giuda, esplicitamente negando anzitutto che il traditore fosse morto impiccato. Secondo quest’altra versione egli sarebbe diventato talmente grosso da assumere l'aspetto di un mostro di dimensioni enormi.

Espellendo materia purulenta e vermi, col membro virile cresciuto a dismisura, crepò dopo inenarrabili tormenti in un luogo in cui, da allora in avanti, regnarono aridità e deserto. "Fino al giorno d’oggi - cioè dopo cent’anni e passa", così affermava il Vescovo Papias, "nessuno può passare per quella landa senza turarsi il naso, tanto è intenso il fetore della sua carne anche sopra la superficie di quel suolo».
Come lasciano supporre tali versioni contraddittorie, la storicità di Giuda è assai dubbia; potrebbe essere un’allegoria personificata del Giudaismo traditore di Gesù, come suggerisce anche il suo nome di Iskariotes (uomo della menzogna).

A proposito delle profezie c'è da rilevare che nella storia della Passione si trova un passo, che molti critici ritenevano una notizia, a dir vero inspiegabile, fornita da un testimone oculare allo stesso Marco. Si tratta della citazione di un giovane, che seguì Gesù anche quando tutti gli altri erano già fuggiti. Marco, e soltanto lui, a proposito di questo personaggio scrive che «indossava sul corpo nudo solo un mantello di lino; essi lo presero, ma quegli lasciò scivolai via il suo manto, e scappò nudo» (Mc. 14, 51 sg.).

Questo episodio è risultato assurdo e incongruo a tutti gli studiosi, incapaci di trovare una spiegazione men che logica per un fatto del genere. Ma il teologo Loisy ha trovato un riferimento a quanto narrato da Marco, nel versetto in Amos 2, 16: «Il più forte tra i forti nudo fuggirà in quel giorno, come dice il Signore». Ecco forse spiegato l'enigma. Sulla storia neotestamentaria della Passione i racconti veterotestamentari, la martirologia ebraica e il patrimonio religioso pagano, ebbero un'influenza senz'altro determinante.


Papia di Gerapoli


venerdì 29 novembre 2013

La triplice morte del povero Giuda 92 (Parte prima)

Sul tradimento di Giuda Iscariota, ovvero di Giuda "zelota e sicario", più di uno storico ha sollevato dei dubbi scagionando l'apostolo da ogni addebito, adducendo il fatto che le motivazioni usate per dimostrare il suo gesto: i trenta denari o l'irritazione per lo spreco dell'unzione nella casa di Betania, sono semplicemente ridicole.

Che Giuda fosse uno zelota e che non si sia venduto per trenta denari lo pensa anche il papa emerito Ratzinger, il quale nell'Angelus del 26 agosto 2012, ha chiaramente affermato che Giuda era uno zelota che voleva che Gesù, come Messia, si ponesse al comando di una rivolta militare contro i romani e sentendosi deluso lo denunciò.

Quindi, secondo l'ex papa, il tradimento di Giuda fu politico e non ebbe nulla a che fare coi trenta denari. Ma così non la pensavano i cristiani delle origine che fecero morire questo disgraziato apostolo, passato alla storia come il sinonimo del tradimento, ben tre volte, e ogni volta in modo sempre più crudele.

Matteo, l'unico degli evangelisti che si occupa del fatto, ci racconta che Giuda, pentitosi del suo gesto, avrebbe gettato i trenta denari nel Tempio e si sarebbe impiccato. I sacerdoti, recuperata la somma, avrebbero comperato con essa il Campo del Vasaio, per la sepoltura degli stranieri, in adempimento delle profezie di Geremia (Geremia 32, 6) e Zaccaria (Zaccaria 11, 12-13). "E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del Vasaio, come aveva ordinato il Signore" (Matteo 27,9-10).

Abbiamo visto in precedenza che pur di far collimare le vicende del Messia con le profezie, gli evangelisti non esitarono ad inventare molti episodi. In questo caso la coincidenza tra la somma percepita da Giuda (trenta denari) e quella richiamata dalla profezia ci appare chiaramente sospetta.

Gli Atti danno una versione molto diversa della fine di Giuda ma bisogna saperla leggere tra le righe per capirla bene. Secondo questa versione Giuda non si pentì affatto del suo tradimento e coi trenta danari comperò un campo, ma poi ebbe una specie d'infortunio: cadde per terra, gli si squarciò il ventre e gli fuoriuscirono tutte le viscere.


Strano, perché quello di squarciare con la spada il ventre dei traditori e di spargerne le viscere al suolo era il metodo seguito abitualmente dagli zeloti, e tra gli apostoli di zeloti ce n'erano più di uno, a cominciare da Pietro che non aveva esitato a tagliare l'orecchio a Malco e sicuramente non esitò a fare il karakiri a Giuda, che col suo tradimento aveva fatto fallire l'impresa (P. Zullino, Giuda, Rizzoli, Milano, 1998).

Morte di Giuda


martedì 26 novembre 2013

La prova delle profezie (Parte quarta) 91

A contrastare la psicosi maniacale per le profezie veterotestamentarie furono i Marcioniti (Tretulliano, Advesus Marcionem) e molti eretici (Origene, Commentari alle omelie, 17). I Marcioniti ammettevano senza remore che il Vecchio Testamento non conteneva alcun genere di profezia circa la crocifissione del Cristo e la maggior parte degli eretici contestavano, in generale, qualsiasi riferimento a Gesù da parte delle profezie veterotestamentarie.

L'evangelista più facondo nella produzione di profezie è Matteo per il quale gli adempimenti nel suo Vangelo si susseguono l'uno all'altro. Mentre Marco, ad esempio, narra di Gesù tradito per danaro da Giuda (Marco 14,10), Matteo, spigolando da Zaccaria, quantifica la somma in trenta pezzi d'argento e li fa gettare dal traditore pentito nel Tempio (Zaccaria 11,12-13), contraddicendo gli Atti per i quali Giuda non si pentì affatto.

Una menzione a parte meritano le profezie poste in bocca a Gesù sulla distruzione del Tempio di Gerusalemme. Esse furono aggiunte ai Vangeli quando si erano già da lungo tempo verificate nella guerra giudaica del 70, come acutamente nel II secolo dichiarò il polemista Celso, mettendo in rilievo che tutto veniva profetizzato in quanto già accaduto, e non che tutto accadeva in quanto già profetizzato. Si tratta quindi di profezie intese come vaticinia ex eventu, e secondo la ricerca critica sono, senza eccezione, tarde creazioni della comunità cristiana.

Marcione di Sinope


venerdì 22 novembre 2013

La prova delle profezie (Parte terza) 90

Non fu affatto facile per i cristiani delle origini provare che la morte infamante di Gesù sulla croce e poi la sia resurrezione trovassero riferimenti profetici nell'Antico Testamento giacché la Bibbia ebraica non contempla nulla di simile. Ma tali profezie erano assolutamente necessarie e non trovandole bisognava inventarle. Così il Padre della Chiesa Ireneo nel Salmo. 20, 5, e Salmo 3, 6 disse di individuarvi un’allusione alla Resurrezione, rispettivamente nelle parole: «Da te chiese la vita, e tu gliela donasti» e «.. io fui risvegliato, perché il Signore è il mio soccorso».

Per la Resurrezione nel «il terzo giorno» oppure, come sovente si suol dire più comunemente, «dopo tre giorni», e dunque il quarto giorno, Tertulliano trovò lo spunto dal profetra Osea ( 6,2): «Dopo due giorni ci guarirà, il terzo giorno risorgeremo e vivremo davanti a lui». Ma a questo proposito vennero utilizzati anche altri passi scritturali, soprattutto la permanenza di tre giorni di Giona nel ventre della balena. Inoltre si ricorse alla tradizione degli dèi pagani, che, come Attis, definito in uno scritto antico «l’onnipotente risorto», come Osiride e molto probabilmente anche Adone, che erano risorti il terzo giorno o dopo tre giorni.

Un problema particolarmente difficile era costituito dalla morte di Gesù, che non trovava riscontri nel Vecchio Testamento. ed era l’elemento decisamente più scandaloso perché assolutamente contrastante con la concezione ebraica della figura del Messia. I primi cristiani per questo la sentirono inizialmente come una vera e propria catastrofe e la fine di qualsiasi speranza. .Ma alla fine anche il mysterium crucis venne risolto: la morte di Gesù era profetizzata, secondo quest’ottica assurda, nel quarto libro di Mosè, in una mucca rossa, che il sacerdote Eleazaro dovette macellare e gettare nel fuoco per ordine divino.
Il Padre della Chiesa Tertulliano vide profetizzata la trave della croce nelle corna di un liocorno citato nel quinto libro di Mosè. Un altro scrittore neotestamentario scorse un’allusione al sangue di Cristo nel sangue dei caproni e dei vitelli macellati nel Vecchio Testamento.

La cristianità primitiva superava l’orrore della morte sulla croce, unicamente mediante un’esegesi estremamente libera, per non dire demenziale su quanto era stato profetizzato nella vecchia Bibbia, benché in modo spesso oscuro e incompleto. Il Padre della Chiesa Gregorio di Nissa riconosce che rendere «digeribile il pane duro e refrattario della Scrittura» era un'impresa quasi disperata. Ad esempio egli dichiara che , nel Vecchio Testamento. . riconosceva «con evidenza il Padre», ma solo «indistintamente il Figlio».

In tutte le parole dei Profeti era dunque possibile individuare allusioni a Gesù, soprattutto in quelle più oscure. Però agli stessi cristiani le «profezie» della morte sulla croce non erano del tutto sufficienti, tanto che nel Il secolo Giustino sostenne che gli Ebrei avrebbero cassato dalle loro scritture una profezia esplicita della croce, per sottrarre ai cristiani importanti elementi probatori. Ma in realtà, invece, furono proprio i cristiani a introdurre di soppiatto questi passi nel testo greco del Vecchio Testamento per disporre di ulteriori profezie adempiute.


Gregorio di Nissa


martedì 19 novembre 2013

La prova delle profezie (seconda parte) 89

Nella Passione di Gesù tutti gli episodi collimano con gli adempimenti profetici perché nei Vangeli non vengono narrati fatti reali ma fatti inventati, descritti con colori veterotestamentari.

Ma perché Gesù doveva perire proprio «secondo la Scrittura?». Soltanto perché solo così era possibile affrontare il dileggio del mondo verso il Messia crocifisso. Esattamente, gli aspetti più obbrobriosi della Passione: il tradimento, la fuga dei discepoli, la sofferenza sulla croce, potevano essere accettati solo come compimento delle profezie veterotestamentarie, e tutti i dettagli dovevano essere conformati fedelmente alle parole del Vecchio Testamento con citazioni esplicite e allusioni.

Elenchiamo alcuni esempi. Lo scandalo dei Discepoli sulla via del Getsemani (Mc. 14, 26 sg.), deriva dal profeta Zaccaria (Zach. 13, 7); le parole di Gesù davanti al Gran Consiglio (Matteo 26,64) trovano riscontro in Daniele (7,13) e nel Salmo 110,1; le offese ricevute da Gesù dai soldati romani, come servo di Dio, sono dedotte da Isaia (50,6)(«Ho offerto le mie spalle ai colpi e le mie guance alle percosse; non ho nascosto il mio viso all’oltraggio degli sputi»; la crocifissione tra due ladroni, sempre da Isaia («ed egli fu annoverato fra i malfattori»).

Anche i particolari più insignificanti furono dedotti dall'Antico Testamento. Esempio: Gesù viene dissetato con l’aceto, secondo il Salmo 69, 22: «E mi diedero fiele da mangiare, e quando ero assetato mi dissetarono con l’aceto». Perfino l'eclissi di sole, inventata da Luca al momento della morte di Gesù, trova riscontro in Amos 8,9 e in Geremia 15,9.

Significative anche le profezie sulla natività di Gesù: la nascita da una Vergine (Matteo 1,22 sg.) fu dedotta da Geremia (7,14); Betlemme come luogo di nascita (Matteo 2,1 sgg.) da Michea (5,1 sgg.); la strage degli innocenti (Matteo 2,16 sgg.) da Geremia (31,15), e la fuga in Egitto (Matteo 2,13 sgg.) da Osea (11,1).

Insomma non c'è un episodio della vita di Gesù, anche minore, che non sia stato costruito sulle profezie veterotestamentarie. Citate, però, se facevano comodo. Se invece sconfessavano la crocifissione, come nel versetto attribuito a Mosè: «Perché chi pende dal legno, costui è maledetto da Dio» (Deuteronomio 21,23), rigorosamente ignorate.


Il profeta Isaia



venerdì 15 novembre 2013

La prova delle profezie (Parte prima) 88

Nella Chiesa delle origini la prova della divinità di Gesù, oltre che nei miracoli, era fondata nel presunto adempimento delle profezie a lui riferite dal Vecchio Testamento. Gli adempimenti profetici su Gesù costituirono uno strumento fondamentale del missionariato e, come attesta Origene, per i cristiani erano "la prova più salda» della verità della loro dottrina". Essi contavano più dei miracoli, allora abituali, e furono innumerevoli coloro che proprio per questi adempimenti vennero guadagnati alla nuova fede.

Ma nel mondo antico le profezie, anche le più inverosimili, erano all'ordine del giorno e tutti le credevano senza batter ciglio.. Vengono riferite già a proposito di Buddha, di Pitagora e di Socrate. I Neopitagorici e i Neoplatonici, difendevano le profezie pagane a spada tratta , e persino uomini come Plinio il Vecchio e Cicerone, che non credevano nei miracoli, credevano saldamente nelle profezie.

Intorno al 12 a.C. la letteratura profetica era talmente ipertrofica, che, secondo Svetonio, l’imperatore Augusto, in qualità di Pontifex Maximus, fece bruciare duemila libri di profezie,che circolavano anonimi o insufficientemente accreditati.
Giustino Martire non avrebbe assolutamente creduto in Gesù, se in lui non si fossero adempiute le profezie messianiche. E Origene enumera «migliaia di passi», nei quali i Profeti parlano di Cristo (Orig., Cels. 4, 2). In effetti, nel Nuovo Testamento si trovano circa 250 citazioni del Vecchio Testamento. e più di 900 allusioni ad esso. Ma in realtà, gli Evangelisti, con mirabili contorsioni, hanno agganciato tutti i più normali fatti reali della vita di Gesù a presunte profezie veterotestamentarie, creando collegamenti spesso assursi e inverosimili.

Già nel 1802 Schelling, in una prolusione allo studio della Teologia, definiva molti racconti neotestamentari, soprattutto quelli riferiti alla nascita e alla passione: «favole ebraiche, inventate dietro suggerimento delle profezie messianiche del Vecchio Testamento». Per cui la Passione di Gesù narrata nei Vangeli non corrisponde alla storia effettiva, ma è stata favolisticamente composta sulla base della Bibbia ebraica.




Friedrich Schelling


martedì 12 novembre 2013

L'inferno, oggi, secondo il sesus fidelium 87

l dogma della punizione eterna, il più terribile e devastante della Chiesa, secondo il “sensus fidelium”, cioè l'istinto di fede dei cristiani, non ha oggi molti credenti e in futuro ne avrà sempre di meno. Il suo rifiuto è in progressivo aumento anche da parte di non pochi ecclesiastici, che pur non rinnegandolo in modo palese, di fatto ne ignorano l’esistenza, non parlandone mai nelle omelie domenicali e nelle catechesi.

Oggi molti credenti, specialmente quelli che lo sono più per tradizione che per convinzione (e sono la maggioranza), cominciano a rifiutare questo terrore infantile perché ritengono che nessun Dio, ammesso che ne esista uno, possa comminare all'uomo (teoricamente una sua creatura) un castigo così spropositato. Ma la Chiesa ufficiale, quella arroccata in Vaticano, tuttora imbalsamata nel suo dogmatismo medievale, persiste nel farlo credere senza avvertirne la demenziale assurdità.

Con ciò avvallando la tesi che il cristianesimo, con tutti i suoi infiniti crimini perpetrati contro l'umanità e con tutte le sue oppressioni contro la libertà e la felicità umana, ha sempre considerato la vendetta e la punizione più atroce come l'inferno, imperativi ben più dolci dell’amore del prossimo predicato nei suoi vangeli.
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venerdì 8 novembre 2013

La tesi della totalità della salvazione 86

Il castigo dell'inferno non ammette redenzione ed è la forma più spietata di punizione divina mai immaginata da nessun'altra religione. Talmente spietata che per molti credenti è ritenuta "un assurdo morale" e rappresenta la negazione di Dio stesso in quanto gli attribuisce sentimenti di odio e di vendetta, assolutamente incompatibili con un Essere Supremo, considerato sommamente giusto e misericordioso e che sempre ama, perdona e riconcilia.

Un Dio giudice inappellabile nega quindi categoricamente che “Dio sia un Padre infinitamente buono e misericordioso", come predicano i Vangeli, e contrasta col Gesù evangelico che invitava i suoi discepoli a perdonare settanta volte sette, cioè sempre.

Anche nella Chiesa delle origini alcuni importanti dottori sostenitori della totalità della salvazione e dell’universalità della riconciliazione negavano l'eternità dell'inferno affermando che esso, con l'arrivo della Parusia, avrebbe avuto termine per tutti, anche per i demoni. Era soprattutto la celebre dottrina dell’Apokatastasis di Origene a sostenere che lo scopo ultimo della storia sarebbe stata la ricostituzione di tutte le cose in Dio.

Tesi sostenuta in forme un po’ diverse anche dai Padri della Chiesa Gregorio di Nazianzio e Gregorio di Nissa, dai più accesi seguaci della Riforma protestante (Gli Anabatisti), da molti Pietisti, e, al giorno d'oggi, da tutta una serie di teologi moderni.



Il nobile Origene, al quale il pensiero che gli uomini dovessero soffrire in eterno appariva non solo inaccettabile, ma anche inconciliabile con l’amore e l’onnipotenza di Dio, proprio a causa di questo suo rifiuto dell’eternità dell’Inferno venne condannato dalla Chiesa e considerato un eretico. In effetti, dove sarebbe andata a finire la Chiesa senza il minaccioso ricatto di un Inferno perpetuo?

Origene alessandrino



martedì 5 novembre 2013

L'inferno, secondo S.Ignazio di Loyola (85)

Negli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti, uno, e precisamente il Quinto, consiste in una profonda riflessione sull’Inferno. Ancor oggi ogni Gesuita deve prendere parte a codesti Esercizi due volte nella vita per quaranta giorni e ogni anno per otto giorni.

Un primo esercizio preliminare deve rendere visibile all’occhio dell’immaginazione la lunghezza, la vastità e la profondità dell’inferno; un secondo esercizio preliminare prescrive «un sentimento vivissimo dei castighi inflitti ai dannati»; quindi in un esercizio in cinque punti ogni singolo senso deve suggerire l’immagine dell’inferno: l’occhio «quello smisurato fuoco ardente e le anime quasi come dentro corpi infuocati»; l’orecchio «il pianto, l'ululato, le strida, le bestemmie contro Cristo nostro Signore e tutti i Santi»; il naso «Il fumo,lo zolfo, le pozze di putridume dell’inferno»; il gusto «le amarezze, le lacrime, la tristezza, il rimorso»; il tatto deve «provare quegli ardori infuocati che avvolgono le anime e le bruciano».

Inoltre, colui che compie tali esercizi deve «richiamare alla memoria tutte le anime che si trovano nell’Inferno» e gioire perché essi (ancora) non ne fan parte. Questo quinto esercizio è raccomandato da Ignazio «un’ora prima di cena».

Non so se i Gesuiti oggi persistono a considerare validi i demenziali ingredienti antichi e medievali che il fondatore e primo generale dell’ordine pretendeva fossero incessantemente oggetto di rappresentazione realistica del dogma dell'inferno, addirittura attraverso evocazioni tattili. Temo proprio di sì. Ecco perché papa Francesco, che apparentemente sembra voler scrostare la Chiesa dagli orpelli barocchi che la tengono ancora pietrificata, persiste, come i precedenti papi, a rimestare la pentola dell'inferno, quando ormai non ci crede più nessuno.



S.Ignazio di Loyola



venerdì 1 novembre 2013

La rappresentazione dell'inferno nella Chiesa dello origini 84

Nella Apocalisse di Pietro, ritenuta scrittura sacra dalla maggior parte del cristianesimo occidentale ancora intorno al 200,l’inferno si trova «immediatamente di fronte al cielo», e la rappresentazione inebriata dei tormenti infernali: «si brucia, si tortura, si arrostisce», sembra rappresentare il godimento massimo degli abitanti del Paradiso. Le torture dei dannati superano ogni immaginazione.

«Ve n’erano appesi alle lingue: si trattava di coloro che diffamarono la via della giustizia, e sotto di loro ardeva un fuoco che li tormentava. E c’era un vasto lago colmo di melma ardente, nella quale si trovavano gli uomini che distorsero la giustizia, e gli angeli li incalzavano con le loro torture. E c’erano inoltre anche donne appese per i capelli, proprio sopra quella fanghiglia brulicante: erano coloro che si erano imbellettate per l’adulterio; e quelli che con esse avevano consumato tale turpe commercio erano appesi per i piedi, colla testa conficcata in quella mota, e dicevano: “Non credemmo che un giorno saremmo giunti in questo luogo”» (Apc. Petr. 6 sgg.).

Anche la Seconda Epistola di Clemente assicura ai cristiani che potranno vedere gli in-fedeli e gli atei «nel fuoco inestinguibile fra i terribili dolori delle torture; e il loro tarlo non perirà, e il fuoco non si spegnerà, ed essi saranno ludibrio della carne». Un altro Padre della Chiesa, Cipriano, promette ai fedeli la contemplazione dei tormenti dei persecutori d’una volta considerandola un arricchimento della felicità celeste, e perfino il dotto Lattanzio accresce la beatitudine eterna con la vista della miseria dei dannati (LacL,div. Inst. 7, 26, 7). Questi Padri della Chiesa sostenevano esplicitamente che i peccatori hanno bisogno di un corpo immortale per essere in grado di sentire i castighi infernali.

Quando i cristiani non furono più perseguitati, ma cominciarono a loro volta a perseguitare gli altri, la descrizione dei dolori inflitti ai dannati si attenuò, ma ciononostante il teologo ufficiale della Chiesa Tommaso d’Aquino, «mite come un agnello», ironizzava il filosofo tedesco Nietzsche, dichiarava :«Affinché la beatitudine sia più piacevole (magis complaceat) per i santi e costoro ringrazino ancor più Dio per questo, essi devono contemplare perfettamente (perfecte) le punizioni dei dannati».



Lattanzio



martedì 29 ottobre 2013

La discesa agli inferi (Parte seconda) 83

Ma, a dir la verità, nei Vangeli manca qualsiasi traccia di tutto ciò, anzi il dogma della discesa agli inferi è contraddetto da Luca, secondo il quale Gesù trascorse in Paradiso già i primi giorni dopo la sua morte. In effetti, al «buon» ladrone egli non si perita di dire: «In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso», frase che presuppone un’ascensione di Gesù in cielo direttamente dalla croce.

Ma questo brano in netta contraddizione con altre parole di Gesù, venne talvolta cancellato e dichiarato un falso operato dagli eretici. Nella comunità primitiva l’idea di una Resurrezione e di un’Ascensione al cielo direttamente dalla croce svolse un ruolo essenziale. Ma poiché la cristianità esigeva prove più concrete dell’evento, l’idea dell’Ascensione dalla croce ha ceduto a poco a poco alla credenza nella Resurrezione dal sepolcro.

Ma molti Padri della Chiesa sostennero espressamente che Gesù sconfisse gli spiriti maligni proprio durante la sua Ascensione al cielo. Infatti, nel Cristianesimo primitivo molti fedeli credevano che l’inferno non si trovasse nel mondo sotterraneo, bensì in quello celeste e ciò rendeva più agevole agli abitanti del Paradiso un’esigenza mostruosa tipicamente cristiana: la piacevole contemplazione delle sofferenze dei peccatori e degli anticristiani nell'Inferno. Tertuliano e molti altri dottori della Chiesa, come Tommaso d'Aquino, la consideravano la massima gioia,



Tertulliano



venerdì 25 ottobre 2013

La discesa agli inferi. 82

I cristiani del I secolo non si posero mai il problema di che cosa fece Gesù dopo la morte sulla croce. Nessuno degli Evangelisti vi fa riferimento e tace in proposito la maggior parte dei restanti autori neotestamentari. Solo la prima Epistola di Pietro, falsamente attribuita a questo apostolo, accenna di sfuggita alla permanenza del Signore nell’Inferno per alcuni giorni, per attuare la salvazione delle anime di quanti erano morti in precedenza. Questa è l'unica prova neotestamentaria fondamentale del dogma.

Il descensus ad inferos, che oltre che dalla Chiesa, in un primo tempo fu insegnato esclusivamente da Marcione (Secondo Iren., adv. haer. 27, 3), nacque, solo nel II secolo, e fu a partire dal IV secolo che i Sinodi si preoccuparono di inserire nella professione apostolica di fede la postilla «discese all’Inferno»!

Ma l’idea che gli dei discendevano nel mondo sotterraneo era corrente da molto tempo nella tradizione religiosa pagana (ad esempio, nei miti egizi, babilonesi ed ellenistici), nella quale svolgeva un ruolo decisivo per la determinazione della fede nell’immortalità.
Nell’antico Egitto, Ra e Osiride combatterono le forze dell’oltretomba, a Babilonia si conosceva un viaggio infernale di Istar già nel III millennio a.C., ed esiste un testo del XlV secolo a.C. che racconta il viaggio sotterraneo del dio Nergal, il quale prende d’assalto il mondo infernale, sconfiggendone gli eserciti e suscitando un violento terremoto. Nella discesa del dio Marduk è descritta la grande gioia provata dai prigionieri all'arrivo del loro Salvatore. E anche la discesa infernale di Eracle, descritta da Seneca, il dio reca la luce ai pallidi defunti e li libera dal carcere, non diversamente da quanto farà Cristo.

Per gli studiosi, quindi, vi è una chiara dipendenza della discesa di Cristo agli inferi da quella degli dei dell'antichità. Però per i cristiani delle origini
era necessario trovarne le prove nel Vecchio Testamento, che verso la metà del Il secolo era ancora l’unica scrittura sacra autorevole per loro. Ma siccome nella Bibbia ebraica non ve n’era traccia, si provvide a crearla, falsificando un nuovo versetto di Geremia, che dissero essere stato cassato dal testo per mano degli ebrei (Giustino, Dialogo con l'Ebreo Trifone, 12 sgg; 16 sgg.; 26 sgg.). Il dottore della Chiesa Ireneo fa riferimento a questa falsificazione cristiana non meno di sei voltei (Ireneo, Contro gli eretici).

Il viaggio infernale di Cristo divenne ben presto un tema popolare nel mondo cristiano dal II secolo in poi e assunse gradualmente arricchimenti esornativi e anche caratteristiche drammatiche, e non pochi autori cristiani inviarono in quel luogo spaventoso anche gli Apostoli in veste di predicatorie di battezzatori.


Giustino



martedì 22 ottobre 2013

La resurrezione di Cristo (Nona parte) 81

L ‘ipotesi della morte apparente è sostenuta soprattutto dai medici, ma venne difesa da teologi del XVIII secolo come K.F. Bahrdt e K.H. Venturini, e perfino da teologi moderni.

Giuseppe Flavio ci informa che chi veniva affisso alla croce poteva sopravvivere dopo la deposizione. Abbiamo molti riscontri storici in proposito, giacché la morte sulla croce, secondo Cicerone «la più crudele e la più obbrobriosa», era frequente nell’antichità e in uso già in Persia , da dove Alessandro Magno la diffuse nel suo vasto impero, e a partire dal II secolo a.C. fu introdotta anche in Palestina.

Nell’88 a.C. Alessandro Janneo, re degli Asmonei, in occasione di un banchetto celebrativo d’una sua vittoria, fece crocifiggere in presenza delle sue amanti, 800 Farisei ribelli, ordinando che i figli e le mogli venissero uccisi ai piedi delle croci ( Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche. 13, 14, 2). Nel 71 a.C. sulla Via Latina, fra Roma e Capua, M. Licinio Crasso fece crocifiggere seimila schiavi.

I crocifissi spesso sopravvivevano interi giorni, abbandonati alla fame e alla sete, al sole e alla pioggia, alle mosche e ai rapaci, torturati poi dai dolori orribili causati dai chiodi che ne trapassavano i polsi.

I fautori dell’ipotesi della morte apparente si appellano soprattutto al fatto che la morte sulla croce sopravveniva non per dissanguamento ma per esaurimento fisico, e che Gesù, a causa del Sabato, restò appeso alla croce soltanto sei ore (dalle nove del mattino fino alle tre del pomeriggio). Per di più nessun Evangelista dice esplicitamente che Gesù fosse morto e, infine, che il colpo di lancia viene menzionato solo da Giovanni, e non dev’essere stato mortale.




K.F.Barhardt



venerdì 18 ottobre 2013

La resurrezione di Cristo (Ottava parte) 80

L’ipotesi che le apparizioni del Risorto siano state un’esperienza soggettiva, un evento puramente spirituale nelle anime dei discepoli, è molto antica, perché è già presente nella cristianità primitiva, anche in ambiti sicuramente ecclesiastici. Dopo il teologo e filosofo David Friedrich Strauss tale supposizione viene sostenuta nella sua versione moderna da molti teologi, i quali affermano che non fu il Risorto a originare la credenza nella Resurrezione, bensì la ben più antica credenza nella Resurrezione a generare le visioni del Risorto.

In effetti, il Nuovo Testamento contiene numerose attestazioni della disposizione visionaria dei Discepoli e l’uomo antico non sempre era in grado di distinguere fra il reale e l’immaginario e persino le visioni oniriche avevano per molti il valore di una realtà effettuale e oggettiva.

I fautori dell’ipotesi della visione, inoltre, possono contare su un «testimone della corona» del calibro di Paolo, che nella Prima Lettera ai Corinzi (15, 3 sgg.), la più antica notizia cristiana dell’evento, egli parla delle apparizioni a Pietro, a Giacomo e agli Apostoli con le stesse parole, con le quali descrive l’apparizione da lui avuta sulla via di Damasco, equiparando l’esperienza personale, di natura sicuramente visionaria, a tutte le altre esperienze della Resurrezione. Gli Apostoli, dunque, secondo Paolo, videro il Signore solo in modo visionario, come era accaduto a lui stesso.



Maurice Goguel mostra quanto appaiano pressoché penose agli occhi della teologia critica le notizie evangeliche della Resurrezione di Gesù e dell’Ascensione, tanto che sarebbe forse meglio che vi sorvolassero: «Miracoli di tal fatta rivestono un’importanza fondamentale per la storia della Cristianesimo, ma non ne hanno alcuna per la storia di Gesù».

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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)