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martedì 26 febbraio 2013

In quale lingua furono scritti i primi documenti cristiani? 17


Tutti gli studiosi sono concordi nell'ammettere che i manoscritti più antichi
del Nuovo Testamento risalgono al II secolo, sono tutti scritti in greco e provengono da codici e non da rotoli. (I più antichi che possediamo - Codice Sinaitico e Codice Vaticano- risalgono però a dopo il IV secolo). Inoltre sono altrettanto concordi nell'affermare che non è mai esistito il presunto Vangelo originale in aramaico, tradotto poi in greco, e che non esistono tracce di alcun genere di sue citazioni.

Però la tradizione patristica sostiene che i primi documenti cristiani non furono scritti direttamente in greco ma in una lingua semitica, l’ebraico oppure l’aramaico. L’ebraico era nel I secolo la lingua “ufficiale” della religione e della letteratura giudaica mentre l’aramaico (una forma dialettale dell'ebraico) era la lingua parlata di fatto dagli ebrei in quel periodo. Quindi in Palestina si parlavano sia l’ebraico che l’aramaico ma anche il greco era molto diffuso e conosciuto in quanto da Alessandro Magno in poi era diventato una sorta di lingua franca internazionale, parlata un po’ ovunque nella sua versione detta koinè, che si discostava significativamente dal greco letterario degli autori classici.

Secondo le testimonianze molto antiche negli scritti dei Padri dellaChiesa (le cosiddette prove esterne) che riportano informazioni sia sull’ordine di stesura dei Vangeli, sia sulla lingua nella quale vennero originariamente scritti, la lingua originaria dei Vangeli non era affatto il greco. Ad esempio lo storico della Chiesa Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.) nella sua Storia Ecclesiastica, opera scritta tra il 315 e il 320 d.C. e pervenutaci in greco, riporta una citazione di Origene (185-250 d.C. circa) tratta dal “Commentario a Matteo” su questo argomento, nella quale Origene afferma che il Vangelodi Matteo venne scritto originariamente in ebraico. L’esistenza di una primitiva versione ebraica di questo testo è testimoniata anche da Girolamo (340-420 d.C), l’autore della Vulgata latina, secondo cui ai suoi tempi un esemplare di questo Vangelo ebraico veniva ancora conservato presso Cesarea, verso il 392 dopo Cristo. Ma, molto probabilmente, esso non corrisponde a quello che attualmente attribuiamo a Matteo quanto invece al "Vangelo degli Ebrei" quello che, oltre ad essere stato il primo ad apparire, è stato anche la matrice degli altri. Fu definito da Paolo nelle sue Lettere il "Vangelo maledetto", perché sconfessava il Gesù teologico da lui inventato e sosteneva soltanto quello messianico, crocifisso da Pilato. Questo Vangelo fu fatto sparire dai Padri della Chiesa perché considerato contrario all'ortodossia.

Scritto in ebraico e utilizzato dai primi giudeo-cristiani di Gerusalemme, il Vangelo degli Ebrei risaliva, nel suo nucleo originario, a pochi decenni dopo la morte di Cristo, ed era molto diverso dai nostri Vangeli canonici. Non conteneva, ad esempio, il processo di Gesù di fronte a Caifa, perché questo non era ancora stato inventato, e, soprattutto, ignorava tutte quelle aggiunte inverificabili di natura teologica e catechistica che vanno dalla nascita verginale all'istituzione dell'eucaristia. Pur contenendo forti richiami all'ascetismo esseno, escludeva tutti quei molteplici inviti all'amore per i nemici (che allora erano soltanto i romani oppressori) e alla non violenza che avrebbero suscitato scandalo e indignazione in tutto Israele, se fossero stati predicati nella Palestina del tempo, e scatenata la vendetta inesorabile degli zeloti. In esso Gesù era considerato il Messia davidico di natura umana e non divina, venuto a liberare Israele dal giogo romano, e un ebreo ligio all'osservanza della Legge e non il fondatore di una nuova religione. In altre parole, Gesù non era stato demessianizzato e degiudeizzato come nei Vangeli posteriori. Veniva attribuito all'apostolo Matteo ed era chiamato sia il Vangelo secondo gli Ebrei, sia il Vangelo secondo Matteo. Quello che ora porta lo stesso nome fu fatto riscrivere posteriormente dai seguaci di Paolo in lingua greca.

Secondo molti studiosi, questo Vangelo è stato il prototipo da cui sono derivati tutti gli altri ed è chiamato anche la Fonte Q. Di esso, che come abbiamo già accennato fu fatto scomparire dalla Chiesa, ci sono pervenuti soltanto brevi accenni che i Padri della Chiesa nei secoli II, III, e IV hanno riportato nelle loro opere al solo scopo di confutare i nazirei e gli ebioniti (nomi coi quali si designavano i cristiano-giudei della Chiesa di Gerusalemme) che rimasero sempre fedeli ad esso. In base a queste considerazioni, anche se è un dato di fatto che non abbiamo frammenti in ebraico od aramaico dei Vangeli e del resto del Nuovo Testamento, alcuni studiosi che hanno esaminato a fondo il testo greco dei quattro Vangeli da un punto di vista linguistico sono giunti a conclusioni sorprendenti: una analisi lessicale approfondita del greco presente in quei testi mostra l’esistenza di un evidente sostrato semitico, in particolare ebraico. 

venerdì 22 febbraio 2013

L'arte sacra della menzogna 16


La Chiesa fa passare i quattro Vangeli come opera dei primi Apostoli e dei loro discepoli, gettando così le fondamenta della loro autorità. In realtà, essi non derivano dall’attività di nessun apostolo. Neppure il pubblicano Matteo può essere l’autore del cosiddetto Vangelo di Matteo, in quanto l’opera non venne composta in ebraico, secondo la tesi della più antica tradizione ecclesiastica , bensì in greco; e inoltre non può risalire a un testimone oculare.

Questa è la posizione di quasi tutta l’esegetica biblica non-cattolica, mentre la Chiesa cattolica attribuisce questo vangelo all’apostolo Matteo. Ma gli esegeti cattolici sono costretti ad ammettere che non è mai esistito il presunto Vangelo originale in aramaico, tradotto poi in greco, e che non esistono tracce di alcun genere di sue citazioni.

La Chiesa ha collocato tutto ciò che ha potuto sotto il manto protettivo degli Apostoli, al fine di conferire alle scritture una maggiore autorevolezza e di far credere che discende da loro. Ad esempio, ha sempre sostenuto un'ininterrotta successione di vescovi a partire dall’epoca apostolica onde dimostrare il trasferimento da Dio a Gesù, da Gesù agli apostoli e da questi ai vescovi e ai papi delle cariche ecclesiastiche. Una successione del genere non è mai esistita. Ma la Chiesa, procedendo a falsificazioni di ogni genere, ha colmato i vuoti tra gli apostoli e i vescovi monarchi inventando tutta una serie di nomi fasulli. Il termine «apostolico» è diventato per essa un collante universale. La dottrina, i dogmi, le forme di culto, il canone, la Chiesa stessa e quant'altro, tutto secondo essa è di origine apostolica. Ma in realtà si tratta soltanto di un cumulo di falsi. Nel Cristianesimo è sempre stato consentito l’inganno in nome e in onore di Dio.

Le falsificazioni, iniziate già in epoca neotestamentaria, non sono mai cessate e continuano al giorno d'oggi. La liceità dell’inganno e della menzogna come «strumenti di salvezza» fu sostenuta già da Paolo (Romani 3,7 e Filippesi 1,15) e in seguito da molti Padri della Chiesa tra i quali san Crisostomo e perfino Origene, forse il più eminente e autorevole dottore cristiano dell’antichità. Sono diventate l'arte sacra della menzogna , come afferma Nietzsche.

Origene


martedì 19 febbraio 2013

Fine della Parusia 15


Quando gli imperatori elevarono il Cattolicesimo a religione di Stato e la Chiesa si mondanizzò, l'attesa del Regno di Dio in Terra si mutò in una sciocca ingenuità. I vescovi se la passavano magnificamente bene, erano diventati dei piccoli satrapi a vita, circondati dal lusso e dallo sfarzo e non intendevano più sentir parlare della fine del mondo. Anzi nel V secolo i Padri della Chiesa esclamavano:«Possa tutto ciò non accadere ai nostri giorni! Perché terribile è il ritorno del Signore!»

Il vescovo ciambellano di Costantino, Eusebio di Cesarea, padre della storia della Chiesa, giunse a dileggiare come persona completamente imbecille il vescovo Papias, morto martirizzato intorno al 150, perchè aveva sempre ostentata la sua intensa fede escatologica. Insomma, tutto rimase come prima. Invece di una nuova era di pace e giustizia si accettò quella di sempre caratterizzata da guerre, ambizione, ingiustizia sociale cui si aggiunsero le intolleranze e le persecuzioni, spesso favorite dalla nascente Chiesa.

A questo punto si cominciò addirittura a pregare «per il rinvio della fine», e contemporaneamente «anche per gli imperatori, per coloro che ricoprivano uffici imperiali, ed esercitano la pienezza del potere». I cristiani,ai quali nei primi due secoli era proibita ogni forma di attività pubblica, cominciarono a gareggiare coi pagani nell’agricoltura, nel commercio, nella navigazione e nell’artigianato, e a poco a poco trovarono che l’esistenza terrena era abbastanza tollerabile; ritennero il mondo, prima del tutto ripudiato, disprezzato e persino odiato, ben degno di essere vissuto. In tal modo venne falsificato il concetto della buona novella, della creazione, cioè, del regno di Dio in Terra, e la più antica fede cristiana venne allegorizzata, spiritualizzata e modificata.

Con questa metamorfosi, che sostitutiva il Regno di Dio in Terra con quello dei Cieli nell'aldilà trascendente la Chiesa fu salvata e consolidata nei secoli. Questa opera di falsificazione fu perfezionata da Agostino, il primo a identificare il Regno di Dio con la Chiesa, capovolgendo radicalmente la primitiva fede cristiana (Agostino De civitate Dei, 20, 9). Ben pochi cristiani sono oggi consapevoli che la loro dottrina nacque nella convinzione che Cristo sarebbe tornato quando i testimoni oculari dei suoi insegnamenti erano ancora in vita, cioè poco dopo la sua crocifissione e che quindi la Chiesa è una istituzione falsa, non in linea coi Vangeli.

Agostino


venerdì 15 febbraio 2013

Le contorte spiegazioni teologiche sulla mancata Parusia. 14


Ma perché il Cristo non arrivava? Come mai quel futuro tanto radioso ritardava? In molti documenti, con imbarazzate contorsioni teologiche, i fedeli venivano esortati continuamente alla pazienza Si rinnovava ripetutamente la promessa: la fine è assai prossima, presto giungerà il Signore! Goethe ha ironizzato su questa credenza nel frammento dell’Ewiger Jude: «I preti urlavano in lungo e in largo: ecco, arriva il tempo estremo, pentiti ormai, schiatta peccaminosa. Disse l’Ebreo: non me ne do pensiero,da troppo sento parlar dell’Ultimo Giudizio».

Allorché la crisi divenne più acuta, e sempre più fitti si fecero i dubbi i cristiani cominciarono a rispondere«L’abbiamo sentito dire al tempo dei nostri padri, ed ecco, siamo diventati vecchi, e nulla di tutto ciò si è realizzato» (Clemente 23, 3) la nascente Chiesa cattolica, ormai consolidata e mondanizzata, per giustificare la mancata Parusia, e salvare capra e cavoli, si appoggiò al Salmo 90,4 che recita: “Ai tuoi occhi (Signore) mille anni sono come il giorno di ieri che è passato”. Si cominciò allora ad affermare addirittura che tutto il tempo intercorrente fra la creazione e la fine del mondo era per Dio soltanto un giorno; l’indugio, poi, non ad altro era dovuto se non alla magnanimità del Signore.

Questa spiegazione non era nuova: infatti, già per gli Esseni, che vissero nell’attesa della prossima fine, il ritardo venne giustificato, sostenendo che «i misteri di Dio sono mirabili»,«la fine ultima si procrastina da un giorno all’altro, e ancora manca qualcosa al compimento di tutto ciò che i profeti hanno detto... Se indugia, aspetta, chè di certo arriva, e non potrà mancare».

Intorno al 150 Giustino, l’apologeta più importante del Il secolo, esorta gli ebrei con queste parole «Vi resta ancora poco tempo per unirvi a noi; dopo il ritorno di Cristo non avranno più alcun valore né il vostro pentimento né il vostro pianto».Anche per lui il ritardo della fine non è che la manifestazione della bontà di Dio. Tra le argomentazioni più assurde per giustificare la Parusia mancata ci fu anche quella che Dio aspettava che la Chiesa crescesse prima di annientare il mondo o che ancora non erano nati tutti gli uomini che dovevano essere salvati.

Giustino


martedì 12 febbraio 2013

Grotteschi episodi legati alla Parusia 13


Nella Didaché (10, 6) i cristiani pregavano: «Venga la grazia, e trapassi questo mondo» «Vieni, o Signore!». Erano l’invocazione e la preghiera dei primi cristiani, che mai si stancavano di levare gli occhi al cielo, sulle cui nuvole attendevano Gesù in carne e ossa.

Nel Ponto un vescovo annunciò che entro l’anno sarebbe avvenuto il Giudizio Universale, sì che la comunità si disfece di ogni avere, aspettando la fine in preghiera per molte settimane. L’imbarazzo del vescovo non dev’essere stato trascurabile, dal momento che aveva rafforzato la sua profezia con le parole: «Se non accadrà ciò che vi ho detto, d’ora in avanti non crederete nella Scrittura, ma ciascuno farà quel che vorrà». In Siria, un altro vescovo si incamminò verso il deserto con tutta la comunità dei fedeli, bambini compresi, per andare incontro al Signore, che ormai s’appressava. Rischiarono di morire tutti difame e di sete se la polizia pagana non fosse intervenuta in tempo.

Secondo Tertulliano (De Patientia, 2) fu enorme la massa dei cristiani che dopo essersi stancati di levare gli occhi al cielo, sulle cui nuvole attendevano Gesù in carne e ossa, abbandonarono la fede in un Signore così poco puntuale. Allora la Chiesa, per salvare capra e cavoli, e giustificare la sua istituzione, con mirabili contorsioni teologiche trasferì la Parusia nell'adilà trascendente e il Regno di Dio in cielo.

venerdì 8 febbraio 2013

Anche l’intera cristianità primitiva rimase delusa 12


I seguaci di Gesù, in primis gli apostoli, trascorsero i giorni successivi alla sua morte in una tensione febbrile, in attesa del suo ritorno in carne e ossa dalle nuvole e della fine del mondo. Che attendessero imminente il ritorno del Signore, cioè la Parusia, ce lo attestano non solo singoli passi delle Epistole di Paolo, dei Santi Pietro e Giacomo e dell'Apocalisse, ma anche la produzione letteraria dei Padri della Chiesa e la vita della primitiva collettività cristiana.

«La fine di ogni cosa è vicina» preannunciava la Prima Lettera di Pietro (4,7) e la Lettera agli ebrei ammoniva: «Ancora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve venire verrà, e non si farà aspettare» (10,37). E Giacomo: «Siate dunque pazienti, cari fratelli, fino alla venuta del Signore... Il giudice è alle porte» (5,7: 5,9). Il mancato ritorno di Gesù e la continuazione della storia arrecarono difficoltà enormi ai capi cristiani, specie in età apostolica o immediatamente post-apostolica, benché ce ne siano state tramandate scarsissime notizie. Paolo nella sua prima Lettera indirizzata ai Tessalonicesi dovette affrontare la grave delusione per il ritardo dell'arrivo del Risorto, ritenuto imminente da tutti i credenti e anche dallo stesso Paolo.

L'attesa spasmodica dell'imminente ritorno aveva creato delle situazioni paradossali; molti, infatti, avevano venduto tutti i loro averi per essere liberi da preoccupazioni materiali, e abbandonata ogni tipo di attività, erano scivolati in un ozio pernicioso nell’attesa imminente del Risorto.

Paolo, che già cominciava a nutrire seri dubbi sulla Parusia dovette usare tutta la sua forza persuasiva per convincere i suoi seguaci che la Parusia poteva anche tardare, secondo i piani imperscrutabili del Signore, e per invitare tutti ad attendere alle normali occupazioni della vita, rifuggendo dall'ozio malefico. Comunque per tutto l'intero II secolo rimase costante l’idea del prossimo ritorno di Gesù, come provano tutte le fonti cristiano-antiche, interne o esterne al Nuovo Testamento, e anche nel III secolo il Padre della Chiesa Cipriano sostenne con estrema decisione l’imminente ritorno del Signore. 

Cipriano


martedì 5 febbraio 2013

L'amburghese Hermann Samuel Reimarus per primo evidenziò l'errore di Gesù. 11


L’orientalista amburghese Hermann Samuel Reimarus (morto nel 1768) fu il primo ad evidenziare che la buona novella annunciata da Gesù era stata un abbaglio. Per prudenza, però, stante il clima oscurantista dell'epoca,non pubblicò mai il manoscritto di 1400 pagine, intitolato Vom Zwecke Jesu und seiner Junger (Finalità di Gesù e dei suoi discepoli); solo dopo la sua morte Lessing, nonostante le riserve degli amici Mendelssohn e Nicolai, pubblicò alcuni estratti di quest’opera importantissima. In seguito, la scoperta di Reimarus fu definitivamente accolta dal teologo Johannes WeiB e rielaborata soprattutto da Albert Schweitzer fra ‘800 e ‘900.

Lo sconcerto nel mondo protestante e cattolico fu grande, enorme lo sdegno. Infatti, Reimarus meteva in chiaro due cose: 1) che Gesù collegava strettamente il concetto del prossimo Regno di Dio, centro del suo insegnamento, alle analoghe concezioni giudaiche correnti in quell’epoca; 2) che si era irrimediabilmente sbagliato. Ma a dispetto delle aspre ripulse iniziali dei teologi liberali, le nuove prospettive apparivano convincenti, e oggi vengono quasi universalmente considerate come la rivoluzione copernicana della teologia moderna da tutti i teologi che non siano aprioristicamente vincolati ai dogmi tradizionali.

Oggi, per merito di Reimarus, appare del tutto assodato, che l’intera cristianità primitiva credette in un Regno di Dio ormai prossimo, convinta di una catastrofe universale imminente e che, quindi la predicazione di Gesù non riguardava minimamente l'istituzione di una struttura permanete nei secoli come la Chiesa

Samuel Reimarus


venerdì 1 febbraio 2013

L'errore di Gesù. 10


Che Gesù fosse pienamente convinto dell'imminente arrivo del Regno di Dio in Terra ne troviamo molte tracce nei Vangeli. Ad esempio, quando predice ai discepoli che siederanno su 12 troni e guideranno le 12 tribù d’Israele, promettendo: «Un giorno mangerete e berrete alla mia tavola nel mio regno» (Mt. 19, 28; Lc. 22, 30; cfr. anche Mt. 26, 29.). E poi quando insegnò la preghiera: «Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra» (Mt. 6, 10), e quando disse: «Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora il Regno dei cieli è oggetto di violenza, e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11, 12). Anche nell'Apocalisse il veggente vede la nuova Gerusalemme scendere in piena gloria dal cielo a compimento del Regno di Dio in Terra.

Non è necessario spendere molte parole per affermare che Gesù s’ingannò sulla fine dei tempi e sull'imminente venuta del Regno di Dio. Il Gesù sinottico pare non aver dubbi in proposito convinto che il tempo mondano presente fosse ormai trascorso e che alcuni dei suoi discepoli non avrebbero «gustato la morte prima d’aver visto il Regno di Dio venuto nella sua potenza» (Mc. 9, 1; 1,15; 13, 30; Mt. 4, 17; 10, 7; 10, 23; 16, 28.), e non sarebbero giunti alla fine della loro missione in Israele «prima che fosse giunto il figlio dell’uomo» (Mt. 10, 23); che il giudizio di Dio si sarebbe compiuto «sopra questa generazione»! (Lc. 11, 51) «In verità vi dico questa generazione non passerà prima che tutto sia avvenuto» (Mc. 13, 30).In realtà, anch’egli, come i Profeti, gli Esseni, le Apocalissi giudaiche e Giovanni il Battista, sembra considerare come ultima la propria generazione, profetizzandone la prossima fine con grandissima intensità.

Apocalisse


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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)