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martedì 30 aprile 2013

Il Vangelo di Giovanni (Parte seconda). 35


Il quarto Vangelo è lo scritto più antiebraico del Nuovo Testamento. I brani apertamente antisemiti, secondo D. J. Goldhagen, sono nel suo Vangelo centotrenta. Cosa ben strana! Possibile che Giovanni, il missionario fra i giudei, una delle «colonne» della comunità gerosolimitana, fosse divenuto un tale odiatore di ebrei? E poteva forse lui, l’ebreo-cristiano, continuare la teologia paolina, fondamento del Vangelo di Giovanni, ma combattuta dalla primitiva comunità giudaico-cristiana?. E come si concilia il Giovanni sinottico, il «figlio del tuono» (Mc. 3, 17), col pacifico, dolce discepolo preferito di Gesù del quarto Vangelo? E com’é che questo Vangelo, che menziona vari discepoli di Gesù, non cita mai Giovanni e Giacomo, figli di Zebedeo, tanto spesso in primo piano nel racconto dei Sinottici?

E infine: se l’autore del Vangelo fosse davvero l’apostolo Giovanni, lo avrebbe scritto all’età di circa 100-120 anni, due, tre generazioni dopo la morte di Gesù. Il che è francamente inverosimile. Già da decenni erano stati scritti Vangeli da altri, che non avevano conosciuto Gesù. Perché Giovanni avrebbe dovuto aspettare per tanto tempo? Ha senso, da parte cattolica, giustificare le contraddizioni fra il Vangelo di Giovanni e i Sinottici con la fiacchezza della memoria propria dell’età avanzata dell'apostolo?

Ma si tralascia o si sottace che «Giovanni», a dispetto dei presunti disturbi di memoria, ha tenuto a mente più degli altri evangelisti discorsi di Gesù assai più ampi, che stridono in modo davvero singolare con l’ispirazione divina e le amnesie! E che se anche i Sinottici spesso si contraddicono, le differenze fra il quarto Evangelista, presunto testimone oculare, e i suoi predecessori, siano particolarmente grossolane e numerose e riguardano sia l'assenza in esso di molti ed importanti episodi narrati dagli altri evangelisti sia, viceversa, la presenza di alcuni significativi avvenimenti, completamente ignorati negli altri Vangeli. Li esamineremo nei prossimo post.

D.J.Goldhagen


venerdì 26 aprile 2013

Il Vangelo di Giovanni. 34


Fin dal II secolo alcuni Padri della Chiesa si resero conto che il Vangelo di Giovanni si differenziava sostanzialmente dai tre Sinottici. Nel XIX secolo i teologi David Friedrich e soprattutto Ferdinand Christian Baur dimostrarono brillantemente ch’esso fu ideato in vista di una determinata concezione dogmatica, senza alcun riguardo alla realtà storica, e che va inteso in senso
squisitamente allegorico. Esso sembra costituire una fonte per la predicazione di Gesù per il cristianesimo dell’epoca postapostolica.

Questo Vangelo non fu composto dall’apostolo Giovanni come dimostra da oltre cent’anni l’intera bibliologia critica, soprattutto per l’opera sagace del teologo Karl Theophil Bretschneider, apparsa nel 1820 (Probabilia de evangelii et epistularum Joannis apostoli indole et origine), e i lavori di D.F. Strauss e F.C. Baur. In epoca più recente la stessa tesi fu sostenuta da un certo numero di ricercatori cattolici.

Il quarto Vangelo vide la luce come minimo intorno all’anno 100, mentre il martirio dell’apostolo Giovanni ebbe luogo alcuni decenni prima, giacché venne ucciso col fratello Giacomo (Atti, 12, 2) nel 44, probabilmente durante il regno di Erode Agrippa I, oppure (più verosimilmente) nel 62, insieme a Giacomo, fratello del Signore. Sia il Martirologio Siriano sia quello Armeno del 411 menzionano come martiri «Giovanni e Giacomo apostoli a Gerusalemme».

La paternità dell’apostolo Giovanni fu sostenuta per la prima volta da Ireneo (adv. haer. 3, 1, 1), alla fine del II secolo mentre fino ad allora lo avevano ignorato Marcione, Giustino, Papia e lo stesso Policarpo che, secondo la Chiesa, era discepolo di Giovanni. Quindi non esistono testimonianze precedenti ad Ireneo e tutte quelle successive si riferiscono a lui.. Per altro, Ireneo si lascia sfuggire diverse imprecisioni significative: ha confuso, probabilmente l’apostolo Giovanni, che, a suo dire, visse in Efeso fino ad età avanzata, col vescovo Giovanni di Efeso, che visse in quella città intorno all’anno 100.

Come attesta il vescovo Papias, questo Giovanni era una personalità assai stimata in Asia Minore, nominata ancora intorno al 140 col nome di Presbyter ma successivamente come Apostolo. È importante notare che l’autore della Seconda e della Terza Epistola di Giovanni, che la Chiesa assegna all’Apostolo, all’inizio si definisce ogni volta come «Il Presbyter». Ma perché, se egli era l’Apostolo? Perché lo stesso Padre della Chiesa Gerolamo disconosce all’Apostolo la Seconda e la Terza Epistola di Giovanni? E perché persino il papa Damaso I in un indice dei libri della Bibbia, da lui composto nel 382, attribuì due delle Epistole di Giovanni non all’apostolo Giovanni, bensì a un «altro Giovanni, il Presbyter» (alterius Johannis presbyteri).

A sfavore dell’identificazione dell’apostolo Giovanni col quarto Evangelista depone anche il fatto che il più esperto conoscitore dei fatti della Chiesa d’Asia Minore, il vescovo Ignazio (Ignat. Eph. 12, 2), non accenna mai nei suoi scritti all'apostolo Giovanni. In una lettera agli efesini, Ignazio ricorda espressamente Paolo (Ign. Eph.12,2), il celebre fondatore di quella comunità, ma non cita neppure di passaggio l’apostolo Giovanni, che sarebbe vissuto e avrebbe operato a lungo proprio lì, amato e venerato da tutti, fin quasi ai giorni della nascita dell’opera di Ignazio. Le lettere di Ignazio, poi, non denotano alcuna influenza del quarto Vangelo, che pure avrebbe potuto fornire argomentazioni brillanti a questo fiero oppositore degli eretici.
Pesanti riserve, infine, contro la composizione di questo Vangelo ad opera dell’apostolo Giovanni scaturiscono dal carattere del testo medesimo. Sarebbe stato scritto ben diversamente, qualora fosse stato redatto dal figlio di Zebedeo, il discepolo di Gesù. Infatti lo spirito dell’Apostolo, quale è a noi noto attraverso i Sinottici, nulla ha a che fare con l’Evangelista.

Sant'Ignazio


martedì 23 aprile 2013

Gli evangelisti posteriorei a Marco, oltre a Gesù, idealizzarono anche gli apostoli. 33


Il processo evangelico di idealizzazione, con cui Matteo, Luca e Giovanni affinarono e innalzarono sempre di più la figura del «Cristo» fino a divinizzarlo, finì col coinvolgere anche gli apostoli che in Marco sembrano piuttosto sprovveduti e faticano a capire spesso le parabole del Maestro.

Già Matteo abbellisce la loro immagine rispetto a Marco per mezzo di correzioni o di omissioni. Se, ad esempio, Marco dice che i discepoli non capiscono Gesù, Matteo, nei passi analoghi lo omette. Più di una volta in Marco Gesù dice agli apostoli: «Non comprendete ancora?» Matteo, capovolgendo le parole di Gesù, scrive: «Allora compresero» (Cfr. Mc. 8, 21 con Mt. 16, 12). Se Marco racconta che ad avanzare la richiesta superba di poter sedere alla destra e alla sinistra del trono del Signore furono personalmente Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, Matteo assolve i due apostoli dall’accusa di ambizione, dicendo che fu la loro madre ad avanzare tale pretesa .

Matteo, quindi, capovolge tutto ciò che Marco scrive a proposito delle scarse capacità intellettuali degli apostoli e trasforma spesso un rimbrotto in elogio. Esempio: Gesù in Marco rimbrotta i discepoli dicendo: «Non comprendete questa parabola? Come potete allora essere in grado di capire parabole?» Ma Matteo nel passo corrispondente li esalta dicendo: «Ma i vostri occhi sono beati, perché vedono, e le vostre orecchie perché sentono» (cfr. Mc. 4,13 con ML 13, 16).

Nel terzo Evangelista questa tendenza alla trasfigurazione è ancor più accentuata. Luca, infatti, omette del tutto la superba richiesta dei figli di Zebedeo, avanzata, secondo Matteo, dalla loro madre, e allo stesso modo cassa il rimprovero di Gesù a Pietro: «Via dai miei occhi, Satana!», e passa sotto silenzio la fuga dei discepoli durante l’arresto di Gesù.

Il Vangelo più antico fu, dunque, meno apprezzato dal cristianesimo primitivo, ed è significativo che i Padri della Chiesa lo abbiano commentato assai raramente e che in numerosi manoscritti antichi esso sia stato relegato all’ultimo posto. E ancor oggi la Chiesa attribuisce la priorità al Vangelo di Matteo, proprio per il fatto che si tratta di un’edizione accresciuta e corretta di quello di Marco. Persino un teologo cattolico Wikenhauser, scrive che Matteo e Luca ebbero «sicuramente» l’intenzione di «creare qualcosa di migliore e di più completo rispetto a Marco». Evidentemente lo Spirito Santo,sonnacchioso in Marco, si è risvegliato in pieno solo nei Vangeli di Matteo e Luca.

Alfred Wikenhauser


venerdì 19 aprile 2013

A proposito del battesimo di Gesù (Terza parte). 32


Grandi perplessità suscitano nel Vangelo di Matteo due incongruenze piuttosto grosse riguardanti il battesimo di Gesù somministrato dal Battista. Scrive Matteo: “Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto" (Mt 3,16-17).

Per Giovanni Battista questo evento è la prova assoluta che in quel momento Gesù viene adottato quale figlio di Dio e futuro Messia. Ma nello stesso Vangelo di Matteo, otto capitoli dopo, mentre è in carcere, Giovanni mostra di aver del tutto dimenticato quanto accaduto durante il battesimo, e a dispetto del cielo aperto, della colomba e della voce dello Spirito Santo, manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù: “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo attendere un altro?” Immaginate l'imbarazzo della Chiesa di fronte a questa smemoratezza del Battista!

Altra grossa incongruenza: se il battesimo per Gesù fu così importante, come ci fanno notare i Vangeli, perché durante la sua attività pubblica Gesù non battezzò mai nessuno, nemmeno i suoi discepoli? Qualcuno potrebbe obiettare che gli apostoli ricevettero da Gesù l’ordine di battezzare in nome della Trinità, come scrive Matteo: «E dunque, andate e insegnate a tutti i popoli e battezzateli in nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo...» (Matteo 28,19).
Si tratta di un ennesimo falso, aggiunto dopo il IV secolo, messo in evidenza da due considerazioni. Anzitutto, al tempo di Matteo, nessuno era a conoscenza della Trinità, la cui formulazione avvenne soltanto col secondo Concilio ecumenico del 381, che inserì il dogma della Trinità nel cosiddetto credo niceno-costantinopolitano.

In secondo luogo, Matteo si contraddice avendo scritto in precedenza, proprio nel suo Vangelo, che Gesù aveva esplicitamente vietato il missionariato presso i non ebrei. “Non andate tra i pagani e non entrate in nessuna città dei samaritani, ma andate piuttosto verso le pecore perdute della casa d'Israele.” (Matteo 10,5-6). Quindi il battesimo cristiano nasce, non da Gesù e i suoi apostoli, ma da Paolo, che lo derivò da quello pagano dei riti iniziatici delle Religioni Misteriche. Nell'antico Egitto, tra i numerosi dei c'era anche il dio Anap, detto il “battezzatore”.

Battesimo di Gesò


martedì 16 aprile 2013

A proposito del battesimo di Gesù (Seconda parte). 31




Nel Vangelo più antico Gesù viene adottato quale figlio di Dio solo nel Battesimo. Infatti Marco fa decorrere il suo essere figlio di Dio solo a partire dal suo battesimo, mentre in Matteo egli viene già generato da una vergine quale bambino divino, e in Luca Giovanni il Battista venera Gesù quando è ancora nel seno materno (Lc. 1, 40 sgg.).

Il racconto marciano mostra in modo chiarissimo che per i primi seguaci Gesù non è né Figlio di Dio né Dio, poiché solo con la discesa dello Spirito divino Gesù viene divinizzato. Se lo fosse stato dalla nascita, la ricezione dello Spirito divino sarebbe stata superflua. Quindi nel Vangelo più antico egli viene adottato come Figlio di Dio soltanto all’inizio della sua attività pubblica. Infatti: «E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto» (Mc. 1, 12), ci mostra come l’Evangelista, vuole esprimere in modo evidente quanto reale e immediato fosse per lui il rapporto fra l’accoglimento dello Spirito e l’inizio dell’attività spirituale di Gesù.

La narrazione, nella quale lo Spirito di Dio, durante il battesimo, discende su Gesù sotto forma di colomba, è un calco delle antiche saghe d’investitura, dell’elezione del re mediante gli uccelli, la cui discesa indica con chiarezza colui che viene prescelto. Presso Siri e Fenici la colomba era il simbolo della divinità protettrice della generazione e colombe aleggiavano sopra le teste dei monarchi egizian fin dall'antichità. Perfino gli antichi teologi ebrei immaginavano lo Spirito di Dio come una colomba e consideravano la sua voce nel Cantico dei Cantici come la voce dello Spirito Santo.

Battesimo di Gesù


venerdì 12 aprile 2013

A proposito del battesimo di Gesù (Prima parte) 30


Il battesimo di Gesù ha sollevato fin dall'antichità delle perplessità. La prima ce la fornisce Marco quando ci informa che il battesimo di Gesù ad opera di Giovanni aveva un carattere espiatorio in quanto determinava la remissione dei peccati. Il fatto, quindi, che venisse impartito a Gesù, che secondo la dottrina della Chiesa è assolutamente senza colpe essendo figlio di Dio, presupponeva in lui la consapevolezza del peccato. Ciò ha provocato un certo sconcerto negli altri evangelisti.

Già Matteo si vide costretto a tentarne una giustificazione, rispetto al carattere espiatorio del battesimo fornito da Marco, inserendo un dialogo teso a dimostrare che il Battista era perfettamente consapevole dell’innocenza di Gesù quando gli dice: «Io dovrei essere battezzato da te, e tu vieni da me?» Ma Gesù gli risponde: «Lascia che ciò accada, per ora».

In Luca, che presenta Giovanni nell’atto di rendere omaggio al Salvatore non ancora nato, nel seno materno (Lc. 1, 41 sgg.), l’imbarazzante battesimo di Gesù viene appena sfiorato in una frasetta secondaria “Quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo” (Lc. 3, 21).

Il quarto e ultimo Vangelo di Giovanni omette del tutto il battesimo
di Gesù, sostituendolo con un inno solenne al Salvatore "Giovanni gli rende testimonianza e grida: "Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me"(Gv 1, 15 sgg.) , e polemizza sottilmente con il Battista, che la Chiesa convertirà poi in «precursore» di Gesù, mentre in realtà ne fu il concorrente.

Anche i cristiani posteriori cercarono di attenuare l'importanza del battesimo in maniera sempre più imbarazzata per non dire assurda. Sant’Ignazio espresse l’opinione che col battesimo il Signore avesse voluto santificare l’acqua, e mille anni dopo Tommaso d’Aquino condivise ancora il parere di questo vescovo.

Sant'Ignazio


mercoledì 10 aprile 2013

Il Vangelo di Giovanni (Quinta parte) 38


Il Vangelo di Giovanni poté diventare utilizzabile dalla Chiesa solo mediante un‘opera di rimaneggiamento. Inoltre, questo Vangelo, nato probabilmente in Asia o in Siria al principio del Il secolo (come anche la Prima Epistola di Giovanni), venne rimaneggiato alcuni decenni più tardi, perché la Chiesa aveva condannato l’originale; e se non fosse stato troppo noto e popolare, forse Io avrebbe fatto scomparire del tutto.

E così, verso la metà del II secolo, questo «scritto eretico» venne ecclesiastizzato da un anonimo redattore, che, limitandosi ad aggiunte senza ricorrere a soppressioni, non poté evitare le incongruenze. Nel testo antico gli ebrei figuravano quali creature del demonio: nella sua rielaborazione la salvezza viene proprio da loro! Interpolazioni ecclesiastiche più consistenti sono la pericope dell’adultera (Giovanni 7, 53; 8, 11) e l’intero capitolo 21 che tenta di recuperare il ruolo primario di Pietro mediante la triplice affermazione di Gesù risorto "pasci le mie pecorelle" (Giovanni 21,15-17). Essendo chiaramente un falso accettato da tutta la teologia critica e anche da teologi cattolici si può desumere chiaramente che il Vangelo si concluda col capitolo 20.

Il rimaneggiamento ecclesiastico si propose, fra l’altro, di far apparire il Vangelo come opera dell’apostolo prediletto Giovanni; e anche se il suo nome non viene menzionato, esso provvide non senza astuzia a che si imponesse, per così dire, da solo. I cristiani d’Asia Minore credevano di sicuro alla paternità dell’Apostolo, evincendone il nome dal testo più agevolmente che se egli stesso lo avesse dichiarato apertamente.

Negli ambienti «ortodossi» il Vangelo di Giovanni, pur così popolare, non godette di una buona fama. Gli «eretici» Valentino ed Eraclio lo rivalutarono per primi, riconoscendovi l’espressione di una personale convinzione religiosa. Eraclio ne scrisse persino il primo commento.

Sembra anche che lo preferissero gli eretici montanisti; al contrario, non viene menzionato da nessuno dei Padri apostolici. E persino la Roma ecclesiastica vi si contrappose duramente sulle soglie del Il secolo, talvolta con repulsione esplicita. In seguito, però, la Chiesa cominciò a porre in secondo piano o a reinterpretare attraverso il quarto Vangelo i Sinottici, più antichi e perciò più arretrati. In fondo, per gli scopi della Chiesa ufficiale, esso appariva più fecondo, nella misura in cui con la sua rappresentazione di Cristo il processo di divinizzazione di Gesù era pressoché compiuto.

martedì 9 aprile 2013

Considerazioni sulle genealogie di Gesù.


Le due genealogie, quella di Matteo che giunge fmo ad Abramo, e quella di Luca che arriva addirittura ad Adamo, sono totalmente diverse. Da Abramo a Gesù Luca conta 56 generazioni, Matteo 42; il padre di Giuseppe, cioè il nonno di Gesù, in Matteo si chiama «Giacobbe», in Luca «Eli». Da Giuseppe a Davide, periodo che comprende un millennio, i due alberi genealogici hanno in comune solo due nomi. Fin dall’antichità molti cristiani rimasero perplessi di fronte a queste contraddizioni e per superarle in taluni casi ricorsero alle falsificazioni. Nei Vangeli più antichi fu proprio l’albero genealogico di Gesù a subire molte correzioni.

Secondo il cattolico Karl Hermann Schelkle: «I due Evangelisti non si sono letti reciprocamente, e proprio i loro alberi genealogici non si conoscono l’un l’altro, altrimenti non avrebbero simili differenze nei nomi». Ma per papa Leone XIII, nessun problema, perchè nella sua enciclica Providentissimus Deus, egli afferma con sicumerica certezza che gli evangelisti «esprimono con infallibile veridicità tutto ciò che Dio ha ordinato loro di scrivere e soltanto quello». Quindi per questo papa e solo Dio il confusionario.

A proposito della genealogia di Matteo, suscita in noi una certa perplessità il fatto che questo evangelista inserisce in essa quattro antenate di Gesù che, a detta della Bibbia, erano donne di facili costumi e, per di più, non di sangue ebreo. Sono: la cananea Tamara, che si fa passare per meretrice, onde giacere col suocero in un rapporto incestuoso (Genesi 38); la cananea Raab che si prostituisce in casa propria (Giosuè 2); la moabita Rut, adescatrice di uomini, ma anche proclive all'omofilia, per il suo legame con Noemi (Rut), e, infine, Betsabea, l'adultera hittita, che dopo aver tradito il marito Huria con David, acconsente all'uccisione del coniuge per unirsi definitivamente al re

Leone XIII


venerdì 5 aprile 2013

Come nasce la leggenda dei due padri di Gesù. 28


Per Matteo e Luca Gesù discendeva dal seme di David ma anche dallo Spirito Santo. Come è potuta nascere questa inconciliabile e assurda duplice paternità? Ecco una probabile spiegazione. Presso i cristiano-giudei di Gerusalemme, Gesù era considerato soltanto un Messia che, secondo l’idea messianica ebraica del tempo, doveva appartenere alla discendenza dalla casa di Re David. Per questa ragione Matteo e Luca fanno nascere Gesù non a Nazareth, ma a Betlemme, in Giudea, perché lì aveva avuto origine la famiglia di David e gli attribuiscono una genealogia davidica. Marco di un simile adattamento alle aspettative messianiche degli ebrei non sapeva nulla e quindi ignora la cosa.

Quando nel IV secolo s'impose presso i cristiano-pagani, discendenti dai seguaci di Paolo, la credenza nella verginità di Maria e della necessità di dare un seme teogamico a Gesù, nel frattempo divinizzato come Figlio di Dio, ecco che nei Vangeli di Matteo e di Luca alla discendenza di Gesù dalla casa di David, raccontata in due genealogie concernenti Giuseppe, venne aggiunta l'assurda contraddizione che il padre di Gesù non era Giuseppe, ma lo Spirito Santo. Quindi Gesù si trovò ad essere figlio di David, attraverso Giuseppe, secondo la tradizione più antica derivata dagli apostoli, e figlio dello Spirito Santo, attraverso Maria, secondo la teoria paolina che lo divinizzava.

I padri della Chiesa hanno fatto le più incredibili contorsioni teologiche per conciliare questa assurdità. Una di queste, collegandosi con la genealogia riportata da Luca, pretende di dimostrare che Maria sarebbe una discendente di David. Teoria non solo in contraddizione col testo scritturale,, ma che contraddice anche il principio per cui non si elencava la parentela materna, essendo determinante, secondo la concezione giuridica ebraica, esclusivamente la discendenza maschile. 

Entrambe le genealogie di Gesù elencate da Matteo e Luca (tra l'altro totalmente inconciliabili e combacianti in due soli nomi) si riconducono chiaramente a Giuseppe, e tutti i tentativi di conciliare le due cose sono condannati al fallimento. Persino i cattolici più intransigenti, come Daniel Rops, devono riconoscere che «è impossibile costruire una genealogia, che unisca la madre di Gesù con Davide». Ma la massa dei credenti, costituita da beoti, continua imperterrita a non cogliere queste assurde contraddizioni.

Daniel Rops


martedì 2 aprile 2013

Nel Vangelo di Marco Gesù non è onnipotente,nè onnisciente né assolutamente buono. 27


Marco in più occasioni nega la divinità di Gesù. Infatti nel suo Vangelo Gesù non ci appare onnipotente perché a Nazareth  non riuscì a fare alcun miracolo a causa della incredulità della gente. Questo fatto oltre a dimostrarci la non divinità di Gesù ci dimostra anche la non esistenza dei miracoli.

I miracoli, infatti, sono guarigioni di natura psicosomatica che per verificarsi necessitano di una fede cieca da parte del malato nei poteri taumaturgici del guaritore e dell'appoggio psicologico dei presenti. In caso contrario non avvengono. Se dipendessero da Dio avverrebbero senza condizioni.

In Marco, Gesù non è nemmeno onnisciente: infatti, dice chiaramente a proposito del giorno del Giudizio, che nessuno ne conosce il momento preciso, ad eccezione di Dio, «neppure il Figlio» (Mc. 13, 32; anche 13, 30). Tale espressione suscitò forti perplessità nei primi cristiani.

Ai Padri della Chiesa del IV secolo, apparve tanto funesta, che, contro l’evidenza testuale del Vangelo di Marco, o la negarono tout court, o la considerarono un falso (Ambrogio, De fide, 5, 8) o, addirittura, la stravolsero del tutto (Basilio. Ep. 236, 2).
E infine, Gesù in Marco non è assolutamente buono, perché a un ricco che lo definisce «buono» risponde: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, soltanto Dio» (Mc. 10, 18). Gesù, dunque, non pensa affatto di equipararsi a Dio. 

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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)