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martedì 30 luglio 2013

L'Essenismo: un cristianesimo prima di Cristo (Prima parte). 61

La grande importanza dei Manoscritti del Mar Morto consiste soprattutto nel fatto che hanno svelato la natura dell’Essenismo, fino al momento della loro scoperta ancora indecifrabile e misterioso, ma rivelatosi una prova inconfutabile dell’affinità e della dipendenza del Cristianesimo da talune forme di religiosità precristiana.

Fin dal principio del XVIII secolo alcuni studiosi ritennero, sulla base delle notizie allora conosciute sugli Esseni, che la comunità di Gesù fu soltanto una ramificazione dell’Essenismo. Nel 1864 · Christian David Ginsborg (The Essenes, 1864) era sicuro di poter riconoscere un Esseno nella figura dello stesso Gesù, perché questi polemizzò continuamente contro Farisei e Sadducei, ma mai contro gli Esseni, la terza, grande setta ebraica del tempo. Anche lo studioso ebreo H. Graetz fu allora totalmente convinto della derivazione essenica del Cristianesimo, da lui dfinito addirittura «un Essenismo con elementi estranei».

Tuttavia non esistevano elementi probatori in tal senso. Si conoscevano gli
Esseni solo attraverso le testimonianze indirette, soprattutto di due storici ebrei di lingua greca, Filone di Alessandria e Giuseppe Flavio, entrambi concordi nello stimare gli appartenenti alla setta in numero di circa quattromila. Poi, nel 1896, nella Geniza della Sinagoga del Cairo fu scoperto il Libro di Damasco, pubblicato nel 1910, che derivava direttamente dagli Esseni. Ciononostante ancora negli anni 20 e 30 del secolo scorso la Chiesa insistette nell’affermare che l’insegnamento di Gesù «si contrappone radicalmente all’Essenismo sia nel contenuto dogmatico che in quello etico» per cui «l’Essenismo non ha lasciato tracce nel Cristianesimo né sul piano dottrinale né sul piano organizzativo; esso non ha esercitato alcun influsso né sul suo fondatore né, tanto meno, sui suoi diffusori».

Nel medesimo tempo, invece, studiosi insigni come Wilhelm Bousset espressero di nuovo l’opinione che «questa setta sembra il canale attraverso il quale nella primissima fase evolutiva del Cristianesimo nascente confluirono taluni elementi eterogenei». In ogni caso, mancavano ancora sicure prove storiche per affermare queste tesi.

Ma nella primavera del 1947 due giovani beduini in cerca d’una capra smarrita, in una grotta a circa due km dalla riva nordoccidentale del Mar Morto scopersero dei manoscritti in ebraico e in aramaico, i quali, grazie anche a ulteriori sensazionali ritrovamenti negli anni ‘50, gettarono finalmente una luce chiarissima sugli Esseni, e soprattutto sulle loro relazioni con la setta di Gesù.



Christian David Ginsborg


venerdì 26 luglio 2013

I concetti di”Evangelo”, “Redentore” e “Signore” (kyrios) derivano dalla religiosità pagana. 60

In un ambito sociale nel quale l’esistenza di un «Dominus ac Deus» in ogni imperatore cominciò a diventare a poco a poco stile ufficiale di vita, il Cristianesimo non poteva privare il suo eroe Gesù di questo altissimo titolo onorifico.

Il termine Evangelo (gr. Euaggelion-buona novella), che manca in molti scritti neotestamentari, e che per lungo tempo fu considerato una creazione specifica del linguaggio cristiano, deriva dal Paganesimo. Esso è già presente in Omero (Odissea 14, 152 sg.), dove indica la ricompensa per chi arreca buone novelle. Ma la parola fu in uso anche con accezione religiosa negli antichi oracoli e in seguito specialmente proprio nel culto degli imperatori, a proposito della lieta novella dell’ascesa al trono di un nuovo sovrano .

Ma già nelle dottrine di Zarathustra, non meno di sei secoli prima di Cristo, le locuzioni «lieta novella», «buona novella», «novella salvifica per tutti i popoli» sono ripetutamente attestate. Non è assolutamente certo, del resto, che Gesù abbia usato per la sua predicazione il concetto di «Evangelo». Alcuni celebri teologi (come ad esempio Wellhausen) lo hanno contestato.

Come la parola «Evangelo», anche la denominazione cristologica di «Salvatore» (Sotér) era pagana, assai diffusa in epoca precristiana con tutte le connotazioni di carattere strettamente religioso. Fin dal 2000 a.C. i faraoni di Tebe venivano celebrati come Salvatori del loro popolo, come soccorritori nei bisogni della loro esistenza. Altrettanto avveniva nell’insegnamento di Zarathustra, il quale si sentiva come Salvatore invocato, come «sapiente Salvatore della vita», «l’amico che guarisce la vita», «il Soccorritore».
In seguito, il predicato di Salvatore divenne titolo onorifico di corte dei sovrani
ellenistici e nome cultuale delle divinità misteriche. Alessandro, i Seleucidi in Siria e i Tolomei in Egitto avevano tale sacra definizione, come Zeus, Apollo, Asclepio, Ermes, Posidone e Serapide.

È facile osservare come avvenne la penetrazione della parola «Salvatore» nei più antichi scritti neotestamentari. Nelle Lettere di Paolo, la incontriamo per la prima volta nell’Epistola ai Filippesi, che venne composta a Roma, dove allora regnava Nerone, che portava il titolo di Caesar, Divus, Sotér, Imperatore, Dio, Salvatore. Fu Paolo, quindi che trasferì per la prima volta i titoli onorifici degli imperatori a Gesù, definendolo «il Cristo, il Signore Dio, il Redentore». Termini che Marco e Matteo non avevano mai usato e che da allora in poi penetrarono negli scritti neotestamentari. Intorno alla metà del Il secolo Gesù veniva chiamato da tutti i cristiani il «Redentore».

Anche l’espressione «Salvatore del mondo», con cui il Quarto Evangelista esalta il suo Cristo (Giovanni 4, 42 ), deriva dal culto imperiale. Già Cesare e Ottaviano venivano celebrati in Oriente quali «Salvatori del mondo», e in seguito anche Augusto, Claudio, Vespasiano, Tito e altri imperatori.

Insieme al termine «Redentore», dal culto cesareo trapassarono nel Nuovo Testamento altri predicati designanti dignità e altezza, fra i quali soprattutto la definizione di kyrios, «Signore», titolo tipicamente orientale, assegnato specialmente alla divinità. Questo titolo , per i sovrani romani, esprimeva non solo il potere imperiale, ma anche la sua natura divina. Già Claudio e Nerone si fregiarono del titolo di «Signore», e sotto Domiziano (81-96) l’espressione Dominus ac Deus noster possedette una valenza pressoché ufficiale. Il Quarto Evangelista, che scrisse in epoca tarda, pone sulla bocca di Tommaso la frase «Mio Signore e mio Dio» (Giovanni 20,28). La parola kyrios, si trova più frequentemente nel Vangelo di Luca, anch'esso molto tardo e diretto ai Gentili, e diventa quasi la norma nei Vangeli apocrifi.



È da notare, infine, che i simboli attribuiti a Gesù dall’arte cristiana (il trono, lo scettro, l’orbe terrestre) erano i contrassegni del culto cesareo. Concludendo: i motivi e gli attributi più sublimi degli antichi dèi, degli uomini-dèi e dei monarchi divinizzati vennero tutti assegnati alla denominazione del Cristo neotestamentario.

Omero


martedì 23 luglio 2013

Augusto: Messia, Redentore, Figlio di Dio. 59

Sulla scia del culto di Cesare ben presto il culto dell’imperatore fu l’unica religione capace di accomunare tutte le popolazioni del vasto impero romano. La celeberrima Egloga Quarta di Virgilio, composta intorno al 40 a.C. preannunciava la nascita di un bambino inviato dal cielo sulla terra, per portare la pace tanto desiderata. «Il tempo è ormai giunto - si legge nella poesia - già regna Apollo... Verrà generato un figlio dell’altissimo Signore». E nel suo poema l'Eneide il poeta latino aggiunge: Questo è l’uomo, è questi colui che da molto tempo fu promesso dai padri, Cesare Augusto, Figlio di Dio e apportatore dell’Età dell’oro. (Virgilio, Aen. 6, 791).

Al culto dei Cesari si collegarono, dunque, concezioni di ampia portata, raccolte poi dal Cristianesimo: l’idea della fine dell’antico male e dell’inizio di una nuova età felice, l'tà dell'oro, e il concetto che nel sovrano s’incarnasse la divinità, il Redentore e Signore.

Così accadde che Augusto (27 a.C. - 14 d.C.) venne adorato come un dio molto più di Cesare, benché tollerasse malvolentieri tale devozione. Gli si attribuirono parecchi miracoli, a lui furono innalzati splendidi templi e ben presto il suo culto mise in secondo piano gli altri riti religiosi.

La famosa iscrizione di Priene  (straordinaria città fra Efeso e Mileto, nell’odierna Turchia)  risalente al 9 a.C., e nella quale troviamo due volte la parola "Vangelo" poi adottata dal cristianesimo, afferma che il mondo sarebbe precipitato nel nulla senza la nascita di Augusto, che recò agli uomini tutti una comune felicità, a tutti la lieta novella, l’Evangelo, con la quale avrebbe avuto inizio una nuova era. L’imperatore appare come il Salvatore inviato da Dio, e nessuno potrà essere di lui più grande. Questa iscrizione lo esalta quale «Redentore dell’intero genere umano, la cui Provvidenza non soltanto esaudì le preghiere di tutti, ma addirittura le superò».

Perfino nella Palestina erodiana il culto di Augusto fu massicciamente presente. Erode battezzò col suo nome alcune città, fece costruire in suo onore un tempio e una cappella, e il suo cancelliere e storico di corte Nicola Damasceno scrisse un’esaltante biografia dell’imperatore, che potrebbe essere letta come un testo evangelico.

Infatti il culto di Augusto si diffuse molto prima di Roma nella parte orientale dell’Impero, ove le popolazioni, piene di entusiasmo religioso, iniziarono per prime la costruzione di altari e di templi in onore dell’imperatore. Soltanto nel corso del I secolo anche l’occidente più scettico accolse il nuovo culto, circondando il Sovrano (e da vivo e da morto) con un’aura.di divinità le cui visite furono celebrate come la «manifestazione, l’Epifania o la «Parusia», di un dio.

Il culto dell’imperatore, col quale Augusto veniva adorato come Messia e Redentore dell’Impero Romano, come Benefattore e Salvatore dell’Umanità, come Luce del mondo e Figlio di Dio, non fu in nessun caso ina mera espressione della fedeltà dei sudditi o di adulazione cortigiana; al contrario, esso fu in massima parte la manifestazione della devozione propria del tempo, che rispondeva al sentimenti religiosi e alle aspettative del popolo. È pur vero che continuò a persistere il culto statale degli antichi dèi, ma sottotono, come nella consapevolezza del loro declino.


Augusto imperatore


venerdì 19 luglio 2013

Pompeo e Cesare elevati al rango di divinità. 58

Gravido di conseguenze fu poi il fatto che il culto orientale della monarchia venne trasferito agli Imperatori Romani, divenuti anch’essi oggetto di adorazione divina. Infatti, gli scrittori neotestamentari trasposero la terminologia e le esperienze del culto imperiale nella teologia salvifica concernente la figura del Cristo.

Secondo la testimonianza di Cicerone, i Greci considerarono Pompeo «colui che è disceso dal cielo» convinzione antica propria, per altro, di numerosi figli di Dio. Alla morte del suo avversario Giulio Cesare, secondo la leggenda il sole si velò, si diffuse la tenebra, la terra si spalancò e i defunti tornarono sulla terra. Quando due anni dopo, un decreto del Senato lo elevò al rango di divinità, il suo culto si diffuse per tutto l’impero.

Il popolo Ateniese lo esaltò come Sotér (Salvatore, Redentore), e il popolo Romano credette incrollabilmente nella sua ascesa al cielo e nella sua divinizzazione. La ricerca teologica moderna scorge nella singolare liturgia di passione, con la quale Roma magnificò il grande defunto 75 anni prima della morte di Gesù «l’anticipazione di taluni motivi, che in seguito ebbero una storia notevole nella liturgia del Venerdì Santo della messa romana»



Giulio Cesare


martedì 16 luglio 2013

L’evoluzione del culto dei Monarchi. 57

Il monarca «divino» fu familiare a tutta l’antichità, in Oriente e in Occidente, a
pagani e a giudei, tanto che perfino da parte cattolica si è dovuto ammettere che la figura del Sovrano costituì una delle forme fondamentali dell’idea di «Redentore». L’antico re babilonese Ammurabi (1955-1912 a. C.) nel suo celebre Codice chiamò se stesso «rampollo reale eternamente vivente, dio solare di Babilonia, che fa sorgere la luce sopra la terra dei Sumeri e degli Accadici», e apparve come «il Pastore, il Redentore».

In Egitto, il Sovrano fu reputato l’incarnazione di Ra, dio del Sole.
In Nubia nel XIV secolo a.C. Amenofis III portava il titolo di «Grande Dio». Dio, Signore dell’Universo e Salvatore sono le definizioni della natura e della dignità dei sovrani dell’antico Oriente, tutte e tre riscontrabili nella simbologia linguistica della Bibbia. Con Alessandro Magno e i primi Diadochi nacque in seguito, sulla scorta di queste concezioni egizie, l’idea ellenistica delle prerogative divine della sovranità.

Nella teologia di Alessandro il personaggio storico, la cui leggenda cultuale offre non poche analogie con le narrazioni evangeliche, diventa «Dio vero in sembianze umane», viene proclamato «figlio di Dio» e talvolta è «celebrato addirittura con parole proprie della cristologia».

I successori di Alessandro innalzarono la venerazione del Sovrano a religione di Stato, Coi Tolomei, soprattutto con la potente schiatta regale dei Seleucidi (312-364), s’impose sempre di più la credenza orientale che nel sovrano di turno fosse incarnata la divinità, per cui i monarchi mantennero il soprannome di Epifane, cioè «Colui che si manifesta». Nel 167 a.C. Antioco IV fece coniare una moneta con la scritta che lo definiva «Dio in sembianze umane».


Antioco IV Epifane


venerdì 12 luglio 2013

La divinizzazione delle persone mortali nell’antico bacino del Mediterraneo. 56

Nell’antico bacino del Mediterraneo la divinizzazione di persone mortali era una prassi normale che anticipò quella che poi diventerà il culto dei Sovrani.
Sotto il profilo storico-religioso il Pitagora della storia e della leggenda costituisce il precedente più illustre di un uomo divenuto “theo”, sul cui modello si fondò poi il Cristianesimo.

Ancor prima della nascita di Pitagora (VI secolo a. C.), al padre fu preannunciato che il bambino sarebbe stato una benedizione per l’umanità intera. Come Gesù, anche Pitagora venne al mondo durante un viaggio dei genitori e durante la sua attivitò pubblica viene spesso circondato da grandi folle, diffonde il suo verbo per lo più mediante parabole, opera con l’insegnamento e l’esempio, guarisce malati nel corpo e nello spirito, placa le tempeste del mare.

Come Gesù, Pitagora fu schernito e perseguitato, discese negli Inferi, resuscitò dai morti e la sua resurrezione venne considerata un inganno. Ma altre analogie sorprendenti si riscontrano tra Gesù e Pitagora. Gesù era ritenuto Giovanni il Battista, Elia e il Messia, così Pitagora venne considerato il prediletto di Apollo, suo figlio o incarnazione del dio.

Pitagora non fu tanto un filosofo, benché, secondo Cicerone, fosse stato il primo a definirsi tale, quanto piuttosto un riformatore dell’intera esistenza umana, un Profeta, un Maestro di moralità, un taumaturgo, ovvero, come afferma Jakob Burckhardt, una grandiosa realtà religiosa. Sulla scia di Pitagora, Empedocle di Agrigento, forse suo discepolo, non solo godette di venerazione religiosa, ma si definì egli stesso un dio immortale. Di lui si racconta che abbia guarito appestati, resuscitato morti e placato tempeste, e che fosse soprannominato «dominatore dei venti».

Verso la fine del V secolo a.C. allo spartano Lisandro furono tributati onori come se fosse un dio e gli vennero innalzate are e recate offerte sacrificali. Con lui ha inizio il culto ellenistico della regalità divina, continuato poi dal culto romano degli Imperatori. Tutte queste divinizzazioni antiche influenzarono notevolmente la trasformazione dell’immagine neotestamentaria di Cristo.


Pitagora


martedì 9 luglio 2013

Il culto di Mitra e il cristianesimo. (Parte quarta) 55

Fra il III e il IV secolo la religione mitraica godette presso la corte imperiale del medesimo prestigio del Cristianesimo: Diocleziano, Galerio e Licinio consacrarono a Mitra, quale protettore dell’impero, un tempio a Carnuntum, sul Danubio, e Massimiano gli innalzò un Mitrèo in Aquileia. I suoi seguaci erano sparsi dappertutto, dalla Spagna al Reno, dalla Britannia alla Gallia, dove gli furono innalzati dei templi a Londra e a Parigi. La fede mitraica lasciò le proprie tracce addirittura in Scozia.

Allora per numero di adepti e per influenza sembrò sul punto di superare il Cristianesimo, cui fu particolarmente inviso, del quale, per altro, fu da un lato l’avversario più irriducibile, dall’altro il più importante precursore.
Come tutti gli altri culti, anche il Mitracismo dovette poi soccombere al divieto
degli imperatori cattolici: istigati dalla Chiesa. Ancora nel IV secolo i suoi fedeli vennero perseguitati dai cristiani, i suoi templi saccheggiati, i suoi sacerdoti assassinati e sepolti nei sacrari rasi al suolo.

Fra le rovine del Mitreo di Saalburg è stato ritrovato lo scheletro incatenato del sacerdote pagano, il cui cadavere era stato sepolto in quel luogo per dissacrarlo in perpetuo. La distruzione di questa religione comportò che i cristiani innalzavano le proprie Chiese sulle rovine degli antichi luoghi di culto mitraici perché, secondo un’antica credenza, in questo modo la divinità precedente era per così dire resa impotente o addirittura annichilita. Una cripta mitraica pressoché intatta si trova, ad esempio, sotto la chiesa di S. Clemente in Roma, e l’altare è collocato quasi esattamente sopra quello pagano.

La maggior parte dei Mitrei, non meno di quaranta (di cui circa una dozzina solo a Francoforte), sono stati scoperti in Germania, dove il culto di Mitra aveva uno dei suoi più importanti punti di forza. La fede mitraica si mantenne fino al V secolo solo sulle Alpi e sui Vosgi, ma poi fu eliminata dal cristianesimo anche qui e quasi totalmente dimenticata fino al XIX secolo.

Asclepio, Eracle, Dioniso, Mitra sono figure mitiche, mentre Gesù, come sostiene trionfalmente la Chiesa, è un personaggio storico e quindi sarebbe tutto veritiero ciò che di lui narrano i Vangeli. Ma forse che i miti non possono trapassare anche su personaggi storici? E Buddha, figura storica, non venne divinizzato quasi mezzo millennio prima di Cristo e altrettanto rapidamente? E non ci sono altre figure storiche, che godettero di venerazione religiosa dopo la morte o addirittura quando erano ancora in vita?





Mitreo di Marino


venerdì 5 luglio 2013

Il culto di Mitra e il cristianesimo. (Parte terza) 54

I seguaci di Mitra si richiamavano a una Rivelazione dedotta da Sacre Scritture; ponevano un diluvio all’inizio della storia e un giudizio universale alla fine; credevano nell’immortalità dell’anima ed anche nella resurrezione della carne.

Le istanze morali del culto di Mitra, il «Dio Giusto» e il «Dio Santo», non avevano nulla da invidiare a quelle dei cristiani. Come i cristiani, i mitraici dovevano imitare il modello del loro padre celeste, il vero, giusto e santo Mitra. Erano, quindi, tenuti a condurre una vita attivamente morale che imponeva «comandamenti» da perseguire categoricamente. Tra questi la castità e la temperanza erano annoverate fra le virtù più alte, e anche l’ascesi, come freno delle passioni, vi svolgeva un ruolo non secondario.

L’evoluzione delle due religioni presenta non poche altre analogie. I
Il Mitracismo, come il Cristianesimo, esercitò dapprima una forte attrazione soprattutto sui ceti più umili della società, conoscendo, per contro, il disprezzo dei Greci e dei Romani colti. Col tempo come il Cristianesimo, anche il culto mitraico coinvolse ben presto le cerchie più influenti della società imperiale romana.

Molti signori furono guadagnati alla nuova fede ad opera dei loro schiavi, proprio come accadde al Cristianesimo, e non era raro il caso in cui le più alte cariche religiose venivano ricoperte da schiavi, come nella Chiesa primitiva. «In questa confraternita- scrive Franz Cumont nella sua classica monografia sul culto di Mitra (Le religioni orientali nel paganesimo romano) -spesso gli ultimi erano i primi, e i primi erano gli ultimi, perlomeno esternamente».


Franz Cumont


martedì 2 luglio 2013

Il culto di Mitra e il cristianesimo. (Parte seconda) 53

La religione di Mitra era seguita da una comunità vastissima che si estendevano su tutto l’Impero Romano. Il capo si chiamava Pater patrum (padre dei padri), come il Sommo Sacerdote del culto di Attis e poi il Papa romano. I Sacerdoti portavano il titolo di «Padri» e i fedeli si chiamavano «Fratelli», definizione usuale anche presso altre forme di culto, come, ad esempio, in quello di Juppiter Dolichenus, i cui componenti si chiamavano fratres carissimi assai prima che i cristiani si servissero della medesima terminologia.

Il culto mitraico conosceva sette sacramenti, come ancor oggi fa la Chiesa cattolica, nella quale furono elevati a dogma nel 1439, durante il Concilio di Ferrara-Firenze. Il culto di Mitra possedeva inoltre un Battesimo, una Cresima e una Comunione consistente in pane e acqua celebrata, come nel Cristianesimo, in memoria dell’ultima cena del Maestro coi suoi discepoli e le ostie usate erano poi contrassegnate da una croce.

Ai Sacerdoti spettava soprattutto la dispensazione dei Sacramenti e la celebrazione del servizio divino, una specie di messa celebrata quotidianamente. La cerimonia più importante avveniva nella domenica (nel dies solis) durante la quale l’officiante pronunciava le sacre formule sul pane e sul vino e in quel momento particolarmente solenne si faceva squillare una
campanella come avveniva fino a poche anni fa nelle nostra chiese al momento della consacrazione.Sugli altari dei templi di Mitra era accesa una sorta di Luce Perenne, come esattamente si costuma da sempre nelle chiese del cattolicesimo.

Come si vede la Chiesa ha sempre seguito integralmente il rito mitraico.I Padri della Chiesa si resero conto dalle rassomiglianze dei riti e dei miti pagani con quelli del cristianesimo? Eccome! Scrive Giustino rivolgendosi ai pagani: «Quando poi sosteniamo che il Logos, prima emanazione di Dio, vale a dire Gesù Cristo, nostro Maestro, è stato generato senza l'atto sessuale, è stato crocifisso, è morto, è risorto ed è salito in cielo, allora non presentiamo nulla di strano al confronto coi vostri figli di Zeus...(Giustino, Apologia 1,20 sgg.).

Quindi riconoscevano la rassomiglianza, quasi perfetta, di Cristo con le divinità pagane. Ma come reagirono davanti a questo fatto? Mentendo spudoratamente, in quanto affermarono che erano i pagani ad aver copiato il cristianesimo, sorvolando sul fatto che le religioni misteriche i erano di gran lunga anteriori. Oppure ammettevano che il diavolo avesse in epoca precristiana svelato ai pagani tutti i segreti cristiani, per cui se i pagani battezzavano, celebravano il sacrificio di tipo eucaristico, possedevano venerande scritture, compivano miracoli come i cristiani, tutto ciò era semplicemente opera del demonio.


San Giustino


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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)