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martedì 29 gennaio 2013

Cos'era la buona novella dei Vangeli? 9


La promessa che anche sulla Terra sarebbe giunto il Regno di Dio. I primi cristiani considerarono la promessa dell’imminente Regno di Dio in Terra come un tratto caratteristico del messaggio di Gesù. La locuzione «Regno di Dio» si trova 14 volte in Marco, 30 in Luca e ancor più spesso in Matteo che, per altro, unico fra gli Evangelisti, lo parafrasa con l’espressione «Regno dei cieli», mai usata da Gesù.

I concetti evangelici di «Regno di Dio» e di «Regno dei cieli» sono, pertanto, equivalenti, e la loro differenza è puramente terminologica, anche se in seguito diverrà sostanziale: infatti quando si identificò il «Regno di Dio» di Gesù con la Chiesa, questa diventò la guida per il «Regno dei cieli»: «Già ora - scrive Agostino - la Chiesa è il Regno di Cristo e il Regno dei cieli». Il termine «Chiesa», che nega il Regno di Dio in Terra, compare solo due volte in tutti i Vangeli e determina il capovolgimeto dei rapporti rimandando all’aldilà ciò che i primi cristiani avevano atteso nell’aldiquà. Infatti, la speranza originaria dei cristiani nel futuro si riferiva a una incombente catastrofe totale mediante la discesa di Dio dal cielo e a una immediata trasformazione di tutte le cose terrene, compresi gli uomini.

Quindi non in un aldilà astratto, ad una condizione trascendente di beatitudine, alla vita eterna, nella quale credono oggi i cristiani, non senza il fervido desiderio che venga rinviata a tempi lontanissimi. Anche se il Gesù dei Vangeli non sceverò mai il significato esatto del «Regno di Dio» da lui predicato noi siamo indotti a a credere che egli, secondo le dominanti concezione del Giudaismo del suo tempo, si riferisse all’escatologia tardo-giudaica e all’imminente inizio del Regno di Dio in Terra.

Numerosi teologi, non vincolati da convincimenti dogmatici, concordano che Gesù con l'espressione «Regno di Dio» non intendeva un paradiso soprannaturale, ignorato da tutti gli ebrei, ma che - al contrario - lo voleva portare sulla Terra, in conformità alla sua frequentemente esaltazione dei poveri. Una Terra ricreata, dominata dai buoni e quindi senza ingiustizie, violenze, fame e sete.

Regno di Dio in Terra


venerdì 25 gennaio 2013

La derivazione pagana dell’attesa della fine del mondo nella Comunità cristiana primitiva.8


L’attesa della prossima fine del mondo non era specificamente cristiana, anzi
coincideva nei suoi tratti fondamentali con l’escatologia tardo-giudaica
la quale non fu senza influssi di altre religioni, avendo accolto in sè antichissimi miti orientali, soprattutto iranici, ma anche babilonesi ed egizi. In Iran, Babilonia ed Egitto l’idea d’un Signore divino che in veste di
Salvatore sarebbe venuto a portare una sacra fine dei tempi era conosciuta e molto diffusa.

Zarathustra (fra il 1000 e il 600 a.C.), parlò dell’imminente Regno di Dio come Gesù, e si aspettava la realizzazione di tale regno già durante la sua vita. E allorquando tale speranza andò delusa, i suoi seguaci non l’abbandonarono, come avverrà esattamente per i discepoli di Gesù.
Simili concezioni erano penetrate nel Vecchio Testamento come idee messianiche. Il profeta Isaia attendeva il Salvatore dalla stirpe di Davide.

Anche la credenza dei Farisei nella resurrezione dei morti, assunta poi dai cristiani, non era di origine giudaica, e appare per la prima volta nel profeta Ezechiele, che conosceva anche le visioni escatologiche straniere e scrisse, non a caso, durante la schiavitù babilonese. Negli ultimi secoli prima di Cristo la fede nella fine imminente fu continuamente testimoniata nel Giudaismo. I Profeti la preconizzarono insistentemente per la propria generazione o, in ogni caso, per un futuro immediato.

Gli Esseni profetizzarono la catastrofe del mondo per la generazione presente, in modo del tutto analogo a quanto faranno poi i Vangeli: si presentarono come «l’ultima generazione», ritenendosi «alla fine dei giorni» . Anche le Apocalissi tardo-giudaiche annunciavano l’attesa della prossima fine del mondo, i suoi terrori e le sue promesse a partire dal II secolo a.C. Le più significative furono i libri di Daniele (redatti intorno al 160 a.C. e accolti nel corpus biblico), di Henoch e di Baruch.

Gesù si trova inserito fra loro, limitandosi a proseguire l’apocalittica tardo-giudaica: sia nel contenuto che nella forma. Egli fu influenzato dal libro di Daniele, e ancor più da quello di Henoch, una scrittura piena di miti antico-persiani e greci, che si ritrova ancor oggi nella Bibbia abissina e che viene citata anche nel Nuovo Testamento. Non poche parole di Gesù potrebbero apparire citazioni quasi letterali.

Zarathustra


martedì 22 gennaio 2013

Perché i Vangeli nacquero tanto tardi? 7


Il ritardo nella produzione letteraria della cristianità primitiva si fonda su
due motivazioni. La prima, meno importante, dipende dalla struttura sociale delle più antiche comunità cristiane, costituite da gente semplice, illetterata, che non sarebbero stata in grado di scrivere libri, e anche quando le generazioni successive cominciarono a scrivere, i loro modi espressivi non furono, in principio, di alto livello.

Il Nuovo Testamento, in particolare, se si prescinde da taluni passi delle Lettere di Paolo, del Vangelo di Giovanni, dagli Atti degli Apostoli appare redatto in uno stile che contrasta singolarmente col carattere divino del suo contenuto.

La seconda ragione della tarda stesura dei Vangeli è, invece,importantissima:
essa dipende dall’elemento centrale della fede dei primi cristiani, che li induceva a un’aspettazione dell’immediata fine del mondo, conosciuta come "parusia". Infatti sia agli apostoli e che alla comunità primitiva dei cristiano-giudei, non passò minimamente per il capo di tramandare per iscritto le vicende di Gesù, in vista delle generazioni future, essendo loro costantemente in attesa dell'imminente ritorno di Gesù dalle nuvole, in carne ed ossa per l’edificazione in Terra del promesso Regno di Dio.

Solo quando questo, col passare del tempo, mostrò di non verificarsi, si dovette rimandare nell’aldilà ciò che si era atteso nell'aldiquà e nacque la fede in una storia salvifica prevista da Dio, mediante un'istituzione storica come la Chiesa, che aveva bisogno di fondare la sua dottrina su testi sacri.



venerdì 18 gennaio 2013

Il Nuovo Testamento 6


Dei 27 testi del Nuovo Testamento i più importanti sono i quattro Vangeli canonici, gli Atti degli apostoli e le Lettere di Paolo. Dei quattro Vangeli i tre Sinottici,cioè quelli attribuiti a Marco, Matteo e Luca, ci danno le conoscenze
fondamentali intorno alla figura di Gesù. Nel 1774 il teologo di Jena, Johann Jakob Griesbach, li defini «sinottici» per la loro parziale concordanza (synopsis). Infatti contengono molti passi comuni.

Non è possibile determinare con precisione il momento della loro nascita, giacché non possediamo gli originali, e nemmeno le datazioni approssimative sono in grado di garantire una certezza totale; gli studiosi sogliono collocare Marco fra il 70 e l’80, Matteo e Luca fra l’80 e il 100, mentre il Vangelo di Giovanni non fu composto prima dell’anno 100, probabilmente già nei primi decenni del II secolo. Poiché Gesù, come si presume, morì intorno al 30, prima che la sua dottrina fosse messa per iscritto trascorsero ben due generazioni.

Johann Jakob Griesbach


martedì 15 gennaio 2013

Tutta l’età antica conobbe Sacre Scritture. 5


I seguaci delle tre religioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo e islam) sono convinti di essere gli unici a possedere Sacre Scritture. Invece fin dai primordi dell'umanità tutte le religioni ne hanno avute. In Egitto, scritti di ispirazione divina risalgono alle epoche più antiche. Già nel terzo millennio prima di Cristo un testo sacro veniva definito «parola divina». Il Buddismo espresse una gran quantità di letteratura sacra e nelle religioni misteriche dell’Ellenismo esistettero numerosissime Sacre Scritture .

Nel I secolo a.C. I testi sacri della religione dionisiaca venivano semplicemente definiti «La Scrittura»,ma tale uso linguistico è verosiniilmente più antico . Il culto di Iside fu una religione espressamente fondata sulle scritture e reclamò per sé un’assoluta verità di origine divina . E anche l’autore dei libri Ermetici, un corpus di 18 scritti, che vanno sotto il nome di Ermete Trismegisto, messi insieme nel I e nel II secolo, ma risalenti a una più antica tradizione orale, si considerò ricettore di una Buona Novella destinata a tutta l’umanità, con numerosi e singolari parallelismi col Cristianesimo.

Tutti questi Scritti Sacri millantavano una rivelazione divina e in base alla loro pretesa assolutezza si facevano la guerra l’un l’altro senza avvertire il fatto che ciò facendo pregiudicavano la loro credulità.

Ermete Trismegisto


venerdì 11 gennaio 2013

Anche la storiografia greca e latina antica ignorò totalmente Gesù. 4


Anche la storiografia greca e latina contemporanea ignorò totalmente Gesù. A lui allude solo Tacito (ca. 55-120), che cita un certo «Cristo, ucciso sotto il
governatore Ponzio Pilato ai tempi dell’imperatore Tiberio». Il più grande storico romano però condanna senza mezzi termini la dottrina di Gesù.
«Quella funesta superstizione, soffocata per breve tempo, riprendeva ora vigore diffondendosi non solo in Giudea, luogo d’origine di quel male, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluiscono tutte le atrocità e le vergogne, trovandovi grande seguito» (Tac.Ann. 15,44).

Questa testimonianza tacitiana risale, però, al 117, circa novant'anni dopo la crocifissione e quindi risulta pressoché inutilizzabile. Si fonda verosimilmente solo su racconti in circolazione nel Il secolo. Svetonio (65-135) non cita affatto Gesù e lo ignora anche la lettera di Plinio il Giovane del III secolo, la quale si limita a parlare del Cristianesimo confondendolo, però, col movimento degli zeloti messianisti. Questa totale assenza di notizie su Gesù ci inducono a credere che egli, se è esistito, non ha esercitato alcuna influenza sulla società del suo tempo.

Tacito


martedì 8 gennaio 2013

La storiografia ebraica del primo secolo ignorò Gesù. 3


Dei circa quaranta storici contemporanei di Gesù, nessuno lo menzionò nelle sue opere, nonostante lo scalpore che, secondo i Vangeli, egli suscitò in Galilea e a Gerusalemme. Il silenzio tombale su di lui riguarda anche i tre massimi storici ebrei che narrano, fin nei minimi dettagli, gli avvenimenti della Palestina da Erode il Grande alla caduta di Gerusalemme. Mi riferisco a Filone Alessandrino, Giusto di Tiberiade, e, infine, a Giuseppe Flavio.

Che lo storico ebreo Giusto di Tiberiade ignori totalmente Gesù è un fatto tanto più singolare, in quanto si tratta non solo di un contemporaneo di Gesù, ma anche di un suo conterraneo, che abitava a Tiberiade, non lungi da Cafarnao, dove Gesù ebbe spesso il modo di dimorare. Eppure, nella sua cronaca, che va da Mosé agli anni in cui vide la luce il Vangelo di Giovanni, non compare nessun Gesù. Ce lo conferma Fozio, patriarca di Costantinopoli, che ci ha tramandato tutta la sua delusione dopo averlo attentamente letto. Oggi della cronaca di Giusto di Tiberiade non esiste nessun esemplare. La Chiesa non potendola alterare l'ha fatta sparire.

Giuseppe Flavio, nato poco dopo la crocifissione di Gesù, intorno al 93 pubblicò le sue Antichità Giudaiche, che vanno dalla creazione del mondo fino ai tempi di Nerone, nelle quali registra tutto ciò che gli sembra interessante. Ora, benché menzioni anche Giovanni il Battista, Erode e Pilato, e dia notizie dettagliatissime anche nei minimi particolari della vita politica e sociale del tempo, omette completamente qualsiasi
accenno a Gesù e a Nazareth.

Non solo. Nel 64 egli si trovava a Roma in qualità di avvocato difensore di due rabbini, accusati dalle autorità romane di Gerusalemme di connivenza coi ribelli che già cominciavano a devastare la Giudea. Ora, in nessuna delle sue opere vi è il pur minimo accenno alla persecuzione di Nerone e all'incendio che in quell'anno distrusse 10 dei 14 quartieri in cui si articolava la città. Poteva, uno storico pignolo come lui, ignorare completamente un fatto del genere che riguardava molti suoi connazionali?

Quindi sicuramente la persecuzione di Nerone, fu inventata dalla Chiesa manipolando gli Annali di Tacito. Sono sempre più numerosi gli storici che tendono a crederlo. Ignora totalmente Gesù anche il dotto ebreo Filone di Alessandria, di cui possediamo circa cinquanta scritti. Era un profondo conoscitore della Bibbia e delle sétte giudaiche e sopravvisse a Gesù di circa vent’anni. Nei suoi scritti ci fornisce informazioni sugli Esseni, e menziona perfino Pilato, ma di Gesù, di Paolo e della setta cristiana non parla mai.

Giuseppe Flavio


venerdì 4 gennaio 2013

I primi negatori della storicità di Gesù 2


Il primo che in Germania riprese la questione della storicità di Gesù negandola recisamente fu il pastore di Brema Albert Kalthoff (Das Christus Problem, 1902) mentre il rappresentante più autorevole di tale tendenza divenne il filosofo di Karlsruhe Arthur Drews.

Essi scorgono nei Vangeli la riplasmazione d’un mito in notizia storica e non ipotizzano, come fa tutta la contemporanea disciplina biblica di indirizzo critico, l’esistenza storica di Gesù, la cui vita successivamente trasfigurata da fantasiose notizie di miracoli e da racconti leggendari, avrebbe dato luogo a un processo di deificazione della sua figura, ma presuppongono una divinità mitica, per così dire storicizzata e attualizzata dagli autori dei Vangeli. I contestatori di un Gesù storico, dunque, non vedono nella figura biblica di Cristo un uomo divinizzato, quanto, piuttosto, una divinità umanizzata.

La prova era costituita, oltre che dalle osservazioni critiche sui Vangeli, soprattutto dal fatto che Paolo, il teste più antico (le sue Lettere sono cronologicamente i primi documento del Nuovo Testamento), passa quasi completamente sotto silenzio la vita di Gesù, limitandosi ad accenni all’Ultima cena (1 Cor. 11, 23 sgg.), alla sua discendenza, per altro assolutamente inverosimile, dalla casa di Davide e, infine, all’affermazione che Gesù fu «il primo di numerosi fratelli» (Rom. 8, 29).

A partire dagli anni ‘20, il dibattito sulla storicità di Gesù si andò affievolendo ma fu ancora sostenuto validamente da uno studioso di vaglia come il teologo di Brema, Hermann Raschke, Muovendo da Arthur Drews, Raschke, colto e brillante sia come filologo che come filosofo, rielaborò autonomamente il tema, riassumendo le proprie conclusioni nel Das Christusmythe , libro sorprendente per la quantità dei riferimenti. Nel 1960 il giovane teologo Friedrich Pzillas ha dichiarato che «la problematica figura di Gesù» può essere oggetto legittimo della storiografia solo nella misura in cui lo sono anche «Adamo, Zeus, Apollo e altri» . In altre parole Gesù sarebbe solo un mito.

Albert Kalthoff


martedì 1 gennaio 2013

La non-storicità di Gesù. 1


Oggi da molti studiosi sono accettati due fatti: il primo. che nessun documento storico dimostra la reale esistenza di Gesù; il secondo, che Gesù molto verosimilmente non è stato il vero fondatore del cristianesimo. Già nel Settecento erano affiorati molti dubbi sull'origine del cristianesimo.

Ad esempio Voltaire e d’Holbach, pur non confutando l’esistenza di Gesù, ritenevano i racconti evangelici poco attendibili e contestabili, e Federico il Grande non lesinava i suoi dubbi sul fatto che «fosse mai esistito un certo Gesù Cristo». Addirittura il giovane Goethe, in occasione della discussione della sua Tesi di laurea a Strasburgo, sostenne l’ipotesi, che «non fu Gesù il fondatore della nostra religione, la quale fu invece costruita in suo nome da alcuni uomini d’ingegno, e la religione cristiana non è altro che una ragionevole istituzione politica». In seguito definì «una simulazione... l’intera dottrina di Cristo» e considerò i Vangeli alla stregua di favolette.

Ma si può dire che tutti i grandi letterati e filosofi tedeschi dell'epoca: Lessing, Herder, Schelling, Hegel e soprattutto Schopenhauer furono concordi nel negare sia la storicità di Gesù, sia la validità del cristianesimo. In campo religioso, però, la contestazione di questi grandi pensatori venne per lo più ignorata finché nel 1853 un teologo ventisettenne David Friedrich Straul, nella sua dotta e brillante Leben Jesu sollevò molti dubbi sulla storicità dei Vangeli e, in parte, anche sull'esistenza di Gesù. E ,quasi contemporaneamente, il teologo Bruno Bauer giunse a negare per la prima volta in maniera aperta ed esplicita l’esistenza storica di Gesù dichiarando che la nascita del Cristianesimo fu dovuta a una contaminazione di idee religiose giudaiche, greche e romane, avvenuta nel secondo secolo, e che Gesù e Paolo furono soltanto delle finzioni letterarie.

Le tesi dei due teologi suscitarono una violenta reazione da parte del clero cattolico e protestante ed entrambi vennero rimossi dalle loro cattedre, dopo essere stai maledetti come Anticristi. Naturalmente finirono in miseria. Bauer fu ridotto a vendere frutta e verdura in un chiosco di Berlino. Ma ormai la strada del dubbio era aperta e in breve sorsero molti studiosi a negare la storicità di Gesù, relegandone la figura nel regno della leggenda.

Wolfango Goethe


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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)