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venerdì 31 maggio 2013

Ai tempi di Gesù erano molti i taumaturghi che operavano miracoli. 44



Al tempo di Gesù ogni contrada dell’Impero romano era dominata dalla superstizione e da fedi apocalittiche. Fiorivano i culti iniziatici, la magia e la mantica; imperversavano atteggiamenti penitenziali, demonologia, oracolistica; vigeva dappertutto e universalmente la fede nella venuta di una qualche divinità redentrice.

Storici severi come Tacito, Svetonio e Dione Cassio riportano nelle loro opere prodigi di ogni genere. Tanto per fare un esempio l’imperatore Vespasiano, come ci tramanda Tacito, guarì un paralitico e restituì la vista a un cieco davanti a molti testimoni, facendo esattamente come Gesù fece in situazioni analoghe, cioè spalmando sulle ciglia un miscuglio di saliva e di polvere (Marco. 8, 23; Giovanni 9, 6). Infatti, quest’uso della saliva come mezzo terapeutico o magico era allora ampiamente diffuso proprio in simili patologie.

Approfittando della psicosi religiosa di massa che alimentava l'esercito dei pii, dei bigotti e degli stupidi sorsero in quel tempo molti ciarlatani che la tradizione ci ha tramandato come taumaturghi capaci di ogni prodigio.
Una delle più celebri figure di questo genere, contemporaneo di Gesù e degli Apostoli, fu il filosofo neopitagorico Apollonio di Tiana. Filostrato, che per mandato dell’imperatrice Giulia Domina nel 200 tracciò in una celebre biografia, il profilo di questo mitico personaggio, ce lo fa apparire come una perfetta contraffazione di Gesù.

Già alla nascita, intorno a lui aleggiano apparizioni angeliche e, ancora fanciullo, stupisce con la sua prodigiosa saggezza i sacerdoti del tempio.
In seguito, accompagnato dai discepoli, percorre l’Asia Minore, la Siria, la Grecia fino a Roma operando prodigi di ogni genere: guarigioni, resurrezioni, cacciata degli spiriti maligni, lettura del pensiero e così via. Anche la natura si sottomette al suo volere. Infatti, riesce a placare le tempeste in mare e a fermare i terremoti.A Rodi richiama un ricco giovinetto sull’inutilità della ricchezza. A Roma risuscita una fanciulla, che sta per essere seppellita. Agli amici preannuncia il proprio arresto e la propria condanna. E, dopo la sua resurrezione, viene annunciata la sua ascensione al cielo.

Qui è chiaramente evidente che i tradizionali ingredienti miracolistici delle narrazioni evangeliche erano dovunque in circolazione e che la credulità popolare era diffusa a tutti i livelli.

Apollonio di Tiana


martedì 28 maggio 2013

L'esagerazione dei miracoli neotestamentari nei cosiddetti Vangeli Apocrifi.


I numerosi Vangeli «apocrifi», che pullularono nei primi secoli, accentuarono ancor più dei Vangeli canonici il modo in cui la figura di Gesù venne fascinosamente trasfigurata dalla fantasia dei cristiani. La Chiesa stessa nel V secolo, accingendosi alla definizione del canone del Nuovo Testamento, ha dovuto riconoscere, senza mezzi termini, che la loro costruzione era leggendaria, ignorando nel contempo che anche i Vangeli «autentici» lo erano in misura notevolissima.

Significativamente le esagerazioni «apocrife» riguardarono non il periodo dell’attività pubblica di Gesù, descritta nei Vangeli canonici, ma esclusivamente l’epoca precedente il suo battesimo, vale a dire la sua infanzia e adolescenza. Infatti, gli anni che precedettero il suo apostolato i Vangeli canonici li hanno lasciati nella massima oscurità, ad eccezione del racconto di Luca che ci presenta Gesù a dodici anni nel Tempio a discutere coi dottori, meravigliati della sua dottrina. Ma Luca è il più mitologico degli evangelisti, infatti gli altri tre ignorano completamente quell’episodio. Nonostante la loro acclarata leggendarietà, fino al V secolo gli «Apocrifi» (dal greco apokrypto = celo, nascondo) non furono affatto considerati mitici. I Padri della Chiesa più famosi li ritennero di derivazione apostolica e quindi assolutamente autentici al punto che alcune parti degli Apocrifi vennero interpolate negli antichi Codici neotestamentari. Infatti, la Chiesa, con l’arbitrarietà che le è propria, ha sempre ammessa l'interpolazione dei sacri testi, riconoscendo, ad esempio, anche alcuni libri apocrifi del Vecchio Testamento, non accettati dalla Bibbia ebraica. Gli apocrifi biblici inseriti nell'Antico Testamento cristiano, in base alla traduzione greca dei Settanta e la Vulgata (la traduzione latina di Girolamo), sono stati numerosi (Terzo Esra, Judith, Sapienza, Salomone, il Libro dei Maccabei ecc.) e vennero riconfermati ufficialmente dal Concilio di Trento del 1546, nonostante fossero in contrasto col Canone ebraico originale.

Tornando agli Apocrifi, è indubbio che nonostante il loro carattere leggendario, essi rendono testimonianza dello spirito di un cristianesimo primitivo e ingenuo, immerso nella credulità più superstiziosa. Ad esempio, nel Vangelo attribuito all’Apostolo Tommaso, rielaborato persino dalla Chiesa antica, Gesù ancora bambino di cinque anni si diletta a forgiare con la creta dei passeri e a farli volare in cielo. Il divin bambino, poi, giocando con un compagno di giochi piuttosto fastidioso, si irrita al punto da disseccarlo come un albero, ma subito dopo, pentendosi del suo gesto, lo richiama in vita.

Seguono numerosi miuracoli riferiti a Gesù Bambino avvenuti tramite l’acqua del suo bagnetto, i suoi pannolini e il suo sudore. Gli Apocrifi non si limitano solo a raccontare questi inverosimili miracoli operati da Gesù infante ma ci forniscono prestazioni eccezionali anche degli apostoli. Così negli Acta Petri leggiamo che l'apostolo Pietro di fronte al suo avversaro Simon Mago fa leggere da un lattante, con profonda voce virile, parte della Bibbia (il Levitico) e fa parlare addirittura un cane.
Persino un tonno affumicato, appeso a seccare a una finestra, al cenno di Pietro sguscia di nuovo vivo e vegeto, piroettandosi in mare. Naturalmente per i sostenitori degli Apocrifi furono tali portenti a far abbracciare la fede cristiana a molti pagani. Se ne evince che allora si credeva a tutto... anche a uno stoccafisso risuscitato e rispedito in mare. Il Padre della Chiesa Epifanio di Salamina, cui il secondo Concilio di Nicea (787) conferì il titolo di «Patriarca dell’ortodossia», non soltanto prestò piena fede a questi miracoli degli Apocrifi ma se ne servì nella sua lotta contro gli «eretici» e gli avversari del cristianesimo.

Alcuni moderni cattolici (come Daniel-Rops) mettendo in evidenza le plateali esagerazioni e le «enormi incongruenze temporali» degli Apocrifi, le hanno definite «invenzioni di basso rango», fingendo di ignorare che molti miracoli contenuti nei Vangeli canonici e negli Atti non sono certamente «d’alto rango». Infatti, non c'è così grande la differenza fra i miracoli operati dai pannolini e dal sudore del Bambin Gesù e quelli attuati dai fazzoletti o dalle camicie di Paolo (Atti, 19, 11) E poi, perché mai le resurrezioni degli Apocrifi sono esagerazioni, mentre quelle dei Vangeli canonici non lo sono affatto.?

Epifanio di Salamina


venerdì 24 maggio 2013

I miracoli di Gesù nel Vangelo di Giovanni. (Parte terza) 42


Giovanni riporta nel suo Vangelo solo tre dei maggiori miracoli raccontati dai sinottici, per altro esagerandoli, e ne aggiunge altri quattro, davvero grandi, ma totalmente ignoti ai suoi predecessori. Il primo riguarda la trasformazione dell’acqua in vino durante le Nozze di Cana (Giovanni 2, 1 sgg.). È il miracolo inaugurale, un «miracolo di lusso» per altro, come scrive poeticamente lo scrittore cattolico Daniel-Rops (Jesus, 228). La cosa più incredibile di questo miracolo è che il Gesù giovanneo crea da sei a settecento litri di vino, come risulta inequivocabilmente dal suo Vangelo (Giovanni 2, 6 sg.6). Non vi dico l'imbarazzo degli esegeti di fronte a questa esagerata quantità e le loro patetiche contorsioni per rimpicciolirla.

Segue il miracolo sulle rive del lago di Betsaida: la guarigione dell’uomo infermo da 38 anni, che a dimostrazione della sua ritrovata salute si carica in spalla il lettuccio e se ne va (Giovanni 5, 1 sgg.). La qual cosa ricalca esattamente una storia pagana, narrata 300 anni prima da un’iscrizione di Epidauro, nella quale Mida,il miracolato, dopo la guarigione prende su il lettuccio e se ne va con le proprie gambe. 

 Poi, l’evangelista ci offre la guarigione del cieco dalla nascita, ignorata dai sinottici (Giovanni, 9, 1 sgg.) e, infine, a coronamento del tutto, la resurrezione di Lazzaro, già in via di putrefazione: «egli ormai puzza» (Giovanni 11, 1 sgg.). È davvero assai sconcertante che tutti e tre gli evangelisti precedenti omettano completamente questo miracolo particolarmente grandioso, operato per giunta davanti agli occhi di tutti.

Qui dobbiamo sottolineare il processo di ingrandimento delle resurrezioni evangeliche. In Marco, Gesù salva la figlia di Giairo sul punto di morire. Infatti, Gesù dice: «La fanciulla non è morta, dorme soltanto» (Mc. 5,39). In Luca, che scrive molto dopo, il risveglio del giovinetto di Nain, avviene dopo che è morto già da tempo, tanto che Gesù lo incontra durante il seppellimento (Lc. 7, 11 sgg.). Infine il quarto Evangelista ci parla di questo Lazzaro che giace già da quattro giorni nella tomba, quasi in putrefazione, e, nonostante ciò, riesce a resuscitarlo, rendendo così il miracolo più grandioso.


Le nozze di Cana


martedì 21 maggio 2013

A proposito dei miracoli evangelici. (Parte seconda) 41


Continuiamo a rilevare altre discrepanze sui miracoli tra gli evangelisti.
Nel Vangelo di Marco, dopo il racconto della morte di Gesù, si dice semplicemente: «Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso» (Mc. 15,38). Ma Matteo trasforma questo piccolo evento avvenuto all'interno del tempio in un accadimento epocale, aggiungendo alla notizia di Marco: «...la terra si scosse e le rocce di spezzarono, i sepolcri si spalancarono, e molti corpi di santi morti risuscitarono, e dopo la sua resurrezione uscirono dai sepolcri, entrarono nella città santa e apparvero a molti» (Mt. 27, 51). 

Chissà perché ai quaranta storici greci, latini ed ebraici contemporanei a Gesù tutte queste incredibili avvenimenti sfuggirono del tutto! Nessuno di loro,infatti, nemmeno Giusto di Tiberiade che viveva a Cafarneo, e Filone Alessandrino che era di casa a Gerusalemme, hanno mai scritto una virgola sull'accaduto riferito da Matteo.

Qualche volta Matteo incrementa i miracoli di Marco anche col più rapido compiersi d’un evento.Ne è un chiaro esempio la maledizione dell’albero di fico; in Marco la pianta si secca dopo un giorno, in Matteo «immediatamente». In Marco, Pietro si ricorda dell’accaduto solo il giorno seguente, passando vicino all’albero, in Matteo, i discepoli discutono dell’immediatezza del portento subito dopo la maledizione. 

Singolare il fatto che Matteo e Luca ignorino due miracoli narrati da Marco. Ma la dimenticanza forse ha una spiegazione imbarazzante. Si tratta per l’esattezza della guarigione del sordomuto e del cieco a Betsaida (Marco 7, 31 sgg e 8, 22 sgg.), operata da Gesù ponendo la propria saliva sulla lingua del muto e sugli occhi del cieco, e poi con l’imposizione delle mani. Ma tale metodo allora a tutti ben noto e usato comunemente dai comuni ciarlatani dell'epoca ai due evangelisti non è sembrato all'altezza di un taumaturgo divino e quindi andava messo sotto silenzio.

Per le medesime ragioni, il quarto evangelista omette del tutto il racconto delle quotidiane guarigioni degli ossessi, ritenendole piuttosto plateali.
L’assenza di queste esorcizzazioni di demoni nel Vangelo di Giovanni appare
tanto più singolare se si pensa che se fosse stato veramente il figlio di Zebedeo, il Giovanni autentico, avrebbe attribuito una grande importanza proprio agli esorcismi di Gesù, come risulta dai sinottici. Ma invece di privilegiarli, li passa sotto silenzio. 

Gesù guarisce il cieco di Gerico


venerdì 17 maggio 2013

A propositi dei miracoli evangelici (Parte prima). 40


Dopo Marco, l'amplificazione dei miracoli operati da Gesù subisce negli altri evangelisti un'impennata molto forte e nei Vangeli apocrifi addirittura fortissima. È un crescendo inarrestabile a mano a mano che passano gli anni e che la tradizione si consolida.

Nell'antichità e soprattutto ai tempi di Gesù, non solo in Palestina, ma in tutto l'impero romano, i miracoli erano all'ordine del giorno. Allora il mondo era dominato dalla superstizione e da fedi apocalittiche per cui il soprannaturale e il meraviglioso erano la norma, non l'eccezione. Ovunque vagabondavano visionari, guaritori, taumaturghi, ispirati da Dio, ai quali venivano attribuiti miracoli di ogni genere, anche la resurrezione dei morti. Petronio Arbitro riassume in una battuta sarcastica lo spirito della sua epoca affermando che le presenze divine pullulavano così numerose al suo tempo che era più facile, per la strada, incontrare un dio che un uomo. 

Tutti facevano miracoli, anche gli Imperatori. Vespasiano, come ci tramandano Tacito, Svetonio e Dione Cassio, guarì paralitici e ciechi, esattamente come fece Gesù, spalmando sulle ciglia un miscuglio di saliva e di polvere. Contemporaneo di Gesù visse il filosofo neopitagorico Apollonio di Tiana che, accompagnato da numerosi discepoli, percorse l’Asia Minore, la Siria, la Grecia fino a Roma, operando prodigi e miracoli come un inviato divino, e dopo la morte, secondo la leggenda, resuscitò e salì al cielo. Una controfigura di Gesù.

All’interno di questo clima superstizioso possiamo ammettere alcuni dei cosiddetti miracoli di Gesù, riconducendoli a influenze di natura psicologica per la guarigione di malattie psicogene, neurasteniche, isteriche e schizofreniche. Oggi diremo “psicosomatiche”. Ma è indubbio che i racconti evangelici hanno ampliato a dismisura questi interventi psicologici di Gesù, forse ad imitazione dei gesti leggendari del profeta Eliseo.

Già nel Vangelo di Marco, il più sobrio e contenuto dei quattro Vangeli, abbondano i miracoli attribuiti a Gesù, ma in Matteo, che considerava troppo riduttive le notizia fornite da Marco, i miracoli vanno via via moltiplicandosi e la loro amplificazione arriva spesso al grottesco. Se Marco ci fa sapere, ad esempio, che a Cafarnao Gesù «guarì molti», ecco che per Matteo «guarì tutti». Se appena Gesù compare in pubblico, intorno a lui si affollano gli ammalati di tutta la Galilea, per Matteo si aggiungono anche quelli provenienti dalla Siria.

Spesso in Matteo i miracoli sono raddoppiati rispetto a Marco. Quando Marco racconta che Gesù, uscendo da Gerico, risana un cieco, Matteo, riferendo lo stesso episodio, dice che ne sanò due. Così in molte altre occasioni. Ma dove Matteo arriva al grottesco è quando descrive le guarigioni fatte in serie come in una catena di montaggio. "Attorno a lui (Gesù) si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì. E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano" (Matteo 15,30-31). Tutto ciò è chiaramente fuori d'ogni realtà e ci troviamo di fronte a delle chiare esagerazioni mitologiche.

Anche il miracolo della moltiplicazione dei pani, assolutamente improponibile, viene da Matteo ulteriormente ampliato. Marco parla di «circa» quattromila
persone, Matteo accresce il miracolo trasformandole in «circa quattromila uomini» e soggiungendo: «Senza contare le donne e i bambini». La folla, dunque, a sentir lui, sarebbe stata circa il doppio. A proposito di questo paradossale miracolo, vale la pena ricordare che Lattanzio, uno dei più famosi e dotti Padri della Chiesa, ci rende edotti che lo stesso episodio era stato raccontato, qualche secolo prima, dalla Sibilla Eritrea, in questi termini: un profeta "con cinque pani e due pesci nutrirà 5000 uomini nel deserto e, raccogliendone le briciole, ne riempirà dodici panieri". Qui i casi sono due: o la Sibilla Eritrea era veramente una profetessa coi fiocchi o gli evangelisti, come è evidente, l'hanno scopiazzata di sana pianta.

Sibilla Eritrea


martedì 14 maggio 2013

Il Vangelo di Giovanni scritto per provare la divinità di Cristo. (Sesta parte) 39


In questo Vangelo, ormai profondamente caratterizzato da tratti teologici e apologetici, il Gesù storico non ha più alcun ruolo in quanto sostituito totalmente dal Cristo divinizzato. Le notizie dei Sinottici, usate dall’evangelista a suo piacimento, vengono spesso radicalmente riplasmate. La Galilea, patria di Gesù e per gli altri evangelisti il palcoscenico autentico della sua attività pubblica, qui scompare. Gesù opera per lo più a Gerusalemme contrapponendosi a quanti affermavano che il divino Messia, originario del villaggio di Nazareth, per tutta la vita avrebbe predicato davanti alla povera gente ignorante della provincia, limitandosi a una brevissima comparsa a Gerusalemme.

Parole o echi del Gesù sinottico sono rare nel quarto Vangelo e i discorsi del Maestro sono spesso ridotti a prolissi commenti di esclusiva invenzione giovannea. Infatti il Cristo giovanneo parla solo in apparenza con la gente che lo circonda perché le sue parole sembrano rivolte alle comunità cristiane del II secolo. Ciò è ben dimostrato dal «colloquio» di Gesù con Nicodemo, bramoso di salvezza, nel quale affiora tutta una serie di dogmi creati successivamente dalla Chiesa e che Nicodemo non avrebbe mai potuto capire e ancor meno lo avrebbero potuto capire tutti i contemporanei di Gesù. Quindi Giovanni scrive per persone colte, usando esangui allegorie e didattica monotonia, che il Gesù storico si sarebbe guardato bene da usare volendo entusiasmare le masse della Galilea e che i suoi avversari avrebbero ritenuto delle elucubrazioni un po' folli e tutt'altro che pericolose.

Gli avvenimenti evangelici riferiti dai sinottici su Gesù, già assai lontani dalla realtà storica, nel Vangelo di Giovanni vengono completamente mitizzati. Mentre il Gesù sinottico parla relativamente poco di sé, in Giovanni si colloca al centro dell’attenzione e fa della propria missione e divinità l’oggetto quasi esclusivo della propria predicazione. Già nel III secolo lo scrittore Origene osservava che nei Sinottici Gesù appare ancora «umano», mentre in Giovanni viene pressoché divinizzato e addirittura proclamato preesistente ad Abramo. Spesso le definizioni di Giovanni mal si conciliano fra loro o sono in completa contraddizione. Come conciliare infatti le affermazioni che Gesù è contemporaneamente: «Re dei giudei» e «Redentore del mondo». L'una cosa esclude l'altra.

Nel Cristo giovanneo divinizzato, ogni tratto d’umanità viene accuratamente evitato e anche la morte viene affrontata senza batter ciglio. Della lotta con le profonde angosce spirituali del Gesù sinottico nel Getsemani non v’è più traccia e durante l’arresto il suo atteggiamento è mirabilmente maestoso e perfino melodrammatico perché con una sola parola egli abbatte gli sgherri al suolo.
Per quanto riguarda la morte di Gesù, nel quarto Vangelo egli non spira col grido di disperazione raccontato da Marco e Matteo: "Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato", ma col detto eroico, più esattamente eracleico: «È compiuto». Infatti, allo stesso modo spirò anche Eracle, uno dei modelli più sorprendenti della figura biblica di Cristo.


Eracle


venerdì 10 maggio 2013

Il Vangelo di Giovanni (Quinta parte) 38


Il Vangelo di Giovanni poté diventare utilizzabile dalla Chiesa solo mediante un‘opera di rimaneggiamento. Inoltre, questo Vangelo, nato probabilmente in Asia o in Siria al principio del Il secolo (come anche la Prima Epistola di Giovanni), venne rimaneggiato alcuni decenni più tardi, perché la Chiesa aveva condannato l’originale; e se non fosse stato troppo noto e popolare, forse Io avrebbe fatto scomparire del tutto.

E così, verso la metà del II secolo, questo «scritto eretico» venne ecclesiastizzato da un anonimo redattore, che, limitandosi ad aggiunte senza ricorrere a soppressioni, non poté evitare le incongruenze. Nel testo antico gli ebrei figuravano quali creature del demonio: nella sua rielaborazione la salvezza viene proprio da loro! Interpolazioni ecclesiastiche più consistenti sono la pericope dell’adultera (Giovanni 7, 53; 8, 11) e l’intero capitolo 21 che tenta di recuperare il ruolo primario di Pietro mediante la triplice affermazione di Gesù risorto "pasci le mie pecorelle" (Giovanni 21,15-17). Essendo chiaramente un falso accettato da tutta la teologia critica e anche da teologi cattolici si può desumere chiaramente che il Vangelo si concluda col capitolo 20.

Il rimaneggiamento ecclesiastico si propose, fra l’altro, di far apparire il Vangelo come opera dell’apostolo prediletto Giovanni; e anche se il suo nome non viene menzionato, esso provvide non senza astuzia a che si imponesse, per così dire, da solo. I cristiani d’Asia Minore credevano di sicuro alla paternità dell’Apostolo, evincendone il nome dal testo più agevolmente che se egli stesso lo avesse dichiarato apertamente.

Negli ambienti «ortodossi» il Vangelo di Giovanni, pur così popolare, non godette di una buona fama. Gli «eretici» Valentino ed Eraclio lo rivalutarono per primi, riconoscendovi l’espressione di una personale convinzione religiosa. Eraclio ne scrisse persino il primo commento.

Sembra anche che lo preferissero gli eretici montanisti; al contrario, non viene menzionato da nessuno dei Padri apostolici. E persino la Roma ecclesiastica vi si contrappose duramente sulle soglie del Il secolo, talvolta con repulsione esplicita. In seguito, però, la Chiesa cominciò a porre in secondo piano o a reinterpretare attraverso il quarto Vangelo i Sinottici, più antichi e perciò più arretrati. In fondo, per gli scopi della Chiesa ufficiale, esso appariva più fecondo, nella misura in cui con la sua rappresentazione di Cristo il processo di divinizzazione di Gesù era pressoché compiuto.

Gesù e l'adultera


martedì 7 maggio 2013

Il Vangelo di Giovanni (Quarta parte) 37


Non solo i molti episodi citati in precedenza ma anche molte affermazioni del quarto Evangelista sono assolutamente inconciliabili coi Sinottici. Nei Sinottici Gesù chiama i suoi primi discepoli dopo l’arresto del Battista, in Giovanni prima (Cfr. Mc. 1, 14 con Jh. 1, 35 sgg.); nei Sinottici li chiama in Galilea, in Giovanni nella Giudea; nei Sinottici li incontra mentre pescano sul lago di Genezareth, in Giovanni sono discepoli di Giovanni il Battista (Cfr. Mc. 1, 16-20; Mt. 4,18-22; Lc. 5, 1-11; Jh. 1, 35-51); nei Sinottici Gesù sceglie prima di tutti Pietro e Andrea, in Giovanni prima un anonimo e Andrea, quindi Pietro (ibid.).

Secondo Marco, Gesù avrebbe iniziato la sua attività pubblica dopo l’arresto del Battista da parte di Erode; nel Vangelo di Giovanni egli ha per qualche tempo operato insieme a lui (Cfr. Mc. 1, 14 con Jh. 3, 22 sgg. e 4,1). Un evento tanto clamoroso come la cacciata dei mercanti che l'avevano trasformato in una "spelonca di ladroni (Marco 11,17), che in Matteo e Luca si verifica il primo giorno dopo l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, in Marco il secondo giorno, e in ogni caso, in tutti i Sinottici, verso la fme della sua attività pubblica, in Giovanni accade all’inizio di essa.

Diversamente dai Sinottici, Giovanni afferma che Cristo cacciò dal tempio anche pecore e buoi, ma nel Tempio non si vendeva affatto bestiame, ma solo colombe! L’unzione di Gesù in Betania costituisce in Marco la conclusione della sua opera in Gerusalemme, in Giovanni, invece, accade prima del suo ingresso in questa città.

Gesù mantiene celata la sua missione messianica in Marco fino all’interrogatorio davanti al Sommo sacerdote, in Giovanni appare come Messia già nel primo capitolo, e pretende inoltre di essere riconosciuto tale dappertutto.

Nemmeno sulla data della crocifissione Giovanni si trova d’accordo coi Sinottici. Secondo costoro Gesù muore dopo aver festeggiato, il giorno prima, il banchetto pasquale coi discepoli, il 15 Nisan; secondo Giovanni viene crocifisso già prima della Pasqua, il 14 Nisan.

Nei Sinottici, che indicano solo una festività pasquale, l’uscita in pubblico di Gesù abbraccia un anno, un lasso di tempo che, data l’inaffidabilità della loro cronologia, non può essere determinata con certezza, ma che tuttavia appare assai verosimile; per Giovanni, invece, nel quale si riscontrano due, forse tre differenti celebrazioni pasquali l’attività pubblica di Gesù durò almeno due anni, o anche tre, come ritennero già Origene e Gerolamo.

Origene ci informa poi del fatto che, di fronte alle lampanti contraddizioni fra la tradizione sinottica e quella giovannea, molti cristiani giudicarono falsi i Vangeli, abbandonando la fede in essi. Ciononostante il grande scrittore ecclesiastico li esorta a ricercare il loro vero significato spirituale e ad attenervisi, anche nel caso acclarato di un errore storico.

Origene d'Alessandria


venerdì 3 maggio 2013

Il Vangelo di Giovanni (Parte terza). 36


Fra i vari episodi citati dagli altri evangelisti e totalmente assenti in Giovanni alcuni rivestono un'importanza fondamentale. Elenchiamoli: 1.le tentazioni cui venne sottoposto Gesù da parte di Satana dopo i quaranta giorni di permanenza nel deserto, 2.le resurrezioni della figlia di Giairo e del figlio della vedova di Nain, 3.altre guarigioni miracolose specialmente di tipo esorcistico, 4.alcune parabole, 5.la trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor, 6.la questione del tributo a Cesare, 7.la piccola apocalisse riferita alla distruzione di Gerusalemme, 8.la condanna a morte di Gesù da parte degli ebrei, 9.la sua ascensione al cielo, 10.il primato di Pietro e 11.l'istituzione dell'eucaristia.

Altrettanto rilevanti sono gli avvenimenti presenti in Giovanni e assenti nei Sinottici. Vediamoli: 1.le nozze di Cana; 2.il dialogo con la samaritana; 3.l'adultera perdonata; 4.la discussione con Nicodemo; 5.la resurrezione di Lazzaro; 6.il lavaggio dei piedi agli apostoli nell'ultima cena; 7. la presenza di un personaggio misterioso, chiamato "l'apostolo che Gesù amava", falsamente ritenuto lo stesso Giovanni.
Esaminarli tutti richiederebbe troppo tempo ma su almeno un paio vale la pena di soffermarci. Cominciamo dall'assenza più incredibile, quella dell'istituzione dell'eucaristia.

Confrontando nei Vangeli sinottici i brani relativi all'ultima cena noteremo che tutti e tre descrivono l'istituzione dell'eucaristia con le stesse parole scritte da Paolo nella sua prima Lettera ai Corinzi (1 Corinzi 11, 23-29). Giovanni, invece, ignora completamente questa istituzione ma rivela particolari importanti, ignoti agli altri evangelisti, come la lavanda dei piedi. L'eucaristia, quindi, fu un'assoluta invenzione paolina, messa in evidenza anche dal fatto che gli Apostoli non conoscevano una comunione sacramentale. Dopo la preghiera nel Tempio, spezzavano il pane in casa di uno di loro senza sacerdoti e senza alcun apparato cultuale e nemmeno sacramentale (Atti, 2,46; 6, 1 sg.). Infatti la teologia critica non trova alcun rapporto fra il pasto della comunità cristiana primitiva e l’atto cultuale della comunione propagato da Paolo.

Anche il primato di Pietro viene ignorato da Giovanni. Non c'è alcun cenno alle parole di Matteo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa…” (Matteo 13,20-22). Al contrario, chi in Giovanni sembra prevalere sugli altri apostoli è un personaggio misterioso chiamato: "quel discepolo che Gesù amava" (Giovanni 12,23) di cui abbiamo parlato a proposito di Lazzaro di Betania.

L'episodio del XXI capitolo, che tenta di recuperare il ruolo primario di Pietro mediante la triplice affermazione di Gesù risorto "pasci le mie pecorelle" (Giovanni 21,15-17), è chiaramente un falso accettato da tutta la teologia critica e anche da teologi cattolici.

Concludiamo l'analisi del Vangelo di Giovanni facendo rilevare che, troviamo espressa in esso la netta convinzione che Gesù fu giustiziato per motivi politici voluti dal clero collaborazionista dei romani e non per motivi religiosi come la blasfemia.

Nozze di Cana


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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)