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martedì 29 ottobre 2013

La discesa agli inferi (Parte seconda) 83

Ma, a dir la verità, nei Vangeli manca qualsiasi traccia di tutto ciò, anzi il dogma della discesa agli inferi è contraddetto da Luca, secondo il quale Gesù trascorse in Paradiso già i primi giorni dopo la sua morte. In effetti, al «buon» ladrone egli non si perita di dire: «In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso», frase che presuppone un’ascensione di Gesù in cielo direttamente dalla croce.

Ma questo brano in netta contraddizione con altre parole di Gesù, venne talvolta cancellato e dichiarato un falso operato dagli eretici. Nella comunità primitiva l’idea di una Resurrezione e di un’Ascensione al cielo direttamente dalla croce svolse un ruolo essenziale. Ma poiché la cristianità esigeva prove più concrete dell’evento, l’idea dell’Ascensione dalla croce ha ceduto a poco a poco alla credenza nella Resurrezione dal sepolcro.

Ma molti Padri della Chiesa sostennero espressamente che Gesù sconfisse gli spiriti maligni proprio durante la sua Ascensione al cielo. Infatti, nel Cristianesimo primitivo molti fedeli credevano che l’inferno non si trovasse nel mondo sotterraneo, bensì in quello celeste e ciò rendeva più agevole agli abitanti del Paradiso un’esigenza mostruosa tipicamente cristiana: la piacevole contemplazione delle sofferenze dei peccatori e degli anticristiani nell'Inferno. Tertuliano e molti altri dottori della Chiesa, come Tommaso d'Aquino, la consideravano la massima gioia,



Tertulliano



venerdì 25 ottobre 2013

La discesa agli inferi. 82

I cristiani del I secolo non si posero mai il problema di che cosa fece Gesù dopo la morte sulla croce. Nessuno degli Evangelisti vi fa riferimento e tace in proposito la maggior parte dei restanti autori neotestamentari. Solo la prima Epistola di Pietro, falsamente attribuita a questo apostolo, accenna di sfuggita alla permanenza del Signore nell’Inferno per alcuni giorni, per attuare la salvazione delle anime di quanti erano morti in precedenza. Questa è l'unica prova neotestamentaria fondamentale del dogma.

Il descensus ad inferos, che oltre che dalla Chiesa, in un primo tempo fu insegnato esclusivamente da Marcione (Secondo Iren., adv. haer. 27, 3), nacque, solo nel II secolo, e fu a partire dal IV secolo che i Sinodi si preoccuparono di inserire nella professione apostolica di fede la postilla «discese all’Inferno»!

Ma l’idea che gli dei discendevano nel mondo sotterraneo era corrente da molto tempo nella tradizione religiosa pagana (ad esempio, nei miti egizi, babilonesi ed ellenistici), nella quale svolgeva un ruolo decisivo per la determinazione della fede nell’immortalità.
Nell’antico Egitto, Ra e Osiride combatterono le forze dell’oltretomba, a Babilonia si conosceva un viaggio infernale di Istar già nel III millennio a.C., ed esiste un testo del XlV secolo a.C. che racconta il viaggio sotterraneo del dio Nergal, il quale prende d’assalto il mondo infernale, sconfiggendone gli eserciti e suscitando un violento terremoto. Nella discesa del dio Marduk è descritta la grande gioia provata dai prigionieri all'arrivo del loro Salvatore. E anche la discesa infernale di Eracle, descritta da Seneca, il dio reca la luce ai pallidi defunti e li libera dal carcere, non diversamente da quanto farà Cristo.

Per gli studiosi, quindi, vi è una chiara dipendenza della discesa di Cristo agli inferi da quella degli dei dell'antichità. Però per i cristiani delle origini
era necessario trovarne le prove nel Vecchio Testamento, che verso la metà del Il secolo era ancora l’unica scrittura sacra autorevole per loro. Ma siccome nella Bibbia ebraica non ve n’era traccia, si provvide a crearla, falsificando un nuovo versetto di Geremia, che dissero essere stato cassato dal testo per mano degli ebrei (Giustino, Dialogo con l'Ebreo Trifone, 12 sgg; 16 sgg.; 26 sgg.). Il dottore della Chiesa Ireneo fa riferimento a questa falsificazione cristiana non meno di sei voltei (Ireneo, Contro gli eretici).

Il viaggio infernale di Cristo divenne ben presto un tema popolare nel mondo cristiano dal II secolo in poi e assunse gradualmente arricchimenti esornativi e anche caratteristiche drammatiche, e non pochi autori cristiani inviarono in quel luogo spaventoso anche gli Apostoli in veste di predicatorie di battezzatori.


Giustino



martedì 22 ottobre 2013

La resurrezione di Cristo (Nona parte) 81

L ‘ipotesi della morte apparente è sostenuta soprattutto dai medici, ma venne difesa da teologi del XVIII secolo come K.F. Bahrdt e K.H. Venturini, e perfino da teologi moderni.

Giuseppe Flavio ci informa che chi veniva affisso alla croce poteva sopravvivere dopo la deposizione. Abbiamo molti riscontri storici in proposito, giacché la morte sulla croce, secondo Cicerone «la più crudele e la più obbrobriosa», era frequente nell’antichità e in uso già in Persia , da dove Alessandro Magno la diffuse nel suo vasto impero, e a partire dal II secolo a.C. fu introdotta anche in Palestina.

Nell’88 a.C. Alessandro Janneo, re degli Asmonei, in occasione di un banchetto celebrativo d’una sua vittoria, fece crocifiggere in presenza delle sue amanti, 800 Farisei ribelli, ordinando che i figli e le mogli venissero uccisi ai piedi delle croci ( Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche. 13, 14, 2). Nel 71 a.C. sulla Via Latina, fra Roma e Capua, M. Licinio Crasso fece crocifiggere seimila schiavi.

I crocifissi spesso sopravvivevano interi giorni, abbandonati alla fame e alla sete, al sole e alla pioggia, alle mosche e ai rapaci, torturati poi dai dolori orribili causati dai chiodi che ne trapassavano i polsi.

I fautori dell’ipotesi della morte apparente si appellano soprattutto al fatto che la morte sulla croce sopravveniva non per dissanguamento ma per esaurimento fisico, e che Gesù, a causa del Sabato, restò appeso alla croce soltanto sei ore (dalle nove del mattino fino alle tre del pomeriggio). Per di più nessun Evangelista dice esplicitamente che Gesù fosse morto e, infine, che il colpo di lancia viene menzionato solo da Giovanni, e non dev’essere stato mortale.




K.F.Barhardt



venerdì 18 ottobre 2013

La resurrezione di Cristo (Ottava parte) 80

L’ipotesi che le apparizioni del Risorto siano state un’esperienza soggettiva, un evento puramente spirituale nelle anime dei discepoli, è molto antica, perché è già presente nella cristianità primitiva, anche in ambiti sicuramente ecclesiastici. Dopo il teologo e filosofo David Friedrich Strauss tale supposizione viene sostenuta nella sua versione moderna da molti teologi, i quali affermano che non fu il Risorto a originare la credenza nella Resurrezione, bensì la ben più antica credenza nella Resurrezione a generare le visioni del Risorto.

In effetti, il Nuovo Testamento contiene numerose attestazioni della disposizione visionaria dei Discepoli e l’uomo antico non sempre era in grado di distinguere fra il reale e l’immaginario e persino le visioni oniriche avevano per molti il valore di una realtà effettuale e oggettiva.

I fautori dell’ipotesi della visione, inoltre, possono contare su un «testimone della corona» del calibro di Paolo, che nella Prima Lettera ai Corinzi (15, 3 sgg.), la più antica notizia cristiana dell’evento, egli parla delle apparizioni a Pietro, a Giacomo e agli Apostoli con le stesse parole, con le quali descrive l’apparizione da lui avuta sulla via di Damasco, equiparando l’esperienza personale, di natura sicuramente visionaria, a tutte le altre esperienze della Resurrezione. Gli Apostoli, dunque, secondo Paolo, videro il Signore solo in modo visionario, come era accaduto a lui stesso.



Maurice Goguel mostra quanto appaiano pressoché penose agli occhi della teologia critica le notizie evangeliche della Resurrezione di Gesù e dell’Ascensione, tanto che sarebbe forse meglio che vi sorvolassero: «Miracoli di tal fatta rivestono un’importanza fondamentale per la storia della Cristianesimo, ma non ne hanno alcuna per la storia di Gesù».

David Friedrich Strauss



martedì 15 ottobre 2013

La resurrezione di Cristo (Settima parte) 79

Il corpo di Gesù risorto, come si manifestò agli apostoli? Leggete, a questo riguardo le demenziali elucubrazioni di un teologo tedesco: "Codesto Risorto è corporeo, e appare tuttavia incorporeo, perché questa sua corporeità si mostra quale corporeità d’altro genere rispetto a quella caratterizzata dalla carne e dal sangue; ciononostante non si tratta di incorporeità bensì di autentica, effettiva corporeità" (Gerhard Kittel).

La figura del Risorto costituì un bel problema non soltanto per i moderni teologi (comedimostra la demenzialità del teologo sopra citato)), ma anche per gli Evangelisti stessi.

Il Signore non poteva risorgere come un vacuo fantasma perché per dimostrare la sua resurrezione aveva bisogno di mostrarsi con corpo umano. Per cui la sua figura nel Vangelo giovanneo è già un miracolo a sé stante: da un lato è tanto solida che l’incredulo Tommaso può ficcare le dita nelle sue ferite; dall’altro è così etereo da penetrare attraverso porte sigillate ed esclamare «Non toccarmi!» davanti a una esterrefatta Maria Maddalena, la quale scambia per il giardiniere il trasfigurato figlio di Dio.

Come è noto, il grandioso evento della resurrezione di Gesù si verificò in primo luogo nella testa di questa donna (Mc. 16, 9; I/i. 20, 11 sgg.). A giudizio di Renan, nessuno più di Maria Maddalena ha contribuito alla nascita del Cristianesimo, Non bisogna dimenticare a questo riguardo che Gesù ne aveva scacciato «sette spiriti maligni» (Lc. 8, 2; Mc. 16, 9), vale a dire, in altri termini, che era isterica fino alla follia e per di più, negli apocrifi, è sempre considerata la consorte del Maestro.

E già nel II secolo Celso, si domandava con sarcasmo: «Ma chi vi ha assistito (alla resurrezione)? Una donna mezzo pazza!» (Origene,Contra Celsum, 2, 55). E anche a Porfirio e ai suoi seguaci il ruolo delle donne, e specialmente quello di Maria Maddalena, fino a qualche tempo prima posseduta dai demoni, apparve sospetto.

Nel Vangelo di Luca, poi, Cristo sottolinea in pieno la sua fisicità: non più il "Noli me tangere"!, con cui aveva respinto Maria Maddalena, bensì l’esortazione chiara e tonda ai discepoli «Palpatemi e guardatemi!», per ribadire espressamente ch’era fatto di carne e d’ossa. Non solo, ma consuma coi discepoli un buon arrosto di pesce. A quanto pare a Gerusalemme i pescivendoli e le rosticcerie erano alla portata di mano.

In quella circostanza Gesù, che aveva allegramente apostrofato gli apostoli dicendo: «Ehi, ragazzi, non avete per caso un po’ di pesce?» fa anche la replica della portata, ordinando di portare altri pesci. Pietro ne porta in tavola 153, né uno in più né uno in meno, e belli grossi per sovrapprezzo. Più resuscitato di così!
E infine, la corporeità «autentica ed effettiva» del Risorto viene rafforzata dalla notizia che «secondo tradizioni attendibili» all’atto dell’Ascensione impresse nel suolo le divine impronte dei piedi, com’era avvenuto - per altro - già a Eracle e a Dioniso.

Girolamo, «Dottore della Chiesa», ci assicura che era possibile vederle ancora ai suoi tempi, nel V secolo. Il Venerabile Beda, il «Dottore del Medioevo», attesta la presenza delle medesime persino nell’VIlI secolo. Tutto questo, poi, nonostante i cristiani, da quel suolo, avessero in fretta e furia portato via enormi quantità di terriccio. Ma forse, per il popolo bue, si ricreavano di continuo.



venerdì 11 ottobre 2013

La resurrezione di Cristo (Sesta parte) 78

Anche il numero dei testimoni della resurrezione, stando ai Vangeli, agli Atti degli apostoli e alle Lettere di Paolo è sempre contradditorio. A questo proposito vale la pena di accennare, almeno di sfuggita, al fatto che in relazione alla resurrezione i cultori della Cabala affermano che ci troviamo continuamente di fronte al numero 8. Gesù risorge l’ottavo giorno dopo l’inizio della settimana di Passione; i Vangeli contengono in tutto 8 notizie sulla sua Resurrezione e sulle sue apparizioni e citano 16 (= 2 x 8) nomi di testimoni oculari (Cfr. Mc. 16, 1 sgg. specie 16, 7. Inoltre 14, 28; Mt. 28, 1 sgg. specie 28, 16 con Le. 24, 1 sgg). Paolo in una sua Lettera, parla di una apparizione di Gesù davanti a 512 fratelli (8 x 8 x 8); perfino il numero delle resurrezioni nominate nei Vangeli (eccettuata quella di Gesù) è ancora 8.

Allo stesso modo il nome numerico del Risorto (Gesù) suona nella scrittura originaria 888; anche tutti i suoi appellativi (Cristo, Signore, Salvatore, Messia) nella scrittura greca contengono il fattore 8. Ma è serio, mi chiedo, ritenere manifestazioni divine queste elucubrazioni numeriche come se il buon Dio si dedicasse a simili esercizi aritmetici?

A parte la confusione sulle apparizioni che riscontriamo nei Vangeli, ci risultano in forte contrasto anche le asserzioni di Pietro e di Paolo a questo proposito. Paolo parla di sei epifanie, cinque davanti agli Apostoli e una davanti a cinquecentododici fratelli tutti insieme (1 Cor. 15, 5sgg.), aggiungendo anche che la maggior parte di questi testimoni «è ancora in vita». Stranamente, però, un’apparizione tanto imponente non viene citata in nessun altro documento del Nuovo Testamento e inoltre mal si concilia con la dichiarazione di Pietro, secondo la quale Dio avrebbe consentito a Gesù «di apparire non a tutto il popolo, ma a noi, testimoni scelti già in precedenza da Dio, a noi che dopo la sua Resurrezione dai morti abbiamo mangiato e bevuto con lui» (Atti, 10, 40 sg.).

Ma, davanti a questa affermazione, ci chiediamo, perché mai il Signore apparve solo ai discepoli, e non anche ai suoi accusatori e giudici, per dimostrare loro la sua reale resurrezione.


Di questo serio problema si occupò, con sarcasmo, il filosofo Celso, polemista anticristiano, che pose il sommo dottore Origene in notevole imbarazzo. Il grande teologo, arrampicandosi sugli specchi, seppe rispondere assurdamente all’avversario pagano dicendo che il Risorto si limitò ad apparire a poche persone, perché gli altri non avrebbero saputo sopportare la vista della sua immagine trasfigurata (Origene, Contra Celsum). Insomma, per non accecarli, poveretti!

Celso


martedì 8 ottobre 2013

La resurrezione di Cristo (Quinta parte) 77

Il luogo delle apparizioni di Gesù risorto secondo Marco e Matteo fu la Galilea, secondo Luca, invece, Gerusalemme. Alcuni teologi volendo eliminare queste contraddizioni, presenti anche nei Vangeli Apocrifi, inventarono assurdamente una località, chiamata Galilea, prossima al Monte degli Olivi, o nei dintorni di Gerusalemme. Ma questi tentativi furono ben presto ignorati. Altri studiosi per togliere di mezzo queste contraddizioni,spiegarono l’apparizione di Cristo in Galilea come un vecchio abbaglio di Marco , Ma altri, difendendo Marco, le attribuirono addirittura ad un premeditato errore di Luca.

Certo, Gesù avrebbe potuto apparire dovunque, e in effetti il Quarto Vangelo parla di cristofanie sia in Gerusalemme che in Galilea (Gv 20, 19 sgg. e 21) e il Diatessarone di Taziano, una sorta di concordanza evangelica composta intorno al 170 col fine esplicito di appianare le incongruenze dei Vangeli canonici, dice la stessa cosa. Ma al Quarto Vangelo non si può attribuire nessun valore storiografico, tanto più che l’indagine storico-critica ha provato che il capitolo 21, proprio quello contenente il racconto dell’apparizione del Risorto in Galilea, è da considerrsi assolutamente un falso aggiunto molto posteriormente per provare con il tu es Petrus l'investitura di Pietro a capo della Chiesa.

Inoltre, né Marco né Matteo parlano di apparizioni in Gerusalemme; né Luca parla di apparizioni in Galilea. Negli Atti degli Apostoli, anch’essi attribuiti a Luca, il Risorto ordina espressamente ai discepoli «di non allontanarsi da Gerusalemme, e di attendere là il compimento della promessa del Padre», per poi, dopo una breve allocuzione, ascendere immediatamente in cielo (Atti, 1, 1 sgg.).

E anche nel Vangelo di Luca egli comanda: «E voi restate qui in città, finché non sarete armati della forza che discende dall’alto» (Lc. 24, 49). Pertanto Luca parla solo di apparizioni del Risorto a Gerusalemme o nei dintorni, nulla, invece, di apparizioni in Galilea. Al contrario! Egli le esclude addirittura proprio con l’ordine imposto ai discepoli sia negli Atti che nel Vangelo di non abbandonare Gerusalemme fino all’accoglimento dello Spirito nella festività della Pentecoste.



Diatesserone


venerdì 4 ottobre 2013

La resurrezione di Cristo (Quarta parte) 76

Le resurrezioni, al tempo di Gesù erano, come ho ricordato più volte, all'ordine del giorno e la leggenda ammetteva che tutti quelli che si atteggiavano ad inviati divini, dopo la loro dipartita sarebbero prima o poi ricomparsi. Il Cinico Peregrinus Proteus, dopo essere stato bruciato sul rogo, apparve a un filosofo, il quale non solo dichiarò d’aver veduto il risorto biancovestito e col viso radioso, ma giurò anche d’essere stato testimone della sua ascesa al cielo. Anche Apollonio di Tiana, risorto, si mostrò a due dei suoi discepoli, inducendoli a toccargli la mano perché si convincessero ch’era vivo. E un Pretore romano sostenne sotto giuramento d’aver visto la figura del defunto Augusto in atto di ascendere in cielo.

Secondo un’antica concezione ebraica risalente a Mosè, un fatto poteva ritenersi dimostrato solo dietro testimonianza di almeno due o tre testimoni. Anche nella primitiva comunità cristiana il principio era valido per cui anche Cristo doveva apparire a più persone per essere «realmente» risorto.
Ecco allora che egli, secondo alcune notizie, apparve dapprima a Maria Maddalena, secondo altre a Giacomo e secondo altri ancora a Nicodemo o addirittura alla madre. E già i Vangeli su questo punto si contraddicono in maniera grossolana.

Secondo la testimonianza di Marco e di Giovanni il risorto appare dapprima a Maria Maddalena (Mc. 16, 9; Gv. 20, 11 sgg.); secondo Matteo si mostra contemporaneamente alle due Marie (Mt. 28, 1 sgg.); e secondo Luca ai due discepoli di Emmaus (Lc. 24, 1 sgg. 24, 13 sgg.).



Peregrinus Proteus


martedì 1 ottobre 2013

La resurrezione di Cristo (Terza parte) 75

Una altrettanto sconcertante serie di contraddizioni notiamo poi a proposito della storia dell’Angelo. In Marco le donne lo incontrano nel sepolcro; in Matteo davanti, sopra la pietra rovesciata; in Luca, in un primo momento, non è né dentro né sopra, ma subito ne compaiono due, che si materializzano improvvisamente accanto alle donne. Anche nel Quarto Vangelo gli Angeli sono due, ma se ne stanno di già seduti in attesa sul sepolcro.

A proposito degli angeli cristiani c'è da rilevare che la Chiesa per lungo tempo ne condannò il culto. Il Sinodo di Laodicea (intorno al 360) lo dichiarò «pratica superstiziosa», e in effetti la credenza in una schiera di angeli è solo la deformazione di un antico politeismo. Anche «l’angelo custode», invenzione che accompagna ogni bambino cattolico, presente in Matteo, era già ben noto agli Assiri e ai Babilonesi, che raffiguravano i loro Angeli esattamente come faranno poi i cristiani. Nell’Ebraismo furono forniti di ali solo dietro influsso pagano, se è vero che nel Primo libro di Mosè essi avevano ancora bisogno di una scala per i loro viaggi fra cielo e terra. Ma la Chiesa stessa, in verità, non sempre è riuscita a fare chiarezza circa le innumerevoli classi di Angeli.

Alcuni autori hanno collegato la storia del sepolcro vuoto, con l’opera di Caritone “Cherea e Calliroe”, romanzo ampiamente allora diffuso e letto, che ha influenzato notevolmente l'opinione pubblica del tempo ed evidentemente anche gli Evangelisti. Nel III libro Cherea si reca di buon mattino presso la tomba di Calliroe, al colmo della disperazione, ma ecco che la pietra tombale giace rovesciata al suolo e l’ingresso è libero. Spaventato, Cherea non osa entrare; altri accorrono, anch’essi pieni di paura, finché uno si decide ad entrare e vede il miracolo: la defunta non c’è, il sepolcro è vuoto. Allora anche Cherea si fa avanti, e constata che l’evento incredibile è davvero accaduto.




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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)