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martedì 30 dicembre 2014

13-“L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. L'incontro con Giovanni Battista

Intorno al 30 d.C., nel clima rovente della Palestina travagliata da continue sommosse antiromane, s'affaccia sulla scena d'Israele un personaggio, per molti aspetti carismatico, conosciuto come Giovanni Battista.
Di lui possiamo affermare che era sicuramente un esseno. Sono molti e importanti gli elementi che collegano questo personaggio alla comunità di Qumran:
1.anzitutto il fatto che visse in regioni desertiche della Giudea, dove si trovava quella setta.
“Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele” (Luca 1,80). “In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea” (Matteo 3,1).
2.In secondo luogo perché somministrava il battesimo in prossimità dello sbocco del Giordano nel Mar Morto, vicino all’insediamento di Qumran, e questo rito in Israele era praticato solo dagli esseni. “[...]si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione” (Marco 1,4).
3.In terzo luogo perché la sua predicazione era tipicamente messianica in quanto prevedeva imminente la restaurazione del Regno di Jahvè. “Convertitevi perché il Regno dei Cieli è vicino” (Matteo 3,2).
Anche il suo nutrimento era tipicamente esseno. “..il suo cibo erano cavallette e miele selvatico” (Matteo 3,4). Nel Documento di Damasco, rinvenuto a Qumran, troviamo la prescrizione di come cucinare le cavallette, gettandole sul fuoco o nell’acqua ancor vive.
Infine per le violente invettive e minacce contro gli ebrei corrotti e conniventi con Roma, che ricalcano quelle di Gesù. “Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? (Matteo 3,7). “Già la scure è posta alla radice degli alberi. Ogni albero che non produce frutti viene tagliato e gettato nel fuoco” (Matteo 3,10). Parole che riconducono alla Regola della Guerra degli esseni che annunciava il giorno in cui Jahvè avrebbe attuato lo sterminio dei figli delle tenebre, cioè di tutti i figli degeneri di Israele. Nei Vangeli è presentato come colui che doveva preparare la strada alla venuta del Messia, da sempre atteso da Israele. Infatti egli parla di "colui che viene dopo di me" e che "è più potente di me". E aggiunge: "egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile" (Matteo 3,12).
Gesù quindi viene presentato come l'atteso Messia, il ricostruttore del Regno di Jahvè e il destinatario delle profezie messianiche.
Noi sappiamo, sempre dai Vangeli, che Giovanni aveva un largo seguito di discepoli e che una parte di essi, dopo la sua decapitazione per opera di Erode Antipa, si unì a Gesù che allora stava per iniziare la sua attività pubblica. Da questo fatto possiamo trarre alcune deduzioni. Forse il Battista aveva tentato di ergersi a Messia davidico, criticando aspramente la condotta privata di Erode Antipa, denunciando la collusione tra la classe dirigente israeliana e i romani e biasimando il lassismo del clero templare nell'osservanza della Legge. Ma fu prontamente eliminato, perché troppo scomodo non solo ad Erode ma a tutte le classi alte di Israele. Col battesimo iniziatico, Gesù, che sicuramente era un suo seguace, ricevette dal lui una specie di investitura a proseguire la sua opera, nel caso fosse stato tolto di mezzo. Difatti, i due avvenimenti: l'arresto del Battista e l'inizio dell'attività pubblica di Gesù, coincidono cronologicamente.
Notiamo, anche, a proposito del Battista, chiare discordanze tra gli evangelisti. Luca, ad esempio, sostiene che il Battista e Gesù erano parenti stretti (cugini) e contemporanei d'età (Luca 1), mentre per Giovanni non si conoscevano affatto (Giovanni 1,31).
Ma non è tutto. Ci sono altre incongruità che non trovano spiegazioni. Ad esempio: se il battesimo di Giovanni era di carattere espiatorio, aveva cioè lo scopo di ottenere la remissione dei peccati, quali colpe aveva Gesù, Figlio di Dio, da farsi perdonare? Le contorsioni teologiche escogitate dai dottori della Chiesa per conciliare una tale incongruenza sono semplicemente ridicole. Per Tommaso d'Aquino col battesimo di Gesù il Signore avrebbe solo voluto santificare l’acqua.
E, ancora, se al momento del battesimo, secondo Matteo, Giovanni proclama Gesù il futuro Messia, perché nello stesso Vangelo, otto capitoli dopo, mentre è in carcere, mostra di aver del tutto dimenticato questo clamoroso evento, e a dispetto del cielo aperto, della colomba e della voce dello Spirito Santo, manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù: “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo attendere un altro?”(Matteo 11,3-4) Immaginate l'imbarazzo della Chiesa di fronte a questa smemoratezza del Battista!
E, per concludere: se il battesimo per Gesù fu così importante, come ci fanno notare i Vangeli, perché durante la sua attività pubblica Gesù non battezzò mai nessuno, nemmeno i suoi discepoli? Qualcuno potrebbe obiettare che gli apostoli ricevettero da Gesù l’ordine di battezzare in nome della Trinità, come nel Vangelo di Matteo: «E dunque, andate e insegnate a tutti i popoli e battezzateli in nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo...» (Matteo 28,19). Si tratta di un ennesimo falso messo in evidenza da due considerazioni. Anzitutto, al tempo di Matteo, nessuno era a conoscenza della Trinità, la cui formulazione avvenne soltanto nel IV secolo col secondo Concilio ecumenico del 381, che inserì il dogma della Trinità nel cosiddetto credo niceno-costantinopolitano.
In secondo luogo, Matteo si contraddice avendo scritto in precedenza, proprio nel suo Vangelo, che Gesù aveva esplicitamente vietato il missionariato presso i non ebrei. “Non andate tra i pagani e non entrate in nessuna città dei samaritani, ma andate piuttosto verso le pecore perdute della casa d'Israele.” (Matteo 10,5-6).
Quindi il battesimo cristiano nasce, come vedremo in seguito, non da Gesù e i suoi apostoli, ma da Paolo, che lo derivò da quello pagano dei riti iniziatici delle Religioni Misteriche. Nell'antico Egitto, tra i numerosi dei c'era anche il dio Anap, detto il “battezzatore”. Comunque sia, l'influenza del Battista su Gesù fu senza dubbio determinante per la sua futura missione ed è valsa come una solenne investitura a Messia d'Israele.
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venerdì 26 dicembre 2014

10 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Ipotesi sulla nascita ( Parte quarta)

L'istituzione del nazireato nacque durante l’esodo dall’Egitto, che costrinse gli ebrei a peregrinare per decenni nel deserto.
Il termine nazireo, derivato dalla radice ebraica N+Z+R, significava santità, purezza, voto a Dio. In pratica chi faceva voto di nazireato, doveva, per tutto il tempo per il quale si era votato al Signore, astenersi da ogni tipo di bevande alcoliche e non passare mai rasoio sul suo capo. (Vedi la Bibbia: Numeri 6,2-5).
Nel caso di Gesù il termine nazireo è stato mutato dagli evangelisti in nazareno, termine riferito alla presunta città di Nazareth, adducendo a pretesto l'adempimento delle profezie. “Perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: Sarà chiamato Nazareno” (Matteo 2,23).
Ma nel Vecchio Testamento non esistono profezie che abbiano un qualsiasi riferimento a Nazareno ma soltanto il termine nazireo, titolo riferito al voto di cui abbiamo accennato sopra. Si tratta quindi di un titolo religioso o settario. L'analisi linguistica ce lo conferma: il greco "Iesous o Nazoraios" deriva dall'ebraico "Jeoshua ha Nozrì" e dall'aramaico "Jeshu Nazorai", cioè dalla radice NZR, che non ha niente a che vedere con la radice NZRT della città di Nazareth che è tarda, perché affermatasi alcuni secoli dopo Cristo.
Perché allora gli evangelisti, o quelli che hanno manipolato i Vangeli, hanno fatto questa assurda sostituzione di significato? La risposta è semplice: per spoliticizzare la storia, per eliminare cioè col meccanismo di censura ogni riferimento di tipo messianico-escatologico a Gesù, coinvolto nella lotta rivoluzionaria antiromana, e per nascondere la sua vera città d’origine che probabilmente era Gamala o Gamla, molto legata al messianismo jahvista. In quella città aveva avuto origine il movimento zelota per opera di due falsi Messia: Ezechia e suo figlio Giuda il Galileo. Il primo giustiziato da Erode e il secondo, nel 7 d.C., dai romani, al comando di Quintilio Varo, assieme ai suoi duemila seguaci. Benché la setta fosse originaria di Gamala nel Golan, i suoi seguaci venivano definiti "Galilei", in quanto il loro teatro di operazioni era soprattutto la Galilea.
Giuseppe Flavio nelle sue opere chiama i seguaci di Giuda, anche “sicarii”, perché uccidevano furtivamente con un pugnale nascosto (sica), e "zeloti“ (briganti) in quanto perturbatori dell’ordine. In pratica, quello zelota era un movimento clandestino di resistenza anti-romana e anti-collaborazionista. Quindi Gamala, patria di Giuda il Galileo, era la città più malfamata della Palestina, sinonimo di ribellione e brigantaggio, al punto che ai tempi di Gesù, “Galileo” significava ribelle, sovversivo (oggi diremmo: terrorista).
Che Gamala fosse il quartier generale dei messianisti più irriducibili lo deduciamo anche dalla storia. Durante la prima guerra giudaica oppose a Vespasiano una resistenza disperata al punto da essere paragonata a Masada, distrutta nel 73. Fu infatti espugnata dal futuro imperatore dopo un lungo e duro assedio e i suoi difensori, piuttosto di arrendersi, si suicidarono in massa, proprio come quelli di Masada.
Il meccanismo di censura in questo caso ha origine nella predicazione di Paolo, che escludeva a priori che Gesù potesse essere un nazireo e tanto meno che fosse nato a Gamala e magari fosse collegato a Giuda il Galileo o imparentato con lui, come alcuni studiosi suppongono.
Per Paolo e i suoi seguaci collegare Cristo a Gamala e a Giuda il Galileo avrebbe annullato ogni tentativo di far di lui il Salvatore universale. Ad ulteriore riprova di questa sostituzione di significato ricordiamo che è esistito il Vangelo dei nazirei (fatto sparire dalla Chiesa) che non significava Vangelo dei cittadini di Nazareth ma dei cristiano-giudei che erano chiamati così. Concludendo: “” significa “Gesù della setta dei nazirei” non Gesù di Nazareth o Gesù nazaretano.
Qualcuno potrebbe obiettare, però, che oggi il villaggio di Nazareth esiste ed è meta di continui pellegrinaggi. Ad una attenta analisi archeologica, storica, letteraria e geografica, niente ci fa ritenere che esso corrisponda a quello descritto dai Vangeli ma che, al contrario, fu inventato, forse nel IX secolo, e codificato durante le Crociate per gli ingenui pellegrini cristiani (che ancora oggi vi possono ammirare la fucina di Giuseppe). Se noi lo confrontiamo con quello in cui, secondo i Vangeli, visse Gesù, scopriamo che non ha nessuna corrispondenza.
Vediamo cosa scrive Luca: “(Gesù) Si recò a Nazareth, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere...allora cominciò a dire: «oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi»...all’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio” (Luca 4,16-30). Di che monte e precipizio si trattava, visto che l'attuale Nazareth di essi non presenta alcuna traccia?
Scrive Marco: “ Salì (Gesù) poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui [...] Entrò in una casa e si radunò di nuovo intorno a lui molta folla [...] allora i suoi (familiari), sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «è fuori di sé» (Marco 3,20-21) …e di nuovo si mise ad insegnare lungo il mare” (Marco 4,1). È evidente che qui ci troviamo nella sua città natale perché i suoi parenti, preoccupati del suo comportamento anomalo, cercano di dissuaderlo. Ma qui c’è un monte con uno spaventoso precipizio, che nella Nazareth attuale, come abbiamo già detto, non c’è, e c’è un mare vicino (cioè il lago di Tiberiade) che invece dista decine di miglia.
La descrizione di questo luogo calza perfettamente invece con la città di Gamala, scoperta dagli Israeliani in occasione della cosiddetta Guerra dei Sei Giorni nel 1967, che corrisponde a quella descritta da Giuseppe Flavio, nella quale troviamo il monte, il precipizio e il mare poco lontano. “..(Gamala) si affacciava a mezzogiorno, e la sua sommità meridionale, elevandosi a smisurata altezza, formava la rocca della città, sotto cui un dirupo privo di mura piombava in un profondissimo burrone” (Giuseppe Flavio, La Guerra Giudaica, Mondatori, Milano. 1982).
Concludendo, la Nazareth attuale non presentando testimonianze archeologiche di nessun tipo, così frequenti invece in tutti gli altri siti antichi vicini ad essa (basti citare Sefforis e Iotapata, a pochi passi da Nazareth), priva inoltre di riferimenti storici e letterari del tempo e per di più con una configurazione geografica totalmente diversa da quella descritta dai Vangeli, sicuramente al tempo di Gesù non esisteva proprio e sarebbe stata creata successivamente dai pellegrini cristiani.
Eliminando Gamala, per far posto a Nazareth, i Vangeli paolini hanno tolto ogni riferimento tra Gesù e la città malfamata che era divenuta il simbolo della ribellione politica della Palestina, hanno sostituito il significato settario del titolo Nozri (ebraico), Nazorai (aramaico), Nazoraios (greco) con quello inventato di nazareno; hanno trasformato l'aggettivo Galileo, che indicava una militanza rivoluzionaria ed era sinonimo di ribelle e brigante, in un semplice appellativo geografico.
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giovedì 25 dicembre 2014

La mondanizzazione del clero (Parte seconda) 192

La mondanizzazione del clero si accentuò col progredire del tempo. Un regolamento ecclesiastico del III secolo definisce il vescovo «immagine di Dio onnipotente», «re», Signore «della vita e della morte», e vuole vederlo assiso su un trono, circondato dai suoi sacerdoti, esattamente come si immaginava
stesse Dio nel regno dei cieli.

In contrasto stridente con tale processo involutivo della Chiesa è opportuno ricordare come Gesù rampognasse gli scribi e i farisei: «Prediligono i primi posti nei banchetti e i seggi d’onore nelle sinagoghe; vogliono essere ossequiati al mercato e godono nel farsi chiamare dalla gente col titolo di “Rabbi”. Ma voi non dovrete farvi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, ma siete tutti fratelli. E nessuno sulla terra dovrete chiamare vostro “padre”, perché uno solo è il Padre, quello che sta nei cieli» (Mt. 23, 6 sgg.).

E’ evidente che Gesù vieta in tal modo ai suoi seguaci qualsiasi carica o titolo
onorifico, e così furono interpretate in un primo momento le sue parole. E ancora
verso la metà del II secolo S. Giustino predicava agli Ebrei: «Dovete dunque prima di tutto disprezzare gli insegnamenti di coloro che si autoesaltano e pretendono d’essere chiamati “Rabbi, Rabbi”» (Just., Tiyph. 112).



Nel IV secolo poi i vescovi presero a chiamarsi reciprocamente «Tua Santità», «Tua Beatitudine»; e Gregorio di Nazianzio, riferendosi alla prassi ecclesiastica, ammette con ammirevole sincerità: «Colui che si lascia vincere facilmente viene disprezzato; chi si esalta viene onorato; chi si umilia di fronte a Dio viene irriso».

San Giustino


martedì 23 dicembre 2014

9 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Ipotesi sulla nascita (Parte terza)

 C’è poi il discorso sul censimento. Luca sostiene che la nascita di Gesù a Betlemme fu dovuta al censimento di Quirinio che obbligava tutti gli ebrei a farsi registrare nel luogo di nascita. Una cosa totalmente inverosimile. Il censimento, per i romani, aveva uno scopo fiscale, serviva cioè a stabilire il censo di ciascuna famiglia per farle pagare i tributi adeguati. Come prescriveva la legge romana, l’istituzione di una nuova provincia (come quella di Giuda istituita nel 6 d.C. in seguito alla deposizione di Archelao), comportava il censimento della popolazione ai fini fiscali. Questo censimento doveva essere fatto nel luogo di residenza dove il censito possedeva il patrimonio o svolgeva la sua attività e dove, soprattutto, i gabellieri (i pubblicani) potevano riscuotere le gabelle.
Che senso aveva censirsi a decine di chilometri di distanza dall'abituale residenza dove non si possedeva nulla e nessuno ti conosceva?
Quindi il censimento per Luca è un pretesto irrazionale per far nascere Gesù a Betlemme, in ottemperanza alle profezie messianiche.
A questo punto possiamo delineare un quadro d’insieme sulla presunta natività di Gesù per stabilire le concordanze e le discordanze riferite alla stessa. Le concordanze (che sono, però, totalmente false) sono tre: 1.Betlemme, la città di nascita, considerata dagli stessi teologi cattolici un semplice requisito messianico, privo di ogni attendibilità; 2.la discendenza davidica (anche questa considerata un requisito messianico senza attendibilità e in più in contrasto con la paternità divina); 3.la verginità di Maria (di cui abbiamo dimostrato la falsità).
Per quanto riguarda le discordanze, a prescindere da quella teologica che porta Matteo a privilegiare la genealogia tutta messianica e regale e Luca quella spirituale e sacerdotale (con ammessa anche la predestinazione regale), esse, in sintesi, sono sette e tutte, da una parte e dall’altra, in odore di falsità.
Riguardano: 1.la genealogia di Gesù con ventisette antenati prima di lui di stirpe regale, per Matteo, con quarantadue antenati di stirpe natanico-sacerdotale per Luca; 2.il periodo della nascita che differisce di circa quattordici anni tra i due evangelisti; 3. la residenza della famiglia prima della nascita: Betlemme per Matteo, Nazareth per Luca; 4.il luogo della nascita: una casa per Matteo, una stalla con mangiatoia per Luca; 5. l’adorazione di Gesù appena dopo la sua nascita: i magi per Matteo, i pastori e i cori angelici per Luca; 6.la persecuzione di Erode e la conseguente strage degli innocenti in Matteo e la totale assenza del fatto in Luca; 7.la fuga in Egitto per Matteo e dopo alcuni anni il ritorno a Nazareth; il rientro subito dopo la nascita a Nazareth per Luca. Insomma sono due natività così discordanti che sembrano riferite a due personaggi diversi. E come la mettiamo con l'enciclica di papa Leone XIII “Providentissimus Deus” che afferma che gli evangelisti «esprimono con infallibile veridicità tutto ciò che Dio ha ordinato loro di scrivere e soltanto quello»?
Per quanto riguarda la città di Nazareth, anche qui le sorprese non mancano. Gesù di Nazareth o Gesù nazareno o il nazareno sono appellativi familiari ad ogni cristiano. Il significato di queste espressioni è evidente a tutti: Gesù di Nazareth significa che Gesù è vissuto per gran parte della sua vita in quella località dell’alta Galilea che va sotto il nome di Nazareth. Chiaro? Chiarissimo.
Eppure ha tutta l'aria di essere una frottola. Diciamo subito, a scanso di equivoci, che molti studiosi, anche cristiani e cattolici, hanno raggiunto la certezza che Nazareth ai tempi di Gesù non esistesse nemmeno. Scrive M. Craveri nel suo libro “La vita di Gesù” (Feltrinelli. Milano, 1974): “El-Nasirah è un villaggio della Galilea, posto a circa quattrocento metri di altezza, nel quale la tradizione cristiana riconosce l’antica Nazareth, patria di Gesù. Secondo vari studiosi, tuttavia, Nazareth - meglio Natzrath o Notzereth - non è mai esistita e l’appellativo Nazareno che accompagna il nome di Gesù negli scritti neotestamentari non indica affatto il suo paese di origine, ma è da ricollegare al vocabolo aramaico Nazirâ con cui a quei tempi erano chiamati coloro che avessero fatto voto, perenne o temporaneo, di castità e di astinenza, tenendo le chiome intonse per tutta la durata del voto.”
A dimostrazione di ciò va detto che Giuseppe Flavio, storico ebreo di poco posteriore a Gesù, che nelle sue opere fece una pignola descrizione topografica della Galilea, regione da lui conosciuta palmo a palmo mentre era comandante delle truppe ebraiche stanziate nell'alta Palestina durante la guerra giudaica del 66-70, nominò di essa ogni singola cittadina, senza mai accennare all'esistenza di Nazareth.
Cerchiamo allora di capire come nasce l’aggettivo, apparentemente geografico, “nazareno”. Cominciamo dai Vangeli scritti originariamente in lingua greca. In essi l’aggettivo in questione è  (nazoraios)  (Matteo 2,23; 26,71; Luca 18,37; Giovanni 18,5; 19,19), e  (nazarenos) (Marco 1,24; 1,47; 14,67; 16,6; Luca 4, 34; 24, 19), che non significa cittadino di Nazareth o nazaretano ma appartenente alla setta dei nazirei. Cioè di quelli, come dice Craveri, che avevano fatto voto di nazireato.
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venerdì 19 dicembre 2014

10 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Ipotesi sulla nascita ( Parte quarta)

L'istituzione del nazireato nacque durante l’esodo dall’Egitto, che costrinse gli ebrei a peregrinare per decenni nel deserto.
Il termine nazireo, derivato dalla radice ebraica N+Z+R, significava santità, purezza, voto a Dio. In pratica chi faceva voto di nazireato, doveva, per tutto il tempo per il quale si era votato al Signore, astenersi da ogni tipo di bevande alcoliche e non passare mai rasoio sul suo capo. (Vedi la Bibbia: Numeri 6,2-5).
Nel caso di Gesù il termine nazireo è stato mutato dagli evangelisti in nazareno, termine riferito alla presunta città di Nazareth, adducendo a pretesto l'adempimento delle profezie. “Perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: Sarà chiamato Nazareno” (Matteo 2,23).
Ma nel Vecchio Testamento non esistono profezie che abbiano un qualsiasi riferimento a Nazareno ma soltanto il termine nazireo, titolo riferito al voto di cui abbiamo accennato sopra. Si tratta quindi di un titolo religioso o settario. L'analisi linguistica ce lo conferma: il greco "Iesous o Nazoraios" deriva dall'ebraico "Jeoshua ha Nozrì" e dall'aramaico "Jeshu Nazorai", cioè dalla radice NZR, che non ha niente a che vedere con la radice NZRT della città di Nazareth che è tarda, perché affermatasi alcuni secoli dopo Cristo.
Perché allora gli evangelisti, o quelli che hanno manipolato i Vangeli, hanno fatto questa assurda sostituzione di significato? La risposta è semplice: per spoliticizzare la storia, per eliminare cioè col meccanismo di censura ogni riferimento di tipo messianico-escatologico a Gesù, coinvolto nella lotta rivoluzionaria antiromana, e per nascondere la sua vera città d’origine che probabilmente era Gamala o Gamla, molto legata al messianismo jahvista. In quella città aveva avuto origine il movimento zelota per opera di due falsi Messia: Ezechia e suo figlio Giuda il Galileo. Il primo giustiziato da Erode e il secondo, nel 7 d.C., dai romani, al comando di Quintilio Varo, assieme ai suoi duemila seguaci. Benché la setta fosse originaria di Gamala nel Golan, i suoi seguaci venivano definiti "Galilei", in quanto il loro teatro di operazioni era soprattutto la Galilea.
Giuseppe Flavio nelle sue opere chiama i seguaci di Giuda, anche “sicarii”, perché uccidevano furtivamente con un pugnale nascosto (sica), e "zeloti“ (briganti) in quanto perturbatori dell’ordine. In pratica, quello zelota era un movimento clandestino di resistenza anti-romana e anti-collaborazionista. Quindi Gamala, patria di Giuda il Galileo, era la città più malfamata della Palestina, sinonimo di ribellione e brigantaggio, al punto che ai tempi di Gesù, “Galileo” significava ribelle, sovversivo (oggi diremmo: terrorista).
Che Gamala fosse il quartier generale dei messianisti più irriducibili lo deduciamo anche dalla storia. Durante la prima guerra giudaica oppose a Vespasiano una resistenza disperata al punto da essere paragonata a Masada, distrutta nel 73. Fu infatti espugnata dal futuro imperatore dopo un lungo e duro assedio e i suoi difensori, piuttosto di arrendersi, si suicidarono in massa, proprio come quelli di Masada.
Il meccanismo di censura in questo caso ha origine nella predicazione di Paolo, che escludeva a priori che Gesù potesse essere un nazireo e tanto meno che fosse nato a Gamala e magari fosse collegato a Giuda il Galileo o imparentato con lui, come alcuni studiosi suppongono.
Per Paolo e i suoi seguaci collegare Cristo a Gamala e a Giuda il Galileo avrebbe annullato ogni tentativo di far di lui il Salvatore universale. Ad ulteriore riprova di questa sostituzione di significato ricordiamo che è esistito il Vangelo dei nazirei (fatto sparire dalla Chiesa) che non significava Vangelo dei cittadini di Nazareth ma dei cristiano-giudei che erano chiamati così. Concludendo: “” significa “Gesù della setta dei nazirei” non Gesù di Nazareth o Gesù nazaretano.
Qualcuno potrebbe obiettare, però, che oggi il villaggio di Nazareth esiste ed è meta di continui pellegrinaggi. Ad una attenta analisi archeologica, storica, letteraria e geografica, niente ci fa ritenere che esso corrisponda a quello descritto dai Vangeli ma che, al contrario, fu inventato, forse nel IX secolo, e codificato durante le Crociate per gli ingenui pellegrini cristiani (che ancora oggi vi possono ammirare la fucina di Giuseppe). Se noi lo confrontiamo con quello in cui, secondo i Vangeli, visse Gesù, scopriamo che non ha nessuna corrispondenza.
Vediamo cosa scrive Luca: “(Gesù) Si recò a Nazareth, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere...allora cominciò a dire: «oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi»...all’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio” (Luca 4,16-30). Di che monte e precipizio si trattava, visto che l'attuale Nazareth di essi non presenta alcuna traccia?
Scrive Marco: “ Salì (Gesù) poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui [...] Entrò in una casa e si radunò di nuovo intorno a lui molta folla [...] allora i suoi (familiari), sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «è fuori di sé» (Marco 3,20-21) …e di nuovo si mise ad insegnare lungo il mare” (Marco 4,1). È evidente che qui ci troviamo nella sua città natale perché i suoi parenti, preoccupati del suo comportamento anomalo, cercano di dissuaderlo. Ma qui c’è un monte con uno spaventoso precipizio, che nella Nazareth attuale, come abbiamo già detto, non c’è, e c’è un mare vicino (cioè il lago di Tiberiade) che invece dista decine di miglia.
La descrizione di questo luogo calza perfettamente invece con la città di Gamala, scoperta dagli Israeliani in occasione della cosiddetta Guerra dei Sei Giorni nel 1967, che corrisponde a quella descritta da Giuseppe Flavio, nella quale troviamo il monte, il precipizio e il mare poco lontano. “..(Gamala) si affacciava a mezzogiorno, e la sua sommità meridionale, elevandosi a smisurata altezza, formava la rocca della città, sotto cui un dirupo privo di mura piombava in un profondissimo burrone” (Giuseppe Flavio, La Guerra Giudaica, Mondatori, Milano. 1982).
Concludendo, la Nazareth attuale non presentando testimonianze archeologiche di nessun tipo, così frequenti invece in tutti gli altri siti antichi vicini ad essa (basti citare Sefforis e Iotapata, a pochi passi da Nazareth), priva inoltre di riferimenti storici e letterari del tempo e per di più con una configurazione geografica totalmente diversa da quella descritta dai Vangeli, sicuramente al tempo di Gesù non esisteva proprio e sarebbe stata creata successivamente dai pellegrini cristiani.
Eliminando Gamala, per far posto a Nazareth, i Vangeli paolini hanno tolto ogni riferimento tra Gesù e la città malfamata che era divenuta il simbolo della ribellione politica della Palestina, hanno sostituito il significato settario del titolo Nozri (ebraico), Nazorai (aramaico), Nazoraios (greco) con quello inventato di nazareno; hanno trasformato l'aggettivo Galileo, che indicava una militanza rivoluzionaria ed era sinonimo di ribelle e brigante, in un semplice appellativo geografico.
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giovedì 18 dicembre 2014

La mondanizzazione del clero (Parte prima) 191

Nel IV secolo l'alto clero si era già completamente mondanizzato. I vescovi diventavano spesso impiegati e dignitari dello Stato, strumenti del governo sempre più determinanti. Anche se il Nuovo Testamento vietava di andare alla caccia di onori mondani, nel cristianesimo esplose in questo secolo una straordinaria pulsione a raggiungere posizioni di prestigio.

Già il germe del potere aveva contagiato gli apostoli perchè nei Vangeli leggiamo che discussero su chi di loro fosse il più grande e si contesero ripetutamente i posti migliori nel «Regno di Dio». In epoca postapostolica i sacerdoti cristiani acquisirono ben presto la spocchia propria dei sacerdoti pagani nei confronti del prossimo e bramarono,senza pudore, ogni tipo di onore e di magnificenza. Verso la metà del Il secolo i chierici di più alto grado pretesero che ci si rivolgesse a loro non più chiamandoli «fratelli», ma «signori».

A partire dal III secolo, allorché si impose la fatidica separazione fra chierici e
laici, i preti si attribuirono reciprocamente il titolo di «signore»: nelle lettere al ve-
scovo ci si rivolse chiamandolo «santo padre», e che un prete chiamasse un laico
«fratello», era sentito come un onore del tutto particolare. Il Padre della Chiesa Clemente Alessandrino si prendeva gioco degli abiti scadenti e dell’aspetto esteriore assai trascurato dei sacerdoti di Attis; e il vescovo Cipriano, discendente da una famiglia agiata, affermò per la prima volta la pretesa che davanti al vescovo «si stesse in piedi, come un tempo davanti alle statue degli dei».

La Vita Cypriani, prima biografia cristiana composta dal chierico cartaginese

Ponzio, mostra quanto profonda fosse la mondanizzazione del clero già nel III secolo e nella cerchia più stretta di Cipriano.

S.Cipriano


martedì 16 dicembre 2014

9 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Ipotesi sulla nascita (Parte terza)

C’è poi il discorso sul censimento. Luca sostiene che la nascita di Gesù a Betlemme fu dovuta al censimento di Quirinio che obbligava tutti gli ebrei a farsi registrare nel luogo di nascita. Una cosa totalmente inverosimile. Il censimento, per i romani, aveva uno scopo fiscale, serviva cioè a stabilire il censo di ciascuna famiglia per farle pagare i tributi adeguati. Come prescriveva la legge romana, l’istituzione di una nuova provincia (come quella di Giuda istituita nel 6 d.C. in seguito alla deposizione di Archelao), comportava il censimento della popolazione ai fini fiscali. Questo censimento doveva essere fatto nel luogo di residenza dove il censito possedeva il patrimonio o svolgeva la sua attività e dove, soprattutto, i gabellieri (i pubblicani) potevano riscuotere le gabelle.
Che senso aveva censirsi a decine di chilometri di distanza dall'abituale residenza dove non si possedeva nulla e nessuno ti conosceva?
Quindi il censimento per Luca è un pretesto irrazionale per far nascere Gesù a Betlemme, in ottemperanza alle profezie messianiche.
A questo punto possiamo delineare un quadro d’insieme sulla presunta natività di Gesù per stabilire le concordanze e le discordanze riferite alla stessa. Le concordanze (che sono, però, totalmente false) sono tre: 1.Betlemme, la città di nascita, considerata dagli stessi teologi cattolici un semplice requisito messianico, privo di ogni attendibilità; 2.la discendenza davidica (anche questa considerata un requisito messianico senza attendibilità e in più in contrasto con la paternità divina); 3.la verginità di Maria (di cui abbiamo dimostrato la falsità).
Per quanto riguarda le discordanze, a prescindere da quella teologica che porta Matteo a privilegiare la genealogia tutta messianica e regale e Luca quella spirituale e sacerdotale (con ammessa anche la predestinazione regale), esse, in sintesi, sono sette e tutte, da una parte e dall’altra, in odore di falsità.
Riguardano: 1.la genealogia di Gesù con ventisette antenati prima di lui di stirpe regale, per Matteo, con quarantadue antenati di stirpe natanico-sacerdotale per Luca; 2.il periodo della nascita che differisce di circa quattordici anni tra i due evangelisti; 3. la residenza della famiglia prima della nascita: Betlemme per Matteo, Nazareth per Luca; 4.il luogo della nascita: una casa per Matteo, una stalla con mangiatoia per Luca; 5. l’adorazione di Gesù appena dopo la sua nascita: i magi per Matteo, i pastori e i cori angelici per Luca; 6.la persecuzione di Erode e la conseguente strage degli innocenti in Matteo e la totale assenza del fatto in Luca; 7.la fuga in Egitto per Matteo e dopo alcuni anni il ritorno a Nazareth; il rientro subito dopo la nascita a Nazareth per Luca. Insomma sono due natività così discordanti che sembrano riferite a due personaggi diversi. E come la mettiamo con l'enciclica di papa Leone XIII “Providentissimus Deus” che afferma che gli evangelisti «esprimono con infallibile veridicità tutto ciò che Dio ha ordinato loro di scrivere e soltanto quello»?
Per quanto riguarda la città di Nazareth, anche qui le sorprese non mancano. Gesù di Nazareth o Gesù nazareno o il nazareno sono appellativi familiari ad ogni cristiano. Il significato di queste espressioni è evidente a tutti: Gesù di Nazareth significa che Gesù è vissuto per gran parte della sua vita in quella località dell’alta Galilea che va sotto il nome di Nazareth. Chiaro? Chiarissimo.
Eppure ha tutta l'aria di essere una frottola. Diciamo subito, a scanso di equivoci, che molti studiosi, anche cristiani e cattolici, hanno raggiunto la certezza che Nazareth ai tempi di Gesù non esistesse nemmeno. Scrive M. Craveri nel suo libro “La vita di Gesù” (Feltrinelli. Milano, 1974): “El-Nasirah è un villaggio della Galilea, posto a circa quattrocento metri di altezza, nel quale la tradizione cristiana riconosce l’antica Nazareth, patria di Gesù. Secondo vari studiosi, tuttavia, Nazareth - meglio Natzrath o Notzereth - non è mai esistita e l’appellativo Nazareno che accompagna il nome di Gesù negli scritti neotestamentari non indica affatto il suo paese di origine, ma è da ricollegare al vocabolo aramaico Nazirâ con cui a quei tempi erano chiamati coloro che avessero fatto voto, perenne o temporaneo, di castità e di astinenza, tenendo le chiome intonse per tutta la durata del voto.”
A dimostrazione di ciò va detto che Giuseppe Flavio, storico ebreo di poco posteriore a Gesù, che nelle sue opere fece una pignola descrizione topografica della Galilea, regione da lui conosciuta palmo a palmo mentre era comandante delle truppe ebraiche stanziate nell'alta Palestina durante la guerra giudaica del 66-70, nominò di essa ogni singola cittadina, senza mai accennare all'esistenza di Nazareth.
Cerchiamo allora di capire come nasce l’aggettivo, apparentemente geografico, “nazareno”. Cominciamo dai Vangeli scritti originariamente in lingua greca. In essi l’aggettivo in questione è  (nazoraios)  (Matteo 2,23; 26,71; Luca 18,37; Giovanni 18,5; 19,19), e  (nazarenos) (Marco 1,24; 1,47; 14,67; 16,6; Luca 4, 34; 24, 19), che non significa cittadino di Nazareth o nazaretano ma appartenente alla setta dei nazirei. Cioè di quelli, come dice Craveri, che avevano fatto voto di nazireato.

venerdì 12 dicembre 2014

8 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Ipotesi sulla nascita (Parte seconda)

Riguardo alla datazione della nascita di Gesù, altro contrasto insanabile tra i due evangelisti. Matteo fa nascere Gesù sotto Erode il Grande, verosimilmente verso il 7 a.C. (come concordano la maggior parte degli storici). Luca, invece, collegandosi al censimento del governatore Publio Sulpicio Quirinio, avvenuto nel 7 d.C., quando la Giudea era diventata provincia romana in seguito alla cacciata di Erode Archelao, figlio di Erode il Grande, e retta dal procuratore Coponio, fa nascere Gesù quattordici anni dopo.
Naturalmente nella Chiesa queste contraddizioni sono state rilevate e qualcuno, arrampicandosi sugli specchi, ha cercato di superarle inventando soluzioni acrobatiche.
Ad esempio, Eusebio di Cesarea, uno dei Padri della Chiesa, a proposito delle due diverse datazioni sulla natività, ipotizzò l’esistenza di un altro censimento effettuato al tempo di re Erode il Grande.
Ma l’ipotesi è fasulla per due motivi: primo, perché nessun documento storico latino o ebraico nomina questo censimento; secondo, perché l’evangelista Luca, presunto autore anche degli Atti, scrive testualmente: " [...] si sollevò Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse molta gente a seguirlo” (Atti 5,37). Ora questa sollevazione avvenne esattamente nel 7 d.C. come ci conferma lo storico ebreo Giuseppe Flavio.
Le contraddizioni sulla natività di Gesù non si fermano qui. Matteo e Luca dopo averci elencata tutta la genealogia di Gesù fino a Giuseppe, dimenticano il fatto più importante: che il padre di Gesù non era Giuseppe, ma lo Spirito Santo, per cui Gesù non poteva avere nessuna relazione con la stirpe di David.
La divinità di Gesù, quando venne imposta dai Padri della Chiesa nel III-IV secolo, comportò la necessità di disconoscere il suo concepimento sessuale e di inventarne uno teogamico, cioè dovuto ad un seme divino e non umano, e conseguentemente determinò il mito della verginità di Maria, totalmente ignorato dai cristiano-giudei di Gerusalemme come ci attesta Ireneo, importante padre della Chiesa, secondo il quale gli Ebioniti (appunto i cristiano-giudei di Gerusalemme) affermavano nel loro Vangelo (fatto sparire dalla Chiesa) che Gesù era stato concepito da Giuseppe (Ireneo, Contro gli eretici, III, 21,1).
Anche Paolo rinnega apertamente la verginità di Maria perché nelle sue Lettere, i documenti più antichi del Nuovo Testamento, proclama Gesù “nato dal seme di David secondo la carne” e attesta che fu «il primo di numerosi fratelli» (Romani 8,29).
I Vangeli confermano unanimi quanto dichiarato da Paolo e riconoscono espressamente che Gesù aveva quattro fratelli: Giacomo, Giuda, Giuseppe e Simone e diverse sorelle.
“Non è costui (Gesù) il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” (Marco 6,3). E Paolo scrive in una sua Lettera: "Non abbiamo diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa [Pietro]?" (1 Corinzi 9,5).
Gli arrampicatori sugli specchi, sempre in vena di invenzioni, hanno cercato di negare il fatto che Gesù avesse dei fratelli, adducendo il pretesto che in ebraico i termini fratello e cugino spesso si confondono, quindi si tratta di cugini e non di fratelli. Ennesima bubbola perché tutti i documenti del Nuovo Testamento sono scritti in greco (nessuno di essi è in ebraico) e in questa lingua non c’è possibilità di confusione tra i due vocaboli; cugino e fratello sono due termini nettamente distinti. Il termine greco “adelfos” usato nei Vangeli e nelle Lettere di Paolo, significa soltanto fratello carnale. Paolo in Colossesi (4,10) quando accenna ai cugini usa il termine appropriato “anepsioi”.
Si è ricorso allora all’ipotesi che Giuseppe si sia sposato due volte e che i cosiddetti fratelli di Gesù siano i figli di primo letto. Ma non c’è nessuna documentazione che lo dimostri, tanto più che questi fratelli risultano di minore età rispetto a Gesù. Quindi, le pretese giustificazioni della verginità di Maria sono del tutto fasulle, oltre che assurde, come ci viene confermato anche da Giovanni quando scrive: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre" (Giovanni 6,42), in cui mostra di ignorare del tutto il parto verginale e il seme divino. Ma c'è un'altra contraddizione nel Vangelo di Luca che smentisce la verginità di Maria. Quaranta giorni dopo il parto, come tutte le donne d'Israele, Maria si recò al Tempio per esservi purificata (festa, fino a qualche anno fa, celebrata dalla Chiesa il 2 febbraio ed ora cancellata). Che bisogno aveva Maria di essere purificata se il suo era stato un parto virginale (cioè senza spargimento di sangue)? Come fa Luca, nel suo Vangelo, a conciliare il parto verginale e la purificazione di Maria?
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giovedì 11 dicembre 2014

La successiva costruzione della gerarchia ecclesiastica. 190

Nel corso del III secolo le comunità cristiane divennero più numerose e più ampie e così si accrebbe la necessità di una più articolata gerarchia ecclesiastica.
Sotto il vescovo romano Fabiano (236-250), al diacono fu assegnato un suddiacono, e si aggiunsero altri quattro uffici, detti ordines minores, cioè l'accolito, l’esorcista, il lettore e l’ostiario, tutti ricalcati su modelli pagani. L’accolito era una sorta di attendente d'ordinanza, un cameriere personale del vescovo. L’esorcista era preposto alla cacciata dei demoni (a quei tempi ritenuti dal popolino onnipresenti) (Tert., apol. 23). Il lettore leggeva la Bibbia durante il servizio divino e l’ostiario era il portinaio, il custode degli edifici ecclesiastici. Tutte queste funzioni esistevano solo in Occidente mentre in Oriente erano ignorate.

All’interno del clero ( «gli eletti da Dio») c’era poi una rigida distinzione fra i funzionari più elevati, vescovi, presbiteri, diaconi, e i clerici minores, provenienti dal popolo. I laici (gr. laos, «il popolo») vennero progressivamente esautorati da ogni funzione e al posto del sacerdozio universale subentrò la gerarchizzazione teocratica della Chiesa. La predicazione e l’amministrazione dei sacramenti (battesimo ed eucaristia) divennero privilegio assoluto del clero, e alla fine decadde anche il suffragium plebis, l’antico diritto di voto dei laici in ogni decisione ecclesiastica.



Questa evoluzione fu progressiva e quasi naturale, ma in aperto contrasto con gli intendimenti del cristianesimo primitivo, che ignorava la distinzione fra laici e sacerdoti. Con l'invenzione successiva del sacramento dell'ordine, nella Chiesa si determinò una radicale differenza ontologica tra il sacerdote e il laico. in quanto il sacerdozio si rivestì di una accentuata sacralizzazione che produsse un solco incolmabile tra i membri del clero (ontologicamente sacralizzati rispetto ai laici e quindi rivestiti di una natura divina) e i fedeli.

Papa Fabiano


martedì 9 dicembre 2014

7 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Ipotesi sulla nascita (Parte prima)

Dei quattro evangelisti solo due parlano della natività di Gesù: Matteo e Luca. Gli altri due la ignorano completamente. Ma Tatiano, autore nel 175 del Diatesserone, libro che riuniva in un solo testo i quattro Vangeli canonici, ignorava la natività di Gesù in Luca e in Matteo, come pure la ignorava Marcione nella sua Edizione Evangelica, scritta intorno al 170. Ciò a conferma delle perplessità di Girolamo, Padre della Chiesa e autore della Vulgata, a riconoscere l'autenticità dei capitoli di Luca e di Matteo riferiti all'annunciazione e alla nascita virginale di Gesù, e la supposizione che questi racconti siano stati inseriti nei due Vangeli solo nel IV secolo.
Ciò premesso, mettiamo subito in chiaro che Matteo e Luca scrivono della natività partendo da presupposti teologici diversi, per non dire contrari, e così i loro racconti sono discordanti per quanto riguarda la genealogia di Gesù, il tempo, il luogo, le modalità della sua nascita e gli eventi che la seguirono. Cominciamo dalla genealogia. Matteo elenca quarantadue antenati di Gesù (Matteo 1,1-6), privilegiando, da David in poi, la discendenza salomonica, cioè regale, in quanto voleva dimostrare che Gesù era il vero Messia, discendente della stirpe di David, come predetto dai profeti, e destinato a diventare il re d’Israele.
Luca (Luca 3,23-37) elenca una trentina di antenati in più, rispetto a Matteo, ma predilige la discendenza sacerdotale (da un altro figlio di David: Nathan), volendo togliere a Gesù ogni riferimento messianico, osteggiato da Paolo, e attribuirgli un ruolo totalmente religioso e salvifico.
Naturalmente, entrambe le genealogie che risalgono ad Adamo e coprono un intero millennio, sono pura invenzione. Lo deduciamo dal fatto che coincidono solo in due nomi e sono discordanti in tutti gli altri. Evidentemente, ha ironizzato qualcuno, i due evangelisti non si sono letti reciprocamente.
A proposito della genealogia di Matteo, suscita in noi una certa perplessità il fatto che questo evangelista inserisce in essa quattro antenate di Gesù che, a detta della Bibbia, erano donne di facili costumi e, per di più, non di sangue ebreo. Sono: la cananea Tamara, che si fa passare per meretrice, onde giacere col suocero in un rapporto incestuoso (Genesi 38); la cananea Raab che si prostituisce in casa propria (Giosuè 2); la moabita Rut, adescatrice di uomini, ma anche proclive all'omofilia, per il suo legame con Noemi (Rut), e, infine, Betsabea, l'adultera hittita, che dopo aver tradito il marito Huria con David, acconsente all'uccisione del coniuge per unirsi definitivamente al re d'Israele e dargli il figlio Salomone (Samuele 2,1).
Il luogo di nascita di Gesù, secondo Matteo e Luca, è Betlemme. Ma questa località, in cui nacque il re David, fu scelta da loro per legittimare il diritto messianico di Gesù, cioè per adempiere alle profezie che la indicavano come la città in cui sarebbe dovuto nascere il Messia. Il silenzio a proposito di Betlemme degli altri due Vangeli, nonché delle Lettere di Paolo, è significativo.
Per giustificare l'adempimento profetico i due evangelisti ricorrono a pretesti diversi. Per Matteo, Gesù nacque a Betlemme perché quella era la residenza abituale della sua famiglia. Successivamente, in seguito alla persecuzione di Erode, la famiglia di Gesù dovette rifugiarsi in Egitto. Al rientro dall'esilio si trasferì a Nazareth, senza giustificare il motivo della scelta di quel luogo.
Per Luca, i genitori di Gesù vivevano invece a Nazareth ma, in seguito al censimento ordinato da Quirinio, governatore romano della Siria e quindi della Palestina, si erano recati provvisoriamente a Betlemme a registrare i loro nomi, e in quel frangente nacque Gesù.
Per Matteo, Gesù nacque nella casa che era il luogo della sua residenza. Per Luca, Gesù nacque in una stalla, dato che i suoi non avevano trovato alloggio negli alberghi dalla città. Di fronte a questo fatto ci chiediamo stupiti: se Betlemme era il luogo di origine di Giuseppe, possibile ch’egli non abbia trovato uno straccio di parente che lo ospitasse per la bisogna, tenendo conto delle condizioni di Maria vicina al parto, dell’alto grado di ospitalità degli orientali e della loro grande capacità di adattamento?
Ma la spiegazione è un’altra. Il Vangelo di Luca, chiaramente antigiudaico, con la scelta della stalla come luogo di nascita di Gesù, vuol mettere in risalto il trattamento indecoroso, per non dire crudele, con cui Israele trattò il suo Messia. Matteo, volendo sottolineare in ogni circostanza la messianicità di Gesù e il suo destino regale, inventa la favola dei tre re magi che, guidati dalla stella cometa, vengono dall’oriente ad adorare il futuro re d’Israele, suscitando l’ira e la vendetta di re Erode che ordinò l’uccisione dei coetanei di Gesù, la cosiddetta “strage degli innocenti”.
Si tratta di pura mitologia perché nessun storico (nemmeno Giuseppe Flavio che scrisse la vita di Erode e mise in risalto i suoi numerosi misfatti) accenna mai ad una simile atrocità. Ma, cosa ancor più significativa, Luca, l’altro evangelista che tratta diffusamente della natività, sconfessa questa efferatezza di Erode, ignorandola totalmente. Infatti, mentre per Matteo la famiglia di Gesù, avvertita dall’angelo, si nasconde per alcuni anni in Egitto per sfuggire ad Erode che voleva eliminare il pargolo divino concorrente al trono d'Israele, per Luca, essa soggiorna tranquillamente a Betlemme per sei settimane e, dopo la circoncisione di Gesù e lo scadere del tempo prescritto dalla Legge per la purificazione di Maria, si reca a Gerusalemme, totalmente all'oscuro delle minacce di re Erode, per la presentazione al Tempio. Quindi ritorna tranquillamente a Nazareth, ove risiedeva già da prima.
Il racconto dell'adorazione dei magi, ancorché puramente mitologico, è importantissimo per dimostrare la messianicità di Gesù e il suo presunto diritto a diventare re d'Israele al posto di Erode. Infatti esso ci mostra che Erode non era preoccupato per la nascita di un presunto pargolo divino ma di un pericoloso concorrente al trono.



venerdì 5 dicembre 2014

6 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Il Gesù storico ricostruito dai Vangeli

Ecco una sintesi della vita di Gesù che esamineremo dettagliatamente nei capitoli successivi. L’uomo, giustiziato da Pilato col nome di Gesù, nacque probabilmente verso il 7 a.C., poco prima della morte di Erode il Grande. Non sappiamo esattamente dove nacque, né dove trascorse la vita fino al momento dell’inizio della sua attività pubblica. La nascita a Betlemme e l’infanzia a Nazareth non sono attendibili.
Non è certa neanche la sua provenienza dalla Galilea. Pare, infatti, che fosse originario di Gamala nel Golan, e che il termine nazareno, col quale viene nominato 12 volte nei Vangeli e 7 negli Atti, non abbia alcuna attinenza con la presunta cittadina di Nazareth ma indichi l'appartenenza alla setta dei nazirei. Verso i trent’anni si fece battezzare da Giovanni Battista con un rito d'iniziazione essena e da quel momento diede inizio alla sua attività pubblica itinerante.
Rimase sempre un ebreo assolutamente ligio alla Legge, che intendeva integrare con l’ascetismo esseno, e non annunciò mai l’intenzione di fondare una nuova religione, né mai si proclamò Figlio di Dio, consustanziale al Padre (se lo avesse fatto, sarebbe stato immediatamente lapidato a furor di popolo).
Non disse mai di essere nato da una vergine, non battezzò mai nessuno e non istituì alcun sacramento. Durante il suo vagabondare nei villaggi e nelle campagne della Galilea fu costantemente seguito da un piccolo gruppo di fedelissimi, chiamati apostoli, alcuni dei quali, se non tutti, erano legati alla setta degli zeloti, cioè ai messianisti jahvisti.
Convinto di essere il Messia profetizzato dalle Scritture per ripristinare il Regno di Dio in Israele con l'aiuto di Jahvé e dei suoi angeli, dopo due anni di peregrinazioni in Galilea, che era ritenuta allora, secondo Giuseppe Flavio, il focolaio del dissenso politico contro Roma, si recò a Gerusalemme ove fece un ingresso trionfale, acclamato come figlio di David e re d’Israele, e provocò gravi disordini nel Tempio.
Considerato politicamente pericoloso dai sacerdoti e dagli erodiani filoromani, che paventavano le conseguenze del suo messianismo, su loro denuncia venne fatto arrestare e condannare alla crocifissione dal prefetto Ponzio Pilato con l’accusa di insurrezione armata contro l’autorità imperiale.
Una condanna, quindi, esclusivamente politica e non religiosa. I romani non condannarono mai nessuno per le sue idee religiose, a meno che queste non prevedessero la ribellione ai poteri dello Stato, e non s'impicciarono mai delle beghe religiose dei popoli sottomessi, lasciandoli liberi di agire secondo le loro consuetudini. In Israele, per il reato religioso più grave, la blasfemia, di cui fu accusato Gesù, era prevista la lapidazione che veniva attuata su delibera del sinedrio e che non richiedeva il consenso dei romani.
All'arresto di Gesù i suoi seguaci, colti dal panico, fuggirono considerando fallita la missione politico-religiosa del loro capo. Poi, in seguito alla sparizione del suo cadavere, si convinsero della sua resurrezione e del suo imminente ritorno dal cielo in carne ed ossa sulle nuvole, sotto le spoglie del Messia Martirizzato annunciato da Daniele, per fondare il regno promesso.
Diedero così vita ad una comunità e, in attesa del suo presunto, imminente ritorno, cercarono di convincere altri a credere in lui. Diedero così origine al cristianesimo giudaico. Esaminiamo ora in dettaglio alcuni aspetti della sua vita.
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giovedì 4 dicembre 2014

La falsa successione apostolica fu rivendicata anche dagli eretici e dagli gnostici. 189

La successione apostolica inventata e puntellata i con interventi falsificanti, fu subito adottata anche dalla maggior parte degli «eretici», come il tardo giudaismo cristiano, gli artemoniti, gli ariani, e anche dagli gnostici, come Basilide, che pretendeva d’essere discepolo di un interprete di Pietro chiamato Glaucia (Clem. Al., Strom. 7, 17, 106), Valentino, che avrebbe ricevuto la propria dottrina da Theoda, un discepolo di Paolo (ibidem) e, infine il valentiniano Tolomeo, il quale una volta si vanta d’essere degno «della tradizione apostolica, che anche noi abbiamo ricevuto in successione ininterrotta, unitamente alla costituzione fondante di tutte le norme, attraverso l’insegnamento del nostro Redentore».

Quindi il procedimento stesso con cui la Chiesa assicurava la propria tradizione, corrispondeva esattamente al metodo probatorio adottato dagli odiati gnostici.
Ma tale principio non costituiva nulla di nuovo, in quanto sia la Chiesa che gli «eretici» seguivano i modelli più antichi, propri delle sette filosofiche.
Infatti i platonici, gli stoici, i peripatetici avevano successioni e riferimenti precisi alle loro singole scuole. Tali tradizioni erano note anche alle religioni egizie, greche e romane, e in alcune, come ad esempio nei culti di Demetra e di Mitra, esse risalivano addirittura fino alla divinità stessa.

Nell'antichità moltissimi si rifugiavano nella tradizione spinti da insicurezza,
mancanza di spirito critico o per pura e semplice indolenza. Tiresia, il sacerdote in-
vasato da Apollo di una tragedia euripidea confessa apertamente: «Giammai voglio indagare sul divino; ciò che ho ereditato dai padri, vale ancora oggi, né alcuna parola può distruggerlo, anche se un’altissima saggezza l’avesse escogitato». Perfino Cicerone scrive: «Questa fede è esistita da sempre. Forse che non dovremmo accontentarci della unanime testimonianza degli uomini?»
Un Padre della Chiesa del IV secolo dichiara: «E’ la tradizione, e dunque non indago oltre!». Lo stesso fenomeno della formazione di una tradizione definita si può osservare anche nell’Islam.


Ma il modello immediato era offerto alla Chiesa dal tardo giudaismo, cui era comunissimo il concetto che la successione garantiva la correttezza della fede. Per assicurare l’autenticità della teologia e della prassi della Legge, gli ebrei tracciarono una tradizione apposita e senza lacune che da Hillel attraverso i profeti, i padri più antichi e Giosuè conduceva fino a Mosè sul Sinai. Si trattava, dunque, di un metodo usuale, e tutta quanta la "traditio apostolica", cioè il presunto trasferimento da Dio a Gesù, da Gesù agli apostoli e da questi ai papi delle cariche e dell’autorità ecclesiastiche che non è altro che un imbroglio di prim’ordine, un cumulo di falsi.


Valentino gnostico


martedì 2 dicembre 2014

5 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Le fonti del cristianesimo

Le fonti sulle quali poggia il cristianesimo comprendono ventisette documenti, i più importanti dei quali sono: le tredici Lettere di Paolo (risalenti ad un trentennio dopo la morte di Cristo e quindi i documenti più antichi), gli Atti degli Apostoli (scritti verso la fine del primo secolo da una discepolo di Paolo di nome Luca) e, infine, i quattro Vangeli canonici attribuiti a Marco, Matteo, Luca e Giovanni, senz'altro più tardivi. Li esaminerò a fondo alla fine dell'opera.
Per ora anticipo che nessuno di essi ci è pervenuto in originale. Tutti, proprio tutti, nessuno escluso, sono copie riscritte degli amanuensi ecclesiastici, datate nei casi più antichi, al IV secolo d.C., quando la Chiesa si era radicata trionfante in tutte le contrade dell'impero romano, e si trovano attualmente negli archivi del Vaticano, nelle biblioteche di antichi monasteri e in alcuni grandi musei.
Si tratta quindi di trascrizioni di trascrizioni di trascrizioni, che non godono di nessuna attendibilità, perché sono stati sottoposti, attraversi i secoli, al continuo vaglio della Chiesa per essere adattati alle sue esigenze catechistiche e teologiche, e sono giunti a noi dopo aver subito censure, manomissioni, omissioni, interpolazioni e aggiunte.
Questi testi neotestamentari, alla fine del IV secolo, coi Sinodi di Roma e di Cartagine, vennero considerati ispirati dallo Spirito Santo e di origine apostolica. Successivamente, nei Concili di Firenze (1442), di Trento (1546) e del Vaticano I (1870), fu sancito come dogma di fede la loro ispirazione divina e venne escluso ogni possibile rilievo storico-critico che li riguardasse, malgrado le innumerevoli contraddizioni, incongruenze e assurdità che contengono.
Le falsificazioni, cui furono sottoposti già in epoca neotestamentaria, non sono mai cessate e continuano, come si vedrà in seguito, ancora al giorno d'oggi. La liceità dell’inganno e della menzogna come «strumenti di salvezza» fu sostenuta già da Paolo (Romani 3,7 e Filippesi 1,15) e in seguito da molti Padri della Chiesa tra i quali san Crisostomo e perfino Origene, forse il più eminente e autorevole dottore cristiano dell’antichità.
Altra cosa importante da sottolineare: la Chiesa, ancor prima di assumere un aspetto unitario, ha proceduto alla sistematica distruzione di tutta la documentazione "diversa" da quella compatibile con la sua ortodossia nascente. Tutti i documenti, infatti, contrastanti con il "canone", citati dai Padri della Chiesa nelle polemiche contro gli eretici e i polemisti anticristiani, come Celso e Porfirio, non esistono più. O distrutti o imboscati in qualche segreta del Vaticano.
La ricostruzione che farò della figura di Gesù e della nascita del cristianesimo si baserà, quasi esclusivamente, su questi ventisette testi canonici, considerati dalla Chiesa di ispirazione divina.
Esaminandoli in controluce scopriremo, però, che di divino non hanno niente e che sono nati come opere devozionali, prive di ogni validità storica e spesso di scarso livello culturale.
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venerdì 28 novembre 2014

4 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. La figura storica che, probabilmente, diede origine al mito di Gesù descritto dai Vangeli

Dall'occupazione romana, avvenuta nel 62 a.C. quando Pompeo conquistò la Palestina e la annise all'Impero quale Protettorato, fino alla caduta definitiva di Gerusalemme nel 135 d.C. per opera di Adriano, Israele fu ripetutamente scosso da continue e spesso sanguinosissime rivolte politiche provocate da ribelli fanatici che si proclamavano dei Messia inviati da Jahvè a liberare la loro terra dal giogo romano.
La rivolta più sanguinosa avvenne nel 7 d.C. al tempo del censimento ordinato dal governatore della Siria Publio Sulpicio Quirinio quando Giuda, detto il Galileo, seguito da una moltitudine di ribelli, devastò l'alta Palestina seminando terrore e morte. Sconfitto dai romani fu crocifisso assieme a due mila dei suoi seguaci.
Nonostante le sempre pronte e spietate repressioni romane, le sommosse degli zeloti (così erano allora chiamati i ribelli) si susseguirono in Israele a ritmo continuo perché il fanatismo era così diffuso che quando qualcuno si proclamava Messia trovava sempre dei fanatici che lo seguivano ciecamente. Leggendo i Vangeli noi scopriamo che Gesù viene più volte proclamato Messia e legittimo re d'Israele (sei in Marco, cinque in Matteo, due in Luca e otto in Giovanni) e che fu condannato alla crocifissione, pena riservata ai ribelli politici.
Da ciò possiamo dedurre, senza ombra di dubbio, che egli è stato storicamente uno dei tanti falliti Messia del suo tempo, il quale, per una serie di circostanze fortuite, che esaminerò nei prossimi capitoli, subì, nei primi quattro secoli della nostra èra, tre incredibili metamorfosi che lo trasformarono da ribelle zelota, crocifisso dai romani, quale fu nella realtà, al ruolo di Messia martirizzato, attribuitogli dai suoi seguaci dopo la sua presunta resurrezione, e, infine, all'ultima e definitiva trasformazione nel Cristo Figlio di Dio, incarnatosi come uomo e poi immolatosi sulla croce per la salvezza universale, secondo la personale invenzione teologica di Paolo di Tarso. Ecco quindi che la figura mitologica di Gesù si formò adattando un fallito Messia crocifisso all'archetipo di un dio soterico già conosciuto in tutto il mondo antico. Il termine aramaico Messia, che in origine indicava solo il liberatore d'Israele, nei testi neotestamentari, scritti in greco, diventò Christòs e diede origine al nome cristianesimo.
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giovedì 27 novembre 2014

La Chiesa, millantando una falsa tradizione, legittimò l'ufficio episcopale mediante una inventata successione apostolica. 188

Per tutto il primo secolo e parte del secondo durante i quali non esistevano vescovi monarchi la Chiesa procedette a falsificazioni d’ogni genere per supportare il principio della tradizione che voleva un'ininterrotta successione episcopale a partire dall’epoca apostolica. Per il cristianesimo egizio, ad esempio, la storiografia ecclesiastica successiva inventò di sana pianta un’intera lista di vescovi.

Nel IV secolo Eusebio, padre della storiografia della Chiesa, introdusse di straforo non meno di dieci, nomi che non sono altro che pure invenzioni. Ad Alessandria la tradizione attendibile, invece, ha inizio solo col vescovo Demetrio (ca. 188-230), passato alla storia per essere stato un uomo brutale e rotto a tutte le infamie.
Anche la lista vescovile antiochena, composta da Giulio Africano nel II secolo sul modello dell’analoga lista egiziana, per colmare le lacune fino all'epoca apostolica ricorse a pure e semplici invenzioni.

Sull'esempio della successione apostolica in Alessandria e Antiochia, i vescovadi più celebri dell’antica Chiesa orientale, anche a Roma, si procedette nello stesso modo per cui il termine «apostolico» diventò il collante supremo ecclesiastico. Divennero così «apostolici»: la dottrina, la carica, il canone e, ovviamente, anche la «Chiesa stessa». Tutto ciò che le serviva era «apostolico» dedotto falsamente dalle Sacre Scritture, a loro volta, naturalmente «apostoliche». Infatti a mano a mano che procedeva nella fissazione dei dogmi e delle forme del culto, recependo usanze e parole chiave del giudaismo e del paganesimo, la Chiesa li rivestiva prontamente con panni apostolici che nessuno si preoccupava di verificare in quanto garantiti dalla tradizione a sua volta inventata. Perchè in verità, nel I secolo una Chiesa non esisteva affatto, e allorché nel II secolo se ne andò costituendo una, essa fu quella di Marcione, la quale, prima di quella cattolica, aveva una carica vescovile «monarchica» e il suo apostolo era Paolo.

L’applicazione alla successione episcopale del termine giuridico "successio" risale
molto verosimilmente all’ex avvocato Tertulliano. Un esempio può fornire un’indicazione del modo in cui egli credette di dimostrare la tradizione apostolica:

«Quel che è stato poi il contenuto della loro [degli Apostoli) predicazione o, con altre parole, della rivelazione loro affidata da Cristo, non si può... dimostrare per altre vie che non siano per l’appunto quelle stesse chiese personalmente fondate dagli Apostoli, in quanto essi stessi vi predicarono... Se è così, ne consegue con certezza che qualsiasi insegnamento che concordi....con quelle Chiese apostoliche dev’essere considerato come verità, in quanto possiede indubbiamente quel che le Chiese hanno raccolto dagli Apostoli, gli Apostoli da Cristo e Cristo da Dio. (Tert,praescr. 21).

Eusebio di Cesarea


martedì 25 novembre 2014

3 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Nessun documento storico certifica l'esistenza di Gesù

Ho appena evidenziato che la figura di Gesù è stata ritagliata da miti che erano molto diffusi in tutto il mondo antico. Come è potuto avvenire un fatto del genere? Una spiegazione plausibile potremmo darla tenendo presente che al tempo di Gesù esisteva una grande biblioteca ad Alessandria d'Egitto, dotata di circa un milione di manoscritti, provenienti dall'Occidente e dall'Oriente, molti dei quali parlavano diffusamente dei principali miti che allora interessavano l'umanità e che erano molto conosciuti anche in Palestina. Quindi è facile supporre che l'archetipo che diede origine alla figura di Gesù, fosse conosciuto da molti, anche a livello popolare. Tanto per fare un esempio, il culto del dio Mitra, che molti studiosi considerano la principale fonte del cristianesimo, calcava perfettamente questo archetipo e in più disponeva di sacre scritture, come i nostri Vangeli, e di sacramenti (battesimo ed eucaristia) riconosciuti dagli stessi primi Padri della Chiesa come identici a quelli cristiani. Solo che erano antecedenti al cristianesimo di qualche secolo.
A suffragare maggiormente la teoria che afferma l'origine mitologica della figura di Gesù si possono elencare altri due fatti importanti. Primo: che dei circa quaranta storici contemporanei di Gesù, nessuno lo menzionò nelle sue opere, nonostante lo scalpore che, secondo i Vangeli, egli suscitò in Galilea e a Gerusalemme.
Il silenzio tombale su di lui riguarda anche i tre massimi storici ebrei che narrano, fin nei minimi dettagli, gli avvenimenti della Palestina da Erode il Grande alla caduta di Gerusalemme. Mi riferisco a Filone Alessandrino, che denunciò la crudeltà di Pilato, a Giusto di Tiberiade, che visse a lungo a Cafarnao in contemporanea di Gesù, e, infine, a Giuseppe Flavio che scrisse opere poderose sulle vicende giudaiche.
Qualcuno potrebbe obiettare che nei suoi scritti Giuseppe Flavio accenna a Gesù e a suo fratello Giacomo. Tutti gli storici, compresi quelli cattolici, oggi ammettono senza ombra di dubbio che questi accenni sono dei falsi inseriti da Eusebio di Cesarea, il ciambellano di Costantino, considerato il più grande falsario degli antichi Padri della Chiesa.
Concludendo: nessun storico ha mai nominato Gesù. Fatto incredibile se consideriamo le sue imprese ampiamente descritte nei Vangeli.
Secondo: i ventisette testi che costituiscono il Nuovo Testamento, e che quindi sono la fonte di tutto quello che sappiamo di Gesù, sono assolutamente inattendibili, cioè privi di ogni valenza storica. Essi sono tutti scritti da autori che mai hanno conosciuto Gesù, che riportano su di lui dei sentito dire, che addirittura non erano ebrei ma pagani convertiti. Infatti sono pieni di contraddizioni, incongruenze, falsità e manomissioni di ogni genere. Nel prosieguo della mia analisi del cristianesimo metterò in evidenza, di volta in volta, citando sempre i testi canonici, alcune di queste incredibili falsità.
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venerdì 21 novembre 2014

2 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Gesù: figura storica o mitologica?

Prima di affrontare la vita di Gesù, quale ci viene descritta dai Vangeli, bisogna risolvere il quesito fondamentale che riguarda la sua vera esistenza.
In parole semplici: una persona chiamata Gesù è realmente esistita o è soltanto una figura mitologica? E, se è esistita, quanto ha avuto a che fare col cristianesimo? Infine, i testi canonici che costituiscono il Nuovo Testamento, e che unici ci raccontano la vita di Cristo, hanno una qualche valenza storica o rientrino in quella che fu definita una pia fraus (una pia frode)?
Per un credente queste domande sono semplicemente assurde, ma per uno studioso rivestono, invece, un'importanza fondamentale. La massa dei credenti, spesso indottrinata in modo catechistico e devozionale, non è a conoscenza del fatto che esistono parecchi studi che tendono a dimostrare, in maniera logica ed intelligente, che Cristo è soltanto una figura mitologica, quindi una pura invenzione, priva di un qualsiasi riscontro storico.
Per questo, prima di iniziare a raccontare la vita di Gesù, come ci viene tramandata dai Vangeli. invito il lettore a risolvere un indovinello, a dir poco sconcertante. Consiste in questo: dopo aver letto le caratteristiche, qui sotto riportate, cerchi di dare un nome al personaggio descritto:

. ....... è stato generato da una vergine, il 25 dicembre, in una stalla.
La sua nascita fu annunciata in oriente da una stella.
Fu adorato da tre importanti personaggi.
Da ragazzo insegnò nel Tempio e fu battezzato all'età di 30 anni.
Ebbe 12 discepoli.
Compì miracoli e risuscitò un uomo chiamato El-Azar-us.
Camminò sulle acque.
Si trasfigurò sulla cima di un monte.
Fu crocifisso, chiuso in una tomba e resuscitato dopo tre giorni.
Fu chiamato la via, la luce, il figlio di Dio, il Verbo.
La sua figura fu associata a quella dell'agnello e del pesce.
Il suo sopranome era Iusa, il prediletto figlio del Padre.
Fu chiamato il KRST ovvero l'unto, il Messia.

Chi pensate che possa essere? Ma Gesù, naturalmente. Mettete il suo nome al posto dei puntini iniziali e tutto combacia alla perfezione.
Invece NO! Si tratta della descrizione del dio egiziano Horus che precedette Gesù di molti secoli.
E credete che sia l'unico caso in cui Gesù viene così prefigurato molto tempo prima della sua venuta? Vi sbagliate di grosso.
Ecco un altro Gesù, preso a caso fra i tanti che lo hanno preceduto. Si tratta di Krishna, una delle più popolari divinità dell'antica India.

È stato partorito da una vergine.
Suo padre era un falegname.
La sua nascita fu assistita da angeli, uomini saggi e pastori e gli furono donati oro, incenso e mirra.
Egli fu perseguitato da un tiranno che ordinò l'uccisione di migliaia di bambini.
Era di discendenza regale.
È stato battezzato sulle rive del fiume Gange.
Egli operò miracoli e prodigi.
Risuscitò i morti, guarì i lebbrosi, i muti ed i ciechi.
Usava parabole per insegnare alla gente carità ed amore.
Visse da povero ed amò i poveri.
Si trasfigurò di fronte ai suoi discepoli.
Fu crocifisso tra due ladroni.
Risuscitò dalla morte ed ascese in cielo.
Era nominato il pastore di Dio e il re dei re e fu considerato come il redentore, primogenito, remissore di peccati, liberatore, Verbo universale.
Egli era la seconda persona della trinità e proclamò se stesso come la resurrezione e la via al Padre.
Egli fu considerato come l'inizio e la fine (alfa ed omega) ed anche l'onnisciente, l'onnipresente e l'onnipotente.

Vi basta o devo descrivere le altre divinità, come Mitra, Attis, Marduk, Eracle e così via, nate da una vergine, crocifisse, resuscitate e ascese al cielo, vissute alcuni secoli prima di Gesù, tratte da “The World's Sixteen Crucified Saviors” (I sedici salvatori crocifissi nel mondo) di Kersey Graves?
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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)