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venerdì 28 febbraio 2014

Per la cristianità primitiva gli scritti neotestamentari non erano né sacri né ispirati. 118 (Parte seconda)

La perdita degli originali dei Vangeli è la prove più evidente della scarsa rilevanza in cui erano tenuti questi libri. Ancorché scritti su papiro - solo a partire dal III secolo si cominciò ad usare la pergamena - avrebbero dovuto essere assolutamente conservati se ritenuti ispirati da Dio.

A questo proposito vale la pena di ricordare che Marcione, filosofo gnostico di Sinope sul Mar Nero, nel 140 portò alla comunità cristiana di Roma il suo vangelo e dieci lettere di Paolo, a quel tempo totalmente sconosciute nella capitale dell'Impero. Il suo vangelo fu accolto molto favorevolmente in un primo tempo ma subito dopo, nel 144, respinto come eretico in quanto presentava Cristo come un salvatore essenzialmente spirituale che non si era mai incarnato sulla Terra e che di uomo aveva assunto solo le sembianze umane.

Questo Vangelo cominciava dicendo che nel quindicesimo anno del regno di Tiberio (cioè nell'anno 30 d.C.) ai tempi del procuratore Ponzio Pilato e Caifa Sommo Sacerdote, il Salvatore figlio di Dio, era disceso dal cielo su Cafarnao, città della Galilea, per cominciare da lì le sue predicazioni e, riferendosi alla vita terrena di Cristo, descriveva la sua biografia con tanto di date, di luoghi e di personaggi, fino ad allora a tutti ignoti. Probabilmente fu su questi riferimenti storico-geografici riportati da Marcione che furono poi costruiti i quattro vangeli canonici. Fino ad allora, infatti, su Gesù erano circolate solo delle sentenze, chiamate Logìa, definite “corte e laconiche”. Infatti la tradizione orale era allora ancora molto forte come ci testimonia il Vescovo Papias, ortodosso, attivo in quell'epoca, che non riteneva che i Vangeli fossero Scritture sacre, e li considerava molto al di sotto della tradizione orale.

Per i cristiani, dunque, i Vangeli non furono «intoccabili» ancora alla fine del Il
secolo, come attesta il siriano Taziano o Tatiano, il quale, fuse i quattro
Vangeli tradizionali in un Vangelo unico, una specie di «armonizzazione dei
Vangeli» definita Diatessarone (termine musicale che significa approssimativamente «quadruplice accordo»), dalla quale si limitò a escludere tutte le contraddizioni dei modelli allora in uso. . Quest’opera di grande rilievo vide la luce intorno al 170, prima che Taziano si allontanasse dalla Chiesa, e insieme con gli Atti degli Apostoli e le Epistole paoline restò in uso profondamente rispettata nella Chiesa siriaca fino al V secolo.

La cristianità di Siria in un primo momento conobbe il Vangelo esclusivamente in questa forma, e per questa ragione riteneva suo fondatore proprio Taziano
col suo Diatessarone. Subito dopo Taziano, anche il Vescovo Teofilo di Antiochia compose una Concordanza dei Vangeli. Ma tutti questi Vangeli protocristiani,
fra i quali è lecito annoverare anche l’opera di Luca, lasciano trapelare l’intento di
sostituire quelli allora in uso spesso discordanti, allo scopo di evitare doppioni,
ed evidenti contraddizioni.

Tentativi simili di concordare i Vangeli si ripeterono anche nei secoli successivi finché nel 1537 il teologo Andreas Osiander pubblicò un’opera particolarmente interessante, nella quale mise insieme i quattro Vangeli senza tralasciare o aggiungere alcuna parola e senza modificare l'ordine dei fatti. Per cui la loro inconciliabilità e le loro stridenti contraddizioni apparvero del tutto evidenti. Ma ancora nel secolo scorso la Commissione Pontificia per gli Studi Biblici, comportandosi come gli struzzi che nascondono la testa sotto la sabbia per non cedere la realtà, ha decretato la totale assenza di errori nella Scrittura, non solo in campo religioso ma persino intorno a eventi «profani».


Andrea Osiander


martedì 25 febbraio 2014

Per la cristianità primitiva gli scritti neotestamentari non erano né sacri né ispirati. 117

Nel Concilio di Firenze ( 1442), in quello di Trento (IV Seduta dell’8 aprile 1546) e nel Concilio Vaticano (III seduta del 24 aprile 1870) la Chiesa Cattolica rese dogma di fede la dottrina dell’ispirazione divina
della Bibbia (Antico e Nuovi Testamento), in base al quale i suoi testi sacri non contiengono in sé degli errori e devono essere considerati pura verità.

Ma fra tutti i trattati neotestamentari, solo l’Apocalisse (che entrò a stento nel
Canone) avanza la pretesa che il suo autore sia stato ispirato direttamente da Dio e pretende di possedere la propria autorevolezza non in quanto libro canonico, bensì - sulla base di modelli ebraici - in quanto libro profetico. Essa, infatti, ha la presunzione d’essere una profezia che, peraltro, si è dimostrata del tutto fasulla in quanto i suoi vaticini, che in grandissima parte si riferivano a un tempo assai prossimo alla sua apparizione, non si sono mai realizzati.

Nessun altro autore neotestamentario, ha definito divina la propria produzione, neppure Paolo, il quale distingue espressamente e con grande chiarezza fra ciò che indica come derivante dal Signore e ciò che esprime come personale opinione (1 Cor., 7,10; 7, 12; 7, 25; 13, 12).

Come Paolo e gli altri autori delle Epistole neotestamentarie, nemmeno gli Evangelisti pretendono espressamente d’essere ispirati da Dio; è vero il contrario! Il prologo del Vangelo di Luca, laddove l’autore assicura «d’aver indagato accuratamente tutti i fatti fin dal principio», è la prova migliore che lo scrittore non era neppure lontanamente sfiorato dal pensiero dell’ispirazione divina.

Né riteneva di compiere alcunché di eccezionale, se è vero che sin dal primo versetto ammette che «già molti» prima di lui avevano raccolto analoghe notizie, anche se non lo soddisfacevano perché non raccontate «fin dagli inizi e nella giusta sequenza». E dunque egli intendeva solo apportarvi miglioramenti tali da poter persuadere della «attendibilità» delle notizie insegnate il «nobilissimo Teofilo», per il quale scrive la propria opera (Lc., i, 1 sgg.). L’Evangelista si presenta, dunque, non come un autore ispirato da Dio, ma come un epitomatore di storie ampiamente in circolazione, delle quali intendeva irrobustire la forza persuasiva.

Quindi per l’intera cristianità primitiva fino a tutto il Il secolo la validità delle scritture, poi accolte nel Canone neotestanientario, si fondava semplicemente sull’uso che se ne faceva nel culto, cioè per scopi edificanti e devozionali. Il loro numero non era concluso e nuovi scritti potevano aggiungersi e in effetti si aggiungevano di continuo.



I 4 cavalieri dell'Apocalisse


venerdì 21 febbraio 2014

Contrasti tra la Chiesa d'Oriente e d'Occidente sulla validità del canone neotestamentario. 116

Sulla validità del canone neotestamentario fino al IV secolo non ci fu unanimità tra la Chiesa d'Oriente e quella d'Occidente. In Oriente, gli uni annoverando nel «verbo divino» documenti che in Occidente venivano respinti e perfino condannati. Ad esempio, la Chiesa occidentale inseriva l’Apocalisse nel Canone, mentre quella orientale no. D’altra parte, questa accettava il Vangelo degli Ebrei, rifiutato nettamente dalla Chiesa occidentale.

Fu solo intorno alla fine del IV secolo, precisamente nei Sinodi di Roma del 382, di Hippo Regius del 393 e di Cartagine del 397 che vennero definitivamente determinati il contenuto e la dimensione del Nuovo Testamento. Da allora vennero considerati ispirati dallo Spirito Santo, divini e quindi privi di errori, soltanto 27 documenti e si sostenne inoltre,spudoratamente, che la loro origine era apostolica. Col termine di "apocrifo" fu etichettato tutto ciò che non vi era stato compreso ee anche ciò che la Chiesa rifiutava della tradizione scritturale veterocristiana.

Tuttavia, nemmeno in seguito mancarono incertezze e tentennamenti. L’Apocalisse, che in Oriente godeva in principio di grande considerazione, a partire dal IV secolo e fino all’VIII venne messa da parte. Riuscì a stento a occupare l’ultimo posto fra gli scritti neotestamentari perchè rifiutata da figure importanti della Chiesa, quali il vescovo Dionisio di Alessandria, che ne misconosceva totalmente la derivazione giovannea, e il vescovo Eusebio di Cesarea, ciambellano di Costantino e autore di una storia della Chiesa.

Il Nuovo Testamento, quindi, divenne libro canonico e ispirato solo dopo un tormentato percorso durato alcuni secoli. È esso chiaramente una creazione della Chiesa e non la Chiesa una creazione del Nuovo Testamento. Il dottore della Chiesa Atanasio, che la storiografia critica ha smascherato come falsario, fu forse il personaggio più determinante a stabilire con decisione i limiti del Nuovo Testamento, e a sostenere contemporaneamente, ma falsamente, che il Canone fosse stato creato dagli Apostoli e dai Dottori dell’età apostolica.



Anche l’ampiezza del Vecchio Testamento fu incerta per lungo tempo. Nel I secolo d.C. gli Ebrei, soprattutto quelli della casata Hillel e, non ammettevano chee Salomone e il profeta Ezechiele fossero parte della Sacra Scrittura. Anche il Cantico dei Cantici venne posto aspramente in discussione. Le dimensioni e i contenuti del Vecchio Testamento furono stabiliti definitivamente in modo ufficiale nel Sinodo ebraico di Jamnia nel 95 d.C. La defmizione di «Vecchio Testamento deriva, poi, solo ed esclusivamente dal Nuovo Testamento

Dionisio di Alessandria


martedì 18 febbraio 2014

La controversa e leggendaria figura di Pietro.(Parte seconda) 123

Anché il Primato di Pietro Sugli apostoli e il Suo Soggiorno a Roma, conclusosi col Suo Martirio, Sono riscontro Privi di OGNI, Secondo Gli Storici non Cattolici.
Infatti, n é Paolo, il Che scrisse da Roma le denuncio Ultime Lettere citando i Nomi di MOLTI dei Suoi collaboratori, NE Gli Atti degli Apostoli, il Che Arrivano Fini al 62, accennano mai alla Presenza a Roma di Pietro. Anché Gli Scritti Cristiani Fino alla Metà del II Secolo ignorano La Questione.

I l Viaggio di san Pietro a Roma e la SUA Disputa con Simon Mago, la SUA crocifissione ed ALTRI Episodi un lui riferiti, Sono narrati esclusivamente in Libri dichiarati apocrifi dalla Chiesa stessa, vieni Gli Acta Petri.

Quindi ONU gran NUMERO di Storici e di teologi ha negato, i, tout court, la Presenza di Pietro a Roma. Uno di Essi, il teologo K. Heussi, GIA Nel 1936, DOPO accurate antichi Analisi dei testi, l'AVEVA esclusa categoricamente. (K.Heussi, Die roimische Petrustradition. in theologiae . Literaturzeitung 1959, n. 5, 359 sgg.).

Più recentemente lo storico Michael Grant ( San Pietro , Penguin Books, London, 1994) ha Messo in evidenza il Che ci Sono otto incontrovertibili Motivi Che negano Sia la Presenza romana di Pietro, SIA il Suo presunto stato di Vescovo della Città. Uno di Questi, E Che se Pietro SI Fosse Trovato a Roma all'arrivo di Paolo (o il Che Fosse Ancora vivo il Ricordo Di Una SUA precedente Venuta), Luca ne avrebbe Sicuramente Menzione dati nell'ultimo Capitolo degli Atti, vieni AVEVA menzionato Gli ALTRI Tra I Due incontri a Gerusalemme e ad Antiochia.

Anché il presunto ritrovamento del sepolcro di San Pietro, inteso vieni prova archeologica della SUA Sepoltura, E Stato Più Volte Annunciato dal Vaticano e altrettante Volte prontamente smentito, Perchè di Esso non E Stata Trovata Una Traccia sicura. Quindi, la Presenza a Roma e la cattedra pontificia di Pietro costituiscono Uno dei falsi Più Vistosi della Chiesa, finalizzato a suffragare il dogma dell'episcopato universale del Vescovo di Roma. Pietro quindi non fu Né il Primo Vescovo di Una presunta successione apostolica NE, Tanto Menone, Il Primo papa.


Il canone muratoriano del 1740 e altri canoni neotestamentari. 115

Il titolo di "Nuovo Testamento", per definire le scritture cristiane, appare per la prima volta alla fine del 200. Ciò è chiaramente dimostrato dall’abbozzo formalmente più antico degli scritti neotestamentari, cioè dal Canone rinvenuto nel 1740 dal bibliotecario milanese Ludovico Muratori, di cui prese il nome (Canone Muratori).

È questo, sotto molti aspetti il documento più significativo in assoluto della storia del canone neotestamentario. Creato a Roma intorno al 200, esso rappresenta la posizione ufficiale della Chiesa Romana del tempo e attesta, in un latino estremamente rozzo e assai prossimo a forme dialettali plebee, che la comunità cristiana di Roma non annoverava fra gli scritti del Nuovo Testamento i testi seguenti: l’Epistola agli Ebrei, la Prima e la Seconda Epistola di Pietro, l’Epistola di Giacomo e la Terza Epistola di Giovanni, che oggi ne costituiscono parte integrante ma che per la teologia critica sono testi falsi, aggiunti nel IV secolo.

Nel Canone del Dottore della Chiesa e Vescovo di Lione Ireneo, uno dei più importanti teologi del cristianesimo primitivo, redatto all’incirca nello stesso periodo, mancano l’Epistola agli Ebrei, l’Epistola di Giacomo, la Seconda Epistola di Pietro, quasi certamente anche l’Epistola di Giuda e la Terza Epistola di Giovanni, che oggi fanno parte del Nuovo Testamento.



Il Padre della Chiesa Clemente Alessandrino fra il 190 e il 210, annoverava fra le Sacre Scritture il Vangelo degli Ebrei e il Vangelo degli Egizi, la Prima Epistola di Clemente, quella di Barnaba, la Didaché, numerose lettere apostoliche oggi considerate apocrife, e molto probabilmente il Pastore di Erma, che anche Ireneo, Tertulliano, Origene ed altri considerarono parte del Nuovo Testamento.

venerdì 14 febbraio 2014

Nascita del canone neotestamentario. 114

Fino alla metà del II secolo la Chiesa delle origini non possedeva un proprio libro sacro, in quanto i Vangeli erano ancora in formazione, per cui doveva fondare la sua dottrina basandosi esclusivamente sull'Antico Testamento.

La Prima Epistola di Clemente, composta a Roma verso la fine del I secolo e attribuita a un Vescovo romano, conta più di cento citazioni dal Vecchio Testamento e soltanto due riferimenti ai Vangeli che stavano faticosamente emergendo. Infatti, i Vangeli vengono citati per la prima volta
intorno al 140 dal Vescovo Papias, uno dei «padri apostolici», ma solo per affermare che la tradizione orale sugli avvenimenti evangelici era molto più importante di quella scritta.

Verso il 160 Giustino Martire, nei suoi scritti fortemente polemici contro gli ebrei, si richiamava quasi esclusivamente al Vecchio Testamento. Quindi per tutto questo periodo la tradizione orale delle parole di Gesù godeva di maggior autorità dei libri in cui erano riportate.

Solo verso la metà del Il secolo, quando la tradizione orale era ormai diventata sempre più inattendibile, che si cominciò a privilegiare i Vangeli. I quali proliferarono sempre più copiosi e sempre più diversi poiché si adeguavano alle aspettative devozionali delle varie comunità cui erano indirizzati.

Per secoli la Chiesa ha dovuto polemizzare sulla loro validità in quanto contenevano tutti molteplici contraddizioni e incongruenze, e solo col Concilio di Nicea (325) quattro di essi vennero canonizzati e tutti gli altri dichiarati apocrifi.

Papias


martedì 11 febbraio 2014

La Vulgata 113

All'inizio del cristianesimo, le continue trascrizioni dei molteplici testi evangelici che nascevano nelle comunità primitive, determinarono, soprattutto fino al IV secolo, «molteplici modifiche del tutto naturali, ma anche amplificazioni o riduzioni arbitrarie» da parte di copisti, glossatori e redattori ecclesiastici, chiamati eufemisticamente "correttori" da Origene.

Queste continue modifiche, aventi lo scopo di adattare i testi allo spirito devozionale dei fedeli cui erano diretti, alla fine hanno determinato una giungla di lezioni contrapposte, di aggiunte (soprattutto nuovi miracoli o esagerazioni degli stessi) e di omissioni che hanno del tutto alterato i testi originari. La qual cosa non stupisce più di tanto per il fatto che è stata comune a molti altri libri sacri di antiche religioni, fin dal tempo degli egizi.

Sia fra i manoscritti biblici veterolatini che fra quelli greci (di questi ultimi ancor oggi ne conserviamo ben 4680 che mostrano 250.000 differenti lezioni ) non ce n’erano due che presentassero il medesimo testo o che mostrassero una concordanza nemmeno per la metà delle parole.

Fu per porre fine a questo ineluttabile processo di imbarbarimento che nel 383 il Vescovo di Roma, Damaso, incaricò il dalmata Gerolamo di costituire un testo unitario della Bibbia Latina. Il segretario del Papa, in questa sua monumentale opera di riordino dovette procedere alla «correzione» dei quattro Vangeli in circa 3500 passi. La traduzione di Gerolamo dell'Antico e del Nuovo Testamento dal greco al latino chiamata la Vulgata, fu per molti secoli respinta dalla Chiesa, che solo nel Concilio di Trento (sec. XVI) si decise a dichiararla autentica.




venerdì 7 febbraio 2014

Altri documenti frammentari del Nuovo Testamento. 112

Oltre ai due codici fondamentali su pergamena del IV secolo (il Sinaitico e il Vaticano) ci sono pervenuti dei documenti su papiro assai frammentari ma di notevole valore, risalenti al II secolo, e traduzioni latine, siriache e copte fatte su testi greci, anch’esse risalenti al II secolo. . Si tratta di trasposizioni condotte con grande povertà formale e incapaci di rendere le peculiarità e le sfumature del greco, se non in modo assai rozzo.

In questi documenti frammentari troviamo che i discorsi di Gesù sono tramandati in aramaico, dialetto siriaco parlato in Galilea. Probabilmente fu proprio dalle inflessioni di questo idioma parlato velocemente, non molto raffinato e di scarso prestigio, che Pietro venne riconosciuto nel cortile del sommo sacerdote Caifa durante la Passione. (Mt. 26, 73).

Purtroppo, sono pochissime le parole di Gesù pervenute nel testo greco dei Vangeli canonici nella loro forma aramaica originale, come il "Talitha kum" con cui resuscita la figlia di Giairo (Mc. 5, 41), l’ "Effetha" con cui avrebbe guarito il sordomuto (Mc. 7, 34), ed il "Eh, Eh, lema sabchtanì", parole con le quali in Matteo e in Marco lamenta sulla croce d’essere stato abbandonato da Dio (Mt. 27,46; Mc. 15, 34), e, infine, il termine "Amen".


É significativo che in uno di questi frammenti evangelici siriaci assai antico, l’attuale versetto di Matteo 1,16 che recita: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo”, recita invece “A Giuseppe, al quale la fanciulla era fidanzata, essa generò Gesù” (Nestle, Novum Testamentum graece et germanice, Matteo 1,16). In base a questo antichissimo documento, quindi, Giuseppe è il padre di Gesù, Maria non è vergine e neppure sposata quando lo genera. Per noi, oggi Gesù sarebbe nato da una ragazza madre o da una coppia di fatto.

Codex Vaticanus


martedì 4 febbraio 2014

I due codici fondamentali del Nuovo Testamento. 111

Come furono composti, rappezzati e tramandati i 27 documenti che compongono il Nuovo Testamento? Fino al XVIII secolo si credeva di possedere l’originale del Vangelo di Marco, anzi, addirittura in due copie, una a Venezia e l’altra a Praga; ed entrambe in latino, ignorando che questa lingua non era mai stata usata dagli Evangelisti.

In realtà di nessuno documento del Nuovo testamento esiste l'originale. Infatti della loro redazione originaria non sussiste la minima traccia e tutto sulla loro origine è avvolto nella completa oscurità. D’altra parte non sono pervenute nemmeno le loro prime trascrizioni. Infatti, esistono solo trascrizioni di trascrizioni di trascrizioni. Il loro testo attuale è spurio, nel senso che è stato rappezzato dalle più diverse redazioni tramandate attraverso i secoli.

Il Nuovo Testamenti si basa 1) su manoscritti greci, 2) su traduzioni antiche e 3) su citazioni mnemoniche neotestamentarie dei Padri della Chiesa. Giustino, ad esempio, di queste citazioni ne fornisce circa 300, Tertulliano più di 700, Origene quasi 18.000. Ma a sua volta la tradizione di queste opere non dà garanzie di attendibilità.


I più antichi manoscritti greci del Nuovo Testamento a noi pervenuti, il Vaticanus e il Sinaiticus, risalgono al IV secolo e sono tutti scritti in greco. Il Codex Sinaiticus e quello vaticano furono scoperti grazie all’opera del teologo tedesco Constantin von Tischendorf, precursore emerito della critica testuale neotestamentaria e viaggiatore instancabile.



Il Sinaiticus fu acquistato prima dallo zar Alessandro II e poi, nel 1933, dal British Museum di Londra ove tuttora si trova. Contiene per intero il Nuovo Testamento, in parte anche in modo del tutto arbitrario, ed è interamente consultabile su Internet. Il Codex Vaticanus, custodito nella Biblioteca Vaticana, è incompleto e ha subito tre rappezzamenti e persino l'aggiunta di due «Apocrifi», poi condannati dalla Chiesa, cioè l’Epistola di Barnaba e Il pastore di Erma. Questi due codici sono i testi fondamentali più antichi sui quali poggia la nostra conoscenza del cristianesimo.

Costantin von Tischendorf


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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)