Visualizzazioni totali

martedì 30 settembre 2014

Furono i vescovi a creare il sistema clericale minuziosamente regolato e burocratizzato. 173

Col procrastinarsi della parusia, l'influenza degli spirituali (Profeti e Maestri), andò scemando e, per contro, crebbe fin dal II secolo, l'influenza dei vescovi e dei presbiteri, i quali, essendo i dispensatori di denaro e di altri beni, acquisirono sempre più importanza e prestigio. In un tempo relativamente breve, i vescovi subordinarono i presbiteri e poterono disporre, ad libitum, di tutte le entrate e le donazioni della comunità, senza dover render conto a nessuno del loro operato.

Il Sinodo di Antiochia (nel 341), tentò, inutilmente, di mettere sotto controllo il comportamento amministrativo dei vescovi. Essi continuarono a servirsi dei capitali ecclesiastici autonomamente, soprattutto per consolidare la loro posizione personale. Per accrescere le loro entrate si dedicarono in particolar modo alla conversione dei ricchi, con la conseguente rivalutazione della ricchezza e dei ceti superiori. L'affluire di sempre maggiori ricchezze nelle mani dei vescovi determinò, come ci fa sapere Origene, gravi fenomeni di decadenza morale e religiosa.

Vescovi, presbiteri e diaconi furono spesso accusarti di avarizia, avidità di potere, ambizione arrogante e simonia. La Chiesa si era trasformata in una spelonca di lucratori senza scrupoli e si era rapidamente mondanizzata.


Origene


venerdì 26 settembre 2014

Le prime comunità cristiane. 172

Le prime comunità cristiano-ellenistiche che si svilupparono dapprima in Oriente (Siria e Turchia attuali) e poi nel restante impero romano, erano libere, autonome e indipendenti l'una dall'altra. Giudicando la fine del mondo ormai prossima vivevano appartate dalla società, applicando un rigoroso comunismo, basato sulla proprietà comune dei mezzi di produzione e di consumo. Tertulliano nel suo Apologo, raccontando la vita dei cristiani del suo tempo, osserva: "ogni cosa è in comune tra noi, tranne le donne; perché la comunanza da noi si ferma dove inizia presso gli altri.”

Chi guidava le prime comunità cristiane non veniva imposto dall'alto o eletto dai fedeli ma derivava la sua autorità per il carisma spirituale che sapeva emanare. Era chiamato Profeta ed era considerato in grado di avere visioni e di comunicarle alla comunità. Paolo era uno di questi e tutti i suoi seguaci credevano ciecamente ai suoi rapimenti. Il cristianesimo più antico fu dunque carismatico e profetico.

Assieme al Profeta c'era anche un altro personaggio importante nella comunità, chiamato Maestro, il cui compito consisteva nell'istruire i fedeli su Dio. Accanto a queste due guide spirituali c'erano altre persone, incaricate di funzioni prevalentemente economico-amministrative e sociali: raccolta delle offerte, assistenza dei bisognosi, allora molto numerosi, servizio alle mense e così via.

Godevano di un prestigio notevolmente inferiore rispetto ai Profeti e ai Maestri ma erano indispensabili. Ricorrendo alla terminologia pagana, erano chiamati diaconi (gli inservienti più comuni), presbiteri (quelli di rango più importante) e vescovi (i controllori).


San Paolo



martedì 23 settembre 2014

Il missionariato cristiano si attuò soprattutto mediante l'entusiasmo e la spontaneità. 171

La diffusione del cristianesimo non avvenne tramite una propaganda pianificata, né una centrale organizzatrice. Ciò che sostenne la missione dei cristiani fu l’entusiasmo dei suoi protagonisti poiché i missionari di professione erano pochi e tutto si attuava spontaneamente. Ogni cristiano agiva di propria iniziativa e la «buona novella» si diffondeva per forza propria, trascorrendo da una famiglia all’altra, da una casa all’altra, oggetto di discussione per le strade, nei mercati, nelle botteghe e negli ostelli. Questo entusiasmo missionario del Cristianesimo primitivo non fu fenomeno nuovo, in quanto sostituì direttamente quello a favore di Dioniso, di Iside e si altre divinità molto popolari.

Fin dall’inizio furono le donne le più trascinatrici, ben presto però eclissate dalla Chiesa quando questa si consolidò. Ma contribuirono alla sua crescita persino soldati e mercanti. Le conversioni erano facilitate dall’assenza di molte pastoie successivamente introdotte dalla Chiesa; inizialmente, per esempio, per diventare cristiani bastava aver ascoltato una sola predica e dichiararsi convinti e consapevoli. Ben presto, però, avvenne anche nel cristianesimo un fatto comune ad ogni altra religione, e cioè che, passato il primo slancio rivoluzionario, si attuò in esso un rapido processo involutivo che lo fece trapassare in una nuova fase di imborghesimento, chiusura e irrigidimento.


Ciò avvenne con l'istituzione della Chiesa che lentamente ma inesorabilmente si consolidò lungo i secoli II e III innescando una rapida involuzione. Con essa il periodo carismatico trapassò nel dogmatismo, la freschezza viva della fede nel confessionalismo controllato dalla gerarchia. La grazia finisce sotto i rigori della norma, lo spirito sotto il diritto ecclesiastico, il laico sotto il prete. La libera comunità fondata sull’amore scompare, sostituita dall’istituto clericale. Il Regno di Dio diventa un umano consorzio di interessi, un apparato ben oliato, definito con precisione dogmatica, cultuale, giuridica, politica e gerarchica, in stridente contrasto con la predicazione di Gesù. Il rapporto con Dio, non più diretto e spontaneo può verificarsi soltanto con la mediazione burocratica di un esercito di funzionari. 

Ciò comportò il distacco da ogni riferimento evangelico, un lassismo sempre più marcato e infine un’intolleranza oppressiva nei confronti di quanti non condividevano il credo cristiano e la sudditanza alla nuova istituzione.

La dea Iside


venerdì 19 settembre 2014

L'ethos sociale proposto dal cristianesimo favorì la sua rapida diffusione. 170

La forte impronta sociale che il cristianesimo seppe diffondere predicando la lieta novella anche per gli oppressi e gli umili fu un altro fattore determinante per la sua rapida diffusione. Il fatto che il Cristianesimo reclutava i propri adepti fra le classi più derelitte, cioè fra i poveri, gli schiavi, i liberti, i lavoratori di basso livello e in genere fra i diseredati e gli emarginati anche di pessimi costumi, come Gesù che accettava tra i suoi seguaci pubblicani e prostitute, attirò ben presto l'attenzione di una vasta classe popolare.

Paolo, a proposito della sua comunità di Corinto diceva che non c'erano molti sapienti né molte persone influenti né molti nobili tra i suoi seguaci e denunciava la «povertà abissale» della comunità di Macedonia (Cor. 1, 26; 2 Cor. 8, 2). Fino al Il secolo inoltrato la condizione media dei componenti le comunità cristiane fu determinata dai ceti più umili e, in ogni caso, da uomini di scarsa cultura e di di bassa condizione sociale. Lo deduciamo anche dagli scritti cristiani più antichi (Lettera di Giacomo, Apocalisse) con la loro aperta ostilità verso i ricchi e i potenti, e, non da ultimo, dal sarcasmo del polemista anticristiano Celso che accusava i predicatori cristiani di scegliere i loro seguaci tra “gli ottusi, gli ignoranti, o gli stupidi» ai quali imponevano: “non chiedere nulla: credi e basta. La tua fede ti salverà”.

Un altro fatto poco noto è che il cristianesimo più antico, diversamente dai culti pagani, nei quali pagavano anche i bambini, non costava nulla, essendo completamente gratuito. Fra i precetti dell'ethos della nuova religione ad attrarre l'attenzione del mondo pagano fu soprattutto il comandamento dell’amore per il prossimo e perfino per il nemico, che poi la Chiesa, appena giunta al potere, rinnegherà accanendosi con ferocia contro i pagani e quanti rifiutavano la conversione.


Aulo Cornelio Celso


martedì 16 settembre 2014

Anche il giudaismo contribuì al rapido sviluppo del cristianesimo. 169


 A favorire la rapida espansione del cristianesimo oltre alle tendenze monoteistiche che si erano rapidamente diffuse nel mondo antico, contribuì anche la vasta propaganda religiosa intrapresa dal giudaismo nel nome del suo dio Jahvè. Ciò fu dovuto al fatto che a quel tempo circa tre milioni di ebrei si erano sparsi nelle varie contrade dell'impero romano rimanendo più o meno fedeli all'osservanza della legge ebraica e quindi fortemente legati al monoteismo jahvista. Perfino a Roma, la capitale dell'Impero, si era costituita una grossa comunità ebraica, concentrata soprattutto nei quartieri più disagiati di Trastevere, ove svolgeva i commerci minuti e l'artigianato minore.

A dar credito ad Orazio e a Giovenale, importanti poeti latini, questa comunità era piuttosto detestata dalla maggioranza dei romani ma poteva esercitare liberamente il suo culto e riunirsi nelle sinagoghe. Alcuni pagani, favorevolmente impressionati dal modo di vita ebraico che imponeva il monoteismo, severe norme morali e l'assistenza ai bisognosi, si dimostrarono interessati a questa nuova religione e cominciarono a frequentare le sinagoghe come uditori. Venivano chiamati “timorati di Dio”.

Quando Paolo intraprese i suoi viaggi missionari si appoggiò sempre a queste comunità ebraiche diffuse in tutte le maggiori città d’Asia e del resto dell'Impero e tramite esse poté facilmente avvicinare questi pagani timorati di Dio. Siccome egli ne facilitava l'accoglimento, non facendo distinzioni fra proseliti e membri di pieno diritto, e per di più trasmetteva loro anche la religione dei Misteri ben nota al mondo pagano, essi si dimostrarono spesso molto più disponibili e ricettivi degli ebrei ad accogliere la prospettiva dell'imminente restaurazione del Regno di Dio. Ciò convinse Paolo che solo i timorati di Dio avrebbero costituito la sua nuova Chiesa e da quel momento si staccò completamente dall'ebraismo e inventò il cristianesimo per i pagani convertiti.

Quinto Orazio Flacco



venerdì 12 settembre 2014

Le tendenze monoteistiche del primo secolo favorirono la rapida espansione del cristianesimo. 168

I romani, senz'altro duri e spietati sotto il profilo politico, erano del tutto tolleranti in campo religioso e ammettevano che i diversi popoli sottomessi seguissero liberamente i loro culti e le loro tendenze religiose. Anzi ne favorivano l'importazione da ogni parte dell'Impero per cui Roma, ancor prima dell'avvento del cristianesimo, era diventata un coacervo di centinaia di divinità, che tutte avevano il loro tempio e i loro seguaci. Oltre i culti orientali, le religioni asiatiche, siriache, egiziane e persiane, ogni altra nuova fede che si profilasse all'orizzonte incontrava allora, dovunque e sempre, grande interesse, curiosità e desiderio religioso. Ciò favorì enormementete la penetrazione del cristianesimo.

Ma anche le tendenze monoteistiche che si andavano diffondendo rapidamente, specie nelle classi più colte della società romana, divennero un eccellente terreno di cultura per il cristianesimo. Infatti le persone colte, pur insofferenti dei simulacri degli dèi, per conservatorismo o assuefazione, continuavano a prender parte alle cerimonie del culto, come accade oggi a molti intellettuali, che, seppure poco convinti, continuano a partecipare ai riti della Chiesa, ma in realtà aspiravano al superamento del politeismo.

Il monoteismo, predicato da Senofane di Elea fin dal 500 a.C. e poi perseguito da Eraclito e da Platone, appariva loro lo strumento più adatto e lo guardavano come una forma di illuminismo, di modernità, anche se palesemente eretico nei confronti del vecchio sistema religioso. A ciò si deve aggiungere la concezione scientifica unitaria del mondo che postulava un dio altissimo come reggitore dell’Universo. Platone a proposito di questo «Dio dell’universo», lo additava come un «reggitore delle cose presenti e passate», un «padre e signore».

Naturalmente questi concetti non erano patrimonio comune delle masse, tuttavia presso quasi tutti i popoli del mondo greco-romano si era diffusa negli ultimi secoli precristani una netta tendenza a una visione unitaria della divinità che favorì la nascita del sincretismo religioso. I differenti culti orientali si andarono via via assimilando e molte divinità, soprattutto in Asia Minore, si fusero insieme con un processo di profonda compenetrazione reciproca, allargandosi in direzione di un essere superiore universale. Fu così che l’egizio Serapide si fuse con Zeus, Helios, Asclepio e altri; Iside con Demetra, Artemide, Athena, e Afrodite; Mitra col babilonese dio del Sole Schamasch, diventando poi il Sol Invictus.

Tutto ciò avveniva con estrema serenità, senza che nessuno disprezzasse la religione degli altri, definendola menzogna e inganno, come faranno poi i cristiani una volta avuto il sopravvento. Questo processo di assimilazione continuò ovviamente anche dopo la comparsa del Cristianesimo che fu prono ad inserirsi in questo filone.

Infine, a contribuire al definitivo sviluppo del monoteismo fu la Monarchia Universale dell’Impero Romano, che, accorpando le singole nazionalità e facendole convivere pacificamente tra loro, fece supporre anche in cielo regnasse un analogo governo unitario e pacifico.


Eraclito


martedì 9 settembre 2014

Il cristianesimo non solo cattolico ma anche riformato discende esclusivamente da Paolo. 167

L'impronta che Paolo ha impresso nel cristianesimo è così totalizzante che
non esiste corrente cristiana che non discenda direttamente da lui a cominciare da Marcione e lo gnosticismo cristiano dei primi secoli fino a Lutero e agli altri riformatori. Il protestantesimo , in realtà, si rifece non a Gesù, ma al paolinismo, come pure la teologia dialettica moderna. Quindi una depaolinizzazione del cristianesimo equivarrebbe alla sua cancellazione.

Da tutto ciò risulta incontestabile a chiunque sia sgombro da pregiudizi che l’autentico fondatore del Cristianesimo fu l’Apostolo dei Gentili, come viene ammesso senza riserve dalla maggioranza degli studiosi, per cui essere anticristiani equivale ad essere antipaolini.. Anche da parte cattolica qualcuno, obtorto collo, ammette che «oggi Cristianesimo significa in grandissima misura Paolo» (Ricciotti, Paulus, 570).

Ma la Chiesa ufficiale rifiuta ad oltranza la sua derivazione paolina per non rinnegare le sue presunte origini gesuane. Si limita, con mirabili contorsioni teologiche e ricorrendo ad eufemismi di ogni genere, a ribadire che Paolo, con una sua propria elaborazione personale, partendo dalla semplice predicazione di Gesù, ha portato la figura di Cristo a risplende con colori più vivi e ricchi di quanto siano stati in grado di fare i Vangeli.

Ma in realtà deriva incontestabilmente da Paolo tutta la zavorra cristiana: i principali dogmi della Chiesa; i  due fondamentali sacramenti: battesimo ed eucaristia; tutta la prassi ecclesiastica; l'intero ordinamento gerarchico; gli innumerevoli obbrobri di scetticismo delirante e psicotico che hanno imperversato nel passato e, infine, la negazione di tutti i diritti civili in base a principi oggi pomposamente camuffati da valori non negoziabili.


Martin Lutero



venerdì 5 settembre 2014

L'ascetismo paolino ha determinato anche la diffamazione del matrimonio. 166

Anche il matrimonio viene disprezzato da Paolo che lo considera una concessione alla carne peccaminosa, un male necessario, consentito solo «onde evitare di cadere in preda alla concupiscenza» (1 Corinzi 7,1 sgg. - 7,8 sgg.). Egli esclude un sincero legame matrimoniale; per lui non esiste una comunione né spirituale né sentimentale né sociale fra marito e moglie ma soltanto un’attrazione di natura sessuale. Quindi sarebbe proferibile rimanere scapoli giacché il matrimonio non reca con sé nulla di buono (1 Corinzi 7,28 sgg.) e condurre una vita casta come la sua. Solo che giustifica la sua castità non per virtù propria ma come conseguenza di una menomazione fisica. “Vorrei che tutti voi conduciate una vita casta come me, ma non tutti hanno il dono dell’impotenza”(1 Corinzi 7,1 sgg.).


Ma quando mai nei Vangeli troviamo che Gesù abbia predicato in favore del celibato? Una dichiarazione in questo senso avrebbe sollevato enormi perplessità, se non un proprio e vero scandalo. Al contrario, Gesù dichiarò esplicitamente: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina, e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?" (Matteo 19,4). Quindi Gesù mai dimostrò una qualsivoglia forma di ostilità nei riguardi del matrimonio e d'altronde i suoi apostoli erano sposati e molti testi apocrifi (Vangelo di Pietro. di Tommaso e di Filippo) affermano che anche lui era sposato con Maria di Magdala.


Nel Vangelo di Filippo troviamo: "Erano tre le donne che andavano sempre con il Signore: sua madre Maria, sua sorella e la Maddalena che è detta sua consorte. Infatti si chiamavano Maria sua sorella, sua madre e la sua consorte" (Vangelo di Filippo, versetto 32). Nello stesso Vangelo, come ulteriore conferma, leggiamo: "...la consorte di Cristo è Maria Maddalena..." (Ivi, 55).


Una prova, sia pure indiretta, del fatto che anche Gesù dovesse essere sposato la deduciamo dalla norma ebraica che imponeva al maschio, come dovere religioso e come completamento della persona, l'obbligo del matrimonio. Questo dovere era ancora più indispensabile per uno che impersonava il ruolo di Rabbi o Maestro, e noi vediamo che Gesù è chiamato Rabbi o Maestro molte volte nei Vangeli sia canonici, sia gnostici ed apocrifi. "E subito si avvicinò a Gesù e disse: "Salve, Rabbi!" (Matteo 26,49). "Gli replicò Natanaèle: «Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!»" (Giovanni 1,49). Quindi Gesù, come tutti i Rabbi ebrei, secondo la legge Mishnaica del suo tempo, molto esplicita a questo proposito: "un uomo non sposato non può essere un Maestro", non poteva essere celibe (Massimo Bontempelli, Costanzo Preve. Gesù uomo nella storia, Dio nel pensiero, Petite Plaisance Editrice, Pistoia, 1997).


Gesù e Paolo non solo non vanno d'accordo sul matrimonio ma neppure sul divorzio sul quale anche i Sinottici si pronunciano in modo contraddittorio. In Marco e in Luca, Gesù vieta assolutamente la separazione, ma in Matteo la approva in caso di adulterio da parte della donna (Cfr. Mc. 10, 11; Lc. 16, 18 con Mt. 5, 32; 19, 9). In stridente contrasto col divieto presente in Marco e Luca, Paolo ammette il divorzio nel cosiddetto Privilegium Paulinum, in caso cioè di matrimonio misto fra cristiani e pagani, qualora questi ultimi richiedano la separazione. Da tutte queste considerazioni dovrebbe risultate ormai chiaro che lo schietto messaggio di Gesù fu da Paolo alterato nei suoi tratti fondamentali. La distanza fra i due è innegabile ed enorme.


Vangelo di Filippo pag.63


martedì 2 settembre 2014

L'inferiorità della donna, rispetto all'uomo, per la Chiesa dura tuttora. 165

Sulla scia di Paolo e di Agostino per quasi venti secoli la donna è stata dileggiata da dottori e teologi in mille modi: «porta del diavolo» (Tertulliano), «male di natura» (Giovanni Crisostomo), «insaziabile» di piacere (Girolamo), «di mente instabile» (Gregorio I), «sacco di escrementi» (Odo, abate di Cluny), «una sorta di inferno» (Pio II), «osso in soprannumero» (Bossuet), arrivando, in casi estremi, a negare perfino che possedesse l'anima. Solo, infatti, nel Concilio di Trento le fu apertamente riconosciuto di possederla. 

Ecco perché nel Medioevo la donna «non aveva nessuna autorità, non poteva insegnare, né testimoniare … né giudicare» (Decretum Gratiani, XII sec.) e nemmeno accostarsi «ai sacri altari» (papa Gelasio). Fino al XX secolo le fu vietato perfino di “servire” messa o cantare in chiesa (motivo quest’ultimo per cui dal Cinquecento, avendo bisogno di voci bianche, si ricorse alla castrazione dei maschi).

La pretesa inferiorità della donna, perdurata nella dottrina della Chiesa fino al XX secolo, servì a giustificare non solo la sua estromissione dal sacerdozio ma anche la sua totale sottomissione all'uomo. Per Leone XIII «il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie» (Arcanum divinae). Per Pio XI «l’ordine dell’amore» richiede «da una parte la superiorità del marito sopra la moglie ed i figli, e dall’altra la pronta sottomissione e ubbidienza della moglie» (Casti connubii, 1930).

Solo a partire dal Vaticano II, grazie anche all’influenza del movimento femminista, cominciò a essere posta in discussione la  misoginia cattolica.  Ma soltanto a parole. Infatti, anche se  il Catechismo della Chiesa   (1992) afferma la parità dei sessi, negando l’idea paolina che solo l’uomo sia “immagine di Dio”, la Chiesa,    non  non ha mai voluto riconoscere  di aver discriminato la donna  per venti secoli  e ancor meno ha  voluto trarre le conseguenze del suo nuovo orientamento.


Ancor oggi, infatti,    continua a negare alla donna    l'accesso al sacerdozio con motivazioni infantili e   persiste nel suo  anti-femminismo   medievale.

Leone XIII


Benvenuti nel mio blog

Questo blog non è una testata giornalistica, per cui lo aggiorno quando mi è possibile. I testi sono in regime di COPYLEFT e la loro pubblicazioni e riproduzioni è libera purché mantengano lo stesso titolo e venga citando il nome dell'autore.

I commenti possono essere critici, ma mai offensivi o denigratori verso terzi, altrimenti li cancello. Le immagini le pesco da internet. Qualche volta possono essere mie manipolazioni.

Se volete in qualche modo parlare con me, lasciate la richiesta nei commenti, vi contatterò per e-mail. Dato che il blog mi occupa parecchio tempo, sarò laconico nelle risposte.

Se gli argomenti trattati sono di vostro interesse, passate parola; e, se site studenti, proponeteli al vostro insegnante di religione. In tal caso fatemi sapere le risposte che avete ottenuto. Grazie.

Lettori fissi

Archivio blog

Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)