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venerdì 28 marzo 2014

La fine del cristianesimo giudaico (Parte prima). 126

Dopo la cacciata del gruppo dei cristiani ellenisti guidati da Stefano, la Chiesa di Gerusalemme retta da Giacomo godette di un lungo periodo di tranquillità, durante la quale usufruì dell'appoggio di molti farisei e soprattutto del popolo che la stimava per la sua alta pietà e per il suo continuo prodigarsi a favore dei poveri. Le cose cambiarono nel 62 in seguito alla lapidazione di Giacomo per ordine del grande sacerdote Anania e ancor più nel 67,con lo scoppio della Guerra Giudaica.

Secondo Eusebio di Cesarea, poco prima dell’assedio di Gerusalemme da parte dei Romani, i cristiano-giudei, guidati da Simone, cugino di Gesù, si trasferirono compatti nei territori a est del Giordano, nella cittadina di Pella perché non volevano impugnare le armi contro Roma, atto allora impensabile per dei cristiani.

Alcuni anni dopo la conquista di Gerusalemme per mano di Tito, i giudeo-cri-
stiani rientrarono da Pella. Questa piccola comunità cristiana sopravvisse, in mezzo a infiniti stenti, fino al 135, quando, scoppiata la rivolta di Bar Kochba, rifiutandosi di prender parte alla ribellione, venne duramente perseguitata dal capo ribelle e scacciata dalla città.

Dopo la definitiva sconfitta di Bar Kochba l'imperatore Adriano, di fronte a quell'ennesima rivolta, pensò bene di risolvere definitivamente il problema delle continue ribellioni contro Roma. Ordinò, quindi, di cancellare a Gerusalemme e nella Palestina ogni traccia che si riferisse all'ebraismo e al cristianesimo. Quindi fece spianare il Golgota, sconvolse radicalmente ogni aspetto della vecchia città santa e sulle rovine del Tempio fece erigere, come suprema profanazione, un tempio pagano con le statue di Giove Capitolino e di altre divinità.

Ciò determinò la cancellazione di tutti i monumenti religiosi ebraici e cristiani rimasti dopo la guerra del 70. Quindi tutti i riferimenti attuali ai luoghi santi (ad esempio il santo sepolcro individuato da Elena, madre di Costantino, nel IV secolo) sono inattendibili sotto ogni punto di vista (alla luce anche delle successive stratificazioni apportate dai musulmani nel lungo periodo della loro dominazione). Furono i pellegrini e i crociati a inventarli nel Medioevo, assieme all'ubicazione della città di Nazareth.


Bar Kokhba - moneta


martedì 25 marzo 2014

Probabili cause della lapidazione di Giacomo. 125

La lapidazione di Giacomo, fratello di Gesù,sembrò a tutti un autentico omicidio su commissione. Mentre, come faceva più volte al giorno, si recava al Tempio per pregare, Giacomo fu aggredito per la via, gettato dalle mura e lapidato. Il sommo sacerdote Anania ne aveva ordinato l'uccisione, tra l'indignazione popolare, poiché Giacomo aveva pubblicamente osannato al fratello crocifisso come al figlio di David. Quindi la sua fine fu ignominiosa e crudele come quella del congiunto.

Samuel Brandon, analizzando le cause che determinarono la lapidazione di Giacomo giunge alla conclusione che queste andavano ricercate nell'affiliazione del basso clero coi cristiano-giudei, e quindi col contagio da esso subito dallo zelotismo che alimentava le attese messianiche riguardo a Gesù (la parusia). Difatti fu proprio il basso clero a far scoppiare nel 66 d.C. la ribellione contro Roma, rifiutando di offrire nel Tempio sacrifici all'Imperatore. La lapidazione di Giacomo fu quindi voluta dall'aristocrazia sacerdotale per mantenere lo status quo, minacciato dai cristiano-giudei.

Secondo Giuseppe Flavio in quel periodo la situazione degli ebrei della Palestina peggiorava di giorno in giorno. Il paese era pieno di bande di zeloti, di ribelli e di sicari che creavano subbugli e infiammavano le moltitudini alla rivolta. Re Agrippa II e i romani non riuscivano più a controllare la situazione e c'era nell'aria sentore di catastrofe. Nel 66, infatti, in seguito ad un'ennesima ribellione e al massacro della guarnigione romana, scoppiò la Guerra Giudaica, che si concluse nel 70 con la distruzione di Gerusalemme e lo sterminio di gran parte del popolo ebraico.

Dopo l'assassinio di Giacomo a capo della Chiesa di Gerusalemme fu eletto un cugino di Gesù, Simone figlio di Cleofa. Secondo Eusebio di Cesarea questo Simone, per intervento divino, nel 70 riuscì ad abbandonare Gerusalemme poco prima della caduta della città, e a rifugiarsi a Pella in Perea. In seguito, rientrò coi pochi cristiano-giudei superstiti, ma durante l’impero di Traiano, venne anch'egli crocifisso come supposto discendente di Davide.

In alcuni elenchi falsificati e contraddittori di episcopi, Giacomo compare quale
primo vescovo di Gerusalemme. Il suo «seggio episcopale» - come ironizza Adolf von Harnack - veniva ancora mostrato nel IV secolo.




venerdì 21 marzo 2014

Giacomo, il fratello di Gesù.124

Giacomo, il fratello di Gesù,fu il primo personaggio delineato con precisione della storia del cristianesimo. Negli Atti degli Apostoli riveste un ruolo fondamentale come nemico implacabile di Paolo di Tarso e guida incontrastata della comunità di Gerusalemme. Quando Gesù era ancora in vita, Giacomo ebbe per lui scarsa considerazione. Infatti di Giacomo non troviamo alcuna traccia nei Vangeli. Ma dopo la morte del fratello volle anch’egli andare incontro al Risorto, unendosi alla nuova setta ormai in crescita.

Consacrato nazireo dalla madre Maria, Giacomo, che viveva notoriamente
nell’ascesi e che si richiamava alla Legge, dette l’avvio a una duplice rielaborazione
della dottrina di Gesù, da un lato nel senso di una vita molto riservata, quasi monastica, lontana dal mondo, dall’altro nell’inclinazione a una stretta osservanza della Legge, a un rinnovato richiamo alla Thora, in ciò scostandosi apertamente dal comportamento del fratello.

Così ci viene descritto da Eusebio di Cesarea: «Egli fu santo fin nel seno materno. Non bevve vino o alcun’altra bevanda alcolica né mangiò carni di animali. Nessuna lama toccò mai il suo capo, non si unse d’olio né prese un bagno. A lui solo fu concesso di entrare nel santuario, perché non indossava abiti di lana, ma di lino. Si recava nel Tempio sempre da solo, dove lo si poteva trovare inginocchiato a pregare Dio perché perdonasse il popolo; così le sue ginocchia erano indurite come quelle di un cammello».

È indubbio che Giacomo, godette di un rango superiore allo stesso Pietro, che pare gli abbia riconosciuto la primazia all’interno della Comunità originaria. Con lui, però, ha inizio per il Cristianesimo un processo, gravido di conseguenze involutive, caratterizzate da una rinnovata giudaicizzazione della religione, che influenzerà anche i Vangeli, soprattutto quello di Matteo, particolarmente prediletto dalla Chiesa.

 Egli capeggiò la Comunità per vent’anni, durante i quali godette, dell'appoggio di molti farisei e soprattutto del popolo che lo stimava per la sua alta pietà e per il suo continuo prodigarsi a favore dei poveri, finché non fu lapidato intorno al 62 per ordine del grande sacerdote Anania.



martedì 18 marzo 2014

La controversa e leggendaria figura di Pietro.(Parte seconda) 123

Anche il primato di Pietro sugli apostoli e il suo soggiorno a Roma, conclusosi col suo martirio, sono privi di ogni riscontro, secondo gli storici non cattolici.
Infatti, né Paolo, che scrisse da Roma le sue ultime lettere citando i nomi di molti dei suoi collaboratori, né gli Atti degli Apostoli, che arrivano fini al 62, accennano mai alla presenza a Roma di Pietro. Anche gli scritti cristiani fino alla metà del II secolo ignorano la questione.

Il viaggio di san Pietro a Roma e la sua disputa con Simon Mago, la sua crocifissione ed altri episodi a lui riferiti, sono narrati esclusivamente in libri dichiarati apocrifi dalla Chiesa stessa, come gli Acta Petri.

Quindi un gran numero di storici e di teologi ha negato, i, tout court, la presenza di Pietro a Roma. Uno di essi, il teologo K. Heussi, già nel 1936, dopo accurate analisi dei testi antichi, l'aveva esclusa categoricamente. (K.Heussi, Die roimische Petrustradition. in Theol. Literaturzeitung, 1959, nr. 5, 359 sgg.).

Più recentemente lo storico Michael Grant (Saint Peter, Penguin Books, London, 1994) ha messo in evidenza che ci sono otto incontrovertibili motivi che negano sia la presenza romana di Pietro, sia il suo presunto status di vescovo della città. Uno di questi è che se Pietro si fosse trovato a Roma all'arrivo di Paolo (o che fosse ancora vivo il ricordo di una sua precedente venuta), Luca ne avrebbe sicuramente data menzione nell'ultimo capitolo degli Atti, come aveva menzionato gli altri incontri tra i due a Gerusalemme e ad Antiochia.

Anche il presunto ritrovamento del sepolcro di San Pietro, inteso come prova archeologica della sua sepoltura, è stato più volte annunciato dal Vaticano e altrettante volte prontamente smentito, perché di esso non è stata trovata una traccia sicura. Quindi, la presenza a Roma e la cattedra pontificia di Pietro costituiscono uno dei falsi più vistosi della Chiesa, finalizzato a suffragare il dogma dell’episcopato universale del vescovo di Roma. Pietro quindi non fu né il primo vescovo di una presunta successione apostolica né, tanto meno, il primo papa.


Simon Mago


venerdì 14 marzo 2014

La controversa e leggendaria figura di Pietro.(Parte prima) 122

I contestatori della storicità della figura di Gesù hanno visto anche in Pietro un’invenzione della fantasia, una creazione mitica, ma la sua persona è ritenuta, da molti studiosi, storicamente fondata. A convalidare la sua storicità è stato adotto anche il fatto che nei documenti del Nuovo Testamento viene sempre designato con scarsa simpatia. Né gli evangelisti,infatti, né Paolo, né tanto meno gli apocrifi, parlano favorevolmente di lui. Nonostante secondo i Vangeli, Simone Pietro. il pescatore di Betsaida, insieme ai figli di Zebedeo Giacomo e Giovanni sia stato una delle persone più vicine a Gesù. la sua persona storica ci risulta completamente sconosciuta, come del resto anche quella di molti altri apostoli. Anche nella prima parte degli Atti viene presentato in modo leggendario mentre nella seconda parte del libro , inspiegabilemente, viene fatto sparire del tutto senza lasciare più tracce.

A ingenerare confusione su di lui è il fatto che nei Vangeli canonici questo apostolo risulta avere tre appellativi diversi: Bariona, Cananites e Kefas che solo recentemente sono stati spiegati in modo nuovo, riservandoci delle grosse sorprese. Vediamo la genesi, piuttosto complicata, di questi appellativi di Pietro , cominciando dal primo “bariona”.

Secondo la versione attuale dei Vangeli, Pietro viene chiamato da Gesù: "Simone, figlio di Giona" (Matteo 16,17) facendo erroneamente riferimento al testo greco “  ” (Simon bar Iona). Ma questa traduzione è un falso. La spiegazione è semplice: nel testo greco antico (non in quello usato dalla Cei) si legge:  (e non quindi “  ”), dove Bariona è un unico vocabolo che in aramaico, al tempo di Gesù, significava "fuorilegge, terrorista, partigiano alla macchia", cioè zelota o sicario. Quindi non "figlio di Giona" come traduce falsamente la Chiesa.

Sempre Simone, soprannominato da Luca senza mezzi termini, lo Zelota (Luca 6,15), viene chiamato da Marco "" (cananaios) (Marco 3,18) e da Matteo "" (cananites) (Matteo 10,4), termini tradotti nei Vangeli attuali con l'aggettivo "cananeo", cioè proveniente da Cana. Niente di più falso.
Il termine aramaico "qanana" da cui deriva quello greco cananaios, equivale a "zelota, fuorilegge, terrorista", esattamente come bariona. Infine, il termine Kefas o Cefa, significa in aramaico “Roccioso” e allude alla durezza combattiva e al carattere violento attribuiti a Pietro, sia dai documenti apocrifi (Vangelo di Maria di Magdala), sia dagli stessi Vangeli canonici, che riportano il fatto che al momento dell'arresto di Gesù, l'apostolo con un colpo di spada tagliò netto l'orecchio di Malco, servo di Caifa (Giovanni 18,10). Quindi questi tre termini indicano inequivocabilmente che Pietro non era il pacifista descritto dalla tradizione ma uno spietato combattente per la causa messianica.

Forse Pietro guidò inizialmente la nuova setta della Via (1 Cor. 15,7; Atti, 1,14)), ma quando Giacomo, fratello di Gesù, giunse dalla Galilea per unirsi agli altri apostoli che attendevano il ritorno del Risorto, costui ne divenne il capo incontrastato e Pietro passò in secondo piano. Infatti di Pietro non si accenna più negli Atti a partire dalla metà del libro, mentre si continua a parlare di Giacomo che fino al 63 fu il capo incontrastato della Chiesa di Gerusalemme.






martedì 11 marzo 2014

La rottura definitiva tra cristiani giudei ed ellenisti.121

Secondo il punto di vista comune della ricerca critica, nella comunità primitiva i due gruppi si trovarono fin dall’inizio l’uno accanto all’altro, ma assolutamente indipendenti e ciascuno con una propria amministrazione. Le scintille tra i due gruppi dovevano essere piuttosto frequenti e avrebbero portato sicuramente ad un certo scisma che non si attuò solo perché «a Gerusalemme il terreno divenne tanto scottante sotto i piedi degli ellenisti, che furono costretti a fuggire». Questa fuga conferma irrefutabilmente la spaccatura della comunità primitiva giudaica con la sua componente ellenistica più vicina al paganesimo e antisinagoga e per questo divenuta malvista dai giudei.

Dopo la lapidazione del proprio portavoce Stefano, accusato di «bestemmiare contro Mosé», vale a dire di aver attaccato il Tempio e la Legge, la comunità ellenistica subì un periodo di persecuzione, come ci conferma anche Paolo nelle sue Lettere, e fu costretta ad abbandonare precipitosamente la città. Gli ellenisti, come raccontano ancora gli Atti, fuggirono in Fenicia, a Cipro e in Antiochia, e diedero poi inizio, quando Paolo ne divenne il capo indiscusso e carismatico, al nostro cristianesimo attuale. Così il cristianesimo cominciò a diffondersi anche tra gli ebrei della diaspora che erano circa tre milioni sparsi nelle varie contrade dell'impero romano ed erano rimasti, più o meno, fedeli all'osservanza della legge ebraica.

Il gruppo apostolico, invece, fedele alla Legge giudaica e ligio ai riti religiosi del Tempio, fu lasciato tranquillo, godendo - come raccontano ancora gli Atti degli Apostoli - di pace «in tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria» (Cfr. Atti, 8, 1; 8,4; 11,19, 31). Protetti dai farisei e dal loro capo Gamaliele, che li stimava per la loro ligia osservanza della Legge, i cristiano-giudei durante questo periodo di tranquillità poterono incrementare i loro i proseliti fino a raggiungere alcune migliaia.

Ma nel 44, quando Agrippa I, nipote di Erode il Grande, fu nominato dall'imperatore Claudio re della Giudea e del territorio dello zio, il tetrarca Filippo, avvenne una dura repressione anche nei loro confronti. Appena insediatosi come re di Gerusalemme, costui, già intimo amico di Caligola, si alleò coi sacerdoti del Tempio nell'intento di reprimere con durezza ogni gesto d'insofferenza del popolo contro i romani. Così, si diede ad arrestare e a uccidere zeloti e messianisti ed anche i seguaci di Gesù, equiparati a questi ultimi e sempre odiatissimi dai grandi sacerdoti e dagli erodiani.

Si riteneva, infatti, che il loro movimento predicasse la rivolta contro la casta sacerdotale e il disprezzo verso le autorità costituite, in quanto affermava che lo stato di cose di allora sarebbe presto finito per far posto alla realizzazione messianica in cui Gesù sarebbe tornato come re per governare lo Stato dei Santi.

Tra i molti arrestati ci furono Simon Pietro e Giacomo, figlio di Zebedeo e il fratello di costui Giovanni. Giacomo, e forse anche Giovanni, furono giustiziati di spada (condanna che presupponeva un'accusa politica) per ordine del re, mentre Pietro riuscì a fuggire dal carcere. La persecuzione non durò molto perché Agrippa I morì poco dopo e Simon Pietro poté rientrare a Gerusalemme. Da allora i cristiano-giudei a Gerusalemme non furono più molestati.


Santo Stefano



venerdì 7 marzo 2014

Il dissidio tra cristiani giudei e cristiani ellenisti.120

Il motivo della discordia tra cristiani giudei ed ellenisti, secondo gli Atti degli Apostoli, era determinato da una forma di trascuranza della comunità verso le vedove ellenistiche durante il pasto quotidiano (Atti, 6, 1). Cioè per il fatto che esse venivano «trascurate», «lasciate da parte», come poste in posizione di subordine. La qual cosa appare inverosimile per il fatto che a dirigere il servizio di mensa erano preposti proprio gli ellenisti.

E allora tale conflitto non era causa, bensì conseguenza di una tensione già presente, dietro la quale si intravvedono non solo le ovvie differenze di lingua e di cultura, quanto problemi dottrinari di fondo. Le tendenze tra i due gruppi erano molto diverse: i cristiano-giudei erano conservatori, legati cioè al giudaismo più tradizionale per non dire fondamentalista, mentre invece gli ellenisti, che avevano un retrocultura più aperta perché fortemente maturata a contatto col mondo pagano, erano più avanzati, meno ligi al rispetto formale del giudaismo. Ma il motivo principale di contrasto fra gli ebrei e gli ellenisti era costituito principalmente dal problema escatologico.

Per i giudeo-cristiani il nucleo centrale della fede si trovava nella speranza del prossimo ritorno del Crocifisso dal cielo per liberare Israele dalla schiavitù politica e praticavano, nell'attesa dell'evento che ritenevano vicino, gli atti rituali di pietà e di assistenza alle vedove a gli orfani. I pagano-cristiani ellenisti, invece, vivevano l’aspettazione della fine mediante il misticismo, l’estasi, la glossolalia, la fede in un dio vissuto e risorto sulla terra, onorato cultualmente come gli dèi delle pratiche misteriche e alla cui resurrezione si partecipa con l’assunzione dei sacramenti.

Inoltre, c’era fra loro tutta una serie di rilevanti punti di frizione. Per i giudeo-
cristiani vigevano, oltre il rigido rispetto della Legge, la permanenza nel Tempio, l’obbligo della circoncisione, un atteggiamento penitenziale pronunciato, anche e, non da ultimo, la loro diffusa benché volontaria comunanza dei beni.

Tutto ciò era estraneo ai pagano-cristiani, che rifiutavano la Legge giudaica, trascuravano l’appartenenza al Tempio,non esigevano la circoncisione, sottolineavano il carattere gioioso della nuova fede e non attribuivano soverchia importanza all’ideale pauperistico.


Atti degli Apostoli - frammento


martedì 4 marzo 2014

La comunità cristiana primitiva. 119 (Parte prima)

La conoscenza del periodo apostolico ci deriva dalle Epistole paoline e soprattutto dagli Atti degli Apostoli, anche se queste fonti non solo del tutto attendibili e risalgono ad alcuni decenni dopo la morte di Gesù. Le comunità, cui si rivolgeva Paolo, non consideravano le sue Epistole come rivelazioni divine, destinate alla posterità, ma le leggevano come lettere private. La loro scomparsa, infatti, era considerata dai cristiani tanto poco rilevante, che in un secondo tempo sostituirono con dei falsi quelle mancanti. Soltanto posteriormente le Epistole paoline assunsero un carattere canonico, come oggi viene ammesso anche da parte cattolica.

Da questi documenti ricaviamo che i discepoli, dopo la presunta resurrezione di Gesù, si riunirono a Gerusalemme in attesa del ritorno del Messia, in carne ed ossa dalle nuvole per riscattare Israele. Inizialmente, si raccolsero intorno a Pietro e ai figli di Zebedeo: Giacomo e Giovanni, allargando via via la loro cerchia di influenza con la predicazione e il dialogo.

Questo gruppo, in ogni caso, appariva una setta giudaica più che una nuova comunità religiosa, rappresentando in un primo tempo una mera corrente dell’ebraismo fra le tante allora in auge. Una specie di nuova Sinagoga che si distingueva dalla fede degli altri ebrei principalmente per la credenza nell’immediato ritorno del Crocifisso. Gli Apostoli e i loro seguaci non intesero mai di proclamare al mondo una nuova religione.

La cerchia più antica dei discepoli di Gesù constava esclusivamente di ebrei. Questi erano per la maggior parte israeliti rigidamente fedeli alla Legge, alla tradizione, alle festività giudaiche, alle norme alimentari, ai riti sacrificali del Tempio. Ma c'era anche una minoranza di adepti di stirpe ebraico-ellenistica di lingua greca. Erano ebrei rientrati dalla diaspora, cioè dalle colonie ebraiche sparse nell'impero romano che assommavano una popolazione in numero tre volte superiore agli ebrei della Palestina. Infatti. mentre i giudei viventi in Palestina ai tempi di Gesù vengono stimati intorno al milione, quelli della diaspora dispersi per l’impero romano vengono valutati in circa 3 milioni e mezzo.

Erano costoro più vicini alla cultura ellenistica che a quella ebraica e fra di essi si trovavano anche greci convertiti all’ebraismo, i cosiddetti proseliti. Questi adepti sentendosi più ellenizzati che ebrei, si consideravano meno vincolati alle tradizioni nazionali e religiose dei connazionali e ciò determinava talvolta una certa ostilità nei loro confronti.

«Nei giorni in cui s’accrebbe il numero dei discepoli, si giunse alla diatriba degli ellenisti con gli ebrei» leggiamo negli Atti, che raccontano anche che gli ellenisti avevano sette propri capi tutti recanti nomi schiettamente greci. Gli Atti degli Apostoli tentano di occultare l’esistenza di due fazioni contrastanti all’interno della comunità primitiva, camuffandola come si trattasse solo di una suddivisione di compiti: la predicazione sarebbe stata riservata agli Apostoli; ai «Sette», cioè agli ellenisti, il servizio di mensa (Atti, 6, 1 sgg.).

In realtà, però, non si accenna mai a questa attività diaconale dei «Sette», al loro presunto servizio di mensa. Al contrario, si parla dappertutto della loro predicazione, che avrebbe dovuto essere un esclusivo privilegio degli Apostoli. E dunque non c’é dubbio che i «Sette» non esercitavano affatto il servizio di mensa, ma erano i capi degli ellenisti, come gli Apostoli lo erano degli ebrei.


San Paolo


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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)