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venerdì 28 novembre 2014

4 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. La figura storica che, probabilmente, diede origine al mito di Gesù descritto dai Vangeli

Dall'occupazione romana, avvenuta nel 62 a.C. quando Pompeo conquistò la Palestina e la annise all'Impero quale Protettorato, fino alla caduta definitiva di Gerusalemme nel 135 d.C. per opera di Adriano, Israele fu ripetutamente scosso da continue e spesso sanguinosissime rivolte politiche provocate da ribelli fanatici che si proclamavano dei Messia inviati da Jahvè a liberare la loro terra dal giogo romano.
La rivolta più sanguinosa avvenne nel 7 d.C. al tempo del censimento ordinato dal governatore della Siria Publio Sulpicio Quirinio quando Giuda, detto il Galileo, seguito da una moltitudine di ribelli, devastò l'alta Palestina seminando terrore e morte. Sconfitto dai romani fu crocifisso assieme a due mila dei suoi seguaci.
Nonostante le sempre pronte e spietate repressioni romane, le sommosse degli zeloti (così erano allora chiamati i ribelli) si susseguirono in Israele a ritmo continuo perché il fanatismo era così diffuso che quando qualcuno si proclamava Messia trovava sempre dei fanatici che lo seguivano ciecamente. Leggendo i Vangeli noi scopriamo che Gesù viene più volte proclamato Messia e legittimo re d'Israele (sei in Marco, cinque in Matteo, due in Luca e otto in Giovanni) e che fu condannato alla crocifissione, pena riservata ai ribelli politici.
Da ciò possiamo dedurre, senza ombra di dubbio, che egli è stato storicamente uno dei tanti falliti Messia del suo tempo, il quale, per una serie di circostanze fortuite, che esaminerò nei prossimi capitoli, subì, nei primi quattro secoli della nostra èra, tre incredibili metamorfosi che lo trasformarono da ribelle zelota, crocifisso dai romani, quale fu nella realtà, al ruolo di Messia martirizzato, attribuitogli dai suoi seguaci dopo la sua presunta resurrezione, e, infine, all'ultima e definitiva trasformazione nel Cristo Figlio di Dio, incarnatosi come uomo e poi immolatosi sulla croce per la salvezza universale, secondo la personale invenzione teologica di Paolo di Tarso. Ecco quindi che la figura mitologica di Gesù si formò adattando un fallito Messia crocifisso all'archetipo di un dio soterico già conosciuto in tutto il mondo antico. Il termine aramaico Messia, che in origine indicava solo il liberatore d'Israele, nei testi neotestamentari, scritti in greco, diventò Christòs e diede origine al nome cristianesimo.
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giovedì 27 novembre 2014

La Chiesa, millantando una falsa tradizione, legittimò l'ufficio episcopale mediante una inventata successione apostolica. 188

Per tutto il primo secolo e parte del secondo durante i quali non esistevano vescovi monarchi la Chiesa procedette a falsificazioni d’ogni genere per supportare il principio della tradizione che voleva un'ininterrotta successione episcopale a partire dall’epoca apostolica. Per il cristianesimo egizio, ad esempio, la storiografia ecclesiastica successiva inventò di sana pianta un’intera lista di vescovi.

Nel IV secolo Eusebio, padre della storiografia della Chiesa, introdusse di straforo non meno di dieci, nomi che non sono altro che pure invenzioni. Ad Alessandria la tradizione attendibile, invece, ha inizio solo col vescovo Demetrio (ca. 188-230), passato alla storia per essere stato un uomo brutale e rotto a tutte le infamie.
Anche la lista vescovile antiochena, composta da Giulio Africano nel II secolo sul modello dell’analoga lista egiziana, per colmare le lacune fino all'epoca apostolica ricorse a pure e semplici invenzioni.

Sull'esempio della successione apostolica in Alessandria e Antiochia, i vescovadi più celebri dell’antica Chiesa orientale, anche a Roma, si procedette nello stesso modo per cui il termine «apostolico» diventò il collante supremo ecclesiastico. Divennero così «apostolici»: la dottrina, la carica, il canone e, ovviamente, anche la «Chiesa stessa». Tutto ciò che le serviva era «apostolico» dedotto falsamente dalle Sacre Scritture, a loro volta, naturalmente «apostoliche». Infatti a mano a mano che procedeva nella fissazione dei dogmi e delle forme del culto, recependo usanze e parole chiave del giudaismo e del paganesimo, la Chiesa li rivestiva prontamente con panni apostolici che nessuno si preoccupava di verificare in quanto garantiti dalla tradizione a sua volta inventata. Perchè in verità, nel I secolo una Chiesa non esisteva affatto, e allorché nel II secolo se ne andò costituendo una, essa fu quella di Marcione, la quale, prima di quella cattolica, aveva una carica vescovile «monarchica» e il suo apostolo era Paolo.

L’applicazione alla successione episcopale del termine giuridico "successio" risale
molto verosimilmente all’ex avvocato Tertulliano. Un esempio può fornire un’indicazione del modo in cui egli credette di dimostrare la tradizione apostolica:

«Quel che è stato poi il contenuto della loro [degli Apostoli) predicazione o, con altre parole, della rivelazione loro affidata da Cristo, non si può... dimostrare per altre vie che non siano per l’appunto quelle stesse chiese personalmente fondate dagli Apostoli, in quanto essi stessi vi predicarono... Se è così, ne consegue con certezza che qualsiasi insegnamento che concordi....con quelle Chiese apostoliche dev’essere considerato come verità, in quanto possiede indubbiamente quel che le Chiese hanno raccolto dagli Apostoli, gli Apostoli da Cristo e Cristo da Dio. (Tert,praescr. 21).

Eusebio di Cesarea


martedì 25 novembre 2014

3 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Nessun documento storico certifica l'esistenza di Gesù

Ho appena evidenziato che la figura di Gesù è stata ritagliata da miti che erano molto diffusi in tutto il mondo antico. Come è potuto avvenire un fatto del genere? Una spiegazione plausibile potremmo darla tenendo presente che al tempo di Gesù esisteva una grande biblioteca ad Alessandria d'Egitto, dotata di circa un milione di manoscritti, provenienti dall'Occidente e dall'Oriente, molti dei quali parlavano diffusamente dei principali miti che allora interessavano l'umanità e che erano molto conosciuti anche in Palestina. Quindi è facile supporre che l'archetipo che diede origine alla figura di Gesù, fosse conosciuto da molti, anche a livello popolare. Tanto per fare un esempio, il culto del dio Mitra, che molti studiosi considerano la principale fonte del cristianesimo, calcava perfettamente questo archetipo e in più disponeva di sacre scritture, come i nostri Vangeli, e di sacramenti (battesimo ed eucaristia) riconosciuti dagli stessi primi Padri della Chiesa come identici a quelli cristiani. Solo che erano antecedenti al cristianesimo di qualche secolo.
A suffragare maggiormente la teoria che afferma l'origine mitologica della figura di Gesù si possono elencare altri due fatti importanti. Primo: che dei circa quaranta storici contemporanei di Gesù, nessuno lo menzionò nelle sue opere, nonostante lo scalpore che, secondo i Vangeli, egli suscitò in Galilea e a Gerusalemme.
Il silenzio tombale su di lui riguarda anche i tre massimi storici ebrei che narrano, fin nei minimi dettagli, gli avvenimenti della Palestina da Erode il Grande alla caduta di Gerusalemme. Mi riferisco a Filone Alessandrino, che denunciò la crudeltà di Pilato, a Giusto di Tiberiade, che visse a lungo a Cafarnao in contemporanea di Gesù, e, infine, a Giuseppe Flavio che scrisse opere poderose sulle vicende giudaiche.
Qualcuno potrebbe obiettare che nei suoi scritti Giuseppe Flavio accenna a Gesù e a suo fratello Giacomo. Tutti gli storici, compresi quelli cattolici, oggi ammettono senza ombra di dubbio che questi accenni sono dei falsi inseriti da Eusebio di Cesarea, il ciambellano di Costantino, considerato il più grande falsario degli antichi Padri della Chiesa.
Concludendo: nessun storico ha mai nominato Gesù. Fatto incredibile se consideriamo le sue imprese ampiamente descritte nei Vangeli.
Secondo: i ventisette testi che costituiscono il Nuovo Testamento, e che quindi sono la fonte di tutto quello che sappiamo di Gesù, sono assolutamente inattendibili, cioè privi di ogni valenza storica. Essi sono tutti scritti da autori che mai hanno conosciuto Gesù, che riportano su di lui dei sentito dire, che addirittura non erano ebrei ma pagani convertiti. Infatti sono pieni di contraddizioni, incongruenze, falsità e manomissioni di ogni genere. Nel prosieguo della mia analisi del cristianesimo metterò in evidenza, di volta in volta, citando sempre i testi canonici, alcune di queste incredibili falsità.
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venerdì 21 novembre 2014

2 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Gesù: figura storica o mitologica?

Prima di affrontare la vita di Gesù, quale ci viene descritta dai Vangeli, bisogna risolvere il quesito fondamentale che riguarda la sua vera esistenza.
In parole semplici: una persona chiamata Gesù è realmente esistita o è soltanto una figura mitologica? E, se è esistita, quanto ha avuto a che fare col cristianesimo? Infine, i testi canonici che costituiscono il Nuovo Testamento, e che unici ci raccontano la vita di Cristo, hanno una qualche valenza storica o rientrino in quella che fu definita una pia fraus (una pia frode)?
Per un credente queste domande sono semplicemente assurde, ma per uno studioso rivestono, invece, un'importanza fondamentale. La massa dei credenti, spesso indottrinata in modo catechistico e devozionale, non è a conoscenza del fatto che esistono parecchi studi che tendono a dimostrare, in maniera logica ed intelligente, che Cristo è soltanto una figura mitologica, quindi una pura invenzione, priva di un qualsiasi riscontro storico.
Per questo, prima di iniziare a raccontare la vita di Gesù, come ci viene tramandata dai Vangeli. invito il lettore a risolvere un indovinello, a dir poco sconcertante. Consiste in questo: dopo aver letto le caratteristiche, qui sotto riportate, cerchi di dare un nome al personaggio descritto:

. ....... è stato generato da una vergine, il 25 dicembre, in una stalla.
La sua nascita fu annunciata in oriente da una stella.
Fu adorato da tre importanti personaggi.
Da ragazzo insegnò nel Tempio e fu battezzato all'età di 30 anni.
Ebbe 12 discepoli.
Compì miracoli e risuscitò un uomo chiamato El-Azar-us.
Camminò sulle acque.
Si trasfigurò sulla cima di un monte.
Fu crocifisso, chiuso in una tomba e resuscitato dopo tre giorni.
Fu chiamato la via, la luce, il figlio di Dio, il Verbo.
La sua figura fu associata a quella dell'agnello e del pesce.
Il suo sopranome era Iusa, il prediletto figlio del Padre.
Fu chiamato il KRST ovvero l'unto, il Messia.

Chi pensate che possa essere? Ma Gesù, naturalmente. Mettete il suo nome al posto dei puntini iniziali e tutto combacia alla perfezione.
Invece NO! Si tratta della descrizione del dio egiziano Horus che precedette Gesù di molti secoli.
E credete che sia l'unico caso in cui Gesù viene così prefigurato molto tempo prima della sua venuta? Vi sbagliate di grosso.
Ecco un altro Gesù, preso a caso fra i tanti che lo hanno preceduto. Si tratta di Krishna, una delle più popolari divinità dell'antica India.

È stato partorito da una vergine.
Suo padre era un falegname.
La sua nascita fu assistita da angeli, uomini saggi e pastori e gli furono donati oro, incenso e mirra.
Egli fu perseguitato da un tiranno che ordinò l'uccisione di migliaia di bambini.
Era di discendenza regale.
È stato battezzato sulle rive del fiume Gange.
Egli operò miracoli e prodigi.
Risuscitò i morti, guarì i lebbrosi, i muti ed i ciechi.
Usava parabole per insegnare alla gente carità ed amore.
Visse da povero ed amò i poveri.
Si trasfigurò di fronte ai suoi discepoli.
Fu crocifisso tra due ladroni.
Risuscitò dalla morte ed ascese in cielo.
Era nominato il pastore di Dio e il re dei re e fu considerato come il redentore, primogenito, remissore di peccati, liberatore, Verbo universale.
Egli era la seconda persona della trinità e proclamò se stesso come la resurrezione e la via al Padre.
Egli fu considerato come l'inizio e la fine (alfa ed omega) ed anche l'onnisciente, l'onnipresente e l'onnipotente.

Vi basta o devo descrivere le altre divinità, come Mitra, Attis, Marduk, Eracle e così via, nate da una vergine, crocifisse, resuscitate e ascese al cielo, vissute alcuni secoli prima di Gesù, tratte da “The World's Sixteen Crucified Saviors” (I sedici salvatori crocifissi nel mondo) di Kersey Graves?
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giovedì 20 novembre 2014

La posizione gerarchica dei Vescovi venne ulteriormente rafforzata da Cipriano.

Il vescovo di Cartagine Cipriano (morto nel 258), uno dei Padri della Chiesa più letti in Occidente, anche se le opere falsificate dai cristiani e a lui attribuite sono più numerose di quelle autentiche, rafforzò ulteriormente la posizione gerarchica dei vescovi. Lo stile dei suoi scritti, fondato sul linguaggio di un ex retore e avvocato, a seconda dei casi pieno di pathos pastorale o capzioso per i trucchi avvocateschi, diventerà esemplare per la Chiesa.

Secondo lui i vescovi più che guide religiose vengono trasformati in autorità giurisdizionali e tutta la vita della Chiesa si concentra intorno a loro, alti come torri in mezzo alla folla dei laici, dominatori non solo dei fedeli ma anche del clero.

Nel II secolo, e specialmente nel III, il potere del vescovo sull'impronta fissata da Ignazio e Cipriano venne accresciuto e moltiplicato con ogni mezzo, e in tale situazione conquistò grande importanza un artifizio politico-ecclesiastico che solo dal III secolo fa la sua comparsa, e cioè la legittimazione dell’ufficio episcopale mediante la successione apostolica (non riconosciuta dal vescovo Ignazio). I vescovi diventano quel che mai erano stati fino ad allora: successori degli apostoli ed eredi del loro magistero, mediante la costruzione di liste di successione totalmente inventate.

Nel Nuovo Testamento, i cui scritti più recenti ci portano fin quasi alla metà del 1I secolo, non esiste traccia della cosiddetta successione apostolica, cioè dell’affermazione di una ininterrotta successione giuridicamente fondata dei vescovi a partire dall’epoca apostolica. E in realtà una successione simile non è mai esistita. Ma la Chiesa, procedendo a falsificazioni di ogni genere, ha colmato i vuoti tra gli apostoli e i vescovi monarchi inventando tutta una serie di nomi fasulli. Il termine «apostolico» è diventato per essa un collante universale.



Cipriano


martedì 18 novembre 2014

AVVISO. Gentile lettore, da oggi Impegno Laico ripropone la pubblicazione a puntate bisettimanali (circa 110) di "L'invenzione del cristianesimo", ultima edizione, nei giorni di martedì e venerdì. Il post sull'origine del cristianesimo viene spostato al giovedì. Passa parola!

1 “L'invenzione del cristianesimo” - Premessa

Un'approfondita indagine critica del cristianesimo, quale questo libro si prefigge di fare, rende necessarie alcune brevi informazioni preliminari, indispensabili per un suo inquadramento.
Pochi credenti sanno che il cristianesimo si è sviluppato in due tronconi, molto diversi l'uno dall'altro. Il primo, che possiamo chiamare giudeo-cristiano, ha avuto origine dagli apostoli guidati da Giacomo, fratello di Gesù; il secondo, che possiamo chiamare ellenistico-pagano, è stato una creazione personale di Paolo di Tarso, il san Paolo della Chiesa.
Il cristianesimo giudaico, nella sua breve esistenza, è rimasto sempre ligio all'ebraismo più ortodosso e ha praticato, con straordinario zelo, tutte le pratiche del giudaismo rituale: la frequentazione quotidiana del Tempio, la partecipazione ai sacrifici, l'osservanza delle festività e della legge ebraica. Per esso il cristianesimo non era una nuova religione contrapposta all'ebraismo, ma un suo completamento e riguardava soltanto gli ebrei della Palestina e quelli che si erano sparsi nelle molte contrade dell'impero romano.
Tutti gli altri: i romani e i pagani in genere, erano esclusi perché l'etica biblica, ed anche quella evangelica, erano settarie e ostili agli stranieri. Non dimentichiamo che gli ebrei si consideravano il popolo eletto, l'unico in cui scorreva sangue divino, e che Mosè, su preciso comando di Jahvè, aveva condannato a morte e sterminio tutti i nemici di Israele.
Quali aspettative aveva il cristianesimo giudaico? Come vedremo più dettagliatamente in seguito, esso credeva fermamente che Gesù risorto sarebbe tornato quasi subito, in carne e ossa, per creare il Regno di Dio in Terra, come avevano annunciato i profeti, e che avrebbe dato inizio ad un lungo periodo di pace e di armonia per Israele prima e per il resto del mondo poi.
Il cristianesimo ellenistico-pagano, fondato da Paolo, si configurò, invece, come un filone eretico del vecchio ebraismo, e finalizzato alla creazione di una nuova religione. Infatti, Paolo inviterà i suoi seguaci cristiani a rifiutare la Legge, la frequentazione del Tempio e la circoncisione, e quindi a rinnegare, di fatto, l'ebraismo, e tenderà a diffondere il suo cristianesimo personale non tanto tra i suoi correligionari ebrei quanto tra i gentili, cioè tra i pagani. Quali erano le aspettative di Paolo?
In un primo tempo, come i cristiano-giudei, cui inizialmente aderì, anch'egli attese spasmodicamente l'imminente ritorno sulla Terra di Gesù risorto. Poi, quando questa aspettativa andò delusa e i suoi seguaci entrarono in crisi, per salvare il suo cristianesimo, gettò l'ebraismo alle ortiche, abbracciò l'ideologia delle Religioni Misteriche, assimilata da giovane nella sua città natale, che ipotizzava l'immortalità dell'anima, rimandò il ritorno di Gesù al Giorno del Giudizio e trasformò il Messia crocifisso nel Redentore dell'intera umanità. Il nuovo Regno di Dio, non più terreno ma celeste, avrebbe riguardato l'aldilà, dove le anime immortali sarebbero vissute in una eterna beatitudine. Insomma inventò il nucleo fondamentale che costituisce il cristianesimo attuale. La sua nuova teologia fu sempre sconfessata dalla Chiesa di Gerusalemme, rimasta fedele all'ebraismo.
Per alcuni decenni i due cristianesimi convissero tra contrasti più o meno palesi. Le Guerre Giudaiche del 70 e del 135, che portarono alla distruzione di Gerusalemme e della Palestina e alla totale diaspora degli israeliti sopravvissuti, segnarono la fine definitiva del cristianesimo giudaico. Quello di Paolo, invece, già diffuso in gran parte dell'impero romano tra i pagani, rimase l'unico vincente e diede origine alla nuova religione. Quindi il cristianesimo attuale deriva interamente da Paolo.
Ciò premesso, questo libro si prefigge di dimostrare che il cristianesimo non è una religione rivelata ma semplicemente inventata; che Gesù non era il Figlio di Dio, immolatosi sulla croce per redimere l'intera umanità, come ci è stato tramandato dai Vangeli canonici derivati da Paolo di Tarso e dai suoi seguaci, ma semplicemente un Messia jahvista, fatto crocifiggere dai romani per insurrezione armata contro Roma.
La prima parte di questa approfondita indagine prenderà in esame il Gesù storico, quale possiamo dedurre dai Vangeli: un nazireo esseno-zelota che si proclamò Messia davidico e re d'Israele, e finì condannato dai romani alla crocifissione come un ribelle jahvista.
Si esaminerà poi, nella seconda parte, la metamorfosi subita da Gesù all'indomani della sua pseudo-resurrezione, quando i suoi seguaci, che diedero origine alla Chiesa cristiano-giudea di Gerusalemme, lo tramutarono da Messia Crocifisso nel Messia Martirizzato, destinato a tornare in tempi brevi sulla Terra come Figlio dell'Uomo, per liberare definitivamente Israele e creare il Regno di Dio.
Si parlerà della parusia, cioè dell'attesa spasmodica del ritorno dal cielo del Gesù risorto in carne ed ossa, ritenuta imminente dai primi cristiano-giudei di Gerusalemme e anche da Paolo di Tarso in un primo momento, ma poi, non essendosi verificata, da lui rinviata a sine die, cioè al Giorno del Giudizio.
Si arriverà quindi, nella terza parte, all'ultima e definitiva trasformazione di Gesù nel Cristo Figlio di Dio, incarnatosi come uomo e poi immolatosi sulla croce per la salvezza universale, e si scoprirà che fu, in assoluto, una personale invenzione teologica di Paolo di Tarso.
I primi due Gesù, di natura esclusivamente umana, riguardavano il solo popolo ebraico; il terzo, fatto assurgere dai pagano-cristiani al rango divino, consustanziale al Padre, riguardò il mondo intero.
Nelle quattro parti successive verranno analizzati, a brevi linee, la diffusione del cristianesimo paolino, il suo trionfo per opera dell'imperatore Costantino, l'istituzione della Chiesa, la sua successiva mondanizzazione e trasformazione in un apparato oppressivo e criminoso. La nona ed ultima parte, infine, prenderà in esame le fonti che sono alla base del cristianesimo. Sono quelle canoniche, riconosciute dalla Chiesa come rivelate da Dio; quelle apocrife, considerate dalla Chiesa non attendibili; e, infine, quelle storiche di autori ebrei e romani. Nell'esaminare gli stadi delle incredibili metamorfosi cui fu sottoposta la figura di Gesù nei primi secoli della nostra èra, si farà riferimento quasi esclusivamente alle fonti canoniche.


Queste, infatti, ad una lettura non convenzionale ma attenta e rigorosa, nonostante le molte e grossolane manipolazioni messe in opera dalla Chiesa attraverso i secoli, per difendere la teologia inventata da Paolo e da essa ereditata, lasciano trasparire numerose tracce, sia pur velate, che ci consentono di ricostruire parzialmente la vera vicenda terrena di Gesù, come esposta nei Vangeli, e le sue successive trasformazioni.

venerdì 14 novembre 2014

Ignazio di Antiochia 186

Il vescovo antiocheno Ignazio fu un vero e primo assertore dell'episcopato monarchico. Lo deduciamo dalle sue Lettere, sette delle quali, furono composte forse verso la metà deI II secolo. Esse sono oggi giudicate autentiche dalla maggior parte degli studiosi, anche se vennero verosimilmente rielaborate in senso «cattolico» verso la fine del secolo. Le altre sue dieci Lettere, fra cui una indirizzata alla Vergine, con annessa risposta (altro che il nostro servizio postale!) furono falsificate e a lui attribuite dalla Chiesa antica.

Ignazio, il più zelante antieretico del suo tempo, gratificava tutti i cristiani di
differente opinione con epiteti poco evangelici (a similitudine di Paolo di Tarso) :«fiere selvagge», «cani pazzi», «bestie in umane sembianze», e i loro maestri «fetida immondizia». Possiamo definirlo il «classico della dottrina cattolica intorno alla figura del vescovo». Nella sua opera viene attestato per la prima volta il termine «cattolico» (Ign., Smyrn. 8, 2), che non fu creato dalla Chiesa, ma assunto dalla lingua greca. Dobbiamo però precisare che, almeno nella Chiesa antica,la parola «cattolico» non equivaleva a «cattolico romano». Per la prima volta nei suoi scritti viene delineato il quadro complessivo di un’organizzazione gerarchica completamente strutturata: un vescovo, un collegio di presbiteri a lui sottoposto, e in sott’ordine i diaconi.

Ma per il vescovo Ignazio, cui dobbiamo la parola «cattolico», è la carica episcopale la quintessenza della cristianità. «E’ chiaro - afferma nelle sue Lettere - che bisogna rispettare il vescovo come Dio stesso». Il vescovo è per lui l’immagine del Signore, il ricettacolo delle rivelazioni celesti. Senza di lui la comunità cristiana non può sussistere, né può sussistere la coscienza pura, il battesimo effettivo, l’agape e l’eucaristia.

Ha così inizio il collegamento dell’atto sacramentale alla persona del vescovo (o di un suo incaricato), che determinerà ineluttabilmente la costituzione di una contrapposizione fra chierici e laici, totalmente ignota al cristianesimo primitivo. Infatti, la comunione poteva originariamente essere assunta anche nei gruppi più piccoli, come, ad esempio, in una comunità domestica. Si tratta ancora dei primi passi, ma è possibile individuarvi chiaramente l’adeguamento progressivo del culto cristiano al modello pagano delle religioni misteriche.

Il vescovo Ignazio pretende per i vescovi tutti i poteri dottrinali e ordinamentali, la totale sottomissione dei presbiteri e dei diaconi e soprattutto l’obbedienza incondizionata dei fedeli. Dio gradisce solo ciò che il vescovo approva
«Senza il vescovo non dovete fare assolutamente nulla - afferma Ignazio - e chi onora il vescovo, viene onorato da Dio; chi fa qualcosa senza il vescovo, si pone al servizio del demonio». Egli non si stanca di inculcare nelle comunità questi concetti, mettendole contemporaneamente in guardia contro eretici e scissioni: l’ortodossia è come «l’idromele», l’eresia è «un veleno mortifero». «Se qualcuno seguirà uno scismatico, non potrà ereditare il Regno di Dio»; «ma dove c’è il pastore, allora seguitelo come le pecore». Nonostante questa idolatria per l'episcopato, Ignazio, incredibilmente, non fa risalire agli Apostoli questa fondamentale istituzione.


Ignazio di Antiochia


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martedì 11 novembre 2014

I Vescovi della Chiesa antica venivano eletti dal popolo, spesso tra risse tumultuose. 185

I vescovi del periodo più antico non venivano nominati dall'alto ma scelti
ed eletti dalla comunità Una diffusa regola ecclesiastica del III secolo stabiliva: «Sarà insediato come vescovo colui che sarà stato scelto dal popolo», e fino alla metà del III secolo qualsiasi laico poteva diventare subito vescovo, senza aver ricoperto prima nessuna carica ecclesiastica; era sufficiente che fosse onesto,
caritatevole, amante del vero, disponibile, alieno dalla cupidigia, buon marito e pa-
dre di famiglia.

Una stessa comunità,se numerosa, poteva avere più vescovi e persino piccoli villaggi avevano i propri episcopi. Ma a partire dal IV secolo ebbe inizio la lotta fra i«Vescovi di città» e «Vescovi di villaggio» che si concluse con la vittoria dei vescovadi più vasti. Nel Concilio di Nicea (325) erano ancora rappresentati numerosi vescovi di piccole comunità di villaggio, forniti di prerogative
sostanzialmente eguali a quelle dei loro colleghi cittadini. Nelle comunità piuttosto popolose le elezioni del vescovo erano estremamente tumultuose, accompagnate da acclamazioni e da risse, tuttavia osservavano sempre rigorosamente una legalità formale.

Ma con l'accrescersi del potere episcopale, soprattutto economico,nella scelta dei vescovi l’intervento dello Spirito Santo assumeva spesso forme poco ortodosse, come ci dimostra la testimonianza del Padre della Chiesa Gregorio di Nazianzio.
Con evidente imbarazzo e sorvolando sui dettagli, egli ci informa di un’elezione avvenuta a Cesarea, durante la quale (cosa allora niente affatto rara) erano scoppiati violenti disordini, sedati a stento dalle autorità, anche perché - come afferma Gregorio - il prestigio del seggio episcopale attizzava l’asprezza dello scontro. Alla fine fu raggiunto un accordo, ma non su un candidato cristiano, bensì «su un notabile cittadino, moralmente irreprensibile, ma non ancora battezzato».

Tuttavia, questo pagano, non attribuendo alcuna importanza al prestigioso seggio vescovile, non volle ricoprire la carica; ma ciò non impedì che «con l’ausilio della guarnigione militare presente in città venisse trascinato contro la sua volontà davanti all’altare e un po’ con le suppliche, un po’ con le minacce fosse costretto a subire il battesimo e ad accettare la nomina».

Gregorio giustifica tale procedura piuttosto anomala col «fervido entusiasmo dei
credenti». I fedeli, dunque, trasformarono questo pagano recalcitrante nel som-
mo pastore cristiano di Cesarea, procedendo sbrigativamente al battesimo, all’ele-
zione e all’intronizzazione.

Ora, dal racconto imbarazzante di Gregorio sappiamo che a quei tempi per l'elezione di un vescovo accadessero delle vere e proprie sanguinose battaglie tra i fedeli. Allorché nel 366 i pretendenti vescovi Damaso e Ursino si contesero il trono episcopale della Città Eterna, i partigiani delle due fazioni si massacrarono crudelmente persino nelle chiese, tanto che in un solo giorno ne furono estratti centotrentasette cadaveri. Naturalmente si verificavano campagne elettorali condotte con metodi un po’ meno rozzi, ad esempio per mezzo di gigantesche operazioni di corruzione dirette nascostamente sia dal candidato, sia da qualche facoltosa favorita ben disposta verso il futuro servo di Dio. Gli stessi Padri della Chiesa non possono fare a meno di alludere al fatto che in occasione di simili elezioni la «massa» veniva letteralmente comprata

I metodi corrotti della lotta politica e dell’elezione degli imperatori propri della
Roma antica continuarono tranquillamente con la Chiesa. Ci furono anche seggi episcopali ereditari. Policrates di Efeso fu l’ottavo vescovo nella sua famiglia, come ci fa sapere Eusebio di Cesarea.

Fino al 483 i vescovi di Roma vennero eletti dal popolo romano. In seguito, i fedeli persero i diritti elettorali conservando solo quello dell’assenso a cose avvenute; abitudine che si è mantenuta fino ai nostri giorni, quando il papa neoeletto si affaccia alla loggia di S. Pietro per raccogliere il tifo giubilante della folla raccolta in piazza dalla fumata bianca.


Gregorio Nazianzeno


AVVISO

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venerdì 7 novembre 2014

I Vescovi consolidarono la loro posizione personale utilizzando ad libitum il denaro delle comunità cristiane

Mentre svaniva l’influenza degli spirituali (Profeta e Maestro) si consolidava per contro la posizione dei Vescovi e dei Presbiteri, il cui prestigio crebbe sempre di più, essendo normalmente i dispensatori di denaro e di altri beni, dai quali erano totalmente dipendenti i componenti più poveri delle comunità, allora di gran lunga prevalenti. E dopo che i Vescovi ebbero subordinato i Presbiteri, disposero discrezionalmente di tutte le entrate e le donazioni, diventando nel III secolo i responsabili dell’amministrazione patrimoniale, cioè «cassieri», una funzione non propriamente religiosa.

E mentre Gesù aveva raccomandato ai discepoli «Avete ricevuto gratuitamente, e gratuitamente dovrete dare» (Mt. 10 ,8 sg.) e lo stesso Paolo si procurava il proprio sostentamento con un guadagno secondario, facendo il costruttore di tende per i romani e ne era addirittura fiero, i vescovi a partire dal III secolo si arrogarono il diritto di coprire tutte le spese del proprio sostentamento con la cassa della Chiesa, decidendo il livello degli stipendi dei propri sottoposti e operando tagli e concedendo aumenti a loro piacimento. Ebbero, insomma, il diritto di disporre senza limitazioni delle entrate delle Chiese e dei beni che amministravano dovevano rendere i conti solo al buon Dio.

All’inizio del II secolo ci sono già noti taluni dignitari, come ad esempio il vescovo Valente a Filippi, che amavano apertamente più le speculazioni finanziarie che il Signore. Certo, non era la regola generale, ma indubbiamente i Vescovi utilizzavano il denaro che affluiva alle Comunità per consolidare la loro posizione personale.

La disposizione del Sinodo di Antiochia (nel 341), che stabiliva di mettere sotto controllo il comportamento amministrativo dei vescovi, non trovò applicazione. I vescovi continuarono a servirsi dei capitali ecclesiastici a loro capriccio. Essi avevano un interesse specifico alla conversione dei ricchi, che riempivano le loro casse, con la conseguente modificazione dell’atteggiamento verso i ricchi e la proprietà, la quale conobbe una rivalutazione rispetto al passato. Si cominciò a guardare ai ceti superiori con occhi più benevoli, ma allontanandosi a poco a poco dal popolo e dallo spirito del Vangelo.


Alla fine del II secolo si consolidò la completa vittoria della burocrazia (preti e vescovi) sulla spiritualità (profeti e maestri) e il vescovo riunì nella sua persona tutti gli incarichi. A lui passò quel che prima era stato privilegio delle comunità autonome: l’esercizio della disciplina ecclesiastica, il sacerdozio universale dei fedeli, le prerogative carismatiche dei Profeti, la funzione dei Maestri e il patrimonio della Chiesa. Ora il potere era tutto nelle sue mani; era nata una «organizzazione personalistica», che avrà un ruolo importantissimo nella storia della Chiesa, ma che non trovava alcun riscontro nei dettami del Nuovo Testamento.


San Paolo


martedì 4 novembre 2014

La carica ecclesiastica di vescovo eliminò del tutto la guida collegiale che inizialmente vigeva nella comunità cristiana primitiva.

Se nella comunità cristiana primitiva lo spirito di Dio parlava per bocca dei «Profeti», e dunque di ogni cristiano che si sentiva «chiamato», a partire dal II secolo si vincolò tale spirito alla funzione del Vescovo, dal lV secolo venne assegnato ai Concili e in seguito a decidere tutto fu il papa.

Il termine Vescovo deriva interamente dal mondo pagano. Infatti gli Dèi, in quanto controllori delle buone e delle cattive azioni degi uomini, erano chiamati episkopoi in Omero, Eschilo, Sofocle, Pindaro. Platone e Plutarco lo usarono a proposito dei pedagoghi, i filosofi Cinici vennero chiamati con lo stesso nome. Ma erano chiamati vescovi anche i grandi sacerdoti dei culti pagani. Il vescovo cristiano però si distingueva da quello pagano esclusivamente per il potere dittatoriale e leggiferante con cui esercitava la sua carica. L'affermazione del vescovo come suprema e unica autorità delle comunità primitive fu graduale ma rapida.

Le comunità autonome primitive in epoca paolina non sottostavano ad autorità costituite e si amministravano decidendo da sole i loro affari. Tutte le persone in esse attive ricoprivano degli incarichi non in seguito a un’elezione, ma in forza di un prestigio carismatico. Poi, in epoca postpaolina, alla guida delle comunità fu posto un collegio elettivo di presbiteri (preti) e vescovi di pari diritto, con i diaconi in subordine. E solo da questo collegio, composto da persone di pari dignità, venne fuori come capo «il Vescovo». Tale evoluzione monoepiscopale non si verificò contemporaneamente nelle varie province dell'impero romano. Per esempio, non esistette in molte province fino all’inizio del III secolo una forma di episcopato monarchico a vita.

Lungo tutto il I secolo non vi fu alcuna distinzione gerarchica fra i Collegi dei
vescovi e dei presbiteri: le medesime persone vengono definite ora preti ora vescovi. Funzioni identiche vengono adempiute una volta dai vescovi e un’altra volta dai preti. A poco a poco però il presbitero divenne il sostituto del vescovo e prese il nome di «sacerdote», termine che s’impose alla fine del Il secolo. Ma il sacerdote come capo di una comunità religiosa era presente sia nel paganesimo precristiano che nel giudaismo della diaspora. 

Probabilmente fu da qui che tale titolo passò nella nomenclatura cristiana. L’attività e la funzione del.sacerdote cristiano corrispondeva esattamente in parecchi punti (controllo della comunità, esercizio della disciplina, guida del culto) a quella del sacerdote giudaico; ma risentiva anche dell’influsso pagano.

Omero


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)