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giovedì 30 aprile 2015

Il protocattolicesimo sosteneva spesso tesi che contrastavano con la successiva fede cristiana. 210

I tre teologi più importanti dei primordi del cattolicesimo: Ireneo, Tertulliano e Clemente Alessandrino manifestarono talvolta tesi molto diverse rispetto al cristianesimo ecclesiastico attuale. Tutti e tre codesti «padri» rasentano talvolta l'eresia in questioni importanti di fede, come ammette anche lo storico cattolico Daniel-Rops, che in una nota scrive: «Persino in Sant’Ireneo, questo modello di fede e di sapienza, una parte della sua opera viene guardata dalla Chiesa con preoccupazione, perchè propugna tesi millenaristiche, universalmente sospette, pur senza essere condannate espressamente». Dobbiamo ammettere però che le tesi millenarisitche, vale a dire la credenza in un regno millenario sulla Terra al termina del quale sarebbe avvenuto il Giorno del Giudizio, nel II secolo erano sostenute appassionatamente dalla grandissima parte dei Padri della Chiesa e solo in seguito vennero dichiarate eretiche dalla Chiesa.

Tertulliano, esaltato dai cattolici come un emerito difensore della vera
fede e come instancabile fustigatore degli eretici, «per il suo zelo eccessivo e la sua inclinazione alle illusioni si lasciò trascinare al seguito della dottrina di Montano, nella quale si smarrì completamente», venedo dichiarato, a sua volta, eretico.

Di Clemente Alessandrino, il quale, ancor più decisamente dei pensatori cristiani precedenti, avrebbe innalzato il cristianesimo alla dignità di pensiero filosofico, si
dice: «La sua teologia, però, non appare inappuntabile... Ma anche là dove sbaglia, Clemente ci avvince» Il celebre Padre della Chiesa, per l’esattezza, aveva difeso accanitamente tutta una serie di concetti soprattutto di natura docetistica, ragion per cui probabilmente le sue Ipotiposi furono tolte dalla circolazione.

Da ricordare, però, che in quel periodo i padri e dottori della Chiesa: Giustino, Ireneo, Tertulliano e Origene ritenevano Gesù un Dio minore, inferiore al Padre in potenza. Questa posizione (detta teoria del subordinazionismo) era condivisa da molti vescovi orientali e fu sostenuta nel Concilio di Nicea da Ario, ma subito considerata una perniciosa eresia, degna di scomunica. Inoltre, fino al principio del III secolo, era pressoché ignorato lo Spirito Santo come terza persona della divinità. Ireneo considerava lo Spirito Santo un’entità interna alla divinità, Tertulliano e Origene una creatura subordinata al Figlio, concezioni entrambe sommamente eretiche. Da ultimo, fino al III secolo non solo si ignorava la perenne verginità di Maria e tutti i Padri della Chiesa, come ad esempio Ireneo e Tertulliano, erano convinti del matrimonio effettivo di Maria e di Giuseppe, negato dal dogma proclamato nel Secondo Concilio di Costantinopoli del 553.


Anche di un altro cattolico, Sant’Ippolito, celebrato come grande specialista nella lotta all’eresia e dottissimo e importantissimo Padre della Chiesa, abbiamo notizie non proprio edificanti: Ippolito, cioè, sdegnato per il lassismo dei Papi, avrebbe promosso e portato a termine una scissione, lanciando accuse cocenti contro il capo della Chiesa, anzi addirittura sostenendo che il Santo Padre Callisto era il vero e proprio capo d’una banda di furfanti. «Alla fine rompe con lui, facendosi eleggere addirittura antipapa» . E fu proprio in questo periodo (II-III-secolo) che dalla confusione generale cominciò a crearsi, con premeditata gradualità, il primo abbozzo del cattolicesimo. 

Ireneo di Lione


martedì 28 aprile 2015

47- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte terza. Paolo di Tarso. Lo scisma dal giudaismo.

Furono  la Seconda Lettera ai Corinzi e la  Lettera ai Galati a segnare l'inizio della nuova era paolina. In esse, infatti, troviamo alcune affermazioni di Paolo che sono di enorme importanza per capire il suo nuovo orientamento e la sua  netta e categorica  opposizione alla Chiesa di Gerusalemme. Vediamole.
Affermazione numero uno: Paolo dichiara di essere divenuto apostolo per nomina diretta di Gesù Cristo. "Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre" (Galati 1,1).  È evidente, quindi, che lui dipendeva solo da Dio e  che nessuna autorità terrena, nemmeno quella degli apostoli, gli era superiore.
Seconda affermazione: quello che lui predicava, essendo di origine divina perché ricevuto durante i suoi rapimenti celesti, era l'unico Vangelo valido, l'unico possibile; tutti gli altri Vangeli (predicati dagli apostoli di Gerusalemme) erano falsi. "In realtà, però, non ce n'é un altro; solo che vi sono alcuni (gli inviati degli apostoli) che vi turbano e vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo (quello predicato da lui)" (Galati I,7). Per poi concludere  categorico: "se un angelo del cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato noi, sia anatema!" (Galati I, 8). Perciò anche gli angeli erano inferiori a lui. 
Con  sarcasmo dileggia in più occasioni quelli che egli chiama i “superapostoli”, affermando con acredine: "Questi tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo" (2 Corinzi 11,13). 
E per contrastare la sua inferiorità di fronte a chi aveva conosciuto e frequentato Cristo nella carne, cioè nella vita reale, dichiara la superiorità della sua conoscenza ultraterrena di Cristo oltre la carne e  inventa una sua ascensione al cielo per l'ascolto diretto della parola di Gesù, della qual cosa però negli Atti non v'è traccia. 
"Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa - se col corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa  Dio - fu rapito fino al terzo cielo" (2 Corinzi 12,2). 
Infine in Galati, dopo aver narrato i due incontri cogli apostoli avvenuti a Gerusalemme, che abbiamo già descritto in precedenza, e il dissidio con Pietro e Barnaba ad Antiochia,  Paolo fa un'altra serie di importanti dichiarazioni che spiegano il suo scisma dal giudaismo col ripudio della Legge e della circoncisione da parte degli ebrei e  dei pagani convertiti e la sua nuova concezione teologica della salvezza. 
"Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla.  Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella Legge; siete decaduti dalla grazia.    Poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità" (Galati 5,2-6).
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venerdì 24 aprile 2015

46- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte terza. Paolo di Tarso. Le Lettere. 2

La prima Lettera ai Corinzi assume inoltre un'importanza fondamentale laddove ci illustra la nascita del sacramento dell'eucaristia, che è senz'altro l'invenzione più significativa che contraddistingue la teologia paolina. Paolo, che mai aveva conosciuto personalmente Gesù e che quindi non aveva potuto partecipare all'ultima cena, ci spiega in questa Lettera come egli ricevesse direttamente dal Signore, durante una visione celeste, l'istituzione di questo sacramento, inteso come momento mistico della nuova alleanza di salvezza, come memoria della morte e resurrezione del Cristo.
Quindi è Paolo il vero inventore della Comunione sacramentale. Come leggiamo nelle sue Lettere, egli istituì nella comunità di Corinto la tradizione di un pasto comune serale per i poveri, cui ciascuno contribuiva a seconda delle proprie possibilità.
Ma queste agapi degenerarono ben presto in abbuffate e Paolo allora le trasformò. I fedeli dovevano mangiare a casa loro e celebrare negli abituali incontri serali un pasto puramente simbolico (1 Corinzi 11,21 sgg.). Fu l'inizio dell'eucaristia. Paolo aveva trasformato l'agape fraterna, nata come servizio sociale per i bisognosi, in un rito salvifico soprannaturale di tipo pagano.
Naturalmente le comunità, costituite per lo più di poveri e in parte di schiavi, non furono molto entusiaste di trovare al posto di una cena, sia pure imbandita parcamente, un cibo puramente simbolico. Successivamente, come vedremo in seguito, la comunione fu separata dalle agapi, cioè dai pasti serali comunitari, spostata ad ora antimeridiana e celebrata unitamente al rito della Messa.
La Lettera ai Corinzi contiene anche un inno appassionato alla carità, cioè all'amore verso il prossimo. In quest'inno l'amore, che dona se stesso senza contropartita, è proclamato l'essenza dell'opera di Dio in Cristo.
Senza l'amore, dice Paolo con lirismo ardente, i doni dello spirito sono vuoti e futili, perché è la carità la virtù più grande del cristiano (1 Corinzi 13,1-8).
Peccato che in tutte le altre Lettere le sue proclamazioni di amore per il prossimo vengano ampiamente contraddette da invettive, minacce e anatemi contro quanti lo contrastavano, e le maledizioni e l'incitamento all'odio siano ripetuti con frequenza.
Infatti l'amore per il prossimo, per Paolo e ancor più che per Gesù, fu circoscritto e riferito ai confratelli. Verso gli altri, anche verso gli stessi cristiano-giudei che lo contrastavano, Paolo fu intollerante e autoritario, un autentico zelota confessionale.
In Galati scrive: “Dio voglia che siano annichiliti coloro che vi recano turbamento!” (cioè gli emissari degli apostoli). E subito dopo, incoerentemente: ”Perché tutta la Legge trova il compimento in un unico comandamento: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Galati 1,8 sgg.; 5,12 sgg.).
Nella prima Lettera ai Corinzi tuona: “Sia anatema (maledizione) per chi non ama il Signore”, e prosegue: “Ma se voi non siete obbedienti e non mi date ascolto, possa trapassarvi la spada!”, per concludere alla fine: “La grazia del Signore Gesù sia con voi! Il mio amore è con voi tutti in Gesù Cristo!”(1 Corinzi 16,22 sgg.).
Per il Cristo dell'evangelista Giovanni, modellato su quello di Paolo, l’amore per il nemico non esiste già più. E la Chiesa, sulla falsariga di Paolo, legittimerà vendetta, odio e sterminio per i suoi nemici, sempre nel nome del suo dio buono e misericordioso.


giovedì 23 aprile 2015

Ogni fazione cristiana aveva un suo testo sacro, fatto su misura, e considerava eretiche le altre. 209

Ogni fazione di una certa consistenza aveva almeno un Vangelo, nel quale Gesù
compariva come megafono delle tendenze specifiche di quella comunità. I pagano-cristiani d’Egitto disponevano d’un Vangelo Egizio, per molto tempo unica loro autorità evangelica.

Gli «eretici» siriaci si rifacevano al Vangelo di Pietro, che raccontava in
prima persona la storia evangelica; le comunità di Basilide avevano il Vangelo di
Basilide; i barbelo-gnostici, l’Apocrifo di Giovanni; i Valentiniani, il Vangelo della Verità.

Il giudaismo cristiano, conformemente alle sue diversificazioni interne, riconosceva un Vangelo dei Nazarei, uno degli Ebioniti e uno degli Ebrei. Con tutto ciò, naturalmente, anche le idee intorno a Gesù erano estremamente contraddittorie, addirittura caotiche fino al Il secolo inoltrato perché ogni missionario predicava e pensava seguendo l'illuminazione dello suo spirito, e ogni partito lottava
per il proprio Cristo contro quello degli altri.

Fino al 200 non è assolutamente possibile operai una distinzione precisa fra opere cristiane ortodosse ed eretiche. Sempre Celso ci illumina in proposito spiegando che il Vangelo era soggetto a redazioni: «triplici, quadruplici e plurime» (Orig., Cels. 2, 27). Certo, erano gli eretici a passare come «i falsari più impudenti» ma gli «eretici», naturalmente, non si ritenevano tali, e pretendevano d’essere loro i soli predicatori del cristianesimo autentico e, come i cattolici d'oggi, definivano «eresia» tutto ciò che era in contrasto con la loro fede, richiamandosi a una norma di fede e al Canone della Scrittura, la cui redazione era uscita proprio dalle loro file.

Dapprima tutti gli eretici si chiamavano semplicemente «cristiani», poi, all'inizio del II secolo furono etichettati come eretici a scopo puramente diffamatorio. Quando, ad esempio, il marcionita Megezio chiese a un cattolico se gli fosse almeno consentito di definirsi «cristiano», costui rispose che non poteva fregiarsi di quel nome, perché era solo un «marcionita»; ma quel cattolico si sentì ribattere: «Allora anche voi, che chiamate cattolica la vostra chiesa, non siete cristiani» .

Alla fine del II secolo Ireneo contò 20 «confessioni» cristiane, Ippolito, all’inizio del III secolo, 32; alla fine del V secolo il Padre della Chiesa Epifanio nel suo  Panarion adversus omnes haereses combatteva ormai contro 60 sette cristiane eretiche e rivali, e il Vescovo Pilastro di Brescia, nello stesso secolo, addirittura contro 131.




Epifanio di Salamina


martedì 21 aprile 2015

45- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte terza. Paolo di Tarso. Le Lettere. 1

Intanto a Gerusalemme Sila aveva informato prontamente la comunità cristiana, diretta da Giacomo, circa gli stravolgimenti che Paolo stava attuando e questa era subito corsa ai ripari inviando in Asia e in Grecia messi incaricati di visitare i cristiano-ellenisti e gli ebrei della diaspora che avevano aderito alla parusia. Costoro, approfittando delle assenze dovute ai suoi frequenti viaggi missionari, si insinuarono nelle comunità paoline con lettere degli apostoli, per «arginare la dottrina fuorviante di Paolo». Tra i Galati si precipitarono «quelli di Giacomo»; a Corinto, i seguaci di Pietro.
Paolo reagì con estrema durezza a questa invasione di campo e accusò gli inviati degli apostoli di predicare un Vangelo falso, mossi dall'invidia, dall'odio e dalla discordia e li maledisse ripetutamente. Nella seconda Lettera ai Corinzi scrive sarcastico: «Genti di tale conio sono falsi apostoli, operai imbroglioni, che di Apostoli del Cristo hanno soltanto la maschera. E non c’è da meravigliarsi: infatti, lo stesso Satana assume la maschera di Angelo della Luce» (2 Corinzi 11,13 e sgg.). Per contrastare più efficacemente l'offensiva di Gerusalemme e per consolidare nella sua fede le comunità cristiane da lui costituite ricorse allora alla sua proficua produzione epistolare, che tanto influenzerà i futuri Vangeli canonici.
Le Lettere furono per lui un potente mezzo di evangelizzazione. Gliene sono attribuite tredici ma alcune sono considerate falsi o manipolazioni di discepoli, come vedremo nell'ultima parte del libro. Costituirono i primi documenti del Nuovo Testamento ed esercitarono una grande influenza sulle comunità cristiane da lui fondate.
Esse trasudano di formule dedotte dal lessico religioso pagano e denotano una fortissima influenza dell’Ellenismo, del Platonismo, della Stoa e perfino dall'Epicureismo, oltre che dei culti misterici. A dimostrazione che Paolo aveva assimilato molti concetti della filosofia greca.
La prima Lettera scritta verso gli anni 49-51 a Corinto, quando Paolo era ancora convinto che il ritorno di Cristo risorto fosse imminente, fu indirizzata ai Tessalonicesi che attraversavano particolari momenti di difficoltà, soprattutto sotto il profilo morale e della parusia. Dopo averli spronati ad un maggior rigore etico, specie nel campo sessuale, egli affrontò la grave questione dell'attesa apocalittica del ritorno del Risorto, da tutti ritenuto imminente.
Quell'attesa spasmodica aveva creato delle situazioni paradossali; molti, infatti, avevano venduto tutti i loro averi per essere liberi da preoccupazioni materiali, e abbandonata ogni tipo di attività, erano scivolati in un ozio pernicioso nell’attesa del ritorno imminente di Gesù dal cielo.
Paolo cercò di superare queste preoccupazioni (ingenerate da lui stesso con la sua predicazione), spiegando che la parusia poteva anche tardare, secondo i piani imperscrutabili del Signore, e invitando tutti ad attendere alle normali occupazioni della vita, rifuggendo dall'ozio malefico. Si intravvedono, però, le sue prime preoccupazioni per questo inspiegabile ritardo e il dubbio che la parusia potesse essere procrastinata all'infinito e ingenerare la sfiducia dei suoi seguaci, portandoli all'abbandono della fede.
Durante un viaggio missionario ad Efeso, la città più importante dell'Asia, Paolo venne a sapere che a Corinto i fedeli si erano abbandonati al vizio della fornicazione e in più si erano divisi in gruppi contrapposti su istigazione dei messi degli apostoli.
Corse subito ai ripari inviando una lettera, conosciuta come la prima Lettera ai Corinzi, nella quale ribadisce con fermezza che il suo insegnamento, derivando direttamente da Dio (tramite le sue rivelazioni celesti), era l'unico che tutti dovevano seguire. Affermazione che egli ribadirà in più occasioni per sancire il principio della sua indiscutibile autorità, derivata per investitura divina.
Questa Lettera è importante perché ci illumina sul suo concetto di morale sessuale, argomento fondamentale della nuova teologia paolina e tema ricorrente della sua predicazione. Scopriamo così che per Paolo la trasgressione sessuale, che Gesù aveva sempre trattato con indulgenza - vedi il suo incontro con la Samaritana (Giovanni 4,17-18)) e la difesa dell'adultera (Giovanni 8,3-11)) - si avvia a diventare il peccato per antonomasia. "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò io dunque le membra di Cristo per farne membra di una meretrice? Non sia mai!…Fuggite la fornicazione" (1 Corinzi 6,15).
Addirittura per Paolo la lussuria precede ogni altro vizio. Tutti gli altri: idolatria, inimicizia, discordia, ostilità e via discorrendo, vengono dopo (Galati 5,19 e sgg,). Nel suo delirio contro il corpo, da lui chiamato la “carne”, considerato la sede del peccato, egli afferma che il cristiano deve «spossare e asservire il corpo», «ucciderlo» (1 Corinzi 9,27; Galati, 5,24; Romani, 8,13; Colossesi 3,5), in quanto esso è un «corpo di morte» e tutto ciò che vuole «significa morte» e «odio contro Dio» (Romani, 7,18; 7,24; 8,6 sgg.). Quindi la vita del cristiano deve incentrarsi nell'ascesi e nella mortificazione delle passioni. Conseguentemente il sesso viene aborrito e la donna, con marcato disprezzo, considerata soltanto un'entità sessuale, ignorando la grande considerazione che Gesù aveva nutrito per le molte discepole che lo accompagnavano nei villaggi della Galilea. Anche il matrimonio viene disprezzato da Paolo che lo considera una concessione alla carne peccaminosa, un male necessario, consentito solo «onde evitare di cadere in preda alla concupiscenza» (1 Corinzi 7,1 sgg. - 7,8 sgg.).
Per lui sarebbe proferibile rimanere scapoli giacché il matrimonio non reca con sé nulla di buono (1 Corinzi 7,28 sgg.) e condurre una vita casta come la sua. Solo che giustifica la sua castità non per virtù propria ma come conseguenza di una menomazione fisica. “Vorrei che tutti voi conduciate una vita casta come me, ma non tutti hanno il dono dell’impotenza”(1 Corinzi 7,1 sgg.).

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venerdì 17 aprile 2015

44 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte terza. La nuova dottrina di Paolo. 2

Per la nuova teologia paolina, Cristo si era incarnato per redimere l’umanità peccatrice e donarle il dono dell'immortalità. "Vi sia dunque noto, fratelli, che per opera di lui (Cristo) vi viene annunziata la remissione dei peccati e che per lui chiunque crede riceve giustificazione (perdono) da tutto ciò da cui non fu possibile essere giustificati mediante le Legge di Mosè (Atti 13,38-39).
Ma, associata all'immortalità c'è l'idea terrificante del giudizio di Dio al momento della morte per stabilire se, in base alla nostra condotta, meritiamo il premio o il castigo nell'aldilà eterno. Secondo Paolo, per il superamento positivo di questa prova e meritare la felicità eterna, il cristiano aveva l'obbligo di praticare, durante il suo soggiorno terreno, una vita virtuosa. Purtroppo, però, essendo la natura umana estremamente corrotta, a causa del peccato originale, ciò era estremamente difficile da raggiungere.
L’universalità della corruzione umana è un punto focale della teoria paolina secondo cui gli uomini, sia ebrei che pagani, erano cattivi per natura, scellerati, schiavi del peccato, immersi fino al collo nella «sporcizia della lussuria», nelle «passioni nefande» (Efesini 2,3; Romani 6,17).
Essi, infatti, sono «ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia e malizia, pieni d’invidia, di istinti assassini, di discordia, di perfidia e abiezione; denigratori, calunniatori, nemici di Dio, gente violenta e altezzosa, millantatori, ingegnosi nel male, insensati, sleali, privi d’amore e di misericordia» (Romani 1,29 e sgg.). Una “summa” di empietà e nequizie, quindi. Predicando il suo Vangelo tra i giudei della diaspora e i pagani, aveva maturato la disperata convinzione che l'umanità viveva in un mondo in cui operavano potenze demoniache che scatenavano nell'uomo follie, malvagità, violenze, sfrenata lussuria e infermità di ogni genere. Israele, il popolo eletto, per la sua salvezza aveva ricevuto la Torah, la Legge di Mosè, ma l'aveva sistematicamente disattesa, trasformandola in una condanna.
I pagani, nella loro peccaminosa perversione, s'erano illusi di lavare i loro peccati con il sangue di Mitra o di Eracle, cospargendoselo durante i riti sacrificali, e di sconfiggere la morte eterna mediante la discesa di questi semidei agli inferi. Follie, insensatezze, che impedivano all'uomo di vedere che la sua vita era breve, ripugnante e brutale.
Di fronte a questa generale ignominia c'era per Paolo una sola via d'uscita a rappresentare la vera salvezza per l'intero genere umano: il Cristo mistico che si era immolato sulla croce non più, come credevano i cristiano-giudei di Gerusalemme, per tornare da Risorto dal cielo e, cacciate le legioni romane, instaurare il Regno di Jahvè sulla Terra, ma per redimere l'intera umanità dal peccato e portarla nel regno dei Santi.
Il termine "Cristo" perde per lui ogni riferimento all'Unto del Signore, al Messia liberatore e si trasforma in una possessione totale, in un Dio conosciuto in maniera interiore, in un Redentore celato, in un Santissimo Sacramento. Tutte le Scritture, per chi sapeva coglierne il significato interiore e le implicazioni spirituali, prevedevano da sempre, secondo lui, la venuta nel mondo del Salvatore. Questo Salvatore era il Cristo.
La fede nel Cristo mistico, che gli era stato rivelata nella sua apocalisse o epifania sulla via di Damasco, diventa l'ossessione di Paolo, la forza propulsiva che lo spinge ad un apostolato frenetico e pronto a sfidare ogni pericolo personale. Intanto ad Antiochia i cristiani ellenisti, sempre più trascinati dalla nuova teologia paolina, avevano preso ad invocare Cristo con l'appellativo di Kyrios, cioè Signore in senso divino, e ciò diede iniziò a quel processo di deificazione del Cristo che avrebbe lentamente trasformato Gesù, da Messia escatologico e apocalittico, in "Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio” e lo avrebbe fatto assurgere lentamente alla parità col Padre. Se Paolo fu l'iniziatore di questo processo di deificazione, penseranno poi i suoi seguaci, seguiti dai discepoli di Marcione, dai Padri dalla Chiesa e soprattutto dall'imperatore Costantino nel Concilio di Nicea del 325, a codificare questa sua divinità consustanziale al Padre e a imporla anche a quanti non la condividevano.
A completamento della sua nuova teologia Paolo inserì anche, con l'istituzione dell'eucaristia, la teofagia, così profondamente sentita da tutto il mondo gentile, che vedeva in essa l'unione amorosa del Dio salvifico con l'uomo. Infine, volendo dare al neocristianesimo un rito iniziatico che sostituisse la circoncisione, ritenuta da Paolo un serio ostacolo per chi voleva abbracciare la fede in Cristo, sancì il rito del battesimo, già in uso tra i pagani.
Questo in sintesi il corpus paolino dal quale nasce gran parte del cristianesimo.
Non elaborò il culto di Maria e la nascita verginale, che fu in gran parte opera dei suoi seguaci e dei Padri della Chiesa, i quali, per convalidare la deificazione di Cristo, si trovarono nella necessità di dargli un seme divino. Infatti, nelle tredici Lettere paoline, Maria non viene mai nominata e di lei c'è solo un cenno indiretto, laddove dichiara Gesù " nato da donna" (Galati 4,4), senza aggiungere altro.
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giovedì 16 aprile 2015

Il cristianesimo primitivo, non avendo una concezione unitaria di fede, fu continuamente scosso da eresie e scismi. 208

Fin dai primi tempi il cristianesimo ebbe due opposte configurazioni: i
giudeo-cristiani della Chiesa di Gerusalemme legata agli apostoli, e i pagano-cristiani o cristiani ellenistici seguaci di Paolo. Ma questi ultimi, almeno a Corinto e in altre grandi comunità, erano a loro volta divisi in fazioni, che si richiamavano rispettivamente a Pietro, a Paolo, ad Apollo e a Cristo, ciascuna delle quali era tutta intesa a «scomunicare» le altre.

Con la fine rapida del giudaismo cristiano in seguito alle Guerre Giudaiche e l'affermarsi delle comunità cristiani pagane in rapida espansione nelle varie contrade dell'Impero, le divisioni dottrinali crebbero sempre più perché ogni comunità pretendeva di imporre le sue direttive di fede a tutte le altre. Lo stesso Tertulliano prese atto del fatto che già fra i cristiani d’epoca apostolica circolava un gran numero di «eresie» (Tert., praescr. Iwer. 34); e una moderna storia dei dogmi individua otto gruppi di credenti, ciascuno con differenti concezioni di fede.

Era allora considerata anomala quella comunità che non avesse conosciuto al suo interno differenziazioni dottrinali. D’altra parte, anche il Nuovo Testamento, che inizia con le Lettere di Paolo, rispecchia un coacervo di tradizioni molteplici e spesso assolutamente contraddittorie, ragion per cui anche la Sacra Scrittura fonda - secondo la formulazione calzante del teologo Ernest Kasemann - non l’unità della Chiesa, ma, al contrario, una molteplicità di confessioni.

Persino numerose tesi teologiche del primo cristianesimo si contraddicono grossolanamente, come, ad esempio Paolo in Romani 3, 28 scrive: «Riteniamo che l’uomo riceva la giustificazione dalla fede senza le opere della Legge», mentre Giacomo il Minore, fratello di Gesù, scrive nella sua Lettera «Vedete che l’uomo viene giustificato dalle opere e non dalla fede soltanto». . Non c’è da meravigliarsi, dunque, se Origene ammette «che fin dall’inizio regnarono fra i credenti opinioni diverse sul significato dei libri sacri» (Orig., Cels. 2, 11).

Nel tardo Il secolo Celso scriveva: «Da quando i cristiani sono diventati una massa, nascono continuamente fra loro fazioni e fratture, e ognuno vuol procurarsi un seguito personale. E a causa del numero si dividono di nuovo, scagliandosi reciproche condanne» (ibi Cfr , 3, 12. Cfr. Anche 5, 64).

Questo filosofo pagano, feroce polemista anticristiano, vedeva il cristianesimo come una «tragica commedia di continue scissioni». Naturalmente egli non faceva distinzioni fra le singole correnti né, tanto meno, fra «Chiesa» ed «Eretici». Evidentemente ai suoi tempi, intorno al 180, non si era ancora costituito un cristianesimo ecclesiastico, cioè un protocattolicesimo. Secondo Clemente Alessandrino, uno dei massimi Padri della Chiesa, i pagani e gli Ebrei rifiutavano l’accettazione del cristianesimo perché, data la molteplicità delle correnti, non erano in grado di discernere la Comunità autentica (Clem. Al., strom. 7,89,2 sg.).




Celso


martedì 14 aprile 2015

43 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte terza. La nuova dottrina di Paolo. 1

Finalmente libero dai controlli della Chiesa di Gerusalemme, Paolo si sentì pronto a rinunciare al messianismo e a rinnegare anche il suo legame col giudaismo per poter elaborare una nuova via per la salvezza che non sarebbe dipesa dall'osservanza della legge mosaica, ma solo dalla fede in Gesù Cristo. Ormai convinto che la parusia era procrastinata ad un tempo, forse indefinito, e che i pagani suoi seguaci, come la maggior parte di coloro che praticavano i culti misterici, aspiravano soprattutto all'immortalità dell'anima, con alacrità febbrile si diede a creare la sua nuova teologia nell'intento di elaborare una religione che accogliesse, in un geniale sincretismo, le aspirazioni del mondo ebraico e di quello gentile, e che appagasse l'immaginario collettivo di un Salvatore universale, che trasversalmente era condiviso da tutto il mondo antico.
Così egli si diede ad elaborare il trapasso dall’originario cristianesimo escatologico, sostenuto dai cristiano-giudei, ad un nuovo cristianesimo sacramentale e trascendente, che al posto dell'imminente avvento del messianico Regno di Dio sulla Terra, ansiosamente atteso dagli Apostoli, sostenesse il concetto greco di immortalità nell'aldilà e trasformasse il Messia escatologico nel Figlio di Dio, Redentore dell'umanità. Senza questa trasformazione, la mancata realizzazione del Regno di Dio in Terra in seguito al rinvio, sine die, della parusia, avrebbe segnato la fine di ogni cristianesimo.
La credenza dell'immortalità, divenuta per Paolo la colonna portante della dottrina che stava creando, era molto diffusa tra i pagani seguaci delle Religioni Misteriche, ma totalmente ignorata dagli ebrei. Per l'Antico Testamento, infatti, non c'era un aldilà dove la parte spirituale dell'uomo avrebbe continuato a vivere, in un paradiso, se buona, o nell'inferno, se malvagia. Nella Bibbia ebraica sta scritto: «La sorte degli uomini e delle bestie è la stessa, come muoiono queste muoiono quelli. C’è un soffio vitale per tutti: non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità» (Qoèlet 3,19). Con la morte, quindi, secondo il teologo biblico, tutto finisce, sia l'anima sia il corpo, perché tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere.
Infatti i Sadducei, cioè l’alto clero del Tempio di Gerusalemme detentore dell'ortodossia ebraica, sostenevano che Mosè non aveva mai parlato né dell'immortalità dell'anima, né della "resurrezione dei morti", e non credevano nella perpetuazione dell'individuo dopo la morte, in corpo e spirito. Quindi, per loro, non esisteva un aldilà dove le anime sarebbero state punite con l'inferno o premiate col paradiso.
Invece i culti misterici, diffusi in Occidente alcuni secoli prima del cristianesimo e interiorizzati e moralizzati dai greci, ponevano l'immortalità a base della loro dottrina e la associavano alla redenzione di un Dio che si incarnava in una vergine mortale per redimere l'umanità dalle sue colpe e renderla degna di una vita eterna e beata in un mondo utopistico, collocato nell'aldilà.
Per Paolo la redenzione del cristiano era rappresentata dalla Croce, cioè dall'immolazione di Cristo, che diventava, nella sua nuova teologia, il punto di riferimento di tutta la sua fede, il mistero del progetto di Dio per la salvezza del mondo. Il concetto di redenzione, associato a quello del peccato originale che, secondo Paolo, aveva reso l'intera umanità una massa di dannati, diventava per lui il pilastro fondamentale del cristianesimo, il cuore pulsante della nuova religione.
Se l'uomo non fosse stato redento da Gesù Cristo, tutto l'edificio del cristianesimo sarebbe risultato inutile. Peccato originale e redenzione diventano quindi inscindibili per Paolo e per il cristianesimo che ne derivò, come verrà confermato da Tommaso d’Aquino con la celebre formula: «Peccato non existente, Incarnatio non fuisset»; cioè: «Se non vi fosse stato il peccato [originale], non avrebbe avuto luogo neppure l’Incarnazione» («Summa Theologiae», III, q. 1, a. 3).



venerdì 10 aprile 2015

42 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte seconda. Paolo di Tarso. Seconda visita a Gerusalemme e secondo viaggio missionario.

Di fronte alle proteste piuttosto dure di Paolo e Barnaba, gli apostoli li convocarono a Gerusalemme per un chiarimento. L’esito dell’incontro fu un armistizio precario: a predicare ai giudei provvedeva la comunità di Gerusalemme, ai pagani invece Paolo che otteneva per loro la dispensa provvisoria dalla Legge ma anche l'obbligo di osservare un minimo rituale giudaico (Galati 2,10; Atti, 15,28 sgg.). Era sottinteso però, che gradualmente, frequentando le sinagoghe, i cristiani ellenisti avrebbero abbracciato l'ebraismo e si sarebbero sottoposti alla circoncisione.
Quando poco dopo Pietro giunse ad Antiochia per una visita, il fragile armistizio saltò e tra Pietro e Barnaba da una parte e Paolo dall'altra scoppiò un contrasto sulle norme alimentari che si rivelò subito insanabile.
Nello scontro Pietro perse la faccia, in quanto accettò di sottostare alle disposizioni impartite da Giacomo (il vero primo degli apostoli), e Paolo si ritenne libero di dare regole e direttive proprie ai suoi seguaci, considerandosi non più vincolato con Gerusalemme.
Da quel momento Paolo fu duramente osteggiato da tutti i giudeo-cristiani che cominciarono a contestare il suo apostolato tra i pagani e ad accusarlo di falsità e di ipocrisia e di predicare non la parola di Gesù, ma se stesso.
I rapporti con la Chiesa di Gerusalemme divennero da allora in poi sempre più difficili, ma Paolo, obtorto collo, in un primo momento dovette subirli. La sua autorevolezza era ancora troppo scarsa rispetto a quella degli apostoli e soprattutto di Giacomo, considerato la colonna della nuova Chiesa.
Ormai sempre più convinto che il suo apostolato avrebbe incontrato l'ostilità dei connazionali della diaspora, Paolo decise di ripartire per una seconda missione in Asia Minore e in Grecia per dedicarsi soprattutto ai pagani.
Ma fece in modo di non portare con sé Barnaba perché, dopo l'accusa d'ipocrisia che gli aveva rivolto durante lo scontro di Antiochia, non si sentiva più in sintonia con il collega
Questo rifiuto scatenò l'ira di Barnaba che, da allora, lo abbandonò definitivamente e partì per un'altra missione assieme a Marco, figlio di Pietro. In questo suo secondo viaggio, Paolo dovette portare con sé Sila, inviato da Gerusalemme per stargli al fianco e spiarlo. Non aveva ancora deciso di rompere definitivamente coi cristiano-giudei; stava però già elaborando la sua nuova teologia, senza farla trapelare per non insospettire Gerusalemme.
Forse fu durante questo periodo di collaborazione con Sila che Paolo fece redigere, sotto la sua supervisione, il testo evangelico da lui usato per evangelizzare l'Asia Minore. Una copia di questo fu probabilmente spedito alla comunità giudeo-cristiana di Roma, quando alcuni ebrei (forse Prisca e Aquila), esiliati alcuni anni prima per editto dell'imperatore Claudio e diventati seguaci di Paolo a Corinto, poterono rientrare nella capitale dell'Impero.
A proposito dell'editto di Claudio, appena accennato, vale la pena di considerarlo con più attenzione perché potrebbe illuminarci sul clima di tensione che esisteva tra i giudei della diaspora, rimasti fedeli alla sinagoga, e i cristiano-giudei che si erano introdotti tra di loro per propagandare la nuova dottrina della parusia.
Abbiamo visto in precedenza che alcuni cristiano-giudei di Antiochia si erano trasferiti a Roma e con la loro predicazione dell'imminente ritorno di Gesù dal cielo per creare il nuovo Stato santo d'Israele, avevano gettato scompiglio nella numerosa e piuttosto malvista comunità ebraica. Secondo gli storici romani Tacito e Svetonio questa setta cristiana era animata da odio non solo contro i romani ma addirittura contro l'intero genere umano. A giustificazione di questo loro giudizio, piuttosto pesante, va ricordato che i cristiani ebrei di Roma erano fortemente imbevuti di messianismo e consideravano imminente la distruzione dell'impero romano per opera di Jahvè.
A riprova di ciò basti citare quanto scriveva allora Giovanni, l'autore dell'Apocalisse, in quel suo libro profetico, considerato rivelato dalla Chiesa Cattolica: "Ecco, (Cristo) viene sulle nuvole e ognuno lo vedrà; quelli che lo trafissero (cioè i romani) e tutte le nazioni della Terra si batteranno il petto per lui" (Apocalisse 1,7). E prosegue definendo Roma come la grande Babilonia, la madre delle meretrici e degli abomini della Terra e auspicando una sua distruzione imminente. Parole che denunciavano un clima infuocato ed esaltato da parte di questa minoranza cristiana.
La tensione tra i giudei cristiani, legati al messianismo jahvista, e i giudei della sinagoga, che invece volevano semplicemente osservare i precetti della Torah e occuparsi dei fatti loro, esplose violenta nel 41 e costrinse l'imperatore Claudio ad espellere dalla capitale gli ebrei cristiani perché (secondo Svetonio) erano continuamente in tumulto per istigazione di Chrestus, (deformazione del nome Cristo?).
Questo episodio è molto significativo e ci fa capire, come abbiamo denunciato in precedenza, perché anche Paolo, durante il suo apostolato in Asia, entrasse spesso in conflitto con gli ebrei della sinagoga e fosse più volte da loro percosso e minacciato di lapidazione.
Questi ebrei non volevano saperne della fine dei tempi e del ritorno del Risorto, che probabilmente consideravano un falso Messia, volevano rimanere fedeli alla Torah, essere lasciati in pace e occuparsi dei fatti loro. Consideravano Paolo e i suoi collaboratori degli istigatori. "Quei tali che mettono il mondo in subbuglio sono qui…Tutti costoro vanno contro i decreti dell'Imperatore affermando che c'è un altro re, Gesù" (Atti 17,6-7). Ambrogio Donini in “Storia del Cristianesimo”, Teti, Milano, 1975, a proposito del nome di cristiani afferma: “Il nome di cristiani è nato in un ambiente non palestinese e veniva usato in senso d'ironico disprezzo (gli “unti”, gli “impomatati”) per distinguere gli ebrei della Sinagoga (ortodossi) dai nuovi convertiti, considerati gente strana, dalla lunga capigliatura, un po' come i nostri capelloni.” Chiaro riferimento al loro voto di nazireato che li costringeva a non far uso di forbici e rasoio.
Naturalmente questi erano i cristiano-giudei legati a Gerusalemme, non i pagano-cristiani seguaci di Paolo.
Partendo da questi antefatti possiamo comprendere la radicale trasformazione di Paolo a Corinto e il conseguente abbandono di Sila. "Quando giunsero dalla Macedonia Sila e Timòteo, Paolo si dedicò tutto alla predicazione, affermando davanti ai giudei che Gesù era il Cristo (cioè l'Unto, il Messia). Ma poiché essi gli si opponevano e bestemmiavano, furibondo per le continue frustrazioni cui lo sottoponevano i suoi correligionari, scuotendosi le vesti disse loro: "Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente; da ora in poi io andrò dai pagani" (Atti 18,5-6).
Qui siamo di fronte ad una svolta senza ritorno. Paolo ha raggiunto alcune granitiche certezze che saranno alla base della sua nuova strategia: che i suoi correligionari della diaspora erano irrecuperabili e andavano lasciati al loro destino; che l'attaccamento al ruolo messianico di Gesù e alla sua regalità, sempre ostentati dai cristiano-giudei, determinava un ostacolo insormontabile all'evangelizzazione sia degli ebrei della sinagoga, sia dei pagani, perché dava adito alle accuse di violazione degli editti di Cesare, di insubordinazione contro lo Stato e di trasgressione della lex Iulia de maiestate (Atti 17,7). Bisognava quindi avere il coraggio di gettare il messianismo alle ortiche. Sila si rese conto dei cambiamenti che stavano avvenendo in Paolo, l'abbandonò e tornò a Gerusalemme a riferire.
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giovedì 9 aprile 2015

L'intrinseca vocazione teocratica della Chiesa Cattolica è stata perseguita ad oltranza da tutti i papi fino agli inizi del XX secolo. 207

Per la Chiesa Cattolica l'ideale supremo da essa perseguito fin dai primi secoli della sua nascita fu la teocrazia, cioè l'accentramento del potere politico e religioso nelle sue mani e la conseguente negazione di ogni forma di libertà. Il papato, difensore supremo di questo ideale teocratico, fino a tutto il XIX secolo, ha combattuto ad oltranza ogni anelito di libertà di pensiero, di parola, di ricerca scientifica, di evoluzione sociale e di libertà politica, sostenendo strenuamente l'assolutismo dei sovrani più retrivi.

Ci sono voluti secoli di lotte dure e spietate, contrassegnate da torture, roghi, condanne a morte e ignominie di ogni genere, per abbattere l'assolutismo politico e religioso e conquistare le più elementari libertà civiche. Lo Stato Pontificio, durato in Italia fino al 1870, oltre che teocratico, è stato il più arretrato, crudele e oppressivo d'Europa e ha represso, più di ogni altro, con il carcere e il capestro, ogni tentativo di democrazia da parte dei suoi sudditi.

Solo nel XX secolo la Chiesa ha accettato, obtorto collo, il consolidarsi della democrazia e del laicismo di Stato nel mondo occidentale, continuando a considerarli emanazioni sataniche e ad ostacolarli in tutti i modi. Infatti, non appena sono sorti dittatori di stampo fascista, come Mussolini in Italia, Hitler in Germania, Franco in Spagna, Salazar in Portogallo, Pinochet in Cile, Videla in Argentina ed altri sanguinari dittatori dell'America Latina, non ha esitato ad appoggiarli e a giustificare i loro crimini , considerandoli inviati dalla provvidenza divina, e ha subito stipulato con loro vantaggiosi concordati che offrivano alla Chiesa scandalosi privilegi. La complicità con i regimi fascisti è una macchia indelebile sulla storia della Chiesa.

A riprova di quanto la Chiesa sia implacabile nemica della libertà basti dire che lo Stato della Città del Vaticano, assieme ad altri Stati totalitari, non ha firmato la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Perché? Perché questa Dichiarazione riconosce ad ogni essere umano tutte le libertà e tutti i diritti civili, tra i quali anche il diritto di ciascuno di cambiare religione o di non averne alcuna. Vogliamo scherzare che la Chiesa autocratica e teocratica firmi una simile principio! Giammai. Rinnegherebbe se stessa e tutto il suo passato oscurantista.



Benito Mussolini


martedì 7 aprile 2015

41 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte seconda. Paolo di Tarso. Prima visita a Gerusalemme e primo viaggio missionario.

Quando decise di recarsi nella città santa e contattare quelli che erano gli unici depositari dell'insegnamento di Cristo (39 d.C.?), a causa del suo passato di spietato persecutore, tutti lo schivarono e riuscì a malapena ad avvicinare due dei cosiddetti apostoli: Pietro e Giacomo (uno dei fratelli di Gesù, non il figlio di Zebedeo) per merito di Barnaba, un ebreo della diaspora molto stimato dagli apostoli perché a Gerusalemme aveva venduto tutti i suoi beni immobili e ne aveva dato il ricavato alla comunità cristiana (Galati 1,18-19 – Atti 10,26-27).).
Quindi, senza l'intervento di Barnaba, Paolo, a causa del suo passato di spietato aguzzino che i cristiano-giudei ricordavano fin troppo bene, sarebbe stato evitato da tutti. Non è da escludere che in città dovesse muoversi con circospezione per evitare di dar nell'occhio ai grandi sacerdoti che non gli avevano perdonato il suo voltafaccia di Damasco e che pare avessero messo una taglia sulla sua testa.
Comunque il suo contatto con la Chiesa di Gerusalemme fu breve, limitato a pochi incontri e assolutamente negativo; segnò indubbiamente l'inizio del conflitto fra lui e la comunità di Gerusalemme che si aggraverà nel tempo. Gli Atti degli Apostoli, estremamente tendenziosi e composti probabilmente da Luca, discepolo di Paolo, cercheranno, senza riuscirci, di occultare gli aspri conflitti che seguiranno tra Paolo e la comunità di Gerusalemme. Stabilitosi ad Antiochia ove si era costituita una comunità cristiana fondata dai giudei-ellenisti fuggiti da Gerusalemme, ne divenne ben presto il leader indiscusso e carismatico. Lì ad Antiochia Paolo iniziò quella evoluzione che lo porterà, sotto l'influsso del paganesimo, a passare dall’ambito culturale palestinese a quello ellenistico e a creare il suo cristianesimo personale che soppianterà in seguito quello giudaico.
La Chiesa di Gerusalemme, preso atto del ruolo di leader di Paolo ad Antiochia, superando dubbi e riserve, inviò Barnaba, l'unico che riteneva la sua conversione sincera, ad incontrarlo e a proporgli un'azione missionaria in Asia Minore e lungo le coste del Mediterraneo per convincere gli ebrei della diaspora, allora molto numerosi in tutte le contrade dell'Impero, dell'imminente ritorno di Cristo dal cielo (Atti 13,1).
Così, Paolo e Barnaba, coadiuvati dal figlio dell'apostolo Pietro di nome Marco, si diedero a diffondere il Vangelo (la parusia) tra gli ebrei che vivevano fuori della Palestina e che parlavano esclusivamente la lingua greca. Ma incontrarono quasi sempre da parte di costoro una forte ostilità e un rifiuto ostinato (Paolo per poco non venne addirittura lapidato).
Questi ebrei di tendenza conservatrice, che volevano semplicemente frequentare la sinagoga, fare l'elemosina e dedicarsi ai propri affari, non tolleravano di essere coinvolti nell'esaltazione del ritorno del Messia e della fine dei tempi. Se il ritorno di Cristo, infatti, comportava spazzar via Imperatore, senato, tribunali e quant'altro, ciò suonava estremamente sedizioso alle loro orecchie. Era chiaro che per loro Gesù non era il Messia Martirizzato ma un falso Messia.
Paolo e Barnaba decisero allora di rivolgere la loro predicazione ai gentili timorati di Dio. Costoro erano quei pagani che frequentavano le sinagoghe come uditori, essendo favorevolmente impressionati dal modo di vita ebraico che imponeva il monoteismo, severe norme morali e l'assistenza ai bisognosi, e si dimostrarono spesso molto più disponibili e ricettivi degli ebrei ad accettare la prospettiva dell'imminente restaurazione del Regno di Dio. A Gerusalemme non tutti erano d'accordo sull'inserimento dei non ebrei nella nuova comunità cristiana. Alcuni farisei vi si opponevano recisamente, convinti che il ritorno del Risorto riguardasse solo il popolo eletto e non i pagani peccatori. Erano ancora fermi al concetto di religione tribale. Probabilmente a sollevare il problema era stato Marco, il figlio di Pietro, che improvvisamente (forse non condividendo la conversione dei pagani) aveva interrotto la sua collaborazione con Paolo e Barnaba ed era rientrato a Gerusalemme, mettendo in guardia quella comunità sul metodo seguito da Paolo. Allora la Chiesa di Gerusalemme, che sotto Giacomo era totalmente ligia al giudaismo, sospettando che la comunità ellenistica guidata da Paolo avesse ormai assunto una caratteristica tutta propria che la poneva in aperta contraddizione con la tradizione giudaica, mandò alcuni suoi inviati (per Paolo “falsi fratelli intromessisi”) ad Antiochia a studiare la situazione e ne nacque una «violenta polemica» (Galati 2,4; Atti, 15,2) con Paolo, che rasentò la ribellione.
Quando, dopo lunghe discussioni, la Chiesa di Gerusalemme decise di aprire il cristianesimo ai gentili, impose loro, come conditio sine qua non per essere accolti come cristiani, l'obbligo di farsi prima ebrei, di abbracciare cioè in toto la legge mosaica e di subire la circoncisione. Condizione estremamente dura e insopportabile per i gentili ma facilmente comprensibile per gli ebrei che ritenevano il cristianesimo non una nuova religione, come diverrà successivamente con Paolo, ma un completamento dell'ebraismo.
Paolo e lo stesso Barnaba si resero subito conto dell'assurdità della cosa. Già la legge ebraica era di difficile osservanza in Palestina, dove la maggior parte della popolazione era ebrea, e diventava quasi impossibile per gli ebrei della diaspora che vivevano in mezzo ai gentili perché, tra le altre cose, imponeva il rispetto rigoroso del riposo del sabato, del tutto ignorato dai pagani e oggetto di scherno da parte loro, e prescriveva norme alimentari e di purificazione di difficile attuazione al di fuori della Palestina.
Se, per il pagano che voleva convertirsi, si aggiungeva a queste difficoltà anche l'obbligo della circoncisione, per di più in età adulta e con tutte le conseguenze che implicava, non ultima l'umiliazione di una mutilazione spregevole che simboleggiava una castrazione, appariva evidente per Paolo l'impossibilità per un gentile di convertirsi.



venerdì 3 aprile 2015

40 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte seconda. Paolo di Tarso. Periodo persecutorio.

Paolo entra in scena non molto dopo la crocifissione di Gesù e si presenta subito come un fanatico agente dei sadducei, partecipando attivamente agli attacchi contro i nazirei di Gerusalemme. Gli Atti (22,4; 8,3; 26 e sgg.) ce lo presentano come un fanatico persecutore dei cristiani ellenisti e testimone, non occasionale, della lapidazione di Stefano, il protomartire cristiano, e lui stesso nelle sue Lettere lo conferma senza mezzi termini.
"Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri" (Galati 1,13-14).
"[Paolo]infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione" (Atti 7,3). E ancora: "Sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, [Paolo] si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati" (Atti 9,1-2).
Lo scopo di tanto accanimento era di bloccare sul nascere il messianismo jahvista dei primi cristiani, foriero di tremende catastrofi. Non era quindi una persecuzione religiosa ma politica. Paolo era fermamente convinto che i sommi sacerdoti, che desideravano mantenere lo status quo, esprimessero il volere di Dio, mentre gli zeloti e i messianisti in genere, che volevano sconvolgere tutto, erano dei pazzi criminali che andavano eliminati e magari crocifissi.
Egli era fin troppo felice di dar loro la caccia con feroce determinazione. Dobbiamo tener presente che i cristiani di quel particolare momento storico non erano dei pacifisti, come diverranno i gentili convertiti successivamente da Paolo, bensì dei giudei messianisti legati agli zeloti, aspiranti alla rinascita del Regno di Jahvè e alla cacciata dei romani.
Ma un fatto nuovo, straordinario e sovrannaturale (secondo la sua testimonianza), cambiò all'improvviso la sua vita (36 d.C.?). Quest'evento viene raccontato pittorescamente in versioni diverse, due volte nelle sue Lettere ( Galati 1,15; 1 Cor. 9,1; 15,8) e tre negli Atti (Atti, 9,3-9; 22,6-11; 26,12-18).
Durante una spedizione punitiva contro i cristiano-ellenisti di Damasco (era stato incaricato dal sommo sacerdote Caifa di arrestarli e tradurli a Gerusalemme), fu folgorato da una visione celeste che lo portò ad una radicale conversione personale. Così passò dalla parte di quelli che fino ad allora aveva così ferocemente perseguitato, i seguaci della "Via", diventando, da quel momento in poi, altrettanto fanatico nella divulgazione della parusia (ritorno di Gesù dal cielo) quanto lo era stato prima nel tentare di ostacolarla. Questa sua conversione coincise con una rovinosa caduta (da cavallo?) che possiamo sicuramente attribuire ad un improvviso attacco epilettico.
Gli studiosi non hanno dubbi sull'epilessia di Paolo. Il neurologo A. Ragot scrive: “Paolo era soggetto a crisi epilettiche: oscuramento, aura luminosa e sonora, caduta, coma, cecità, afasia che regrediscono nei giorni seguenti, paralisi che migliora progressivamente lasciando ogni volta conseguenze emiplegiche definitive.”(A.Ragot. Paolo di Tarso, Quaderno del Circolo Renan, 4° trim., 1963). Tutti fenomeni accaduti a Paolo durante la sua prima rivelazione.
Ma la medicina odierna, a proposito dell'epilessia, spiega dell'altro. Secondo Vilayanur Ramachandran (Che cosa sappiamo della mente, Mondadori, Milano, 2004) dell'Università San Diego di California, sono numerosi e ben documentati i casi di persone che, colpite da una crisi epilettica, hanno riferito di aver vissuto esperienze mistiche e di aver ricevuto rivelazioni religiose direttamente da un’entità ultraterrena. Si tratta di allucinazioni intense che accadono specialmente nelle “crisi estatiche” che provengono dal lobo temporale.
Nonostante la brevissima durata, questi episodi provocano la sensazione di grandiose visioni celesti, fanno udire voci arcane e determinano una gioia così intensa da non poterla descrivere. Fyodor Dostoevskij, che era soggetto a questi episodi di “crisi estatiche”, li descriveva come “il tocco di Dio”. “È venuto da me, Dio esiste. Ho pianto e non ricordo niente altro. Voi non potete immaginare la felicità che noi epilettici proviamo il secondo prima di avere una crisi. Non so quanto possa durare nella realtà ma tra tutte le gioie che potrei avere nella vita, non farei mai scambio con questa”.
A conferma della stretta relazione epilessia-visioni celesti, nel Campus della Laurentian University in Canada il neuroscienziato Michael Persinger facendo indossare a centinaia di volontari un casco che emette dei campi magnetici complessi a frequenza molto bassa (il casco Koren o casco di Dio) è riuscito a provocare nei loro lobi temporali dei micro-attacchi di epilessia che inducono epifanie divine, apparizioni, sensazioni extracorporee ed altre forti allucinazioni. Tutti i partecipanti all'esperimento, in base al loro retroterra religioso, hanno visto Gesù, la Madonna, lo Spirito Santo, Maometto e altre divinità; in taluni casi perfino Satana. Persinger, a seguito di questi suoi numerosissimi esperimenti è giunto a concludere che tutte le esperienze spirituali altro non sono che semplici allucinazioni collegate a forme epilettiche. (Persinger, M.A. e Koren, S.A. “Esperiences of spiritual visitation”, Perceptual and Motor Skills, 2001)
Anche per il ricercatore Orrin Devinsky e i suoi colleghi neurologi l'attacco epilettico provoca una dissociazione mentale che genera un profondo stato di alterazione della coscienza e causa allucinazioni e visioni così vivide da sembrare più reali della realtà per cui queste allucinazioni non hanno un'origine sovrannaturale ma sono parte della normale esperienza umana. Determinano però in alcuni pazienti un cammino di conversione religiosa (Devinsky Orrin, Lai, Giorgio, La spiritualità e la religione in epilessia, Epilessia e comportamento, maggio 2008, vol.12).
Esattamente come è accaduto in Paolo. Ecco quindi come si deve spiegare la folgorazione di Damasco, le ripetute testimonianze delle sue visioni e i presunti rapimenti al terzo cielo. D'altronde è lo stesso Paolo che nelle Lettere conferma indirettamente la sua malattia, accennando spesso ad una spina nel fianco, forma allegorica per indicare un disturbo fisico ricorrente, che più volte aveva chiesto a Dio di togliergli, e scrivendo in Galati: “Voi sapete, fratelli, che fu a causa di una malattia del corpo che vi annunciai il vangelo” (da lui sempre dichiarato una rivelazione divina) (Galati 4,13). Ai suoi tempi l'epilessia era considerata un morbo sacro che gli dèi riservavano a coloro che sceglievano come loro intermediari. Paolo dalle sue Lettere ci appare come un individuo di forte tempra morale. È probabile che il disagio interiore da lui provato per aver perseguitato i primi cristiani (aveva partecipato anche alla lapidazione di Stefano, il primo martire della Chiesa), acuito dal fatto che era in procinto di compiere un'altra missione crudele, abbiano scatenato in lui un forte complesso di colpa che sfociò in una violenta crisi epilettica durante la quale avvenne in lui una subitanea rivoluzione esistenziale, una totale catarsi.
Le successive visioni, di cui parla Paolo, potrebbero coincidere con altre crisi epilettiche. Per tre anni Paolo predicò il ritorno del Risorto in Arabia (Giordania attuale) e a Damasco (Galati 1,15-17), Questo comportamento, simile ad un esilio volontario, sembra molto strano e probabilmente fu determinato dal fatto che il suo turbolento passato di persecutore lo costringeva a rivolgersi a gente che non lo aveva conosciuto prima e che quindi non poteva contestarlo.


giovedì 2 aprile 2015

La proclamazione dell’infallibilità papale nel Concilio Vaticano I, portò alle estreme conseguenze l'assolutismo del pontefice romano. 206



Pio IX, l'ultimo papa monarca teocratico, nemico acerrimo dell'Italia e degli italiani, perché con bolle ed encicliche, emesse a raffica, tentò di ostacolare in ogni modo il riconoscimento del Regno d'Italia in Europa e nel mondo, col Concilio Vaticano I (1869-70), portò l'assolutismo papale alle estreme conseguenze proclamando il dogma dell'infallibilità del vescovo di Roma. Questo papa, nel disperato tentativo di riportare l’umanità indietro di due secoli, a prima dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese, già con l’enciclica “Quanta cura” dell’8 dicembre 1864, aveva scandalizzato tutti gli stati europei proclamando, senza mezzi termini, che la democrazia distruggeva la giustizia e la ragione.

A questa enciclica aveva accluso anche il Syllabo, che condannava, come “errori dell’età nostra”, le più significative conquiste della civiltà, tra le quali, in primis: democrazia, razionalismo, liberalismo, matrimonio civile, libertà di pensiero e di coscienza e, ciliegina sulla torta, la teoria nefanda che la Chiesa non dovesse possedere uno Stato per diritto divino.

Nella sua allocuzione poi del 22 giugno  1868, sempre questo papa funesto per noi italiani (beatificato dal papa polacco, nonostante l'opposizione di molti intellettuali cattolici che hanno considerato questa canonizzazione un affronto alle libertà democratiche e una sfida alla civiltà moderna) definì la Costituzione austriaca dell'anno precedente, nella quale tutte le associazioni religiose venivano equiparate e riconosciute dallo Stato, «una legge detestabile» (infanda).

Ma il capolavoro di questo papa, però. fu la proclamazione del dogma dell'infallibilità papale che fece inorridire gli Stati europei, alcuni dei quali protestarono per la protervia implicita nel fatto che, con questa proclamazione, la figura di ogni pontefice diventava oggetto di una devozione che sfiorava l’idolatria e che, come ebbe e dire San Giovanni Bosco, metteva il papa al di sopra degli angeli e allo stesso livello di Dio.

Non è molto conosciuto il fatto che il dogma dell’infallibilità originariamente non doveva essere oggetto delle discussioni conciliari e che le rimostranze dei rappresentanti dell’opposizione episcopale furono durissime ma inutili. Molti vescovi fecero presenti gli errori dogmatici dei Papi precedenti ed
evocarono la sicura reazione negativa della Chiesa d’Oriente e soprattutto del
Protestantesimo all’annuncio di un siffatto dogma. Il Vescovo tedesco Ketteler si
gettò ai piedi del Papa, scongiurandolo fra le lacrime: «Buon padre, salvateci e salvate la Chiesa di Dio!».

Ma Pio IX pervicacemente sostenitore della dottrina papalistica, con l'appoggio servile dei vescovi italiani, spagnoli e delle Missioni (che costituivano la maggioranza) ignorò l’opposizione, composta in prevalenza da vescovi tedeschi, ungheresi, francesi, americani e orientali, e nel gennaio del 1870 proclamò il nuovo dogma mentre gli oppositori lasciavano Roma ancor prima della votazione pubblica nella Basilica di S. Pietro.


Papa Pio IX


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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)