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venerdì 30 gennaio 2015

22- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. I due errori fatali di Gesù. 1

Finché Gesù perseguì il suo apostolato politico-religioso nella Galilea, lontano da Gerusalemme, nella città santa era poco noto e forse considerato uno dei tanti rabbi improvvisati che sorgevano e tramontavano con una certa frequenza e che la gerarchia templare sopportava con malcelato fastidio. Ma quando calò a Gerusalemme e intensificò il suo ruolo messianico, suscitò ben presto l'attenzione delle alte classi del clero e degli erodiani, fortemente antimessianici, e verosimilmente degli stessi romani i quali, preoccupati dai continui disordini provocati da zeloti e sicari, controllavano capillarmente la città, specie durante le frequenti feste religiose che attiravano molti pellegrini da tutta la Palestina. La permanenza di Gesù a Gerusalemme non fu lunga ma subito suscitò un'ostilità potente e durissima che lo incupì e amareggiò.
L'atmosfera gioiosa, che lo aveva circondato nei villaggi della Galilea, veri e propri bagni di folla allegra e festante, si trasformò in aride e pedisseque dispute sotto i portici del Tempio con scribi e farisei arroganti e sprezzanti, che lo trattavano con supponenza e apertamente lo minacciavano.
L'amarezza di Gesù risulta in tutta la sua evidenza nell'accorata apostrofe a Gerusalemme: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!" (Matteo 23,37).
Nonostante l'appoggio, più sotterraneo che esplicito, di alcuni importanti sinedriti, come i già accennati Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea e di altri personaggi molto in vista come Lazzaro (ricordiamo che all'annuncio della sua morte erano giunti nella sua casa di Betània molti scribi e farisei di Gerusalemme), non pare, stando ai Vangeli, che Gesù fosse riuscito a raccogliere nella città santa un consistente gruppo di seguaci.
I gerosolimitani non erano così facili da conquistare come le semplici popolazioni rurali della Galilea.
Avvezzi ad assistere ad un flusso costante di pellegrini e di stranieri, si erano fatti più smaliziati e non si lasciavano facilmente incantare dal primo rabbi che giungeva dalla provincia. Soltanto scribi e farisei sembravano interessati al nuovo arrivato, ma unicamente per contestarlo e irriderlo. Di fronte ad una così palese ostilità, ad un così deliberato ostruzionismo, Gesù reagì con due gesti clamorosi che, se da una parte gli procurarono notorietà, ponendolo al centro dell'attenzione generale in quanto sfidava l’aristocrazia sacerdotale e il potere politico-militare romano, dall'altra portarono inesorabilmente al suo arresto fatale e alla sua condanna a morte. Il primo eclatante episodio, che maggiormente impressionò il Tempio e destò l'attenzione delle stesse autorità romane, fu l'ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme, acclamato trionfalmente dalla popolazione come figlio di David e re d'Israele. Avvenne, secondo Giovanni (12,12-15), poco dopo la resurrezione di Lazzaro, e verosimilmente ebbe come punto di partenza Betània.
Durante il suo soggiorno a Gerusalemme Gesù, come abbiamo visto in precedenza, soggiornò frequentemente in questo piccolo villaggio che distava appena qualche chilometro dalla città santa, pernottando nella casa di Lazzaro assieme a Marta e alla Maddalena, sorelle di quest'ultimo. In quell'ambiente rurale, popolato da gente semplice, Gesù dopo gli aspri e continui scontri con gli scribi e i farisei sotto i portici del Tempio, che tanto lo amareggiavano, trascorse ore serene che gli ricordavano la gioiosa permanenza in Galilea.
Lì, dove era avvenuta, secondo Giovanni, la resurrezione del discepolo più amato e forse più vicino al suo ideale messianico, Gesù fu acclamato festosamente dalla gente del posto, che ben lo conosceva a causa delle sue frequenti visite nella casa di Lazzaro e della probabile parentela con lui, e condotto trionfalmente nella vicina Gerusalemme a cavallo di un asinello. La scena sembra ricalcata da una profezia di Zaccaria.

"Esulta grandemente….
Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re.
Egli è giusto e vittorioso,
umile, cavalca un asino,
un puledro figlio d'asina” (Zaccaria 9, 9).
Secondo Marco, i gerosolimitani lo accolsero in un tripudio di canti e di rami di palma, al grido: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, il regno di David, nostro padre. Osanna negli altissimi!” (Marco 11,9-10).
Questa entrata trionfale nella città santa, intesa come clamorosa rivendicazione di messianicità regale, era un chiaro atto di deliberata provocazione politica e di piena sfida a Roma, perché inteso a conquistare i favori popolari nell'imminenza dell'insurrezione messianica. Che l'ingresso a Gerusalemme fosse intriso di implicazioni politiche divenne evidente, quando, pochi giorni dopo, Gesù entrò nel Tempio per scacciarne i mercanti che l'avevano trasformato in una "spelonca di ladroni" (Marco 11,17).
Questo secondo gesto fu un vero atto di guerriglia di stampo zelota, attuato con deliberata violenza etico-politica. L'immagine di Gesù che da solo si avventa tra i mercanti del sacro edificio, fustigandoli e rovesciando i loro banchi, appare inverosimile. È molto più verosimile che il suo intervento sia stato una vera e propria azione di massa e il mancato pronto intervento dei romani sia stato dovuto al fatto che i dimostranti erano così soverchianti di numero da costringere i romani ad asserragliarsi nella Torre Antonia, situata in linea d'aria, a pochi metri dal Tempio, senza osare di intervenire.

giovedì 29 gennaio 2015

La tendenza universalistica e totalitaria della Chiesa è perdurata nei secoli.

Il papa che nella storia esercitò la massima pienezza di poteri fu Innocenzo III che al principio del XIII secolo, il in una lettera diretta sia al Patriarca di Costantinopoli che al Principe di Bulgaria Kalojoannes, (che lui aveva elevato
al trono), sostenne che il Signore aveva «lasciato a Pietro non solo la guida di tutta la Chiesa, ma anche il governo del mondo intero» (Petro non solum universam ecclesiam, sed totum reliquit saeculum gubemandum). Quindi al papa era conferita la potestà non solo del mondo cristiano ma dell'intero pianeta.

Questo papa crudelissimo e spietato, che avrà come suo degno emulo Pio V di pari efferatezza, assieme al re di Francia Filippo Augusto, preparò l’invasione dell’Inghilterra, promettendo a tutti i partecipanti un’indulgenza plenaria. Dopo la sottomissione di Giovanni senza Terra, che inviò in ostaggio al Santo Padre sedici dei suoi Baroni, questo papa proclamò l’Inghilterra semplice feudo pontificio. Dio aveva deciso - dichiarò al re -«che l’Inghilterra, cui la Chiesa di Roma aveva un tempo recato la fede cristiana, diventandone ipso facto madre spirituale, le era sottomessa anche nella storia terrena».

Durante i suoi diciott'anni di pontificato Innocenzo III ( bel nome per un massacratore) si abbandonò a tutte le efferatezze: scomunicò i re di Francia e d’Inghilterra nonché l’imperatore tedesco Ottone V e scatenò due crociate sanguinosissime contro gli «eretici» Valdesi e Albigesi. A Simone di Montfort, condottiero della crociata contro gli Albigesi, che gli faceva osservare che non tutti gli abitanti del luogo erano eretici, anzi tra loro erano numerosi i cattolici ferventi, ordinò, senza esitazione, di uccidere tutti indistintamente, tanto Dio nell’aldilà, da padre buono e misericordioso, avrebbe saputo distinguere i suoi. Così solo a Béziers, nel luglio del 1209, furono massacrati circa 60.000 abitanti e la città fu data alle fiamme.
Dopo di lui il papato non avrà mai più la pienezza di poteri goduti da questo papa anche se le medievali pretese papaline non svanirono mai del tutto.
Ma la tendenza universalistica e totalitaria guida ancor oggi i capi della Chiesa: il
fine, ora come allora, è esercitare la sua forte influenza sui governi del mondo. Soltanto con questa finalità la Chiesa poteva, fin dalla fine dell’età antica, continuare l’Impero romano. Infatti, essà fu dapprima una sorta di Stato nello Stato, poi si fece Stato essa stessa, come mostra chiaramente il trapasso al Papa della denominazione di Vicarius Christi, cioè «Rappresentante» di Cristo in terra, attributo in un primo tempo solo dell’imperatore, mentre il papa aveva quello di Vicarius Petri. Ma quando l’impero crollò e la Chiesa subentrò al suo posto, il papa divenne, come già l’imperatore, Vicarius Christi. La Chiesa di Roma, come afferma Nietzsche, fu «l’ultima costruzione dei Romani».

Molti cattolici, specie italiani, hanno sempre sostenuto le pretese dominatrici della Chiesa facendo strame del versetto evangelico «Il mio Regno non è di questo mondo»! (Giovanni 18, 36) e hanno accettato senza remore che i millantati " Vicarii Christi" vivessero, come gli antichi sovrani orientali, in lussuose dimore satrapesche, in barba alle precise parole di Cristo: «Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo il loro nido; e il Figlio dell’uomo non ha nemmeno dove posare il suo capo» (Mt. 8, 20). Ma soprattutto hanno tollerato la secolare cupidigia di ricchezza della Chiesa, considerata unanimemente dagli esponenti dell'alta finanza mondiale, una delle maggiori potenze economiche del pianeta, in pieno e totale contrasto con l'esortazione gesuana «Va’, vendi ciò che possiedi e dallo ai poveri» (Mc. 10, 21).






martedì 27 gennaio 2015

21- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. I nemici di Gesù e il complotto antimessianico.

Se Gesù fosse stato il pacifista descritto dai Vangeli, il Cristo che predicava la non-violenza e l'amore per i nemici, non avrebbe dovuto incontrare oppositori di sorta, perché un personaggio del genere non poteva ingenerare che rispetto e ammirazione e le autorità ebraiche e romane non avrebbero avuto alcun motivo per incriminarlo.
Avrebbe sicuramente incontrato il sarcasmo e il disprezzo degli zeloti che propugnavano l'odio e la vendetta contro gli oppressori romani, ritenuti i veri nemici d'Israele, e contro quanti degli ebrei li appoggiavano o non intendevano combatterli. Questi ultimi non avrebbero tollerato la sua predicazione pacifista che avallava il dominio romano in Giudea, e lo avrebbero sicuramente ucciso, vista la loro ferocia.
Ma il Cristo storico, zelota e circondato da zeloti, non era quello che ci presentano i Vangeli, riscritti dopo la seconda e definitiva distruzione di Gerusalemme e della Palestina nel 135 d.C.
Il Messia descritto in questi Vangeli, infatti, non ha niente a che vedere col vero Gesù storico, ne è invece la negazione perché costruito secondo le idee di Paolo e dei suoi seguaci.
Il vero Cristo mirava, come ben sappiamo, alla liberazione politica d'Israele, attraverso una lotta cruenta e risolutiva, e alla costituzione di un nuovo Regno di Dio, fondato sull'ascetismo esseno e su una comunità terrena di uguali nella quale: "Colui che vorrà diventare grande sarà servo, e colui che vorrà essere il primo, sarà lo schiavo di tutti" (Marco 10,42).
Un regno in cui il Messia inviato dall'Onnipotente " ha rovesciato i potenti dai loro troni e ha esaltato gli umili. Ha saziato di beni gli affamati e rimandato a mani vuote i ricchi" (Luca 1,52), e così imminente che molti dei presenti non sarebbero morti prima di averlo visto realizzare (Marco 1,15; Luca 10,10-11). Molti ebrei, specie di condizione sociale più elevata, come i grandi sacerdoti, gli erodiani filoromani e la maggior parte dei farisei, non condividevano l'ideale messianico perché consapevoli della sua irrealizzabilità e delle feroci repressioni che avrebbe determinato ed erano apertamente contrari a Gesù e lo osteggiavano in tutti i modi, arrivando perfino di tentare più volte di lapidarlo.
Naturalmente Gesù ricambiava questi suoi avversari di un uguale se non di un maggiore disprezzo. Ecco spiegato il motivo per cui nei Vangeli non vengono mai attaccati zeloti e sicari che imperversavano a quel tempo con inaudita ferocia (“argumentum ex silentio” per S. Brandon), e vengono bersagliati con ingiuriosi epiteti come: ipocriti, sepolcri imbiancati, insensati, ciechi e razza di vipere, i rappresentanti del Tempio e i farisei.
Non tutti costoro, a dire il vero, erano estranei al messianismo. Alcuni, anche molto importanti, come Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea, che provvidero alla sepoltura di Gesù dopo la sua crocifissione, ne condividevano le aspettative, a dimostrazione che il complotto messianico era diramato a tutti i livelli, anche se per opportunismo costoro preferivano rimanere ai margini della lotta armata.
I grandi sacerdoti e i più in vista degli scribi e dei farisei costituivano il sinedrio, cioè il consiglio supremo d'Israele, creato per giudicare e dirimere le controversie religiose e per controllare l'ordine pubblico. Sarà questo supremo tribunale a decretare la condanna a morte di Gesù, non per motivi religiosi (blasfemia) come vogliono farci credere i Vangeli, ma per motivi politici, denunciando a Pilato il tentativo di insurrezione armata contro Roma, ancor prima che Gesù e i suoi seguaci lo mettessero in atto.
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venerdì 23 gennaio 2015

20 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. Il discepolo che Gesù amava.

Nei Vangeli Sinottici, Lazzaro, personaggio importantissimo per il Vangelo giovanneo, è totalmente assente e le sue sorelle, Maria di Magdala e Marta, sono avvolte in una specie di anonimato che le rende prive di una identità precisa. L'evangelista Giovanni, invece, caratterizza molto bene questi personaggi specie in due episodi: la resurrezione di Lazzaro e la cena dell'unzione. Ci dobbiamo chiedere perché i Sinottici hanno cancellato Lazzaro e dato alle sue sorelle un profilo così basso.
Nel Vangelo di Giovanni c'è un personaggio anonimo e misterioso caratterizzato dall'espressione "il discepolo che Gesù amava". Lo troviamo in più occasioni.
1.Nell'ultima cena si reclina sul petto di Gesù per chiedergli il nome del traditore: "Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù… Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: "Signore, chi è [il traditore]?" (Giovanni 13,21-25).
2.Sotto la croce Gesù gli affida la madre Maria. "Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa" (Giovanni 19,25-27).
3.Maria di Magdala si reca da lui quando scopre che Gesù non è più nel sepolcro. "Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!" (Giovanni 20,1-2).
Chi era questo personaggio e perché, pur rivestendo un ruolo di grande importanza, è stato reso anonimo? Senz'altro. ci troviamo di fronte all'ennesimo meccanismo di censura finalizzato a nascondere la vera identità di chi, avendo magari svolto un ruolo messianico di rilievo, avrebbe potuto risultare pericoloso se conosciuto con la sua vera identità. Ecco perché, non tanto forse l'evangelista stesso, quanto piuttosto coloro che manipolarono successivamente il testo, si preoccuparono di censurarne il nome. Ed allora di chi si trattava? Forse la soluzione è già inclusa nello stesso Vangelo di Giovanni, ma bisogna saperla leggere tra le righe e facendo riferimento alle versioni più antiche del testo greco e latino, non alla traduzione attuale, ancora una volta fuorviante.
Leggiamo infatti nella traduzione del Vangelo di Giovanni, attuata dalla Conferenza Episcopale Italiana (Edizioni Paoline, 1982), che le sorelle Maria e Marta mandano a dire a Gesù: "Signore, ecco, il tuo amico (Lazzaro) è malato" (Giovanni 11,1-3). Ma vediamo che cosa recitano i testi antichi in versione greca e latina: "" (Kirie, ide, on fileis asthenei), "Domine, ecce quem amas infirmatur" che tradotti testualmente dicono: "Signore, ecco, colui che ami è malato". Vi pare la stessa cosa? "Colui che ami" lo si può tradurre come "il tuo amico"? Perché allora questa traduzione fuorviante? Semplice: si vuole impedire l'associazione tra Lazzaro e il discepolo amato da Gesù. Non si vuol far conoscere il nome dell'uomo verso cui egli nutre questo profondo affetto, l'unico in tutto il Nuovo Testamento designato con l'espressione "il discepolo che Gesù amava".
Ma ancora una volta: perché il quarto Vangelo censura quel nome? Perché i Sinottici hanno eliminato il miracolo della resurrezione di Lazzaro e ogni accenno alla sua famiglia, quando Giovanni ci dice senza ambiguità: "Gesù amava () (egapa) molto Marta, sua sorella e Lazzaro (Giovanni 11,5), e a proposito della morte di Lazzaro scrive: "Dissero allora i Giudei [a proposito di Lazzaro]: "Vedi come (Gesù) lo amava!" (Giovanni 11,36).
Ancor più significativo è l'episodio della cena dell'unzione avvenuta a Betania, in casa di Lazzaro, pochi giorni prima della passione. In quell'occasione Maria di Magdala, sorella di Lazzaro, ruppe un costosissimo vaso di alabastro pieno d'essenza di nardo, per eseguire l'unzione di Gesù come Messia e nuovo re d'Israele, suscitando con quel gesto la disapprovazione di Giuda Iscariota e di altri apostoli. Ebbene, solo Giovanni dichiara i nomi dei protagonisti dell'episodio mentre Marco e Matteo attribuiscono l'unzione ad una generica "donna".
Torniamo alla domanda fondamentale: perché i Sinottici attuarono una censura così sistematica di Lazzaro e delle sue sorelle? Le risposte possibili possono essere due: una certa e l'altra molto attendibile.
La prima è che, come in tutti gli altri casi di censura, anche in questo c'era la necessità da parte degli evangelisti, ormai definitivamente staccati dalla matrice ebraica, di ripulire i loro testi da ogni possibile collegamento con personaggi implicati nella lotta messianica che potessero offuscare il ruolo esclusivamente spirituale e salvifico di Gesù, come delineato dalla teologia paolina.
Si trattava di personaggi di alto livello sociale, legati alle istituzioni e al Tempio, ma anche molto vicini ai gruppi più intransigenti del messianismo jahvista e alla setta zelota. Essi si battevano con ogni mezzo per la liberazione d'Israele dal dominio romano e senz'altro Lazzaro avrebbe potuto essere uno di questi.
Prima di dare la seconda risposta, che secondo alcuni studiosi offre una valenza molto attendibile, bisogna premettere che nei Vangeli è nominata spesso Betània.
"...uscì (Gesù) fuori dalla città (Gerusalemme), verso Betània, e là trascorse la notte. La mattina dopo, mentre rientrava in città..."(Matteo 21,17-18) "...ed entrò a Gerusalemme, nel Tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l'ora tarda, uscì con i Dodici diretto a Betània. La mattina seguente, mentre uscivano da Betània..." (Marco 11,11-12).
Quindi Gesù frequentava abitualmente questo villaggio, molto prossimo a Gerusalemme, e trascorreva la notte in casa di Lazzaro e delle sue sorelle. Non è che quella di Lazzaro era la sua famiglia acquisita? Leggiamo cosa scrive un Vangelo apocrifo di tendenza gnostica, risalente al secondo secolo e conosciuto come il Vangelo di Filippo: "Erano tre le donne che andavano sempre con il Signore: sua madre Maria, sua sorella e la Maddalena che è detta sua consorte. Infatti si chiamavano Maria sua sorella, sua madre e la sua consorte" (Vangelo di Filippo, versetto 32). Nello stesso Vangelo, come ulteriore conferma, leggiamo: "...la consorte di Cristo è Maria Maddalena..." (Ivi, 55). Ci sono altri testi apocrifi che confermano il legame tra Gesù e Maria di Magdala, come il Vangelo di Pietro e il Vangelo di Tommaso. Una prova, sia pure indiretta, del fatto che anche Gesù dovesse essere sposato, come in realtà lo erano i suoi fratelli e gli apostoli, la deduciamo dalla norma ebraica che imponeva al maschio, come dovere religioso e come completamento della persona, l'obbligo del matrimonio. Questo dovere era ancora più indispensabile per uno che impersonava il ruolo di rabbi o Maestro, e noi vediamo che Gesù è chiamato rabbi o Maestro molte volte nei Vangeli sia canonici, sia gnostici ed apocrifi. "E subito si avvicinò a Gesù e disse: "Salve, Rabbi!" (Matteo 26,49). “Gli replicò Natanaèle: «Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!»" (Giovanni 1,49). Quindi Gesù, come tutti i rabbi ebrei, secondo la legge Mishnaica del suo tempo, molto esplicita a questo proposito: "un uomo non sposato non può essere un Maestro", non poteva essere celibe (Massimo Bontempelli, Costanzo Preve. Gesù uomo nella storia, Dio nel pensiero, Petite Plaisance Editrice, Pistoia, 1997).
D'altra parte quando mai nei Vangeli troviamo che Gesù abbia predicato in favore del celibato? Una dichiarazione in questo senso avrebbe sollevato enormi perplessità, se non un proprio e vero scandalo. Al contrario, Gesù dichiarò esplicitamente: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina, e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?" (Matteo 19,4).
Paolo e suoi scribi, volendo trasformare Gesù, da Messia jahvista qual era stato nella realtà, nel Cristo "Figlio di Dio" quale doveva divenire nella loro costruzione teologica, dovettero avvolgerlo in un alone di misticismo incompatibile con il ruolo, troppo terreno, del matrimonio, e quindi cancellare ogni traccia della sua famiglia acquisita. o creare delle controfigure per mascherarla. Ma Giovanni, a leggerlo tra le righe, parla chiaro e ci fa capire che Gesù dalla croce affidò la madre a Lazzaro, che era contemporaneamente il discepolo ch'egli amava ed anche suo cognato (Giovanni 19,26-27).

giovedì 22 gennaio 2015

La Chiesa fece interamante proprie le istituzioni statuali dell'impero romano e legittimò un’illimitata bramosia di potere. 196

La Chiesa postcostantiniana adottò subito parecchie istituzioni statuali dell'impero romano e quasi tutti i principi giuridici. Sul modello delle assemblee provinciali romane la Chiesa sviluppò i Sinodi Provinciali e le Metropoli delle Provincie, nelle quali risiedeva il Metropolita, in qualità di Arcivescovo. Successivamente i Sinodi Provinciali si ampliarono diventando Concili,
cioè Assemblee di Vescovi di più Provincie. Ben presto assunse da Roma anche l’organizzazione centrale e periferica, il titolo di Pontifer Maximus per il Papa, e adottò dai sacerdoti pagani la stola. Infine, costruì il diritto canonico secondo il modello romano e ricalcò l’assoluzione nella confessione sul linguaggio delle formule tribunalizie. Insomma tutta la costituzione statuale romana ormai in decadimento si trasferì nella Chiesa.

Ma la Chiesa non si limitò a questo perché legittimò al proprio interno un’illimitata bramosia di potere per cui tutte le lotte della Curia con gli Imperatori non vertevano su questioni di fede, bensì di potere. Soltanto così poté soggiogare nel Medioevo l’intero Occidente, ottenendo quindi forti e oppressivi poteri mondani totalmente estranei allo spirito evangelico. In più di dieci i casi i papi comminarono l’interdetto a imperatori e re, e non meno di sei monarchi furono deposti o minacciati di deposizione.

Sotto Nicola I (856-867),che, secondo gli storici, comandava a re e tiranni «come se fosse il padrone dell’orbe terracqueo», il papato divenne un potentato mondiale. Gregorio VII, verso la fine deIl’XI secolo nel suo Dictatus Papae proclamò che «unicamente il Papa era in grado di confermare o di contestare imperi, regni, ducati, contee e in genere i possedimenti di tutti gli uomini, di darli e di toglierli, e il tutto sulla base dei meriti di ciascuno. Che solo al Papa tutti i Principi debbano baciare i piedi; che ad Egli é permesso di deporre gli Imperatori; che una Sua sentenza non possa essere riformata da alcuno; al contrario Egli può riformare qualsiasi sentenza emanata da altri; che Egli non possa essere giudicato da alcuno; che la Chiesa Romana non ha mai errato; né, secondo la testimonianza delle Scritture, mai errerà per l'eternità».



Papa Nicola I


martedì 20 gennaio 2015

19 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. I miracoli di Gesù.

Ai tempi di Gesù, non solo in Palestina, ma in tutto l'impero romano, i miracoli erano all'ordine del giorno. Il mondo antico era dominato dalla superstizione e da fedi apocalittiche per cui il soprannaturale e il meraviglioso erano la norma, non l'eccezione. Ovunque vagabondavano visionari, guaritori, taumaturghi, ispirati da Dio, ai quali venivano attribuiti miracoli di ogni genere, anche la resurrezione dei morti.
Fiorivano i culti iniziatici più disparati, improntati alla magia e alla mantica che spesso mescolavano atteggiamenti penitenziali e orgiastici e prevedevano la venuta di una qualche divinità celeste. Petronio Arbitro riassume in una battuta sarcastica lo spirito della sua epoca affermando che le presenze divine pullulavano così numerose al suo tempo che era più facile, per la strada, incontrare un dio che un uomo.
Tutti facevano miracoli, anche gli Imperatori. Vespasiano, come ci tramandano Tacito, Svetonio e Dione Cassio, guarì paralitici e ciechi, esattamente come fece Gesù, spalmando sulle ciglia un miscuglio di saliva e di polvere. Contemporaneo di Gesù visse il filosofo neopitagorico Apollonio di Tiana che, accompagnato da numerosi discepoli, percorse l’Asia Minore, la Siria, la Grecia fino a Roma, operando prodigi e miracoli come un inviato divino, e dopo la morte, secondo la leggenda, resuscitò e salì al cielo. Una controfigura di Gesù.
Erano rari gli uomini totalmente estranei all’atmosfera di psicosi religiosa di massa, come Luciano di Samosata (il Voltaire del suo secolo che smontava i prodigi ricostruendo i trucchi adoperati per renderli verosimili), i cinici Enomao di Gadara e Diogene Laerzio, che schernivano spietatamente l'esercito dei bigotti e degli stupidi. Invece, Cicerone e Strabone, che non credevano nei miracoli, ritenevano che fosse necessario condurre al timore di Dio le donne e il popolino mediante favole e storie miracolose. Cioè attribuivano, saggiamente, alla religione una funzione politica.
All’interno di questo clima superstizioso possiamo ammettere alcuni dei cosiddetti miracoli di Gesù, riconducendoli a influenze di natura psicologica per la guarigione di malattie psicogene, neurasteniche, isteriche e schizofreniche, cioè psicosomatiche.
Ma è indubbio che i racconti evangelici hanno ampliato a dismisura questi interventi psicologici di Gesù, forse ad imitazione dei gesti leggendari del profeta Eliseo. Un esempio per tutti è il racconto di Matteo: "Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì. E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano" (Matteo 15,30-31). Tutto ciò è chiaramente fuori d'ogni realtà e ci troviamo di fronte a delle chiare invenzioni mitologiche.
Esaminiamo, ad esempio, uno dei più eclatanti miracoli attribuiti a Gesù: la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Secondo Matteo e gli altri evangelisti a Betsaida, dopo aver predicato ad una folla di 5000 uomini, più donne e bambini al seguito, essendo giunta la sera, Gesù decise di sfamare quella folla sterminata "moltiplicando" cinque pani e due pesci, i soli disponibili tra gli apostoli. Dopo che la folla fu saziata, restarono ancora 12 ceste di cibo non consumato.
Lattanzio, uno dei più famosi e dotti Padri della Chiesa, ci rende edotti che lo stesso episodio era stato raccontato, qualche secolo prima, dalla Sibilla Eritrea, in questi termini: un profeta "con cinque pani e due pesci nutrirà 5000 uomini nel deserto e, raccogliendone le briciole, ne riempirà dodici panieri". Qui i casi sono due: o la Sibilla Eritrea era veramente una profetessa coi fiocchi o gli evangelisti, come è evidente, l'hanno scopiazzata di sana pianta. Nonostante queste chiare invenzioni possiamo ammettere che Gesù, fin dall'inizio della sua vita pubblica, oltre alla predicazione, si dedicasse alle pratiche di esorcismo e di guarigione, facoltà da lui apprese dagli esseni che erano considerati dei terapeuti.
Il clima di esaltazione e di fanatismo dell'epoca favoriva il proliferare di forme estreme d'isterismo, spesso di origine religiosa. Gli indemoniati e i posseduti erano molto diffusi, specie tra la gente più misera. Si trattava in realtà di individui psichicamente disturbati che accusavano turbe psicosomatiche di vario genere: dal rattrappismo degli arti, alla cecità, al mutismo, al delirio di autopunizione e così via. Secondo la mentalità dell'epoca, ogni malattia era frutto del peccato e di conseguenza la guarigione era prima morale e poi fisica.
Gesù, che frequentando i terapeuti esseni aveva probabilmente sviluppato una sensibilità così acuta da entrare facilmente in sintonia con questi disturbati convinti di essere posseduti dal demonio, con estrema semplicità e senza complicati rituali, li convinceva del perdono dei loro peccati e così li liberava dalle loro ossessioni, dai loro mali oscuri.
Ma per farlo, per indurre in essi la scossa psicosomatica, aveva bisogno di una fede cieca da parte loro nei suoi poteri taumaturgici e dell'appoggio psicologico dei presenti. In caso contrario, falliva. Ce lo conferma Matteo quando ci spiega che Gesù a Nazareth "...non fece miracoli a causa della loro incredulità" (Matteo 13,58). Gli evangelisti attribuirono la capacità di compiere miracoli non solo a Gesù ma anche ai suoi rivali (Matteo 12, 27; Marco 9, 38; Atti 8, 9ss) tanto la credulità superstiziosa era diffusa a tutti i livelli in quel momento storico.
Ai nostri giorni questa superstizione infantile perdura soltanto nella Chiesa Cattolica, l'unica ancora a riconoscere i miracoli di origine divina e non psicosomatica. Ma i miracoli autentici non sono mai esistiti. La scienza, quella seria, li esclude categoricamente. Quando mai a qualcuno è cresciuto un arto o un bambino affetto dalla sindrome di Down è diventato normale? Questi sì che sarebbero veri miracoli! E per Dio guarire uno storpio o un giovane mongoloide sarebbe la stessa cosa. È o non è onnipotente?
Ma miracoli del genere non sono mai accaduti perché avverrebbero contro le leggi della natura. Anatole France, celebre scrittore francese, visitando il santuario di Lourdes, esclamò sarcastico che vedeva tra gli ex-voto tante stampelle ma neanche una gamba di legno.
Quindi solo pseudomiracoli.
Comunque, tutti i miracoli attribuiti a Gesù erano già accaduti in età precristiana e presso ogni altra antica religione, come nel Brahmanesimo e nel Buddismo. In tutte le religioni, infatti, la massa vuole prodigi, magie, non autentica spiritualità. "L'invenzione del cristianesimo " ebook € 1,99 (store: Amazon, LaFeltrinelli, Kobo, Internet Bookshop Italia, Bookrepublic Store, etc...)



venerdì 16 gennaio 2015

18- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. La prova delle profezie

Nei Vangeli molti degli avvenimenti accaduti a Gesù furono inventati per adeguarli alle profezie veterotestamentarie che i Profeti e i Salmi avevano preconizzato sul futuro Messia. Il linguaggio degli evangelisti a questo proposito è di una ingenuità addirittura sconcertante: Gesù ha fatto questo perché il tal profeta l'aveva predetto, ha fatto quell'altro affinché la Scrittura fosse adempiuta e così discorrendo.
Naturalmente, molte di queste profezie sono citate a sproposito e altre sono stiracchiate per renderle compatibili con gli avvenimenti più inverosimili. Nell’antichità, gli adempimenti profetici costituirono «la prova più salda» della divinità di Gesù (Origene, Contra Celsum 2,28) e, secondo Giustino martire, furono innumerevoli i pagani che proprio per questo vennero guadagnati alla fede cristiana. In effetti, nel Nuovo Testamento troviamo circa 250 citazioni del Vecchio Testamento e più di 900 allusioni ad esso, intese come adempimenti profetici, come ci attesta Origene (op.cit. 4,2). In particolare la Passione di Cristo venne favolisticamente composta sulla base della Bibbia ebraica. Tanto per fare alcuni esempi: lo scandalo dei discepoli sulla via del Getsemani (Marco 14,26 sgg.) è dedotto da Zaccaria (13,17); le parole di Gesù davanti al Gran Consiglio (Matteo 26,64) trovano riscontro in Daniele (7,13) e nel Salmo 110,1; le offese ricevute da Gesù dai soldati romani sono dedotte da Geremia (50,6); la crocifissione tra due ladroni, da Geremia (53,12). Anche i particolari più insignificanti furono dedotti dall'Antico Testamento. Esempio: Gesù viene dissetato con l’aceto, secondo il Salmo 69, 22: «E mi diedero fiele da mangiare, e quando ero assetato mi dissetarono con l’aceto».
Perfino l'eclissi di sole, inventata da Luca al momento della morte di Gesù, trova riscontro in Amos 8,9 e in Geremia 15,9. Significative anche le profezie sulla natività di Gesù: la nascita da una Vergine (Matteo 1,22 sg.) fu dedotta da Geremia (7,14); Betlemme come luogo di nascita (Matteo 2,1 sgg.) da Michea (5,1 sgg.); la strage degli innocenti (Matteo 2,16 sgg.) da Geremia (31,15), e la fuga in Egitto (Matteo 2,13 sgg.) da Osea (11,1). Insomma non c'è un episodio della vita di Gesù, anche minore, che non sia stato costruito sulle profezie veterotestamentarie. Citate, però, se facevano comodo. Se invece sconfessavano la crocifissione, come nel versetto attribuito a Mosè: «Perché chi pende dal legno, costui è maledetto da Dio» (Deuteronomio 21,23), rigorosamente ignorate.
A contrastare questa psicosi maniacale per le profezie veterotestamentarie furono i Marcioniti (Tertulliano, Advesus Marcionem) e molti eretici (Origene, Commentari alle omelie, 17). L'evangelista più facondo nella produzione di profezie è Matteo per il quale gli adempimenti si susseguono l'uno all'altro. Mentre Marco, ad esempio, narra di Gesù tradito per danaro da Giuda (Marco 14,10), Matteo, spigolando da Zaccaria, quantifica la somma in trenta pezzi d'argento e li fa gettare dal traditore pentito nel Tempio (Zaccaria 11,12-13), contraddicendo gli Atti per i quali Giuda non si pentì affatto. Una menzione a parte meritano le profezie poste in bocca a Gesù sulla distruzione del Tempio di Gerusalemme. Esse furono aggiunte ai Vangeli quando si erano già da lungo tempo verificate nella guerra giudaica del 70, come acutamente nel II secolo dichiarò il polemista Celso, mettendo in rilievo che tutto veniva profetizzato in quanto già accaduto, e non che tutto accadeva in quanto già profetizzato. Si tratta quindi di profezie intese come vaticinia ex eventu, e secondo la ricerca critica sono, senza eccezione, tarde creazioni della comunità cristiana.
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giovedì 15 gennaio 2015

La mondanizzazione della Chiesa si accentuò con il massiccio afflusso nel cristianesimo della nobiltà romana dopo Costantino. 195

Dopo l’innalzamento del cristianesimo a religione di stato, da parte degli imperatori postcostantiniani, e il suo adeguamento totale ai rapporti sociali dominanti, la nobiltà romana affluì massicciamente nella Chiesa assumendo un atteggiamento spiccatamente «clericale», poiché il clero venne gratificato con privilegi di status sociale sempre più allettanti che lo equiparavano ai gradi più elevati della burocrazia statale.

Siricio (384-399), fu il «primo Papa» che ascese al soglio di Pietro come rappresentante della nobiltà romana e da allora il papato divenne esclusivamente appannaggio nobiliare perché le le condizioni imposte alla provenienza del clero divennere sempre più rigide ed esclusive. Nel V secolo in una circolare ai vescovi d’Italia, Leone I criticò la nomina di chierici non raccomandati da «una discendenza adeguata». Secondo lui gente che non avrebbe ottenuto la libertà dai suoi padroni, veniva innalzata all’alto rango dacerdotale, quasi che la volgarità di un servo (servilis vilitas) fosse degna di tale onore. Si crea l’opinione che possa piacere a Dio soltanto chi proviene da nobile lignaggio.

Dopo Leone I venne vietata l’elevazione di uno schiavo al rango secerdotale nonostante che allora la presenza di schiavi fosse massiccia nella Chiesa, mentre nel primo cristianesimo ex schiavi come Pio (ca.140) o come il famigerato Callisto (218-222) si erano assisi addirittura sul seggio vescovile di Roma.. Papa Gelasio I (492-496) vietò che non solo gli schiavi ma perfino i semplici dipendenti, diventasse chierici.

Le lettere di Papa Sinmmaco (498-514), che nel 502 formulò la fatidica dichiarazione che il Papa non poteva essere giudicato da nessun uomo, esprimono un disprezzo quasi incredibile per il popolo, che invece, guardava con venerazione alle sue guide spirituali. Esattamente come accadeva agli ebrei che avevano un sommo rispetto nei confronti dell’aristocrazia religiosa dei sacerdoti e dei
farisei, i quali, invece, disprezzavano le masse, definendo i proletari «pleba-
glia» (‘Amme-ha-arez’).

Otto Seeck, illustre studioso di storia romana e di archeologia, analizzando questa evoluzione della Chiesa affermò:«Finché fu limitata al popolino, fu democratica e socialisteggiante; a mano a mano che penetrò nei ceti superiori le sue forme istituzionali si trasformarono completamente, riproducendo l’organizzazione statuale del tempo, vale a dire un dispotismo sfrenato, con tutta la sua gerarchia burocratizzata. Questa trasformazione si attuò gradualmente, senza salti improvvisi, tanto da essere impercettibile da parte dei contemporanei. Ciò che si era imposto per motivazioni di ordine pratico, diventò prima usanza ecclesiastica, poi legge spirituale, e ben presto nessuno ricordò più che una volta le cose andavano diversamente. Era quindi assolutamente interno alla mentalità del cristiano nutrire il convincimento che Cristo e i suoi Apostoli avevano fondato la loro Chiesa esattamente come ciascuno la vedeva nel proprio tempo. Così anche le forme della costituzione ecclesiastica poterono diventare verità di fede intoccabili ed eterne come l’insegnamento di Cristo. Nessuno sapeva che ciò era in con-
traddizione con la realtà storica».

Poco prima di morire l’ottantaduenne Goethe affermò che la Chiesa avesse le sue buone ragioni per tenere i Vangeli il più a lungo possibile lontani dalla portata del popolo: «Che cosa avrebbe dovuto pensare un umile membro della comunità dello sfarzo principesco del Vescovo, se avesse visto, al contrario, la povertà e l’indigenza di Cristo, il quale andava umilmente a piedi, mentre il Principe-Vescovo scorrazzava su un cocchio trainato da sei destrieri!?»



Otto Seeck


martedì 13 gennaio 2015

17- “L'invenzione del cristianesimo” La dottrina di Gesù. 2

Sull'osservanza della Legge, terreno di scontro durissimo tra Paolo e i cristiano-giudei di Giacomo, come vedremo in seguito, Gesù non diede adito a dubbi. "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento" (Matteo 5,17 ). "È più facile che abbia fine il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge" (Luca 16,17).
Matteo per due volte (9,20; 14,36) insiste sul fatto che il il mantello di preghiera di Gesù aveva le frange, cioè i fiocchi rituali prescritti da Mosè in Numeri (15,37-40). Ciò a significare la scrupolosa osservanza della Legge da parte di Gesù anche nell'abbigliamento.
Quello che bisogna sfatare nel modo più assoluto è ritenere che tutti gli inviti alla non-violenza, al perdono dei nemici, all'amore universale, al porgere l'altra guancia, ad amare il prossimo e così via, che costituiscono gli insegnamenti più elevati e sublimi dei Vangeli, valessero allora come li intendiamo adesso.
Per Gesù il prossimo era riferito soltanto ai soli ebrei; tutti gli altri: i romani e i pagani in genere, erano esclusi. A quel tempo, nel clima rovente di odio e di vendetta contro i romani, diffuso ad ogni livello della popolazione, non solo zeloti e sicari (termini intercambiabili) ma qualsiasi altro ebreo, dal più umile al più elevato, mai avrebbero tollerato il più piccolo accenno di amore e perdono per i nemici d'Israele, cioè i romani e i pagani in genere, e chi avesse osato proporre una cosa simile sarebbe stato immediatamente lapidato a furor di popolo, prima ancora dell'arrivo dei sicari. Il vero Gesù, quello messianico, non ha niente del Gesù teologico inventato da Paolo, pacifista e predicatore della non-violenza. Egli, infatti, lancia sette maledizioni contro l'ipocrisia degli scribi e dei farisei (Luca 11,42-52); destina alla Geenna (sinonimo di inferno) quelli che non credono in lui (Luca 10,15 e 12, 10); afferma che chi non è con lui è contro di lui (Luca 11,23); preconizza la rovina di Gerusalemme e la distruzione del Tempio (Marco 13,1-2; Matteo 24,2); insegna che è venuto non per la pace, ma per la spada (Matteo 10,34), minaccia di morte violenta quanti dei suoi nemici non volevano che diventasse loro re (Luca 19,27). Insomma tutto l'opposto del Gesù evangelico che la Chiesa ci presenta.
Un'altra cosa da sfatare è che Gesù approvasse, sia pure indirettamente, il tributo a Cesare da parte degli ebrei, come ci viene raccontato dai Sinottici ("Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio") (Marco 12,13-17; Matteo 22,15-22; Luca 20,22-26). Il tributo imposto ai giudei dai romani era inaccettabile e oltraggioso per qualsiasi ebreo rispettoso della Legge perché concedeva “ciò che è di Dio”, cioè le risorse della terra santa di Jahvè, ad un sovrano straniero e implicava il riconoscimento dell'autorità imperiale.
Quindi l'accettazione del tributo a Cesare che troviamo nei Sinottici viene smentito da due fatti: 1) che il Vangelo di Giovanni ignora totalmente l'episodio riferito dagli altri evangelisti; 2) che gli stessi Sinottici, contraddicendosi, accusano Gesù davanti a Pilato di obiezione fiscale: "Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re" (Luca 23,2).
L'obiezione fiscale fu una tematica costante di tutti i Messia che precedettero e seguirono Gesù, a cominciare da Giuda il Galileo, qualificato da Giuseppe Flavio “terribilissimo sofista” (cioè dotto). oltre che terribilissimo guerriero.
La sentenza di Gesù, quindi, che imponeva il tributo da versare a Cesare, cioè a Roma, assolutamente obbrobriosa e blasfema per qualsiasi giudeo e meritevole di immediata lapidazione per chi l'avesse pronunciata, fu inserita nei Vangeli allo scopo di presentare Gesù connivente coi romani.
Doveva far capire ai cristiani di Roma che Gesù non era stato giustiziato per sedizione contro l'Impero ma come vittima dell’odium theologicum dei capi ebrei e del popolino di Gerusalemme. Tenendo quindi conto che Gesù era circondato da seguaci in gran parte affiliati alla setta degli zeloti, è assolutamente improponibile ammettere che gli inviti al perdono e a pagare i tributi agli oppressori romani siano usciti dalla sua bocca.
Essi sono stati aggiunti dagli evangelisti nel corso della costruzione teologica della figura di Gesù, durata come minimo tre secoli, durante la loro opera di spoliticizzazione, indispensabile alla Chiesa nascente per superare i conflitti con le istituzioni imperiali, prima di Costantino, e creare la sua simbiosi col potere imperiale, dopo Costantino.
A riprova di ciò sono rimasti nei Vangeli certi proclami che alludono chiaramente alle istanze del messianismo zelota. Per citarne alcuni: "Ed egli (Gesù) aggiunse: "Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne comperi una" (Luca 22,36). "Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace ma la spada" (Matteo 10,34).
Tornando alla dottrina di Gesù, è stato dimostrato, con una relativa facilità, che gli insegnamenti morali in essa contenuti non sono affatto originali perché derivano dai Salmi, dai Profeti e dagli Esseni, ai quali forse apparteneva, ed erano patrimonio comune di molti filosofi pagani, soprattutto degli Stoici e dei Cinici. Infatti a Gadara, dove predicò più volte Gesù, esisteva una scuola filosofica cinica fin dal III secolo a.C.
Questa scuola, che certamente Gesù ebbe modo di conoscere e dalla quale forse attinse alcuni ammaestramenti, predicava il monoteismo (cioè la condanna del culto degli dèi), il disprezzo per gli onori, il lusso e la ricchezza; l'amore per i deboli, gli umili e gli oppressi. I suoi predicatori vaganti, percorrevano le contrade e i villaggi, rivolgendosi preferibilmente ai poveri, agli schiavi, agli emarginati anche di pessimi costumi. Insomma, come Gesù, che accettava tra i suoi seguaci pubblicani e prostitute.
Seguendo la dottrina essena, che esaltava la povertà come libera scelta di vita, Gesù con molta durezza denunciò nei suoi discorsi il perenne contrasto tra Dio e Mammona (il dio denaro).
L'ostilità verso i ricchi e la classe abbiente, è presente in molto passi evangelici: “Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame” (Luca 24, 25). "... è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio" (Matteo 19,22). In sintesi, i ricchi non vengono condannati per i loro peccati ma semplicemente per la loro ricchezza.
Al riguardo sono importanti le istruzioni che Gesù dà al giovane che gli chiede che cosa deve fare per essere salvato: "… vendi tutto quello che hai e distribuiscilo ai poveri" (Luca 18, 22), (Matteo 19, 21) che ricalcano il comportamento degli esseni che prima di entrare nella setta dovevano vendere i loro beni e donare il ricavato ai poveri.
C'è un'ultima considerazione da fare, a proposito della dottrina di Gesù, che ritengo della massima importanza, ed è quella che bisogna sfatare nel modo più assoluto che Gesù, durante la sua attività pubblica, si sia proclamato Figlio di Dio, non tanto in forma simbolica come tutti noi che ci riteniamo figli spirituali di Dio, quanto come partecipe diretto di una divinità consustanziale al Padre celeste, come vuol farci credere la teologia paolina. Una tale pretesa sarebbe suonata empia e blasfema all'intera comunità ebraica, perché violava il principio più sacro dell'ebraismo: il monoteismo, e avrebbe scatenato, per chi l'avesse proclamata, la lapidazione immediata a furor di popolo, ancor prima della condanna del sinedrio. E i romani di questa lapidazione se ne sarebbero infischiati altamente, in quanto rientrava nei diritti religiosi riconosciuti ad Israele. Quindi la condanna a morte di Gesù per blasfemia, decretata da Pilato, suona doppiamente falsa: in primo luogo perché questo reato veniva punito direttamente con la lapidazione (vedi quella di Stefano, il cosiddetto protomartire cristiano); in secondo luogo, perché i romani, oppressivi e spietati in campo politico, evitavano qualsiasi ingerenza religiosa nei confronti dei popoli sottomessi. Il Gesù sinottico era, per il suo tempo, un rivoluzionario che contestava la gerarchia templare, i teologi formalisti, il ritualismo vuoto e ipocrita, la pedante osservanza della Legge, i vacui esercizi dei bigotti: tutti abluzioni e digiuno. Secondo la nostra ottica era antilegalistico, anticultuale e anticlericale. Ma, al suo tempo, tutto ciò era estraneo alla blasfemia. Tutti i profeti, prima di lui, si erano comportati allo stesso modo.


venerdì 9 gennaio 2015

16- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. La dottrina di Gesù. 1

Per comprendere la dottrina di Gesù è opportuno fare una breve panoramica della situazione socio-politico-religiosa della Palestina del suo tempo. 
Ancor prima  della conquista romana, gli ebrei avevano subito un lungo periodo di dominazione sotto gli assiri, i babilonesi, i persiani e i greci. Ciò aveva comportato la decadenza dei costumi e un   degrado socio-politico e religioso. 
Per reazione a questa situazione di diffuso malessere si erano sempre più radicate in tutte le classi sociali le aspettative messianiche, che possiamo riassumere nell'utopica, ossessiva e delirante credenza che Dio avrebbe mandato un uomo a  ristabilire la giustizia sociale, l'osservanza della Legge e l'indipendenza del Paese. Quest'uomo  prescelto, di discendenza davidica, sarebbe stato il Messia (in ebraico mashià, in greco Christòs), preannunciato dai profeti. 
Messia allora significava l'Unto dal Signore, secondo l'antica cerimonia di investitura regale che prevedeva l'unzione sulla fronte con olio profumato del  futuro re d'Israele. Vedremo che in seguito questo termine, per opera dai seguaci di Paolo, perderà il suo significato originario per assumere quello attuale di Figlio di Dio. Riferisce S. Brandon nel suo “Gesù e gli zeloti”, già citato, che nella letteratura apocalittica, contemporanea a Gesù, erano frequenti le espressioni di odio intenso contro Roma, non solo perché Roma dominava Israele, dopo averlo declassato da "Regno di Dio" a semplice provincia di un grande impero pagano, ma anche perché ostentava orgogliosamente la sua sovranità imperiale su tutto il mondo. 
A causa del degrado politico in cui era caduta la Palestina sotto i romani, l'aspettativa messianica dell'avvento imminente del Regno di Dio, che avrebbe dato inizio ad un periodo di giustizia, di uguaglianza, di benessere e di pace in Israele, era sempre più sentita dalla maggioranza della popolazione e trovava negli zeloti e negli esseni  i più decisi sostenitori.      
Mentre i primi, contando sull'aiuto  delle schiere angeliche di Jahvè, perseguivano il messianismo come sola lotta armata, come aperta ribellione ai romani, da attuare con efferata ferocia e determinazione,  i secondi associavano alla lotta armata l'esigenza di ripristinare, come mezzo per prepararsi spiritualmente a questo grande evento e rendersene degni, lo spirito autentico della fede dei padri, vivendo in preghiera e in penitenza, seguendo una morale rigorista, abbracciando una lieta povertà, rinunciando a ogni proprietà personale e chiamandosi "fratello" l'uno l'altro (M. Bontempelli, C. Preve, Gesù uomo nella storia, Dio nel pensiero, CRT, Pistoia, 2000).
Questa era la situazione quando Gesù si presentò sulla scena politico-religiosa del suo tempo tentando di far sue le istanze degli zeloti e degli esseni. Egli, infatti, inizia il suo ministero con parole di chiaro accento apocalittico: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è imminente” (Marco 1,15); e più oltre, “quando anche voi vedrete queste cose accadere, sappiate che è vicino, è alle porte. In verità vi dico, non passerà questa generazione prima che tutte queste cose si compiano” (Marco 13,29-30). Tale senso dell’imminenza della fine dell’ordine presente, che combaciava  con la visione esseno-zelota del suo tempo,  diverrà, dopo la crocifissione di Gesù,  una vera ossessione per i cristiano-giudei e i cristiano-ellenisti fino al 70 d.C. Il tema  ricorrente della predicazione di Gesù, la cosiddetta Buona Novella, era dunque la fervida attesa dell'imminente Regno di Dio per opera del Messia davidico, aiutato dalle schiere celesti inviate da Jahvé. Il giorno del suo arrivo sarebbe giunto improvviso e inaspettato.     
Secondo questa utopia, la fine del vecchio ordine avrebbe comportato apocalittici sconvolgimenti ma, dopo un periodo di transizione,  i superstiti avrebbero conosciuto una nuova era  di pace, di giustizia, di uguaglianza e fratellanza universale. 
Il Regno del Male sarebbe terminato per sempre e la Gerusalemme Celeste, che Giovanni, l'autore dell'Apocalisse, vedrà discendere dal cielo e possedere la gloria di Dio, sarebbe divenuta imperitura. 
Chiarisce Calimani: “Il Regno di Dio, nel suo significato originale ebraico, era immaginato come una comunità costituita su questa terra, guidata da Dio o dal suo inviato, l’Unto del Signore, cioè il Mashìach, il Messia, un discendente di David” (R.Calimani, Gesù Ebreo, Rusconi, Milano, 1990). Quindi un regno concreto, terreno e politico, ancorché teocratico e misticamente sacralizzato. Un regno in cui sarebbe stata bandita l’arroganza della ricchezza e avrebbe trionfato  l’uguaglianza, la  giustizia sociale e l’amore fraterno.  Questo messaggio di Gesù, come lo deduciamo dai Vangeli, non contemplava affatto la nascita di una nuova religione ma rimaneva fedele all'antica fede ebraica, ed era  diretto soltanto alle pecore smarrite della casa di Israele. “Non andate tra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani. Andate piuttosto alle pecore perdute della casa  di Israele” (Matteo 10,5-6). Infatti l'ideale messianico, di carattere inequivocabilmente etnico-religioso oltre che politico, non ammetteva che nella causa potessero essere coinvolti anche i non ebrei. Per realizzare questa utopia il primo passo sarebbe stata la liberazione dal dominio romano e la punizione dei collaborazionisti, come postulavano fermamente e fanaticamente gli zeloti e tutti i messianisti in genere. Solo dopo  si poteva iniziare il lungo cammino verso la santità cui doveva partecipare tutto il popolo. Un popolo di santi, in uno Stato santo. 
Quindi l'èra esseno-messianica era intesa come la perfetta realizzazione del Regno di Dio, un regno egualitario, dove gli ultimi sarebbero stati i primi e dove i debiti sarebbero stati condonati e la povertà una libera scelta di vita. Il Messia quindi si prefigurava come colui che doveva non solo liberare il suo popolo dalla dominazione straniera ma anche  riportarlo nelle condizioni morali e religiose volute da Jahvé per la costituzione di uno Stato santo. 
In questo senso si collocano molte espressioni evangeliche cariche di valenze morali, sociali e perfino politiche che sono sintetizzate nel Discorso della Montagna e vanno sotto il nome di Beatitudini. In esse troviamo  l'essenza di tutto l'insegnamento esseno, cioè il  profondo amore verso i poveri e gli umili nei quali si vedeva il volto di Dio. "Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi" (Matteo 25,35-36).  

giovedì 8 gennaio 2015

La mondanizzazione del clero (Parte quarta) 194

Nel V secolo cominciò a non essere più sufficiente stare semplicemente in piedi davanti al vescovo, e quindi furono imposti il baciamano e la prosternazione. In molte contrade d’Occidente davanti ai vescovi venivano portati i Fasci, come si usava per i regnanti e gli alti magistrati romani. Dal VII secolo in occasione dei solenni cortei del papa entrarono nell’uso le incensazioni, come un tempo davanti all’imperatore.

Nel Medioevo, com’é noto, l’ambizione dei gerarchi cattolici divenne abnorme e permane tuttora. Pensate che i Patti Lateranensi stipulati neI 1929 fra l'Italia mussoliniana e il Vaticano contengono nell’art. 21 la frase seguente: «Tutti i Cardinali godono in Italia degli onori spettanti ai Principi di sangue». I Patti Lateranensi sono tuttora in vigore per nostra somma ignominia per cui il Vaticano brulica di Principi di sangue poco evangelici.

La totale corruzione della Chiesa ebbe inizio col suo riconoscimento ufficiale
sotto Costantino e i suoi successori. Oggi ormai nessuno contesta il fatto che in quel tempo nella conversione al cristianesimo era spesso decisivo l’opportunismo e che un’autentica esperienza interiore non era più la regola. Ma già prima, intorno al 200, Tertulliano conosceva persone «che sono cristiani a seconda del vento che spira, quando fa loro comodo» (Tert., Scorp. 1).

n esempio classico del IV secolo è offerto da Echebolio di Costantinopoli. Sotto Costantino costui fu cristiano strettamente osservante, sotto l'imperatore Giuliano l’Apostata (che aveva tentato di ripristinare il paganesimo ma venne ucciso da un cristiano) diventò pagano, e dopo la morte di Giuliano, si riconvertì prontamente al cristianesimo.


Giuliano l'apostata


martedì 6 gennaio 2015

15- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. I seguaci di Gesù. 2

Vediamo alcuni esempi del “meccanismo di censura”. L'apostolo Simone risulta avere nei Vangeli tre appellativi: Bariona, Cananites e Kefas. Vediamo qual è il loro significato, cominciando dal primo “bariona”. Secondo la versione attuale dei Vangeli, Pietro viene chiamato da Gesù: "Simone, figlio di Giona" (Matteo 16,17) facendo erroneamente riferimento al testo greco “” (Simon bar Iona). Ma questa traduzione è un falso. Bar, infatti, è sì un termine aramaico che significa: "figlio di" ma nel testo greco questa espressione dovrebbe essere tradotta:  più il nome del padre. Nel nostro caso:  Infatti, in tutti gli altri casi in cui nei Vangeli si nomina la paternità di qualcuno, non si usa mai la desinenza ebraica “bar”, ma sempre la formula greca “uios tou”…, “figlio di”
Cito alcuni esempi tratti dai Vangeli:  (Giuseppe figlio di David) (Matteo 1,12);  (Zaccaria figlio di Baruc) (Matteo 23,35);, figlio di Abramo) (Luca 19,9) etc... Come mai allora nel caso di Pietro si usa il termine aramaico e non greco? La spiegazione è semplice: nel testo greco antico si legge:  (e non quindi “”), dove Bariona è un unico vocabolo che in aramaico, al tempo di Gesù, significava "fuorilegge, terrorista, partigiano alla macchia", cioè zelota o sicario. Quindi non "figlio di Giona" come traduce falsamente la Chiesa. Sempre Simone, soprannominato da Luca senza mezzi termini, lo Zelota (Luca 6,15), viene chiamato da Marco "" (cananaios) (Marco 3,18) e da Matteo "" (cananites) (Matteo 10,4), termini tradotti nei Vangeli attuali con l'aggettivo "cananeo", cioè proveniente da Cana. Niente di più falso. Il termine aramaico "qanana" da cui deriva quello greco cananaios, equivale a "zelota, fuorilegge, terrorista", esattamente come bariona. Infine, il termine Kefas o Cefa, significa in aramaico “Roccioso” e allude alla durezza combattiva e al carattere violento attribuiti a Pietro, sia dai documenti apocrifi (Vangelo di Maria di Magdala), sia dagli stessi Vangeli canonici, che riportano il fatto che al momento dell'arresto di Gesù, l'apostolo con un colpo di spada tagliò netto l'orecchio di Malco, servo di Caifa (Giovanni 18,10). Quindi questi tre termini indicano inequivocabilmente che Pietro non era il pacifista descritto dalla tradizione ma uno spietato combattente per la causa messianica.
Altro esempio. Taddeo nel Vangelo di Matteo, versione antica già citata (54,17), è definito a chiare lettere "" (Ioudas zelotes). Da questo Vangelo ricaviamo che il vero nome dell'apostolo in questione era Giuda (da non confondere con l'Iscariota) e Taddeo era, in aramaico, il suo soprannome di battaglia che significava "coraggioso"; cioè, in parole semplici: partigiano coraggioso.
Anche Giuda Iscariota, il presunto traditore di Gesù, viene considerato dagli studiosi uno zelota. Nell'Angelus del 26 agosto 2012, papa Ratzinger lo ha ammesso chiaramente affermando che Giuda era uno zelota che voleva che Gesù, come Messia, si ponesse al comando di una rivolta militare contro i romani e sentendosi deluso lo denunciò. Quindi, secondo il papa, il tradimento di Giuda fu politico e non ebbe nulla a che fare coi trenta denari. Difatti, l'appellativo Iscariota (che deriva dall'ebraico ekariot, che significa sicario, e non da Keriot città della Giudea, mai esistita ma semplicemente inventata dalla Chiesa), veniva attribuito agli zeloti più oltranzisti che eseguivano azioni di terrorismo anche in forma isolata.
Giuseppe Flavio li descrive così: “In Gerusalemme nacque una nuova forma di banditismo, quella dei così detti sicari (ekariots), che commettevano assassini in pieno giorno nel mezzo della città. Era specialmente in occasione delle feste che essi si mescolavano alla folla nascondendo sotto le vesti dei piccoli pugnali coi quali colpivano i loro avversari. Poi, quando questi cadevano, gli assassini si univano a coloro che esprimevano il loro orrore e recitavano così bene da essere creduti e quindi non riconoscibili” (Giuseppe Falvio, La Guerra Giudaica, op. cit. 1, 12).
In realtà, stando alle più antiche versioni del Vangelo di Marco (vedi il "Novum Testamentum" citato sopra), non solo questi ma tutti gli altri apostoli appartenevano alla cerchia degli zeloti, perché erano chiamati col nome di battaglia “Boanerghes”, cioè “figli del tuono” (Marco 3,17).
Ad ulteriore dimostrazione della natura violenta dei cosiddetti apostoli ricordiamo il comportamento dei due fratelli Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, (denominati dallo stesso Gesù “figli del tuono”), i quali nel Vangelo di Luca chiedono al Maestro il permesso di incendiare il villaggio dal quale erano stati respinti, (Luca 9,51-56), confermando, come ci tramanda Giuseppe Flavio, che gli zeloti non solo si accanivano contro i romani ma anche contro gli ebrei che non volevano collaborare con loro (La Guerra giudaica, 2, 12 op. cit.).
A proposito dei figli di Zebedeo, appena citati, c'è un episodio raccontato dai Sinottici che mette in evidenza da un lato la loro smodata ambizione e dall'altra la loro certezza che il regno annunciato da Gesù non fosse l'aldilà, ma un regno puramente terreno. Scrive infatti Matteo: "Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli (Gesù) le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Dì che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno»" (Matteo 20,20-21).
Secondo Marco (Marco 10,35-37) sono gli stessi Giacomo e Giovanni e non la loro madre a fare questa richiesta direttamente a Gesù. Ad ulteriore prova dell'appartenenza degli apostoli al messianismo jahvista ricordo che l'apostolo Giacomo, detto il Maggiore, sotto il procuratore romano Tiberio Alessandro, fu arrestato nel 44, insieme all'apostolo Simone, e giustiziato di spada come sobillatore del popolo (Atti 12), e che l'altro Giacomo, detto il Minore, in tutti i documenti canonici chiamato fratello del Signore, secondo Eusebio di Cesarea e Giuseppe Flavio, fu lapidato nel 63, per ordine del sommo sacerdote, per aver "osannato pubblicamente al figlio di David", cioè a Gesù, che, quale Messia erede al trono d'Israele, avrebbe presto liberato la Palestina dall'invasione romana (Eusebio, Storia Ecclesiastica, 2-23, op.cit.).
Le supposizioni di R. Eisenman (James the brother of Jesus, Penguin book, London, 1997) che tutti gli apostoli erano zeloti, come abbiamo evidenziato sopra, gettano una luce inquietante sui discepoli di Gesù, vero covo di accesi messianisti e non di persone dedite alla non-violenza, alla fratellanza e alla salvezza spirituale dell'umanità.
Quindi, si intuisce facilmente perché Gesù e il suo movimento fossero considerati una minaccia dai romani e dai giudei moderati, e perché costoro abbiano collaborato con Pilato per la sua condanna a morte. I termini riferiti ai combattenti messianici erano in latino: Sicarii, Latrones e Galilaei; in greco: Zelotes e Lestes e in ebraico: Qanana e Bariona (Novum Testamentum Graece et Latine, E. Nestle, Stuttgart, 1957).
Come attestano le fonti rabbiniche, quelli ebraici, di origine accadica, venivano utilizzati già prima di Gesù per designare un “terrorista” o un “partigiano”.
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venerdì 2 gennaio 2015

14 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte prima. I seguaci di Gesù. 1

Nel Vangelo di Marco c'è un episodio, riferito all'inizio della vita pubblica di Gesù, che potrebbe farci credere che la sua famiglia non approvasse il suo apostolato messianico, anzi ne fosse totalmente contraria. Leggiamolo: "...Entrò (Gesù) in una casa e si radunò di nuovo intorno a lui molta folla...allora i suoi (familiari), sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «è fuori di sé»..” (Marco 3,20-21). Anche nel Vangelo di Giovanni si afferma che i fratelli di Gesù "non credevano in lui" (Giovanni 7,5). L'episodio sopra citato, molto emblematico, smentisce categoricamente la presunta Annunciazione.
Com'è possibile che la Madonna, cui l'angelo aveva annunciato il concepimento nel suo grembo del figlio di Dio per opera dello Spirito Santo, fosse così all'oscuro dell'alta missione cui il figlio era stato predestinato, da vergognarsi di lui, ritenendolo fuori di testa, e cercare, con l'aiuto degli altri suoi figli, di fermarne l'apostolato? Come si vede le incongruenze dei Vangeli sono continue.
Durante la sua attività pubblica Gesù fu costantemente seguito da una turba di seguaci che comprendeva gente di ogni condizione sociale. Molti erano poveri e incolti, ma c'erano, saltuariamente, anche farisei e dottori. Egli accoglieva indiscriminatamente tutti, anche i pubblici peccatori, come i pubblicani e le prostitute. I dottori, gli scribi e i farisei, a detta dei Vangeli, lo trattavano con supponenza non avendo egli frequentato le loro scuole, e lo consideravano uno dei tanti rabbi improvvisati che sorgevano allora con una certa frequenza.
Secondo i costumi del tempo, predicava nelle sinagoghe di sabato, ove tutti potevano intervenire nelle discussioni, ma anche per le vie dei villaggi, negli spazi aperti e in riva al lago. Predicò quasi esclusivamente in Galilea e solamente nell’ultimo periodo della sua vita si trasferì a Gerusalemme.
È indubbio che tra i suoi seguaci più assidui ci fossero anche zeloti e sicari, allora considerati alla stregua odierna dei terroristi, perché Gesù assommava due caratteristiche: quella del Messia che aspirava alla liberazione di Israele e alla restaurazione del Regno di David, e quella esseno-ascetica che propugnava il ritorno integrale alla Legge, non tanto sotto l'aspetto formale, perseguito soprattutto dai farisei, quanto sotto quello etico spirituale.
Ben presto si costituì, attorno alla sua persona, un piccolo gruppo di fedelissimi che lo seguiva notte e giorno. Era gente umile e popolana, ma devotissima, che lo considerava un Messia. Nei Vangeli sono conosciuti come gli apostoli e le pie donne.
Su un punto di così grande importanza quale il numero e il nome degli apostoli ci sono grosse discordanze tra i Vangeli, specialmente tra i Sinottici e il quarto. In Giovanni sono assenti ben quattro apostoli che si trovano nei Sinottici: Bartolomeo, Matteo, Giacomo d'Alfeo e Simone lo Zelota.
Ma se teniamo conto che il suo ultimo capitolo, il XXI, è chiaramente un falso aggiunto posteriormente, gli apostoli assenti sono sei, perché bisognerebbe aggiungere anche Giacomo e Giovanni, citati solo in questo ultimo capitolo non per nome ma come figli di Zebedeo, senza chiarire chi era costui.
In compenso troviamo un apostolo mai citato dai Sinottici: Natanaele di Cana ed anche un apostolo anonimo e misterioso chiamato "il discepolo che Gesù amava", dalla Chiesa ritenuto, erroneamente come vedremo in seguito, l'apostolo Giovanni. Secondo lo studioso americano R. Eisenman (James the brother of Jesus, Penguin book, London, 1997) alcuni degli apostoli erano fratelli o parenti di Gesù a lui legati, oltre che dal vincolo di sangue, dalla comune militanza messianica.
Ma anche gli altri apostoli appartenevano al messianismo jahvista, cioè alla setta degli zeloti, considerati dai romani dei ribelli spietati e crudeli, alla guisa dei briganti. Le prove della loro appartenenza a questa setta, nonostante i tentativi di Paolo di occultarle demessinizzando Gesù, sono molteplici e trapelano in molti punti dei Vangeli.
Bisogna, però, saperle leggere tra le righe e analizzare i testi evangelici nelle versioni più antiche, non in quelle recenti nelle quali i soprannomi partigiani degli apostoli sono stati nascosti con traduzioni fuorvianti, o camuffati da falsi patronimici o da innocui aggettivi geografici.
Ci imbattiamo in questo caso in una delle manipolazioni ricorrenti in tutti e quattro i Vangeli, usata dalla Chiesa ancor oggi per nascondere ogni riferimento all'impegno messianico jahvista di Cristo e dei suoi discepoli, e quindi per eliminare le accuse della loro appartenenza alla pericolosa setta degli zeloti.
È il cosiddetto "meccanismo di censura" che consiste nel tradurre alcuni termini dei testi originari, scritti in greco, in modo totalmente falso e fuorviante da alterare la verità storica. Per aggirarlo, per capire cioè le vere identità dei discepoli della cerchia di Gesù, ritenuti combattenti, partigiani, per non dire terroristi, bisogna prima far riferimento ai testi evangelici nelle versioni più antiche (Novum Testamentum Graece et Latine, op. cit.) e, in un secondo tempo, analizzare questi nomi nella lingua aramaica nella quale i soprannomi partigiani risultano evidenti. 

giovedì 1 gennaio 2015

La mondanizzazione del clero (Parte terza) 193

Nel IV secolo il Padre della Chiesa Gerolamo, parlando delle persone del suo ceto, dice: «Tutta la loro cura è rivolta agli abiti, al buon profumo, a che i loro piedi non siano rigonfi sotto una nitida cute. I capelli sono arricciati, le dita scintillano d’anelli, e affinché le piante dei piedi non vengano bagnate dall’umidità della strada, la sfiorano appena con le punte» (Hieron., ep. 18 ad Eustochium).


In questo periodo la carriera ecclesiastica si fa sempre più rapida e talora fulminea. Il Sinodo di Serdica (343), infatti, esige dal vescovo il possesso di un
certo patrimonio; chi lo possedeva era in condizione di compiere rapidi avanzamen-
ti, direttamente proporzionali alla dimensione della ricchezza, come il padre di Gre-
gorio di Nazianzio, ricco aristocratico di Cappadocia. Ambrogio (nato intorno al
333), rampollo della illustrissima schiatta romana degli Aureli e titolare di un’alta
carica statale a Milano, fu fatto vescovo della città otto giorni dopo il suo battesimo, nonostante del cristianesimo non avesse nemmeno le nozioni più elementari. Ma in compenso era in grado, come pochi altri, di influenzare gli imperatori; il che era molto più importante.

In seguito le carriere ecclesiastiche diventarono più fulminee grazie al potere di chi le ambiva. Nell’VIII secolo Costantino II, che sedette sul soglio di Pietro per tredici

mesi, da laico fu fatto papa in appena sei giorni. A Leone VIII (963-964) bastò soltanto un giorno: un vero e proprio record!

Sant'Ambrogio


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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)