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martedì 29 settembre 2015

87 “L'invenzione del cristianesimo” - Parte sesta. Le reliquie (Parte prima)

Dove però la religione cattolica raggiunge il top della credulità demenziale e della superstizione più morbosa, arrivando al feticismo necrofilo, è nella venerazione delle reliquie. Per quanto la vostra immaginazione sia fervida, mai potrà uguagliare le assurdità che troverete in queste pagine.
Le reliquie sono sempre state, e sono tuttora per la Chiesa, un colossale business e i santuari che ospitano quelle più venerate sono stati, da sempre, importanti mete di pellegrinaggi. Molte chiese sono nate proprio per contene le reliquie di qualche santo, come le quattro basiliche fatte costruire a Milano da Sant'Ambrogio.
Siccome la maggior parte dei credenti ha più fiducia nei santi e nella Madonna che nel Padre Eterno, troppo lontano dai loro problemi quotidiani, quando vogliono chiedere una grazia si rivolgono al loro santo preferito nel luogo in cui si conservano le sue reliquie, come a San Gennaro a Napoli, a Sant'Antonio a Padova o a San Nicola a Bari.
Solo che la credulità infantile della stragrande maggioranza della popolazione ha accettato senza remore una quantità sterminata di pseudo reliquie, prodotte da mitomani e da lestofanti e strumentalizzate per fini pietistici ed economici dagli ecclesiastici senza scrupoli, che non solo sono prive di ogni pur minima autenticità ma addirittura al di là di ogni razionalità.
Quello che fa specie è che queste inverosimili reliquie sono state oggetto di venerazione non solo da parte della popolazione ingenua e sprovveduta ma anche di papi e regnanti.
Pensate che a Costantinopoli, prima della caduta della città in mano ai turchi, erano oggetto di venerazione da parte del popolo, del patriarca e dell'imperatore, le reliquie più inverosimili dell'Antico Testamento, come l'ascia usata da Noè per la costruzione dell'Arca, il trono di Salomone, la verga di Mosè, le tavole della legge e frammenti dell'Arca dell'alleanza.
Ma altrettanto incredibili e mirabolanti risultano le reliquie riferite a Gesù e alla sua passione e crocifissione, ancor oggi venerate nel mondo cattolico. Prima di farne una carrellata esemplificativa, spieghiamo perché nessuna di esse può vantare una minima attendibilità.
Gli Atti degli Apostoli, che descrivono il cristianesimo delle origini, non fanno alcun accenno a possibili reliquie riferite alla vita e alla morte di Gesù, a Maria e agli apostoli. Anzi, ci danno netta la sensazione dell'assoluta indifferenza generale a questo riguardo. Anche perché non se ne sentiva la necessità, visto che tutti ritenevano imminente il ritorno di Gesù dal cielo in carne e ossa.
Lo stesso Paolo, che pur diede inizio alla deificazione di Gesù, nelle sue Lettere mai manifestò il minimo interesse a questo proposito. Quindi al tempo degli apostoli nessuna reliquia riferita a Gesù o alla Madonna era conosciuta e tanto meno oggetto di venerazione. Come mai allora successivamente, specie dal IV secolo in poi, il mondo cristiano fu invaso da ampolle di sangue di Cristo, da frammenti della sua croce e della corona di spine e via discorrendo? Tutte colossali bufale inventate in un tempo in cui la credulità era diffusa a tutti i livelli e mancava un qualsiasi criterio che stabilisse l'autenticità di quanto si affermava. Ma c'è un'altra considerazione importante da fare.
Nelle due Guerre Giudaiche del 70 e del 135 d.C. Gerusalemme, e gran parte della Palestina, furono saccheggiate e rase al suolo per ben due volte dall’esercito romano. Nel 135 l’imperatore Adriano, di fronte all’ennesima rivolta degli ebrei contro i romani, decise di risolvere il problema alla radice. Ordinò di cancellare a Gerusalemme e nella Palestina ogni traccia che si riferisse all’ebraismo e al cristianesimo. Quindi fece spianare il Golgota, sconvolse radicalmente ogni aspetto della vecchia città santa, e sulle rovine del Tempio fece erigere, come suprema profanazione, un tempio pagano con le statue di Giove Capitolino e di altre divinità.
Ciò determinò la radicale cancellazione di tutti i monumenti e gli oggetti religiosi ebraici e cristiani. Quindi gli attuali riferimenti ai luoghi santi (ad esempio il Santo Sepolcro individuato da Elena, madre di Costantino, e la Basilica dell’Annunciazione a Nazareth) e alle reliquie relative, sono inattendibili sotto ogni punto di vista (alla luce anche delle successive stratificazioni apportate dai musulmani nel lungo periodo della loro dominazione). Furono inventati, assieme all’ubicazione della città di Nazareth, da Sant'Elena, madre di Costantino, e dai crociati nel Medioevo.
Ciò premesso, diamo un'occhiata alle più inverosimili e assurde reliquie cristiane che risalgono al cristianesimo primitivo.
Cominciamo con la croce su cui fu crocifisso Gesù e che Sant'Elena affermò di aver trovato coi tre chiodi e il titulum (cioè la targa), dopo quattro secoli dalla crocifissione, sotto un tempio pagano fatto costruire da Adriano sul Golgota spianato. Vi sembra verosimile una cosa del genere?
Questa presunta croce, dopo inverosimili vicende, fu divisa in tanti frammenti (conservati in molte basiliche) che messi insieme, come ironicamente affermava Erasmo da Rotterdam, potrebbero costruire una nave. I tre chiodi (gli unici salvatisi su migliaia di crocifissioni, per i babbei) furono considerati reliquie di inestimabile valore. Uno venne fuso nell'elmo di Costantino, un altro nel morso del suo cavallo (conservato nel Duomo di Milano) e il terzo si trova tuttora nella Chiesa di Santa Croce in Gerusalemme a Roma. Nessun storico serio dà il minimo credito a tali rinvenimenti ma li rilega a pura leggenda.
Sulla scia della santa croce pullularono in breve tempo miriadi di reliquie, una più assurda dell'altra (ma tuttora considerate oggetto di culto per la Chiesa): la corona di spine, conservata nella Sainte Chapelle di Parigi, la colonna della flagellazione (Chiesa di Santa Pressede a Roma), la pietra sulla quale fu deposto il corpo di Cristo (Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme), due scale servite per la deposizione (una a Roma in Laterano e l'altra a Gerusalemme), la sacra lancia che colpì il costato di Gesù (Vienna), il sangue di Gesù scaturito dalla ferita del costato (Cattedrale di Mantova), una trentina di sudari in cui fu avvolto il corpo di Cristo nella sepoltura, il più importante dei quali, la Sacra Sindone, conservata a Torino, viene datata al XIV secolo col metodo del carbonio 14, effettuato in tre laboratori tra loro indipendenti.  

venerdì 25 settembre 2015

86- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte sesta. Gli pseudomiracoli

I miracoli sono un'altra colossale bufala che la Chiesa ha sempre strumentalizzato, calcando la credulità delle masse ingenue e superstiziose. Al giorno d’oggi essi sono ovviamente in declino, rispetto ai tempi antichi, perché la gente si è fatta più smaliziata. La Chiesa, però, persiste a farli credere, anzi li esige quando vuole santificare qualcuno. Ma gli scienziati, e tutte le persone dotate di un minimo di razionalità, li negano recisamente e spiegano con chiarezza i motivi della loro inesistenza.
Tutti i miracoli di cui siamo a conoscenza, come oggi comincia a spigare la biologia epigenetica in concomitanza con la fisica quantistica, sono determinati dalla nostra psiche che è ancora un enorme mistero ma che, quando l'avremo definitivamente esplorata, ci riserverà delle immense sorprese. Così potremo comprendere come può fare ammalare il corpo, ma anche, in taluni casi, come riesce a determinare guarigioni miracolose, sempre però riferite all'ambito della psicosomaticità.Tutti i cosiddetti miracoli, quindi, sono esclusivamente di natura psicosomatica. La prova? La ricrescita di una arto perduto o la guarigione della sindrome di Down, veri miracoli non psicosomatici che violerebbero le leggi naturali ordinarie, mai si sono verificati. Per un Dio onnipotente guarire uno storpio o far ricrescere una gamba dovrebbe essere la stessa cosa. O no? Come mai allora questo non è mai accaduto e nemmeno che un bambino down sia guarito dalla sua sindrome?
Le remissioni spontanee dei tumori e di altre malattie gravissime, date per inspiegabili dai medici e quindi ritenute miracolose, che sono dell’ordine di una su diecimila, secondo i dati scientifici, possono avvenire scatenando nella nostra psiche una "corrente guaritrice" che anche i medici riconoscono, senza poterla esattamente definire.
Essa può essere determinata da vari fattori, come ad esempio, una forte emozione di tipo religioso, o le suggestioni impartite da un guru carismatico, o una potentissima carica emotiva occasionale. Queste remissioni rientrano nel novero delle leggi della natura e solo gli ingenui le attribuiscono a Dio. Concludendo, i cosiddetti miracoli sono attribuibili a reazione psicosomatica, oppure a frode o a giochi di prestigio.
Tra i miracoli possiamo ascrivere anche le apparizioni di Madonne e santi, così frequenti in passato e purtroppo anche ai nostri giorni. Dobbiamo chiederci a questo riguardo: perché le Madonne-patacca appaiono solo ed esclusivamente nei Paesi cattolici e mai in quelli protestanti e tanto meno nei Paesi non cristiani e, infine, perché appaiono sempre a bambini analfabeti, caratterizzati da una forte condizione di arretratezza culturale, sociale e religiosa, e mai a gente colta e dotata di una certa apertura mentale?
Inoltre, perché i contenuti di fede di questa apparizioni sono sempre di una banalità e ovvietà sconcertanti? I segreti di Fatima si sono rivelati di nessunissima rilevanza e a Medjugorje la Madonna, oltre a vietare di bere e fumare, per poco non si è fatta promotrice di una dieta di bellezza. Una cosa è certa, le apparizioni, oltre ad incrementare la superstizione morbosa del popolino, si traducono spesso in un grosso business economico, perché determinano un lucroso indotto commerciale nelle zone arretrate in cui avvengono e per la Chiesa che lo gestisce. Secondo gli studiosi di statistica le guarigioni miracolose che avvengono nei santuari, tipo Lourdes, in cui affluiscono milioni di ingenui pellegrini, sono molto inferiori (una su oltre un milione di pellegrini) rispetto quelle che avvengono spontaneamente (una su diecimila ammalati) al di fuori di essi.
Quindi, osserva ironicamente il matematico Piergiorgio Odifreddi, a un malato che dispera della guarigione converrebbe cento volte di più starsene a casa che fare un pellegrinaggio a Lourdes, oltre tutto faticosissimo.
Altrettanto ironicamente lo scrittore francese Anatole France, in visita al santuario dei Pirenei osservò: «Vedo molte stampelle, ma nessuna gamba di legno», cioè molti pseudomiracoli e nessun miracolo vero.

giovedì 24 settembre 2015

L'eucaristia deriva dagli antichi riti del cannibalismo rituale. 229

Tutte le religioni antiche, nella loro primitiva formulazione, si basavano sul convincimento che l'uomo poteva unirsi col suo dio mangiandolo e bevendolo per ottenere le sue energie soprannaturali, seguendo un rituale preciso. Anche nelle forme cultuali più rozze i teologi moderni hanno saputo scorgere una sorta di anticipazione dei misteri cristiani, non escludendo nemmeno l’antropofagia, un tempo diffusa in tutto il mondo.

In effetti i cannibali, che hanno fatto il loro ingresso nella storia in un’epoca già evoluta dello sviluppo del concetto di religione, di regola divoravano membra umane non per sete di vendetta o per istinto ferino, ma perché erano convinti di acquistare le particolari energie fisiche e spirituali della vittima, come quei selvaggi che credono di impadronirsi della forza di un orso, mangiandone le carni.

Fin dai primi tempi i dell’antico Egitto si mangiavano gli dei per conquistare vita e forza, come dimostra inequivocabilmente l’inno cannibalesco che illustra l’ingresso del defunto re Unas, come leggiamo in una delle più celebri iscrizioni delle piramidi egizie:

«I suoi servitori hanno catturato gli Dei con le sagole (corde di canapa), li hanno trovati buoni, li hanno trascinati via, li hanno legati, li hanno sgozzati e ne hanno tratto fuori le interiora, le hanno tagliate e le hanno cotte in pentole ribollenti. E il Re divora la loro forza e mangia le loro anime. I grandi Dei sono la sua colazione, i mediocri il suo pranzo, i piccoli la sua cena Il Re divora tutto quel che gli capita. Avidamente tutto inghiotte e la sua forza magica diviene più grande di ogni forza magica. Egli diventa erede della potenza, il più grande di tutti gli eredi, e diventa il Signore del cielo; egli ha mangiato tutte le corone e tutti i bracciali, egli ha mangiato la sapienza di tutti gli Dei».
Successivamente, con lo scemare dell'istinto cannibalesco, al posto del dio si è mangiato per lungo tempo il corrispettivo dio-animale (agnello, toro o pesce) e, infine, quasi tutte le religioni, si sono orientate a celebrare la comunione sacrale usando soltanto il pane e il vino.

Presso gli antichi greci l’idea di un pasto celeste, in grado di procurare la vita eterna, risale a Omero. Nel mito di Dioniso i Titani fanno a pezzi il divin bambino, divorandone le membra, e nel suo culto venivano uccisi un capriolo e un capretto, poi divorati come carne del dio. Il pasto sacro nella religione di Attis era già costituito, però, da pane e da vino.

I sacerdoti siriaci,invece,mangiavano la divinità, nutrendosi di pesci. In seguito il pesce, contrassegno mistico di misteri pagani ampiamente diffusi, divenne il simbolo del più sacro mistero cristiano, cioè dell’eucaristia, che fu quindi «il vero mistero del pesce», «l’unico pesce puro».


E per l’appunto l’assunzione del pesce come simbolo cultuale ebbe luogo dapprima proprio ad opera dei cristiani di Siria, dove la venerazione dei pesci era diffusissima. Il termine greco per indicare il pesce, Ichthys, costituì l’acrostico della definizione del Cristo come «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore» (Jesous Christos THeou Yios Sotér). 

Simbolo eucaristico


martedì 22 settembre 2015

85- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte sesta. Il degrado della donna a creatura volgare e carnale.

Paolo considerava la fornicazione il peccato per antonomasia per cui l'ascetismo da lui imposto aborrì il sesso e degradò la donna , con marcato disprezzo, a volgare entità sessuale, ignorando la grande considerazione che Gesù aveva nutrito per le molte discepole che lo accompagnavano nei villaggi della Galilea.
Per di più, l'affermazione di Paolo che la caduta del primo uomo Adamo doveva essere attribuita ad Eva, accrebbe il dileggio nei suoi confronti, al punto che Tertulliano, dottore della Chiesa, scrisse con palese acredine: “A causa tua (Eva, donna) il Figlio di Dio dovette morire. Tu dovresti sempre essere vestita a lutto con stracci”. Ecco perché nella Chiesa, fin dai primi secoli, la donna è stata considerata inferiore all'uomo e vista come una creatura volgare, carnale e seduttrice. È Eva, la peccatrice per antonomasia (Tertulliano, De exhortatione castitatis 9,10).
La misoginia di Paolo viene sottolineata nelle sue Lettere in più occasioni. "Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia" (Timoteo 2,12).
Tutti i grandi dottori della Chiesa abbracciarono in pieno la misoginia paolina e furono concordi nell'affermare che la donna doveva servire solo alla propagazione della specie. Ma per altro, secondo le farneticazioni di Tommaso d'Aquino, anche in questo ruolo essa trascinava in basso dalla sua sublime altezza l’anima dell’uomo, portando il suo corpo in «una schiavitù più amara di qualsiasi altra».
Le affermazioni di questi sommi dottori riguardo all'inferiorità della donna arrivano alla pura demenzialità. Alberto Magno affermava con sicumerica supponenza che dovrebbero essere generate solo persone perfette, cioè uomini. Tuttavia, «affinché l’opera della natura non vada completamente distrutta, essa plasma un essere femminile». La qual cosa poteva dipendere da una «corruptio instrumenti», vale a dire da una errata operazione del sesso maschile. Quindi, secondo lui, anche la Madonna, idolatrata dai cristiani come madre di Dio, sarebbe nata per una carenza funzionale del pene di suo padre Gioacchino.
Un altro grande misogino e sessuofobo fu sant'Agostino per il quale solo «Cristo fu concepito senza piacere carnale, esente dalla macchia derivante dal peccato originale», mentre tutti noi veniamo al mondo con una natura decaduta. Da notare che fino ai trent'anni Agostino condusse una vita tutt'altro che morigerata, anzi decisamente peccaminosa, accompagnandosi con più donne e perfino con bambine. Oggi sarebbe stato giudicato un pedofilo. Dopo la conversione, però, arrivò a disprezzare la donna a tal punto da definirla, demenzialmente, un essere inferiore, creato da Dio non a sua immagine e somiglianza (mulier non est facta ad imaginem Dei).
Non solo aborriva il sesso ma anche il matrimonio in quanto lo considerava, spregiativamente, il veicolo di trasmissione del peccato originale. Scrisse: «Mariti, vogliate bene alle vostre mogli, ma amatele nella castità (sic). Insistete nelle opere della carne nella misura in cui è necessario per la procreazione. Dal momento che non è possibile generare figli in altro modo, dovete vostro malgrado, degradarvi perché è questa la punizione di Adamo».
Quindi il sesso è aborrito come piacere e visto soltanto come degradato dovere procreativo. A lui risale la condanna dei metodi di contraccezione che oggi la Chiesa, che ha fatto suoi tutti gli insegnamenti di Agostino, equipara ad autentici omicidi. Agostino li definiva «veleni della sterilità» e considerava le donne che ne facevano uso come le «meretrici dei propri mariti».
Sulla scia di Paolo e di Agostino per quasi venti secoli la donna è stata dileggiata da dottori e teologi in mille modi: «porta del diavolo» (Tertulliano), «male di natura» (Giovanni Crisostomo), «insaziabile» di piacere (Girolamo), «di mente instabile» (Gregorio I), «sacco di escrementi» (Odo, abate di Cluny), «una sorta di inferno» (Pio II), «osso in soprannumero» (Bossuet), arrivando, in casi estremi, a negare perfino che possedesse l'anima. Solo, infatti, nel Concilio di Trento le fu apertamente riconosciuto di possederla. Ecco perché nel Medioevo la donna «non aveva nessuna autorità, non poteva insegnare, né testimoniare … né giudicare» (Decretum Gratiani, XII sec.) e nemmeno accostarsi «ai sacri altari» (papa Gelasio). Fino al XX secolo le fu vietato perfino di “servire” messa o cantare in chiesa (motivo quest’ultimo per cui dal Cinquecento, avendo bisogno di voci bianche, si ricorse alla castrazione).
La pretesa inferiorità della donna, perdurata nella dottrina della Chiesa fino al XX secolo, servì a giustificare non solo la sua estromissione dal sacerdozio ma anche la sua totale sottomissione all'uomo. Per Leone XIII «il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie» (Arcanum divinae). Per Pio XI «l’ordine dell’amore» richiede «da una parte la superiorità del marito sopra la moglie ed i figli, e dall’altra la pronta sottomissione e ubbidienza della moglie» (Casti connubii, 1930).
Solo a partire dal Vaticano II, grazie anche all’influenza del movimento femminista, cominciò a essere posta in discussione la  misoginia cattolica. Ma soltanto a parole. Infatti, anche se il Catechismo della Chiesa (1992) afferma la parità dei sessi, negando l’idea paolina che solo l’uomo sia “immagine di Dio”, la Chiesa, non non ha mai voluto riconoscere di aver discriminato la donna per venti secoli e ancor meno ha voluto trarre le conseguenze del suo nuovo orientamento.
Ancor oggi, infatti, continua a negare alla donna l'accesso al sacerdozio con motivazioni infantili e persiste nel suo anti-femminismo medievale.
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venerdì 18 settembre 2015

84- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte sesta. L'ascetismo (Parte seconda)

Una mortificazione così drastica e assoluta degli istinti più naturali e, soprattutto, la demonizzazione e repressione del sesso, rendevano gli asceti continuamente ossessionati da pensieri perversi e lascivi. Infatti tutti costoro erano incessantemente tentati dal sesso, identificato con Satana, e vivevano tra continui tormenti. Santa Teresa d’Avila confessava che di continuo ogni vizio era in lei risvegliato, ed era talmente ossessionata dal sesso che spesso, in presa ad un isterismo orgasmico, scambiava i suoi deliranti amplessi con Gesù per autentici rapimenti mistici. Anche Santa Caterina da Siena si dichiarava perseguitata da intere schiere di demoni, che lussuriavano nella sua cella e persino in chiesa.
San Girolamo, autore della Vulgata (la Bibbia tradotta in latino), dottore e Padre della Chiesa, confessava che, pur vivendo tra bestie e scorpioni, era continuamente tormentato da visioni di belle fanciulle danzanti che lo tentavano. «Il mio volto era pallido per il digiuno, ma nel corpo freddo lo spirito ardeva di caldissime brame, e nella fantasia di un uomo, la cui carne era da lungo tempo pressoché morta, ribolliva ancora il fuoco di maligne libidini».
Ma chi fu ad introdurre nel cristianesimo questa forma aberrante e psicotica di penitenza? Non Gesù, che non l’ha né predicata né praticata. Nei Vangeli non ne troviamo traccia. Anzi leggiamo che i farisei lo trattavano da gaudente perché ignorava i digiuni e partecipava con gioia ai banchetti. E allora?
È stato Paolo di Tarso, il San Paolo della Chiesa. Nelle sue Lettere, come abbiamo già riferito, egli si scaglia con delirio contro il corpo, da lui chiamato la “carne”, considerato la sede del peccato, e impone al cristiano di «spossare e asservire il corpo», di «ucciderlo» (1 Cor. 9,27; Galati, 5,24; Romani, 8,13; Colossesi 3,5), in quanto esso è un «corpo di morte» e «odio contro Dio» (Romani, 7,18; 7,24; 8,6 sgg.
Dobbiamo solo a lui l’introduzione nel cristianesimo, di cui è l’assoluto inventore, di questa forma disumana e mostruosa di rinuncia alle gioie della vita e ai sani istinti del corpo. Le turpitudini che egli attribuisce all'uomo sono infinite: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissenso, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezza, orge e così via (Galai 5, 19-21), tali da renderlo più malvagio degli animali allo stato brado.
Quindi la vita del cristiano, per contrastare la sua degradazione, doveva incentrarsi nell’ascesi. La Chiesa, fin dalle sue origini, ha accettato in pieno queste sue aberrazioni e ha considerato l'uomo il più infimo degli esseri viventi, un verme immorale e degradato, perennemente in preda alle nefandezze più perniciose e incapace da solo di perseguire la salvezza. Ecco perché per i Padri e Dottori della Chiesa (Basilio, Gregorio di Nissa, Lattanzio, Origene, Tertulliano e così via) il mondo andava inteso come una valle di lacrime e la vita terrena un “letamaio”. Si doveva sempre vivere nel lutto e nella penitenza, vestiti di stracci e coi capelli incolti. Lo scopo di tutta questa macerante penitenza, con la rinuncia a tutto quanto la vita può offrire di bello, buono, sano, utile e dilettevole? La beatitudine eterna nell’aldilà. Quale aldilà? Quello utopico, chimerico, creato da una favola infantile e che nessuno ha mai visto e dal quale nessuno ci è mai venuto a informare. Una bufala mostruosa, quindi, che magnificando un mondo fittizio ci impedisce il pieno godimento di quello reale. Oggi, nell'era del secolarismo e consumismo imperanti, nel mondo cattolico l'ascetismo è passato di moda e la massa ne ignota l'esistenza. Ma la Chiesa persegue nella sua malsana visione di intendere l'uomo un essere degradato e peccaminoso che deve, dal momento del concepimento a quello dell'inumazione, ritenersi totalmente sottoposto alla sua autorità in quanto incapace di godere di libertà e di autodeterminazione. Ecco perché essa, sempre nemica implacabile della felicità umana, vieta tutte le gioie che esprimono i veri valori della vita.



giovedì 17 settembre 2015

L'eucaristia non è stata inventata da Gesù ma da Paolo di Tarso. 228

Secondo i Vangeli sinottici l'eucaristia fu istituita da Gesù durante l'ultima cena, ma secondo il Vangelo di Giovanni, molto posteriore ai sinottici ma più ricco di particolari su quell'avvenimento (ad esempio la lavanda dei piedi, ignorata dagli altri tre evangelisti), di essa non c'è traccia.

Se teniamo presente che la prima descrizione dell'istituzione dell'eucarestia non la troviamo nei Vangeli ma in una Lettera di Paolo di Tarso (1 Cor. 11, 23 sgg.) che li precede di qualche decennio e che questa istituzione viene riportata dai i sinottici con le esatte parole descritte nella Lettera paolina, ne deriva la certezza assoluta che il vero inventore dell'eucarestia non è stato Gesù ma lo stesso Paolo che la plagiò dalle religioni misteriche che ben conosceva.

In questa Lettera, infatti, che rientra nei primi documenti del Nuovo Testamento, Paolo di Tarso, che mai conobbe Gesù, ci narra come durante una visione celeste (cioè durante un attacco epilettico cui andava soggetto e che, secondo la medicina attuale, può spesso determinare intense esperienze mistiche) vide Gesù, nella notte in cui veniva tradito, che prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse agli apostoli: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (1 Corinzi 11, 23-26).

Ma nei sinottici l'ordine istitutivo che conferisce a questo pasto sacro il carattere di sacramento sempre ripetibile e da ripetere, non è riferito né da Marco né da Matteo, ma solo da Luca (il più paolino degli evangelisti), e riguarda soltanto lo spezzamento del pane. Di esso però non ve n’é traccia nei vari manoscritti antichi dello stesso Vangelo di Luca: si trova esclusivamente in un testo modificato e accomodato, molto più tardo degli altri.

È lapalissiano che mancando le parole: «Fate questo in memoria di me!» non si può sostenere l’istituzione dell’eucaristia. Solo quella formulazione, infatti, la trasforma in un sacramento. E dunque la reiterazione dell’atto sacramentale è affermata nel Vangelo di Luca, nel quale soltanto esiste un riferimento esplicito sia al pane che al vino, sulla scorta dei seguaci di Paolo che l'hanno aggiunta posteriormente.

A dimostrazione che l'eucaristia è un'assoluta invenzione paolina lo deduciamo anche dal fatto che era totalmente ignorata dagli apostoli, non essendo mai stata praticata da loro, e che presso gli ebrei la teofagia (cioè cibarsi anche simbolicamente della carne di un dio) era assolutamente blasfema, da punire con la lapidazione


Paolo di Tarso


martedì 15 settembre 2015

83- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte sesta. L'ascetismo. (Parte prima)

Tutte le religioni, nate dalla parte più irrazionale dell'uomo, sono impregnate di perversioni e di superstizioni che generano orripilanti obbrobri. Ma di esse è il il cristianesimo che ha saputo elaborare, più di ogni altra religione, queste forme ignominiose che rasentano in molti casi la demenzialità. Eppure, milioni di cristiani, specialmente cattolici, accettano queste mostruosità senza avvertire né il ridicolo, né l'assurdo, tanto profondo è il plagio cui sono stati sottoposti, fin dalla prima infanzia.
Cominceremo ad analizzare questi obbrobri dall'ascetismo, vera e propria follia auto-punitrice che nel passato, specie nel Medioevo, ha tormentato milioni di cristiani; poi tratteremo degli pseudo-miracoli, falsamente attribuiti alla onnipotenza divina, e, infine, del culto delle reliquie che segna il culmine del feticismo, della superstizione e della necrofilia.
La parola ascetismo (dal greco áskesis: esercizio, allenamento), era in origine riferita all’ambito atletico, inteso come irrobustimento del corpo. Ma con Platone questo termine mutò completamente significato, e con un totale capovolgimento semantico prese ad indicare il ferreo dominio delle passioni, la mortificazione del corpo, la rinuncia ad ogni forma di mondanità e di gioia di vivere.
Nella Chiesa primitiva, e per tutto il Medioevo, la fuga dal mondo, l’astinenza, la rinuncia ai sensi e alla corporeità, la mortificazione più ossessiva, una vita ininterrotta di penitenza e di pensieri fissati sul mea culpa, erano l’imperativo categorico non solo di molti ecclesiastici ma anche del popolo minuto. San Basilio, dottore della Chiesa, proibiva ai cristiani qualsiasi divertimento, anzi persino il riso e le gioie più innocenti della vita. San Gregorio di Nissa paragonava l’intera esistenza umana ad un “letamaio” e considerava peccaminoso anche odorare il profumo di un fiore o contemplare la bellezza di un tramonto.
Per tutto il Medioevo cristiano l’ideale più elevato, inteso come precetto divino, era un’esistenza ostile al corpo e agli istinti naturali, anche più comuni e sani, come il nutrirsi e le pratiche di erotismo. Anzi, tutto quanto apparteneva al sesso, era considerato peccaminoso in sommo grado. Mentre era considerato santo ciò che patologicamente rinnegava ogni forma di piacere: l’astinenza, i lunghi digiuni, i torrenti di lacrime, la sporcizia, la veglia forzata, e tutti gli eccessi masochistici della fustigazione. In altre parole: la rinuncia totale ad ogni gioia di vivere e la demonizzazione del corpo. Per molti storici l’Europa medievale assomigliava quasi a un enorme manicomio. Il disprezzo del corpo, «considerato un immondezzaio, qualcosa che ti fa schifo al solo pensarci» secondo Giovanni d’Avila, dottore e santo della Chiesa, era tale che innumerevoli monaci lo trascuravano completamente, lasciandolo denutrito, sporco e irsuto. San Francesco addirittura considerava come fratelli i pidocchi, compiacendosi di averne in grande abbondanza per il corpo.
Dalle cronache del tempo sappiamo che, nel Medioevo. tutti si lavavano poco, ma che gli asceti erano inavvicinabili per il fetore che emanavano. Non solo loro, ma anche i grandi ecclesiastici, non si lavavano mai per non dover toccare le loro parti intime, da loro dette le “pudenda”, durante il bagno, e cadere in tentazione.
Santa Caterina da Siena insegnava, infatti, che i lavamenti del corpo non erano propri della sposa di Cristo (il quale, durante gli amplessi mistici, doveva turarsi il naso). Naturalmente usavano anche poco forbici e rasoi per cui avevano l'aspetto dei nostri barboni. Tanto erano puliti e curati i pagani antichi, tanto erano sporchi e irsuti i cristiani di tendenza ascetica.
In un contesto simile la donna era vista come una tentazione, il mondo come una valle di lacrime e la vita come una perenne mortificazione. Gli storici ci raccontano che, nei primi secoli del cristianesimo, molti monaci ed eremiti che vivevano in Siria e in Mesopotamia, erano nudi o vestiti di stacci e si nutrivano esclusivamente brucando l’erba, come ci racconta lo storico Sozomeno (Storia della Chiesa 7,15).
In Etiopia, gli eremiti del territorio di Chimezana erano diventati così concorrenti con le capre del luogo che i pastori si videro costretti a ricacciarli nelle loro spelonche, dove morirono di fame. Sappiamo che nel VI secolo un anacoreta, che viveva presso il Giordano, era da tutti conosciuto come Pietro il Pascolatore e che Apa Sofroniade, un altro anacoreta dello stesso periodo, brucò per settant’anni, nudo, sulle rive del Mar Morto.
Ma ci sono testimonianze di un ascetismo inimmaginabile che ci riempiono di orrore e di ribrezzo. Ecco alcuni esempi.
Santa Margherita Alacoque, vissuta nel XVII secolo, nella sua autobiografia ci narra che, per penitenza, beveva, con somma sua delizia, soltanto l’acqua usata nel lavaggio dei panni sporchi, mangiava pane ammuffito e non disdegnava le feci degli ammalati di diarrea. Fu fatta santa da papa Pio IX, forse come protettrice dei coprofagi. Un’altra santa, Sant’Angela di Foligno (XIII secolo) beveva l’acqua con la quale aveva lavato i lebbrosi. Santa Caterina da Genova (XVI secolo) leccava con la sua lingua la sporcizia dagli abiti dei poveri, inghiottendo sterco e pidocchi. Più che di asceti, qui siamo di fronte a degli psicotici demenziali."L'invenzione del cristianesimo " ebook € 1,99 (store: Amazon, LaFeltrinelli, Kobo, Internet Bookshop Italia, Bookrepublic Store, etc...)


venerdì 11 settembre 2015

82- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte quinta. Il papato. 2

Un vero mandrillo fu anche papa Alessandro VI Borgia (1492-1503). Padre di quattro figli, diede il cappello cardinalizio a cinque suoi parenti, tutti di pessima fama, tra i quali il diciottenne figlio Cesare, ed ebbe una relazione incestuosa con la figlia Lucrezia. Con somma spudoratezza fece dipingere da Pinturicchio la bella Giulia Farnese, sua amante e sorella del futuro papa Paolo III, come Madonna, e se stesso ai suoi piedi in pompa papale. Si può dire che quasi tutti i papi del tardo Medioevo e del Rinascimento vissero dediti a tutte le depravazioni sessuali, compresa la sodomia. Non era raro che i loro favoriti venissero eletti cardinali.
Giulio II, detto «il Terribile», perché comandava di persona gli eserciti armato di tutto punto e prometteva la remissione dei peccati a chiunque gli portasse recisa la testa di un nemico, aveva tre figlie dilettissime, ma era tormentato dalla sifilide, allora piuttosto diffusa, che lo condusse alla morte. Fu forse il più mecenate dei papi perché a lui dobbiamo, oltre a Villa Giulia, opere di Bramante, di Raffaello e la Cappella Sistina di Michelangelo.
Gli successe Leone X (figlio di Lorenzo il Magnifico), sodomita incallito, sotto il quale Roma raggiunse l’apogeo del suo splendore per il lusso sibaritico della corte papale. Amante della cultura classica, fondò l’università e protesse artisti, filosofi, scrittori e letterati. Per poter far fronte alle enormi spese della sua corte, la più raffinata d’Europa, dovette promuovere il commercio delle indulgenze che provocò la Riforma Protestante.
Ma accanto a questi papi, che possiamo definire splendidi e gaudenti, ce ne furono molti altri famosi per la loro efferata crudeltà. Uno di questi fu papa Innocenzo III (bel nome per un massacratore!), che scatenò due crociate sanguinosissime contro gli «eretici» Valdesi e Albigesi, e che a Simone di Montfort, condottiero della crociata contro gli Albigesi, che gli faceva osservare che non tutti gli abitanti del luogo erano eretici, anzi tra loro erano numerosi i cattolici ferventi, ordinò, senza esitazione, di uccidere tutti indistintamente, tanto Dio nell’aldilà, da padre buono e misericordioso, avrebbe saputo distinguere i suoi. Così solo a Béziers, nel luglio del 1209, furono massacrati circa 60.000 abitanti e la città fu data alle fiamme.
Un altro papa sanguinario fu Pio V che organizzò uno spaventoso massacro contro i valdesi di Calabria, durante il quale interi villaggi vennero incendiati e gli abitanti uccisi. Chi si pentiva e si confessava godeva del privilegio di essere impiccato, o sgozzato, o buttato giù da una torre; gli altri venivano bruciati vivi. Sotto di lui l’Inquisizione raggiunse il culmine. Con un nepotismo avido e senza scrupoli fece diventare la sua famiglia ricca e potente. Siccome in Francia, durante il suo pontificato, si combatteva una lotta durissima tra cattolici e protestanti, questo papa, nel congratularsi col re di Francia Filippo II per le stragi di Amiens e di Tolosa attuate da questo re contro gli eretici, gli scrisse evangelicamente: «Non mai pietà; sterminate chi si sottomette; e sterminate chi resiste; perseguitate a oltranza, uccidete, ardete, tutto vada a fuoco e a sangue purché sia vendicato il Signore». Naturalmente, con questi precedenti evangelici, nel Settecento fu fatto santo. Anche nel Medioevo tutti i condottieri che con stragi ed eccidi di massa avevano imposto il cristianesimo nel nord Europa, furono fatti santi.
Nel Concilio di Trento (1547) si impose la necessità di porre un freno all'immoralità dilagante di papi e dell'alto clero e di contenere il nepotismo. Ciò provocò l'instaurarsi nella Chiesa di costumi più morigerati e meno scandalosi, anche se spesso più apparenti che reali. Ma comportò un aumento disastroso della pratica della sodomia, piaga tuttora molto diffusa tra gli ecclesiastici.
I papi saliti agli altari negli ultimi nove secoli sono stati solo tre: Celestino V, Pio V e Pio X, a dimostrazione che la condotta della maggioranza di essi era stata poco virtuosa. Ma oggi che la tendenza a proclamare santi sta dilagando nella Chiesa (il papa polacco in un paio di decenni ne ha proclamati, tra santi e beati, oltre un migliaio) anche i papi sentono olezzo di santità.
Così papa Ratzinger ha affermato che il suo predecessore, Giovanni Paolo II, era provvisto di doti sovrannaturali, una specie di semi-Dio insomma. Infatti è stato proclamato beato poco dopo la morte, anche se molti lati oscuri del suo pontificato, come la copertura alla pedofilia pretesca, non lo consentivano. Perfino Pio XII, malgrado il suo assordante silenzio per lo sterminio degli ebrei sotto Hitler e l'accusa, da parte di molti storici, di segreta connivenza con gli antisemiti, è in odore di santità. La sua controversa proposta di beatificazione fa parte di un disegno apologetico globale, quello di arrivare ad una totale autoassoluzione della Chiesa.
In pratica, si vuole sbandierare al mondo che la Chiesa è infallibile, ha sempre ragione e non c'è nulla nella storia ecclesiastica che richieda un mea culpa, nemmeno la condotta immorale di moltissimi papi. Tanto più che ai nostri giorni il papa è diventato, tramite i media imperanti, una star mondiale che può bacchettare anche l'ONU. Il culto della sua persona sta ammantandosi di acquiescente latria a tutti i livelli, soprattutto in Italia, ove non c’è giorno che di lui non si parli alla televisione e sui giornali. Ma solo nel nostro Paese ogni esternazione papale si configura come un evento epocale.


giovedì 10 settembre 2015

Importanza dello sbattezzo. 227

A proposito dello sbattezzo qualcuno potrebbe obbiettare che è un gesto inutile, basta semplicemente fregarsene della Chiesa e fare i fatti propri. No. Essa si fa vanto dei milioni di battezzati millantando, ad esempio, che il 96 per cento della popolazione italiana è cattolica, e quindi giustifica le sue discriminazioni e le sue ingerenze a tutti i livelli dello Stato adducendo il numero dei battezzati.

Naturalmente nasconde il fatto che la stragrande maggioranza di essi si considera tale solo pro forma e se ne infischia dei suoi millantati valori non negoziabili. Infatti, appena una sempre più esigua minoranza della popolazione, e per di più costituita soprattutto da anziani, segue, almeno parzialmente, i precetti religiosi e le cerimonie di culto. Gli altri si limitano a partecipare a qualche rito di passaggio che ancora resiste, soprattutto alle esequie religiose.

Bisogna quindi sbugiardare questa istituzione ipocrita, retrograda, sessista, omofoba, sessuofobica, illiberale e antidemocratica che nega all'uomo ogni diritto alla libertà, alla dignità e alla felicità terrena, e che tanto danno arreca al nostro Paese e al mondo intero. Anche perché lo sbattezzo è di facile attuazione e di nessuna spesa.

Basta rivolgersi all'Uaar (www.uaar.it) scaricare il modulo, compilarlo e inviarlo con raccomandata alla parrocchia in cui si è stati battezzati. La parrocchia è obbligata a dare conferma della cancellazione dalla lista dei battezzati. Se nascono problemi l'Uaar dà gratuitamente il patrocinio legale. Non credenti e ostracizzati, diamoci quindi una mossa. Con lo sbattezzo possiamo limitare enormemente la tracotanza della Chiesa e il massiccio sfruttamento economico che essa impone al nostro Paese con l'otto per mille e infinite altre lucrose prebende.




martedì 8 settembre 2015

81- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte quinta. Il papato. 1

Secondo la Chiesa Cattolica il papato è di origine apostolica perché l'apostolo Pietro è stato il primo papa romano. Ma è una affermazione assolutamente priva di ogni fondamento storico, come abbiamo dimostrato in precedenza parlando della presunta collaborazione tra Pietro e Paolo. In realtà Pietro non è mai stato a Roma e i primi nove papi, rivendicati dalla Chiesa, non sono mai esistiti.
Nei primi quattro secoli i vescovi di Roma furono considerati alla pari degli altri e solo nel V secolo un decreto di Papa Gelasio I decretò l'istituzione del primato papale su tutti i vescovi della cristianità, basandosi su un passo di Matteo (16,18), considerato non autentico dall'esegesi storica perché aggiunto nel IV secolo. Quindi solo da allora si può ipotizzare l'istituzione del papato vero e proprio.
Il crollo dell'impero romano d'Occidente, determinato dalle invasioni barbariche, aveva provocato in Italia un vuoto politico e amministrativo che fu subito riempito dal vescovo di Roma divenuto, in breve, il più importante arbitro delle vicende religiose e politiche del nostro Pese e dell'intero Occidente.
Ciò gli consentì di imporre la sua autorità a tutti gli altri vescovi europei e di erigersi a capo indiscusso di gran parte della cristianità. Con Gregorio Magno ha avuto inizio anche il potere temporale del papato, che si costituì grazie alle donazioni del re longobardo Liutprando e dei re Franchi. Il papa diventò così contemporaneamente capo della Chiesa e capo di uno Stato, comprendente Roma e i territori limitrofi. Nel primo Medioevo era così cresciuto il potere religioso e politico del papa, che egli tentò di fare dell’Europa un vasto impero teocratico, sotto la sua dominazione. Pretendeva di nominare e deporre i re e gli imperatori. Quando vide fallire il suo tentativo, non esitò ad allearsi ai sovrani che aveva tentato di sottomettere, per favorire l'assolutismo politico e religioso più integrale. “Trono e altare, spada e croce”, era il suo motto.
Il papato impose allora agli Stati europei di perseguitare con rigore i delitti d’opinione, qualificandoli come eresia, ricorrendo alla scomunica che comportava la prigione, la confisca dei beni e la pena di morte. Da allora la Chiesa si è trasformata in un'istituzione oscurantista e oppressiva che non si è limitata soltanto ad imporre il suo controllo sull'ortodossia della fede, ma ha voluto condizionare ogni libertà di pensiero, di coscienza e di parola dei singoli individui e controllare tutto lo scibile fino allora conosciuto, per trasmetterlo, solo e in quanto conforme alla sua dottrina.
Col potere temporale e con l'imposizione di gravosi tributi a tutto l'Occidente la Chiesa accumulò enormi ricchezze e Roma divenne per molti secoli il centro più importante dell'Occidente sotto l'aspetto mondano e artistico.
A causa dell'enorme potere che consentiva la carica papale, questa fu per molti secoli oggetto di enormi e smodati appetiti e ingenerò imbrogli, intimidazioni e violenza sia da parte dei nobili romani, che per alcuni secoli ne condizionarono pesantemente l'elezione, sia da parte degli ecclesiastici, spesso moralmente indegni, che l'ambivano.
Abbiamo avuto quindi molti papi (la maggioranza) tutt'altro che pii e apostolici, passati quindi alla storia come miscredenti, lussuriosi, crudeli, depravati e rotti ad ogni turpitudine. Caratteristica comune a tutti, buoni e cattivi, è stata, ed è tuttora, la guerra ad oltranza ad ogni anelito di libertà di pensiero, di parola, di ricerca scientifica, di evoluzione sociale e di libertà politica. Tutti i papi, nessuno escluso, hanno rifiutato anche la più parziale concessione di queste libertà, anzi le hanno sempre ferocemente contrastate, ricorrendo ad ogni mezzo (scomuniche, carcere, condanne a morte, roghi) e appoggiandosi al braccio secolare (i sovrani assoluti) per impedirle.
Quando, nei tempi recenti, hanno dovuto accettare la nascita della democrazia, lo hanno fatto obtorto collo, sempre auspicando il ritorno delle dittature di tipo fascista (Mussolini, Franco, Salazar, Pinochet e Peron). Per cui il papato è sempre stato, e sempre sarà per la sua intrinseca vocazione teocratica, uno strumento di oscurantismo e di oppressione culturale, sociale e politica, come possiamo constatare al giorno d'oggi in Italia. In aggiunta a questa grossa remora, altre due pesanti fardelli hanno caratterizzato il papato nel passato e sono stati causa della corruzione e del degrado della Chiesa: la simonia (il commercio delle cariche ecclesiastiche) e il nepotismo.
Quest'ultimo ha determinato l'origine di gran parte della nobiltà romana, con l'assegnazione di titoli nobiliari, feudi e cospicue ricchezze da parte dei papi ai loro parenti. Spesso i nipoti mascheravano il fatto che erano i figli dello stesso papa. Il nepotismo, più o meno mascherato, è durato fino a papa Pacelli.
Illustrare, seppur sommariamente, tutti i papi, poco o niente degni dell’alta carica che ricoprirono, richiederebbe la stesura di alcuni volumi, mi limiterò, quindi, a citarne alcuni. tra i più noti alla storia. Nel secolo X la Roma papale fu a lungo dominata da donne scellerate e lussuriose, autentiche Messaline, che elessero e deposero i papi a loro piacimento. Una di queste, di nome Marozia, generò col papa Sergio III, miscredente e crapulone un figlio, da lui riconosciuto, che salì poi, appena sedicenne, al soglio pontificio col nome di Giovanni XI (931-936).
Un nipote di Marozia, Giovanni XII (955-963), che divenne papa a 18 anni, condusse una vita così depravata da essere accusato dall'imperatore Ottone e dal clero romano di ogni turpitudine: stupro, omosessualità, pedofilia e incesto, oltre che di innumerevoli delitti. Morì ammazzato in flagrante adulterio. Un altro discendente di Marozia, Benedetto IX (1032-1048),divenne papa in tenera età.
Secondo san Pier Damiani, suo contemporaneo, si coprì di ogni tipo di nefandezze arrivando al punto di sodomizzare gli animali e di mettere all'asta il pontificato per ben tre volte.
Papa Giovanni XXIII (oggi annoverato tra gli antipapi) (1410-1415), superò tutti i suoi predecessori in malvagità e turpitudine. Era un uomo d'armi e dopo aver avvelenato papa Alessandro V, mentre era suo ospite, obbligò con la forza i cardinali ad eleggerlo papa, senza essere nemmeno prete.
Era ritenuto dalla vox populi un sessuomane impenitente. Fu deposto nel 1415 dal Concilio di Costanza con le accuse più infamanti (che egli riconobbe): ateismo, sodomia, simonia, stupro con centinaia di donne, comprese molte monache, omicidi di ogni genere e incesto con le sorelle. Imprigionato per ordine dell'imperatore Sigismondo, fu liberato per intercessione di Cosimo de' Medici che pagò il suo riscatto.
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venerdì 4 settembre 2015

80- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte quinta. I dogmi. 4

Il termine paradiso, di origine sanscrita, definiva anticamente il giardino imperiale persiano, simbolico luogo di delizie e di perenne e assoluta perfezione, e fu usato nella Bibbia dei Settanta per indicare il Giardino dell’Eden.
Di lì è passato nelle tradizione cristiana per designare il luogo della felicità ultraterrena.
Come abbiamo visto a proposito dell’inferno, anche la certezza di una beata vita eterna nell’aldilà non deriva dalla Bibbia ebraica e nemmeno dagli apostoli ma poggia soltanto su due incerte allusioni evangeliche che sanno entrambe di rifacimenti posteriori, cioè di aggiunte tardive.
La prima, in Matteo, riferita al Giudizio Universale (Matteo 25, 31-46), ignorata dagli altri evangelisti; la seconda, in Luca, che riporta la risposta di Gesù alla richiesta del “buon ladrone” crocifisso con lui: “Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in paradiso” (Luca 23,43). Ma questo versetto è ritenuto da molti esegeti un falso perché contraddetto da Marco che scrive: “Anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano” (Marco 15,32), negando con ciò che uno dei due ladroni si fosse pentito.
Infine c’è un cenno in Paolo che in Corinzi 2, 12,4 afferma di essere stato rapito al terzo cielo e di aver udito parole indicibili. Queste sono le uniche citazioni nel Nuovo Testamento che si riferiscono al paradiso. Vi sembra logico ritenere che un così fondamentale principio della fede cristiana, sia stato totalmente ignorato dalla Bibbia ebraica e introdotto di sfuggita, per non dire di soppiatto, nel Nuovo Testamento? Cosa vi fa supporre un fatto del genere? Che è tutta una bufala inventata dalla Chiesa.
Ma, esattamente, come viene immaginato questo utopico e chimerico giardino delle delizie, dal quale nessuno è mai venuto a relazionarci? Assolutamente un antimondo, tutto all’incontrario della nostra valle di lacrime. Un mondo incantato, con tutte le meraviglie più inverosimili e mitico come una favola infantile.
Infatti, secondo la Chiesa, nel Giorno del Giudizio risorgeremo dalla polvere col nostro corpo fisico, per cui è evidente che il paradiso non dovrebbe essere solo un mondo spirituale, ma, come lo vedono i musulmani, ricolmo di delizie materiali di ogni specie. Il nostro corpo, infatti, risorto in splendida forma, nonostante l’età che l’ha condotto alla morte, sarà reso eterno e immutabile, per cui non conoscerà malattie, decadenza e vecchiaia. Non avrà bisogno di nutrirsi né di soddisfare bisogni fisiologici e libidici, come nel nostro basso mondo. Come trascorrerà tutto quel tempo interminabile a sua disposizione? In una perenne, indicibile gioia, determinata dallo splendore della presenza di Dio. Ma non solo. Per alcuni Padri e Dottori della Chiesa (Tertulliano e Tommaso d’Aquino), sadicamente inebriati dei tormenti infernali, il culmine dell’eterna beatitudine in paradiso sarà la contemplazione dei dannati nel fuoco inestinguibile. Ve lo immaginate in paradiso uno che deve assistere alle pene atroci cui è sottoposto nell’inferno un congiunto stretto, magari un padre, un figlio o un fratello? Questo spettacolo non diventerebbe per lui un atroce tormento, per l’eternità?
La fantasmagorica rappresentazione del paradiso e l'orripilante mostruosità dell'inferno non avendo, come abbiamo dimostrato, un vero fondamento biblico e nemmeno evangelico, possiamo considerarle una totale invenzione della Chiesa, il supremo ricatto escogitato per dominare le coscienze dei fedeli e imporre la succube osservanza alla sua dottrina, promettendo una fasulla felicità nell'aldilà e imponendo una dura rassegnazione nell'aldiquà.



giovedì 3 settembre 2015

Il battesimo, determinando un nuovo stato ontologico dell'anima, è per la Chiesa inalienabile. 226

Per la Chiesa il sacramento del battesimo, come quello dell'ordine sacro, determina un cambiamento ontologico dell'anima, cioè un cambiamento di sostanza, eterno ed inalienabile. Lo ha ammesso anche di recente papa Francesco affermando che il battezzato ha un'anima totalmente diversa dal non battezzato. Parimenti il prete, con l'unzione sacerdotale, acquisisce un salto ontologico permanente e, se anche diventasse il più dissoluto degli esseri viventi e venisse espulso dalla Chiesa, potrebbe sempre amministrare, con piena validità, tutti i sacramenti di sua competenza. Rimane prete per l'eternità. Ecco una delle possibili spiegazioni dell'omertà della Chiesa a punire i suoi ministri indegni.

Col dilagare inarrestabile del secolarismo materialista in tutto l'Occidente, compresa l'Italia, la Chiesa si arrocca sempre più nella ossessiva difesa del suo oscurantismo medioevale, aggrappandosi ai suoi presunti valori, pomposamennte definiti non negoziabili, che fanno riferimento ai peccati contro dio anziché a quelli contro l'umanità e la natura, e sta dando l'ostracismo a milioni di fedeli comminando loro la scomunica latae sententiae (cioò automatica) ed escludendoli da taluni importanti sacramenti.

Nell'occidente cristiano sono i divorziati, gli sposati civilmente (ormai maggioranza), le coppie di fatto (sempre più numerose), i conviventi occasionali, gli omosessuali (anch'essi in gran numero), le donne che ricorrono all'aborto e quelle che usano i contraccettivi. A tutti costoro, che sono centinaia di milioni, si devono aggiungere quanti soffrono sulla loro pelle le pressioni politiche della Chiesa nell'ostacolare i diritti civili come il diritto all'aborto, al divorzio, alla fecondazione assistita eterologa, all'autodeterminazione del proprio corpo e alla libera contraccezione; ostacoli che spesso obbligano molti cittadini a sopportare gravi disagi, specie nei Paesi più arretrati, o dove, come in Italia, a governare sono dei politici appecorati, in massima parte,al Vaticano.

Tutti costoro, messi al bando dalla Chiesa, demonizzati da essa come peccatori incalliti, danneggiati economicamente e spesso oggetti di dileggio, possono rendere alla Chiesa che li discrimina pan per focaccia, utilizzando un'arma potentissima, ma assolutamente pacifica a loro disposizione: lo sbattezzo di massa. All'estero lo fanno in molti. In Germania, in Olanda, e perfino nella cattolicissima Irlanda molti si sbattezzano anche solo per protestare contro la pedofilia pretesca, sempre impunita e omertosa, la discriminazione e la criminalizzazione verso gli omosessuali e i diversi.


Papa Francesco I


martedì 1 settembre 2015

79- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte quinta. I dogmi. 3

Ma come nasce nella Chiesa il dogma dell'inferno? Nell'Antico Testamento l'immortalità dell'anima non era ammessa, tanto che nel Qoèlet, libro biblico considerato parola di Dio, è scritto: «La sorte degli uomini e delle bestie è la stessa, come muoiono queste muoiono quelli. C’è un soffio vitale per tutti: non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità» (Qoèlet 3,19). Con la morte, quindi, secondo il teologo biblico, tutto finisce, sia l'anima sia il corpo, perché tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere.
Abbiamo chiarito in precedenza che i Sadducei, cioè l’alto clero del Tempio di Gerusalemme detentore dell'ortodossia ebraica, sostenevano che Mosè non aveva mai parlato né dell'immortalità dell'anima né della "resurrezione dei morti", e non credevano nella perpetuazione dell'individuo dopo la morte, in corpo e spirito. Quindi, per loro, non esisteva un aldilà dove le anime sarebbero state punite con l'inferno o premiate col paradiso.
Solo nel Nuovo Testamento nasce il concetto di questo luogo eterno di pena e viene associato alla "Geenna", una valle presso Gerusalemme che era adibita a discarica pubblica, dove ardeva sempre il fuoco per bruciare i rifiuti della città e i cadaveri degli appestati. Essendo un luogo orrido, maleodorante e sempre in preda alle fiamme, si era trasformata, a poco a poco, nel simbolo dell’inferno.
Le Lettere di Paolo, dalle quali derivano i Vangeli canonici, ignorano l’inferno come eterno castigo. Ma nei Vangeli, posteriori alle Lettere di Paolo, troviamo che Gesù parla della Geenna, del “fuoco inestinguibile” riservato a chi sino alla fine della vita rifiutava di credere e di convertirsi.
Matteo nel suo Vangelo dice che Gesù “manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridor di denti” (Matteo 13,41-42), e riporta le parole di condanna: ‘Via, lontani da me, maledetti, nel fuoco eterno!” (Matteo 25,41). Molti esegeti e teologi sono però convinti che questi detti, attribuiti a Gesù, non siano mai stati da lui pronunciati (sono, infatti, in completo contrasto con lo spirito evangelico), ma aggiunti posteriormente nei Vangeli da parte della Chiesa delle origini, la quale, per spingere alla conversione i pagani ostinati, faceva leva sui castighi divini più crudeli e terrificanti. Infatti l'inferno era riservato soprattutto a chi rifiutava la conversione.
La credenza dell'inferno eterno la troviamo appena accennata negli scritti più antichi dell'età patristica, con delle perplessità da parte di alcuni Padri della Chiesa, come Origene, Gregorio di Nissa, Teodoro di Mopsuestia ed altri. Per costoro le pene dell'inferno non erano eterne, ma temporanee (una specie di purgatorio).
Infatti essi ritenevano che alla fine dei tempi, all'arrivo cioè della parusia, tutta l’umanità si sarebbe salvata in Cristo e avrebbe avuto luogo la “restaurazione finale” (apokatàstasis) di tutti gli essere umani e del cosmo. Tale salvezza avrebbe coinvolto i condannati all’inferno e perfino i demoni (Origene, De principiis).
Ma la loro tesi non fu accettata dalla Chiesa, sempre più convinta che la minaccia del tormento eterno è l'arma più potente di cui dispone per plagiare col terrore i suoi fedeli. Così nel 1215 il IV Concilio Lateranense proclamò che i peccatori "riceveranno come il diavolo una pena perpetua". Tesi ribadita successivamente nel Concilio di Firenze (1439), di Trento (1547), del Vaticano I (1870) e dal Vaticano II nel 1965 (cap. VIII, 48 della Lumen Gentium).
Oggi molti credenti, specialmente quelli che lo sono più per tradizione che per convinzione (e sono la maggioranza), cominciano a rifiutare questo terrore infantile perché ritengono che nessun Dio, ammesso che ne esista uno, possa comminare all'uomo (teoricamente una sua creatura) un castigo così spropositato. Ma la Chiesa ufficiale, tuttora invischiata nel suo dogmatismo medievale, persiste nel farlo credere senza avvertirne la demenziale assurdità.
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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)