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venerdì 29 gennaio 2016

8 – Il falso Jahvè. Il mitico patriarca Abramo. 7

Sigmund Freud, autore dell'importante saggio "L'uomo Mosè e la religione monoteista" che verrà più volte richiamato in queste pagine, mette in relazione la radice del nome Iovis, genitivo di Iupiter, con quello di Jahvè, e afferma che quest'ultimo fosse un Dio sconosciuto ai patriarchi se non addirittura una semplice creazione della fantasia popolare semitica. Dal momento che il Signore fa sapere a Mosè di non essersi mai manifestato ad Abramo, né ad Isacco o a Giacobbe sotto l'appellativo di YHWH o Jahvè che fosse (Esodo 6,3) è ipotizzabile che si fosse manifestato sotto l'altro nome El, "colui che è potente".
Com’è noto, l'episodio più significativo della storia di Abramo, a dimostrazione della sua totale sottomissione alla volontà divina, riguarda il sacrificio del figlio Isacco. Se la storia è talmente conosciuta che è inutile qui riferirla, c'è però una curiosa scoperta archeologica che indirettamente si collega a quest'avvenimento e che vale la pena di riferire.
L'archeologo C.L. Wooley riferisce di avere rinvenuto in una cripta mesopotamica, nota come cripta PG 1237, situata in una necropoli reale, una statuetta cerimoniale d'oro e lapislazzuli raffigurante un caprone ritto sulle zampe posteriori e con quelle anteriori avvinte ad un arbusto. Sembra la raffigurazione dell'ariete impigliato nel cespuglio che Abramo immolò al posto di Isacco. Ma la statuetta risale a parecchie centinaia d'anni prima (C.L. Woolley, Ur dei Caldei, pag. 87). Statuetta singolare davvero, che potrebbe significare una semplice coincidenza o, magari, qualcosa di più.

Concludendo, come possiamo considerare la mitica leggenda patriarcale di Abramo e dei suoi diretti discendenti, Isacco e Giacobbe? Una pia preistoria, come è stata definita dagli studiosi, atta a descrivere l'inizio della storia di Israele e la genealogia del suo popolo, delinearne i confini etnici e sottolineare che gli israeliti venivano da fuori, ma discendevano da un'antica città storicamente e religiosamente importante. Una versione javista per sottolineare l'unità del popolo d'Israele, per unire le tradizioni del Nord e del Sud sotto l'egida del Regno di Giuda. Passiamo ora a dare un'occhiata a quanto gli storici ci riferiscono sugli antichi israeliti.

giovedì 28 gennaio 2016

Le molteplici affinità tra cristianesimo e paganesimo. 245

Già nel II secolo Giustino, l’apologeta cristiano più eminente del suo tempo, riconosceva, senza mezzi termini, le numerose e fondamentali concordanze del cristianesimo col paganesimo. Senza tentennamenti ammetteva che la nascita soprannaturale di Cristo, la sua resurrezione e ascensione in cielo, i suoi miracoli, nonché il battesimo e l’eucaristia, trovavano corrispondenza quasi perfetta nella mitologia pagana. A proposito di Dioniso, ad esempio, ricordava la figliolanza divina, la nascita tramite una donna mortale, i patimenti, la morte, la resurrezione e l’ascensione.

Questo Padre della Chiesa ci informa poi che i pagani si aspergevano con acqua all’ingresso dei loro templi, dotati di acquasantiere, come avviene nelle nostre chiese. Addirittura, nei templi di Iside, ce n’erano di automatizzate e i sacerdoti, come oggi quelli cattolici, si servivano già di aspersori. A similitudine dei pagani, già allora i cristiani collocavano vaschette d’acqua nelle loro Chiese per poter immergendovi le mani al momento dell’ingresso.

Fino al IV secolo, quindi, paganesimo e cristianesimo possedettero i medesimi tratti caratteristici e gli stessi patrimoni salvifici. Si proclamavano, infatti, religioni fondate sul mito del Redentore fattosi uomo che muore e risorge; condivisero gli stessi sacramenti, in particolare battesimo e pasto sacralizzato (eucaristia); ebbero a fondamento gli stessi libri sacri rivelati (sacre scritture, apocalissi e profezie) e ammisero gli stessi miracoli. Il passaggio da una fede all’altra, anche dal cristianesimo al paganesimo, si verificò con facilità estrema.

I Padri della Chiesa si resero conto dalle rassomiglianze dei riti e dei miti pagani con quelli del cristianesimo? Eccome! Scrive Giustino rivolgendosi ai pagani: «Quando poi, sosteniamo che il Logos, prima emanazione di Dio, vale a dire Gesù Cristo, nostro Maestro, è stato generato senza l’atto sessuale, è stato crocifisso, è morto, è risorto ed è salito in cielo, allora non presentiamo nulla di strano al confronto coi vostri figli di Zeus... E quando noi diciamo ch’egli è nato quale Logos divino da Dio in maniera assolutamente singolare, tutto ciò, come abbiamo già detto, è qualcosa che abbiamo in comune con voi, che definite Ermes il messaggero di Dio apportatore del Logos. Se poi si dovesse trovare scandaloso che sia stato crocifisso, non dimentichiamo che anche questo noi abbiamo in comune coi vostri figli di Zeus: Ermes, Asclepio, Dioniso, Eracle, che hanno sofferto la stessa morte. Quando, inoltre, sosteniamo che sia nato da una Vergine, voi siete costretti ad ammettere anche su questo punto una coincidenza con Perseo. Quando, infine, diciamo ch’egli guarì paralitici, tubercolotici e infermi dalla nascita e che resuscitò anche dei morti, tutto ciò va equiparato a quanto si racconta di Asclepio» (Giustino, Apologia 1,20 sgg.).

Quindi i Padri della Chiesa riconoscevano la rassomiglianza, quasi perfetta, di Cristo con le divinità pagane. Ma come reagirono davanti a questo fatto? Mentendo spudoratamente, in quanto affermarono che erano i pagani ad aver copiato il cristianesimo, sorvolando sul fatto che i riti e i miti pagani erano praticati da alcuni secoli prima del cristianesimo. Oppure ammettevano che il diavolo avesse in epoca precristiana svelato ai pagani tutti i segreti cristiani, per cui se i pagani battezzavano, celebravano il sacrificio di tipo eucaristico, possedevano venerande scritture, compivano miracoli come i cristiani, tutto ciò era semplicemente opera del demonio.



Giustino


martedì 26 gennaio 2016

7 – Il falso Jahvè. Il mitico patriarca Abramo. 6

A parte queste considerazioni, quasi sicuramente Abramo fu l'antico capo di una tribù di nomadi semiti che vagavano tra il deserto mesopotamico e i pascoli collinosi della terra di Canaan, il cui ricordo, per l'autorevolezza del personaggio, si era tramandato indelebile nei suoi discendenti, tanto da assurgere poi come preistoria del popolo d'Israele.
Quando il redattore sacerdotale, che al tempo di re Giosia fissava per iscritto le tradizioni orali, s'imbatté in un personaggio così rappresentativo, probabilmente capì che si prestava ad essere il capostipite di tutto Israele e il fondatore dell'ideologia ebraica. Dopo averlo svestito della sua idolatria, lo mise sotto la tutela di un nume domestico e senza nome e, infine, approfittando dell'enigmatico incontro che Abramo, quasi centenario, ebbe sotto la quercia di Mamre con tre personaggi misteriosi, con grande abilità proiettò retrospettivamente nel vecchio patriarca tutti gli elementi fondamentali dell'ebraismo: la sottomissione totale dell'uomo a Dio; l'Alleanza eterna tra Dio e l'uomo secondo un rapporto di reciprocità suggellato dalla circoncisione, e la duplice promessa di Dio ad Abramo: i suoi discendenti sarebbero divenuti un gran popolo di Dio e avrebbero avuto in perenne eredità il paese di Canaan, la Terra Promessa.
Qualcuno ha ipotizzato che l'incontro con i tre sacri personaggi di Mamre (per la Bibbia, Dio e due angeli) fosse una reminiscenza politeistica ((Max Weber, Il giudaismo antico, pag. 517), il ritorno a galla cioè di aspetti del paganesimo mesopotamico che l'abile sacerdote redattore seppe trasformare nell'atto costitutivo dell'ebraismo; e che la quercia di Mamre, sotto cui Abramo servì la merenda a Dio e ai due angeli, non fosse in realtà che un più modesto terebinto (J.G. Frazer,Folk-lore in the Old Testament,.vol. III, pagg. 36-61).
Nella lingua ebraica il terebinto era denominato elon, o elah, o semplicemente el. Ma El era proprio l'Ente supremo senza nome dei patriarchi, che nella sua accezione semitica significava "Colui che è potente". El è la radice primitiva dì Elia, Eloah, Elohim, Allah e di Isra-el (Dio lotta) (Vedi: Encyclopaedic Dictionary, Oxford. 1994 pag. 37).


venerdì 22 gennaio 2016

6 – Il falso Jahvè. Il mitico patriarca Abramo. 5

Mentre soggiornava nella terra di Canaan avvenne una carestia e Abramo dovette emigrare provvisoriamente in Egitto, dove fu protagonista di un episodio che ce lo fa apparire privo di scrupoli morali e ben diverso dal personaggio timorato di Dio che la Bibbia ci suggerisce. Con il pretesto che la bellezza di Sara poteva indurre il faraone a ucciderlo per sottrargli la moglie, la rese disponibile al sovrano come concubina di lusso, facendola passare per sua sorella. In cambio dei favori della moglie Abramo ottenne dal faraone una cospicua ricchezza.
"Quando infatti Abramo giunse in Egitto, gli Egiziani videro che la donna [Sara] era molto bella. La videro anche gli ufficiali del Faraone e la lodarono davanti al Faraone e la donna fu portata in casa del Faraone. Ed egli trattò bene Abramo a motivo di lei. Così Abramo ebbe pecore, buoi, asini, servi, serve, asine e cammelli" (Genesi 12,14-16).
Ma l'Eterno, stando alla Bibbia, colpì il faraone con grandi calamità per aver approfittato delle grazie di Sara per cui il faraone, molto irritato, chiamò Abramo e gli disse:
"Che cosa mi hai fatto? Perché non mi hai detto che era tua moglie? Perché hai detto: "E' mia sorella"? Così io la presi per essere mia moglie. Ora dunque eccoti tua moglie; prendila e vattene!" (Genesi 12,18-19).
E lo fece espatriare, o meglio cacciare, lui e tutte le sue ricchezze.
La stessa cosa si ripeté con Abimelek, re di Gherar, ma costui – avvertito in sogno – non si unì a Sara ed evitò così la punizione divina. Ciò non impedì ad Abramo di ricevere da lui pecore, buoi, servi e serve in premio della sua disponibilità (Genesi 20,2-14).

Così, la futura matriarca dell'intero popolo ebraico sarebbe stata, poco decorosamente stando alla Bibbia, una concubina di lusso del faraone e di altri regnanti col beneplacito di Abramo suo marito. È singolare il fatto che anche Isacco, figlio di Abramo, abbia seguito un analogo comportamento, dichiarando, in determinate circostanze, che sua moglie Rebecca era sua sorella e quindi rendendola disponibile come concubina (Genesi 20,8-14).

giovedì 21 gennaio 2016

La nascita della S.Messa. 244

Come abbiamo ricordato in precedenza, le comunità cristiane primitive, fino al II secolo, non seguivano nelle loro assemblee un rituale prefissato. Ognuna di esse poteva disporre liberamente come gestirsi ed il sacerdozio, essendo allora generalizzato, consentiva a chiunque di dispensare l’eucaristia, di essere «prete» allo stesso titolo di qualsiasi altro cristiano, secondo la testimonianza di Tertulliano.

Ma, come ci viene attestato nella storia della religione greco-romana, la maggior parte dei templi pagani celebrava servizi divini quotidiani con sacrifici. Così, ad esempio, ogni giorno a Olimpia aveva luogo un servizio divino in onore di Zeus, fin dalll'inizio dell’epoca imperiale. E così avveniva per molti altri dei.

Ecco dunque che dietro influenza pagana, alla fine del Il secolo, la mensa per la comunione, fino ad allora costituita da semplici tavoli su cui si disponevano le offerte della comunità, venne trasformata in altare per il sacrificio, a similitudine dei templi pagani e giudaici. La trasformazione non fu immediata ma graduale e solo nel IV l’altare fisso vero e proprio divenne definitivo, portando così a compimento l’analogia definitiva con l’altare pagano o giudaico. Era nata la Messa, termine invalso probabilmente intorno al IV secolo e derivato dal latino "missa", secondo la formula conclusiva del sacerdote "ite missa est".

Dal II al IV secolo la Messa venne sempre più arricchita di tratti magico-sacramentali derivati dai riti misterici, soprattutto provenienti da Eleusi, di caratteristiche cultuali della religione mitraica e dei servizi divini in onore di molti altri dei. Divenne sempre più un calco letterale dalla liturgia pagana, soprattutto della liturgia di Iside.

Le differenti posture di preghiera – come inginocchiarsi, velare il capo, sciacquare preventivamente le mani – derivavano dal culto di Mitra e dall’universo religioso dei Misteri, così come il sermone, che era collegato al servizio divino di Eleusi e di Iside. Mentre in un primo momento il prete predicava stando seduto su una seggiola, come facevano tutti i maestri greci, successivamente utilizzò Il pulpito derivato dalla sinagoga e la comunità cristiana, seguendo un modello ellenistico, al termine del sermone gli concedeva il suo plauso o battendo le mani oppure sventolando fazzoletti.
Non si usavano ancora, tuttavia, paramenti specifici e la Messa e l’eucaristia erano celebrate con i vestiti di ogni giorno. Ma alla fine anche la Chiesa si appropriò delle vestimenta liturgiche delle religioni misteriche fin quasi nei minimi particolari. A poco a poco, copiando i più solenni cerimoniali dei servizi cultuali pagani, e dal V secolo, anche il cerimoniale cortigiano degli imperatori, la Messa si rivestì di sempre maggiore pomposità al punto da far concorrenza ai più solenni cerimoniali dei servizi cultuali pagani.

Infine venne in essa introdotto, durante la cerimonia, l’uso dell’incensazione, da sempre praticata nel culto degli dei, e in un primo momento esplicitamente condannata dai cristiani. Ancora nel IV secolo per Cirillo di Gerusalemme l’incensazione era un pagano «servizio diabolico» e per il Padre della Chiesa Gregorio di Nissa i turiboli erano «articoli di lusso» spiritualmente dannosi, e definiti «una mostruosità». L’assemblea comunitaria originaria, totalmente libera e priva di pastoie regolamentari, con la creazione della messa era trasformata in un complesso e pomposo servizio divino misterico.

S.Gregorio


martedì 19 gennaio 2016

5 – Il falso Jahvè. Il mitico patriarca Abramo. 4

Tornando alla promessa fatta ad Abramo dal suo Dio tutelare, in essa non c'era certo nulla di straordinario. Il Dio di ogni tribù proclamava, in qualsiasi occasione, di riservare un futuro glorioso ai propri fedeli, sempre che lo si trattasse come divinità esclusiva del clan. Portandosi appresso il piccolo Dio della vecchia casa di Ur, Abramo tramutò l'idolatria in monolatria (o, meglio, in enoteismo), il che non ha niente a che vedere col vero monoteismo. Abramo non nega l'esistenza degli altri dèi, s'impegna semplicemente a venerarne uno solo, tra i tanti, e a restare a lui sempre fedele così da meritarsi la sua protezione. Un chiaro "do ut des".
L'antica città di Harran si trovava a 650 miglia a nordovest, all'altra estremità dell'Eufrate, sulle propaggini collinose delle montagne della Turchia occidentale. Ur e Harran erano due città legate sotto il profilo commerciale e religioso. Entrambe erano devote alla divinità lunare Sin, e da secoli i templi dedicati alla luna di Ur e di Harran erano famosi in tutto l'Antico Oriente e richiamavano numerosi pellegrini.
I due templi dedicati alla luna avevano probabilmente instaurato un sistema di stretti rapporti commerciali. Infatti, ad Harran affluivano le ricchezze minerarie provenienti dalle montagne della Turchia e a Ur le merci preziose dell'India (Geoffrey Bibby, Quattromila anni fa, pag 73).
Pare che la tribù d'Abramo si sia fermata a Harran alcuni anni, poi decise di traslocare verso sud. Non sappiamo perché. Forse per il fatto che gli ittiti si facevano sempre più minacciosi. Abramo era avanti nell'età quando decise di emigrare verso mezzogiorno e occidente, lungo le vie degli scambi commerciali e dei pascoli che attraverso Canaan portavano in Egitto:

"Or il Signore aveva detto ad Abramo: Vattene fuori del tuo paese, e del tuo parentado, e della casa di tuo padre, nel paese che io ti mostrerò... (Genesi, 12, 1) […]Abramo adunque prese Sarai sua moglie, e Lot figliulo del suo fratello, e tutte le loro facoltà che avevano acquistate in Charan, e si partirono per andar nel paese di Canaan" (Genesi 12,5).

venerdì 15 gennaio 2016

4– Il falso Jahvé. Il mitico patriarca Abramo. 3

Abramo aveva assimilato la cultura, la mitologia e le usanze sumeriche. Così, per esempio, in base al diritto civile della sua città, che contemplava la monogamia ma anche la sua deroga in caso di sterilità della coniuge, non potendo avere figli dalla moglie e sorellastra Sara, si risolse a generarne uno dalla schiava egizia Agar, con l’obiettivo di assicurarsi la discendenza. Secondo C.L. Woolley (op. cit., pagg. 151-153) quest'atto era contemplato dalle leggi sumeriche.
Quando Abramo era ancora nel fiore degli anni, una grave sciagura si abbatté sugli amorrei di Ur: morì il re Gungunum di Larsa, molto probabilmente ucciso in battaglia, e Ur-Ninurta, re d'Isin, prese il dominio sulla città. Gli amorrei, a causa di questo cambiamento politico, cominciarono a sentirsi insicuri e questo probabilmente fece decidere a Terah e ad Abramo di prendere i loro beni e abbandonare la città.
"E Terah prese Abramo suo figliuolo, e Lot figliuolo del suo figliuolo, cioè di Aran, e Sarai sua nuora, moglie di Abramo suo figliuolo; ed essi uscirono con loro fuori d'Ur dei caldei, per andar nel paese di Canaan; e giunti fino in Charan, dimorarono quivi". (Genesi 11,31).
E così la piccola tribù di Abramo – tre o quattrocento persone, compresa la numerosa servitù – si mise in movimento verso Harran o Charan. I vecchi, le donne e i bambini più piccoli viaggiavano su carri a quattro ruote trainati da manzi, mentre i folti greggi di pecore e capre brucavano l'erba lungo la strada assieme alle parecchie centinaia d'asini da soma che portavano bagagli pesanti. A quell'epoca i cammelli erano ancora sconosciuti in Mesopotamia e in Egitto.
Gli dèi sumerici erano circa cinquemila, tutti con tanto di nome proprio, e i principali anche con più nomi. Al momento della partenza da Ur il vecchio Terah e il figlio Abramo si saranno posti il problema di quali idoli dell'immenso pantheon sumerico era opportuno portare con loro. Terah li conosceva bene perché li produceva e li vendeva. Ne scelsero uno senza nome. Secondo C.L. Wooley (op. cit., pagg. 212-251 ) esisteva solo un tipo di divinità mesopotamica cui non era costume dare nome: si trattava del nume domestico delle famiglie di Ur.
E forse fu questo il Dio che Abramo mise nella sua bisaccia, escludendo tutti gli altri, per farlo oggetto delle sue preghiere e delle sue invocazioni e proclamarlo il tutore della sua piccola tribù. Un Dio del tutto privato e scevro di pompe cerimoniali. Il solitario Dio di Abramo e basta, colui che lo aveva fatto uscire da Ur per dargli in possesso la Terra di Canaan e per farlo diventare il capostipite di un grande popolo (Genesi 11,31). Per inciso va notato che accenni agli dèi tutelari del focolare, o teraphim, si colgono in Genesi 31, nell'episodio che narra di Rachele, moglie di Giacobbe, che ruba gli idoli al padre Labano e li nasconde nella sella del suo cammello per portarli con sé.

giovedì 14 gennaio 2016

La dottrina della transustanziazione fu totalmente ignota nei primi secoli del cristianesimo. 243

Secondo la fede cattolica, la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù, durante il rito eucaristico, non avviene simbolicamente ma realisticamente e sostanzialmente. Ma il dogma della transustanziazione, secondo il quale le parole del sacerdote producono una «metamorfosi» che, invisibilmente, trasforma il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo, era sconosciuto nei primi secoli del cristianesimo. Fino a tutto il III secolo, la recitazione delle parole dell’ultima Cena, con sfumature diverse nelle singole comunità, non intendeva realizzare la presenza effettiva del Cristo, ma semplicemente richiamarne il ricordo.

Il pensiero ecclesiastico della transustanziazione, fece la sua prima comparsa presso alcuni «eretici», per l’esattezza presso la setta degli gnostici valentiniani, seguaci del vescovo Valentino. Allora la Chiesa, per bocca del suo più eminente teologo, Sant’Ireneo, condannò tale metamorfosi sostanziale nell’eucaristia come un crasso equivoco popolaresco.

Ma nel IV secolo si sviluppò nella Chiesa occidentale la convinzione che la pronuncia delle parole della formula determinasse la consacrazione del pane e del vino. La cosa, però, non fu condivisa da tutti e suscitò per secoli aspre dispute. Papa Gregorio VII, entrato nel merito, evitò di pronunciarsi con chiarezza. Soltanto sotto il Papato di Innocenzo III, tale dottrina fu elevata a dogma nel Quarto Concilio Laterano nel 1215 e chiuse tutte le dispute.

Secondo la dottrina cattolica la "metamorfosi", cioè il miracolo della transustanziazione, per verificarsi richiede che il celebrante pronunci la formula consacratrice in maniera corretta, completa e chiara, e solo dopo pronunciata l'ultima parola la trasformazione avviene. A similitudine dei riti pagani nei quali le parole formulari pronunciate dai sacerdoti venivano recitate in un sussurro, anche il prete deve pronunciarle sottovoce perché l’efficacia della cerimonia dipende dall’esatta riproduzione verbale dei testi sacri e dal seguire l'esatta metodologia.

Mi domando, quanti sono i fedeli (e gli ecclesiastici) che oggi conoscono le complicate e contrastanti vicende che hanno dato origine a questo dogma fondamentale del cristianesimo?


S.Ireneo


martedì 12 gennaio 2016

3 – Il falso Jahvé. Il mitico patriarca Abramo. 2

La Bibbia fa Abramo originario di Ur, potente e ricca città della Mesopotamia, chiamata Ur dei Caldei. Questa denominazione dell'antica città, derivata dalla tribù Khaldu, è però posteriore di settecento anni (1200-1300 a.C.) alla Ur di Abramo (2000 a.C.). Prova evidente, questa, che l'estensore della Genesi ignorava che al tempo di Abramo Ur non era ancora una città caldea.. La scelta di Ur come luogo di nascita di Abramo, non fu casuale da parte degli scribi che inventarono la sua leggenda. Ur godeva infatti grande prestigio in tutta la regione quando, intorno alla metà del sesto secolo a.C., il re caldeo babilonese Nabonedo ne fece un importante centro commerciale e religioso. Il riferimento alla «Ur dei Caldei» come luogo di origine di Abramo, il progenitore della nazione, avrebbe dunque offerto agli ebrei radici culturali di grande antichità e prestigio e li avrebbe collocati in una posizione di superiorità rispetto ai popoli minori che si erano sviluppati nelle regioni circostanti, incolti e sottosviluppati. Aspirazione massima questa di discendere da luoghi di grande tradizione storica da parte di tribù nomadi e pastorali, prive di un retroterra nazionale.
Siccome gli amorrei non erano solo mercanti che tenevano in mano il commercio per via di terra dal Mare Inferiore (Golfo Persico) al Mare Superiore (Mar Mediterraneo), ma anche pastori e all'occorrenza razziatori, la loro dimora spirituale e reale durante l'inverno e la primavera d'ogni anno, era sotto le tende delle loro tribù nel deserto occidentale. Anche Abramo, come ci lascia intuire la Bibbia, trascorreva lunghi periodi dell'anno seguendo le pecore, le capre e gli asini da soma nelle lunghe migrazioni per la valle dell'Eufrate e oltre, fino al Mediterraneo. D'estate, magari, trafficava nel Karum, il porto franco commerciale di Ur, per acquistare le merci da trasportare con la sua carovana. Ur era allora il principale porto d'entrata di tutte le ricchezze dell'Oriente. Sappiamo che Abramo era figlio di Terah, il quale commerciava idoli di terracotta da lui fabbricati e portava il nome del Dio Luna, la divinità più importante di Ur che si chiamava appunto Terah o Sin (C.L.Woolley, Abraham. Recent Discoveries and Hebrew Origins, pagg. 196-199).
È facile congetturare che tutta la famiglia, all'inizio, fosse dedita all'idolatra e venerasse le divinità sumeriche maggiori ma anche quelle minori, tipiche di ogni tribù e famiglia, com'era nelle usanze di Ur. Infatti molte case avevano una cappelletta in cui si custodivano, con gelosa familiarità, gli dèi della casa che d'inverno, nel deserto, diventavano gli dèi della tenda, geni protettori del focolare simili ai Lari e ai Penati romani.



venerdì 8 gennaio 2016

2 – Il falso Jahvé. Il mitico patriarca Abramo. 1

La triade attorno cui ruota la storia d'Israele, e che sta alla base dell'intera Bibbia ebraica, comprende Abramo, Mosè e David. Abramo il capostipite etnico, Mosè il liberatore e il legislatore, e David il primo re che unifica le dodici tribù d'Israele e fonda il regno unito, divenuto, per l'immaginario collettivo ebraico, il prototipo messianico del regno di Dio in Terra.
Di Mosè e David parleremo ampiamente nel proseguo del libro. In questo capitolo ci prefiggiamo di mettere a fuoco Abramo, il leggendario patriarca che secondo la Bibbia fu il fondatore del monoteismo. Il resoconto biblico della sua vita è la brillante storia di una famiglia e al contempo di tre grandi nazioni di cui Abramo è considerato capostipite.
Insieme alla sorellastra Sara, sua legittima moglie, Abramo generò Isacco, il padre delle dodici tribù d'Israele; con la schiava egiziana Agar generò Ismaele, capostipite dei dodici gruppi di ismaeliti; infine, con Chetura, sposata dopo la morte di Sara, diventò l'antenato di sedici gruppi protoarabi semiti. Ma non è tutto. Abramo è considerato anche il capostipite delle tre religioni monoteiste mondiali, chiamate per l'appunto abramitiche: l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islam.
Pur non potendo essere considerato un personaggio storico nel senso stretto del termine, essendo menzionato soltanto nella Bibbia che fu scritta molti secoli dopo di lui, possiamo ammettere che Abramo sia in realtà esistito, e questo perché sappiamo con quale cura la tradizione delle genealogie e della storia tribale veniva trasmessa oralmente tra i popoli analfabeti.
Che però Abramo sia anche il patriarca fondatore dell'intero popolo d'Israele, degli ismaeliti e dei protoarabi, nessun storico è disposto ad ammetterlo. Così come nessuno può affermare che sia stato il fondatore del monoteismo. Stando alla Bibbia, lo possiamo al massimo ritenere un monolatra o un enoteista, come vedremo tra poco. Egli fu senz'altro un capo-tribù amorreo, vissuto al tempo della fondazione dei regni amorrei lungo l'Eufrate e alla comparsa in massa di nomadi in Palestina. La sua figura fu scelta dagli scribi di re Giosia per fungere, come capostipite, da elemento unificatore delle tradizioni settentrionali e meridionali, collegando nord e sud d'Israele.


giovedì 7 gennaio 2016

Nel cristianesimo primitivo l’eucaristia non veniva celebrata in modo unitario. 242

Le comunità cristiane primitive erano indipendenti e autonome le une dalle altre ed oltre a riferirsi a vangeli propri, spesso molto differenti tra loro, celebravano anche il rito eucaristico in modo diverso. Ad esempio, gli Acquari nordafricani, i Marcioniti e gli Encratiti celebravano l'eucaristia usavano solo il pane e l'acqua, sia per ragioni ascetiche, sia perché l’assunzione di vino di primo mattino era considerata sconveniente. Era anche diffusa una forma di eucaristia con l’utilizzazione di pane, d’acqua e di verdure. Addirittura i Montanisti la celebravano con pane e formaggio.

Quando la Chiesa si istituì in forma ufficiale, gli ingredienti eucaristici furono esclusivamente il pane e il vino, che i fedeli portavano da casa. Secondo un’usanza, testimoniata fin dai tempi di Omero, con la quale si riservavano agli dèi parti delle vittime sacriflcali, il pane veniva spezzato in un certo numero di frammenti da distribuire ai fedeli, ma alcuni di questi venivano posti da parte per Maria e per i Santi. La tradizione pagana era sempre presente nel rito cristiano.

Il digiuno preeucaristico, sempre praticato nei culti misterici e nel giudaismo, che attribuivano grande significato all'astensione dai cibi prima del servizio divino, a poco a poco si impose anche ai cristiani ma fu definito un dovere a partire dal Sinodo di Cartagine del 397.



La concezione di un’effettiva trasformazione delle sostanze del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo, cioé il pensiero ecclesiastico della transustanziazione, come vedremo nel prossimo post, era del tutto sconosciuta nel cristianesimo primitivo e diventerà dogma soltanto nel quarto Concilio Laterano nel 1215, sotto il Papato di Innocenzo III.

Papa Innocenzo III


martedì 5 gennaio 2016

1 – Il falso Jahvé - Prefazione

È opinione pressoché unanime che il monoteismo abbia avuto origine, venti secoli prima di Cristo, col patriarca Abramo e che da lui si sia ininterrottamente tramandato, attraverso il popolo ebraico, fino al cristianesimo che lo ha ereditato.
La Bibbia (Genesi 12, 1-7 e 17, 1-14) ci dice infatti che Abramo in due occasioni – a settantacinque e a novantanove anni – stipulò con l'Eterno il Patto dell'Alleanza col quale lo eleggeva a suo unico Dio e, in premio della sua assoluta sottomissione e fedeltà, ricevette la promessa che sarebbe diventato il patriarca del popolo eletto e il possessore, per diritto divino, della Terra di Canaan.
Oggi la storiografia considera la leggenda del mitico patriarca Abramo un pia preistoria e spiega che gli scribi e i sacerdoti che procedettero alla stesura della Bibbia, al tempo di re Giosia nel sesto secolo a.C., volendo dimostrare che il popolo ebraico discendeva da un unico capostipite ed era originario di Ur, un'antica città storicamente e religiosamente importante, posero retrospettivamente Abramo, un autorevole capo-tribù amorreo vissuto molti secoli prima e tramandato dalla sua gente come una leggenda, a capostipite di tutto Israele e a fondatore del monoteismo e del Patto dell'Alleanza. Ma non fu Abramo il vero iniziatore del monoteismo biblico, che è a fondamento dell'Ebraismo e del Cristianesimo, e tanto meno l'unico progenitore delle dodici tribù d'Israele. La prerogativa di avere trasmesso agli ebrei il monoteismo spetta invece a Mosè, il liberatore di quella parte del popolo d'Israele che era schiavo in Egitto. Non però il Mosè semita, salvato dalle acque e che incontra Dio nel roveto ardente, bensì il Mosè gran sacerdote e principe egiziano, iniziato alla teologia dei grandi misteri e sostenitore del monoteismo del faraone Akhenaton, suo parente e contemporaneo.
Questo libro mira a raccontare la vera nascita del monoteismo non basandosi soltanto sulla documentazione biblica, che come vedremo è in gran parte leggendaria e quindi poco attendibile, ma su quella extrabiblica che possiamo ricavare da antichi documenti egiziani, greci e latini. Mira, inoltre, ad evidenziare la parabola involutiva che il monoteismo andò incontro quando fu trasmesso al popolo ebraico prima e al cristianesimo poi. Infatti il monoteismo dei grandi misteri egizi, che rappresentò la più alta forma di religiosità espressa dall'uomo lungo tutta la sua storia, e che in origine era riservato a pochi eletti, quando venne trasmesso da Mosè a un popolo rozzo, incolto e abbruttito da secoli di schiavitù, quale era la schiera di semiti da lui adottata, si ridusse dal concetto del Dio-Tutto: universale, astratto, spirituale, anonimo, invisibile e al di fuori dalla portata della comune ragione umana, a quello di un Dio infinitamente minore, quale ci viene trasmesso dalla Bibbia: teistico, personale e nazionale, di esclusiva appartenenza cioè al popolo ebraico e quindi sganciato da ogni connessione con il concetto originario di divinità universale e assoluta. Col cristianesimo poi il Dio-Uno si è trasformato in un Dio-Trino e con l'introduzione del culto della Madonna e di una pletora di santi si è ulteriormente involuto in una forma di politeismo mascherato.
Per poter dimostrare la genesi e l'involuzione del monoteismo trasmesso da Mosè ripercorreremo, per sommi capi, la storia del popolo d'Israele come ci è stata tramandata dalla Bibbia e quindi riesamineremo anche questo sacro testo evidenziando la sua origine e le finalità che lo hanno fatto nascere, nonché tutte le incongruità storiche e teologiche che lo caratterizzano.
Dato quanto sopra esposto è superfluo spiegare che la Bibbia non sarà qui considerata un libro rivelato, come continuano a ritenerlo gli ortodossi ebrei e cristiani e alcune sette protestanti, ma un libro solo e prettamente umano, scritto per esaltare tutte le istanze teologiche, storiche e sociali degli antichi israeliti.
I vari momenti che caratterizzano la storia d'Israele verranno esaminati sotto due punti di vista: quello aderente al racconto biblico e quello che possiamo ricostruire basandoci sugli antichi documenti extra-biblici e i più recenti studi storico-filologici, nonché sulle ultime scoperte archeologiche che hanno rivoluzionato le nostre conoscenze riguardo la storia d'Israele e hanno chiarito il momento storico preciso in cui è nata la Bibbia ebraica e le circostanze teologiche che l'hanno determinata.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)