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giovedì 30 giugno 2016

Il Vecchio Testamento messo a nudo da Marcione. 267

 Il rifiuto del Vecchio Testamento per opera di Marcione ebbe in un primo momento parecchi sostenitori, soprattutto tra gli gnostici cristiani. Ma non solo, anche un teologo ortodosso come Ireneo dovette prendere atto della differenza di valori tra i due libri: Antico e Nuovo Testamento, pur ritenendo entrambi egualmente ispirati da Dio. Il Vescovo tedesco Wulfila (310-383) percepì il contrasto in modo tanto forte che nella sua traduzione della Bibbia in gotico, compiuta intorno al 370, il monumento più antico della letteratura tedesca, ignorò parte dei testi in essa contenuti, ritenendoli troppo crudeli e temendo una possibile reviviscenza dello spirito guerriero del suo popolo, diventato ariano.

Poi le cose cambiarono e l'Antico Testamento, ricco di storie di inaudita crudeltà (e, com’è noto, di oscenità) fu riconfermato come testo fondamentale del cristianesimo che ne accolse pienamente lo spirito, come appare assai evidente dalle persecuzioni e dai genocidi dalla Chiesa perpetrati attraverso i secoli contro tutti coloro che la pensano in modo diverso.

È uno degli aspetti più grotteschi del cristianesimo aver accettato quale spirito universale reggitore del mondo una delle divinità nazionali più crudeli e vendicative della storia delle religioni, parto di un’ibrida coscienza tribale. Quando Jahvè, come altri dèi plasmati fisicamente e spiritualmente a immagine dell’uomo, ordina di uccidere gli abitanti di un paese sconfitto: «Non lascerai in vita nessun’anima» (5 Mos. 20, 13 sgg.) e ancora, «Se Jahvè, il tuo Dio, li ha posti nelle tue mani, tu devi uccidere con la spada tutti i maschi, e godere invece delle donne, dei bambini, del bestiame e di tutto ciò che si trova nella città», ciò dimostra abbondantemente quanto poco sia stato un Dio per tutti gli uomini.

Solo raramente, come mostra la Bibbia, questo totem tribale si trasformò in un Dio Signore universale, mantenendo, però, sempre fermi i suoi tratti nazionalistici. A ragione, dunque, i Marcioniti definivano Jahvè un assassino. Ma che razza di dio è costui, si chiedevano essi, che per il servizio divino si fa macellare uomini e bestie, figli e figlie? Che vuol perseguitare il delitto sui figli fino alla settima generazione? Che distrugge con la peste ben 70.000 gerosolimitani solo per punire Davide? Che ordina: «Prendi tutti i principi del popolo e impiccali al sole, per il tuo Signore»? (4 Mos. 25, 4) L’antitesi stridente fra questo libro, imperniato sulla crudeltà e la vendetta e l'essenza della dottrina di Gesù, che predica l'amore universale e perfino dei nemici, fu messa fuoco per la prima volta da Marcione e solo nei tempi moderni accolta dagli spiriti liberi e anticonformisti.

Ireneo


martedì 28 giugno 2016

51– Il falso Jahvè. La conquista della Terra di Canaan. La guerra lampo. 3

Fin qui il racconto biblico. Ma noi oggi sappiamo che le cose non sono andate così come ce le descrive il libro di Giosuè. Infatti, benché le antiche città di Gerico, Ay, Gabaon, Lakish, Hazor e molte altre nominate da Giosuè siano state localizzate, le testimonianze archeologiche in esse rinvenute smentiscono una simile campagna dissennata e fulminea e hanno ridotto la conquista di Canaan a poco più di un mito. È risultato infatti che le città cananee, descritte nel libro di Giosuè come potenti e fortificate, in quell'epoca erano deboli, non possedeva una cinta muraria e nemmeno un vero e proprio esercito. Erano però tutelate dalle guarnigioni egiziane sparse nel territorio e nel Sinai che non sarebbero certamente rimaste in disparte se un gruppo di profughi, provenienti dall'Egitto, le avesse invase. Nessuna traccia infatti nei minuziosi archivi dell'impero egiziano che accenni ad una simile invasione. L'unico riferimento autonomo al nome di Israele, la stele di vittoria di Merneptah, si limita a proclamare che questo popolo abitante a Canaan, altrimenti oscuro, aveva subito una pesante sconfitta. Infine è stato evidenziato che ad Ay come a Gerico, non ci furono insediamenti nell'epoca in cui dovrebbe esserci stata la presunta conquista dei figli di Israele.
Ma allora come avvenne la conquista della terra di Canaan? Gli studiosi propongono tre modelli storici per spiegarla.
1) Il modello della conquista mediante immigrazioni, a ondate successive, di nomadi guerrieri provenienti dal deserto. Questa tesi è sostenuta prevalentemente dagli archeologi americani William Foxwell Albright (Archaeology and Religion of Israel) e George Ernest Wright (Biblical Archaeology), ed è considerata poco attendibile.
2) Il modello di una lenta infiltrazione, con progressiva sedimentazione di nomadi allevatori di bestiame ai margini della steppa e del deserto. Modello reso plausibile dalla transumanza (cambio del pascolo dovuto alle estati senza pioggia).
  1. Il modello di un rivolgimento interno della Palestina nella tarda età del bronzo (1220 a.C.) sostenuto dai sociologi George E.Mendenhall (The Hebrew Conquest of Palesatine) e Norman K. Gottwald (The Tribes of Yahweh: a Sociology of the Religion of Liberated Israel 1250-1050).

Si tratterebbe quindi di rivolgimenti più o meno pacifici, di schermaglie locali, comunque non molto cruente, tra pastori nomadi, mercenari e "fuorilegge" israeliti dell'altopiano con i contadini cananei per il possesso della terra e il diritto all'acqua, trasformati dagli scribi di Giosia in leggendari scontri epici. Quindi l'esattamente opposto di quello che viene rappresentato nella Bibbia. La formazione dell'antico Israele fu la conseguenza, e non la causa del collasso delle città cananee, e la maggior parte degli israeliti non arrivò a Canaan con un esodo di massa dall'Egitto ma emerse al suo interno nell'età del bronzo e in quella del ferro. Ironia della sorte: i primi israeliti erano originari di Canaan!  

venerdì 24 giugno 2016

50– Il falso Jahvè. La conquista della Terra di Canaan. La guerra lampo. 2

Una campagna dissennata di carneficine e di massacri pianificati, imposti da Jahvè. Prima infatti della battaglia di Ay, Jahvè aveva ordinato a Giosuè di uccidere e rubare senza remore:
II Signore disse a Giosuè: Non aver paura e non perderti di coraggio. Prendi tutti i tuoi soldati e va' ad attaccare Ay. Io do in tuo potere il re di Ay e il suo popolo, la sua città e il suo territorio. Dovrete trattare Ay e il suo re come Gerico e il suo re; ma questa volta potrete prendere per voi il bottino e il bestiame. Organizza un agguato alle spalle della città” (Giosuè 8,1-2).
I comandamenti: «Non uccidere» (Esodo 20,13) e «Non rubare» (Esodo 20,15) qui vengono deliberatamente infranti per ordine di Dio stesso. D'altra parte, stando alla Bibbia, questo Dio l'aveva fatto anche un attimo dopo averli scritti sul Monte Sinai, quando Mosè si era trovato davanti al vitello d'oro. Ci troviamo quindi al cospetto di un Dio spietato e sanguinario per il quale solo il popolo eletto andava protetto e salvaguardato, mentre il resto dell'umanità veniva considerato con crudele disprezzo. Una volta conclusa la grande conquista di Canaan e radicalmente sterminati tutti i cananei «il paese ebbe requie dalle guerre» (Gios 11,23), e Giosuè riunì le tribù per dividere tra di loro la terra conquistata.

giovedì 23 giugno 2016

”Antitesi”, l'opera perduta di Marcione. 266

Marcione scrisse una sola opera intitolata Antitesi, che,  verso la fine del Il secolo , era ampiamente diffusa in tutte le maggiori comunità cristiane dell’Impero Romano ma che non ci è pervenuta, come non ci sono pervenute molte altre opere diffusissime al loro tempo (basti pensare a quelle  di Celso e di Porfirio) perché la Chiesa trionfante, a partire dal IV secolo, ha censurato implacabilmente tutto quanto era   ritenuto micidiale per la sua ortodossia. Forse, queste opere in qualche segreta del Vaticano, sono tuttora conservate, ma rigorosamente nascoste perché ancora  ritenute pericolose. 

Comunque, oggi noi conosciamo, almeno in parte, il contenuto di Antitesi per merito delle citazioni dei numerosi avversari ortodossi che lo contestarono, ma soprattutto per mezzo dei cinque libri di Tertulliano (Adversus Marcionem), il dottore della Chiesa che  più implacabilmente contrastò le sue teorie. 

Nelle sue Antitesi, Marcione con  pensieri semplici quanto rivoluzionari, mise  a nudo i contrasti fra il Vecchio Testamento e il Vangelo, per condannare radicalmente il Dio biblico Jahvé come un Dio malvagio, vendicativo e sanguinario.  Se, infatti, la predicazione di Gesù era  la dottrina del perdono, dell'amore universale anche per i nemici, quale rapporto poteva  sussistere fra il vendicativo Dio degli Ebrei e il Dio amorevole e misericordioso, padre di Gesù?

Marcione rinnegò dunque Jahvé come vero Dio e lo relegò al ruolo di demiurgo, creatore di un mondo corrotto e immerso nel male,  e proclamò Gesù Cristo quale figlio di un nuovo Dio buono, improvvisamente giunto nel mondo per predicare l'amore e contrastare il principio biblico  dell’«occhio per occhio, dente per dente». 

Javhé, il creatore del mondo, diveniva così addirittura «l’autore del male», un cattivo Demiurgo  totalmente legato ai destini del mondo, considerato caduco e provvisorio, e del quale Marcione nutriva una concezione pessimistica,  mentre il Dio buono era per lui quello permanente in eterno.

 Risulta chiaro che la teoria di Marcione, intesa come "blasphemia creatoris”, determinava  la caduta di ogni teodicea, il venir meno di dottrine che tentano di armonizzare il Male nel mondo con l’esistenza di un creatore onnisciente, onnipotente e misericordioso e dimostrava,  con singolare lucidità, la discrepanza fra lo spirito del Vecchio Testamento. e i comandamenti di Gesù. Ma dovette trascorre un millennio e mezzo prima che le inaudite crudeltà e oscenità della Bibbia  venissero messe in evidenza.

Tertulliano


martedì 21 giugno 2016

49– Il falso Jahvè. La conquista della Terra di Canaan. La guerra lampo. 1

Il libro di Giosuè racconta la storia della conquista della terra di Canaan come una campagna militare epica e fulminea che portò le tribù di Israele a sconfiggere i potenti re di Canaan e ad ereditarne le terre. È la storia delle vittorie di Jahvè, il Dio degli eserciti che combatte a fianco di Isaele, il suo popolo eletto, per annientare i pagani arroganti. È un susseguirsi di massacri e di carneficine inaudite, imposte da Jahvè contro i nemici vinti, con l'ordine categorico di non risparmiare nessuno degli idolatri, nemmeno le donne, i vecchi e i bambini. Una mostruosa epopea disumana e feroce che mette a nudo il volto "meschino, violento e assetato di sangue" (Freud) del sinaitico Dio tribale israelita, subentrato al Dio-Tutto di Akhenaton, che aveva comandato che Canaan fosse liberata da ogni traccia d'idolatria mediante lo sterminio totale dei suoi abitanti.
Ecco in rapida sequenza i genocidi perpetrati dagli Israeliti non appena si convinsero che "Jahvè stesso combatteva per Israele" (Giudici 10,14), e concedeva loro la sua totale protezione. Sciamarono nella terra di Canaan come barbari assetati di sangue e invasati da una missione divina. A Gerico non soltanto rasero al suolo la città, ma la saccheggiarono dei suoi tesori per adornare Bethel, la casa di Dio. (Giosuè 6,24). Quindi si spostarono verso la città di Ay, dove sistematicamente sterminarono tutti coloro che trovarono entro le sue mura.
"Quel giorno fu sterminata tutta la popolazione di Ay, uomini e donne: circa dodicimila persone. Giosuè aveva sempre tenuto la lancia puntata verso Ay. Smise soltanto quando tutti gli abitanti della città furono uccisi. Come il Signore aveva ordinato a Giosuè, gli israeliti si impadronirono del bottino e del bestiame" (Giosuè 8,25-27).
Poi avanzarono verso nord fino a raggiungere Makkeda.
"Quello stesso giorno Giosuè attaccò la città di Makkeda e la conquistò. Sterminò tutti gli abitanti e non risparmiò nessuno. Trattò il re di Makkeda come il re di Gerico" (Giosuè 10,28).
Proseguendo la sua marcia Giosuè attaccò successivamente la città di Azor.
Poi Giosuè tornò indietro. Conquistò la città di Azor e uccise il suo re. A quel tempo Azor era la capitale di tutti quei regni. Giosuè destinò la città allo sterminio: uccise tutti i suoi abitanti senza risparmiarne nemmeno uno. Poi la incendiò. Infine Giosuè conquistò le altre città. Sterminò i loro re” (Giosuè 11,10-12).


venerdì 17 giugno 2016

48– Il falso Jahvè. L'esodo: storia o leggenda?

Fin qui ci siamo attenuti scrupolosamente al racconto biblico. Ma l'Esodo, come le vicende dei patriarchi, è da considerarsi una mera leggenda o un avvenimento in parte o in tutto accaduto? Tutti gli studiosi sono concordi nell'affermare che nelle storia dell'Esodo sono stati mescolati elementi storici e geografici di epoche diverse, anche di secoli, per cui è impossibile inquadrarlo in un periodo storico preciso. Le incongruenze del racconto biblico sono molte e non di poco conto. Anzitutto le più recenti scoperte archeologiche sul Sinai e sulle coste palestinesi ci dicono, con chiara evidenza, che queste località, al tempo del presunto avvenimento dell'Esodo, erano disseminate di fortificazioni egiziane dislocate in più punti e così strettamente sorvegliate che mai avrebbero acconsentito il passaggio di un nutrito numero di schiavi fuggiti dall'Egitto contro la volontà del faraone. Sarebbero stati intercettati e bloccati facilmente e gli archivi egiziani ne avrebbero sicuramente parlato. In secondo luogo i siti nominati nel racconto dell'Esodo erano disabitati nell'epoca cui si riferiscono gli episodi delle peregrinazioni degli israeliti nel deserto. Infine i nomi egiziani menzionati e molti dettagli del racconto dell'Esodo, secondo l'egittologo Donald Redford, sono spiegabili soltanto se riferiti all'epoca della XXVI dinastia, fra la seconda metà del settimo e la prima metà del sesto secolo a.C., cioè al tempo di re Giosia e del faraone Necho, sei secoli dopo l'epoca in cui, per la Bibbia, si sarebbero verificati. Tutto ciò ad indicare come il racconto dell'Esodo abbia raggiunto la sua forma finale all'epoca della formulazione della Storia Deuteronomistica (di cui parleremo diffusamente fra poco) rielaborando brandelli antichi di verità storica inerenti alla migrazione dei cananei in Egitto e alla loro espulsione dal delta nel secondo millennio a.C.
Era l'epoca in cui Giosia, approffittando della caduta assira, stava progettando di riunire sotto il suo scettro tutti gli israeliti. Ma trovava un ostacolo nell'Egitto che in quel momento riprendeva il controllo delle terre cananee, abbandonate dall'Assiria. Nella probabile prospettiva di un confronto militare col grande faraone, Giosia fece assemblare le antiche tradizioni dell'Esodo, provenienti da fonti molto diverse, in una singola e grandiosa epopea. Lo scopo era di dimostrare che egli, se assecondato come Mosè dal grande potere del Dio di Israele e dal suo miracoloso intervento salvifico, avrebbe realizzato, anche con l'opposizione del faraone, un unico e grandioso regno di tutti gli Israeliti, con un unico Dio, in un unico Tempio, nell'unica capitale Gerusalemme, e governati da un unico re della stirpe di David. L'epopea dell'Esodo di Israele dall'Egitto non è dunque una verità storica, come l'intendiamo noi oggi, ma un manifesto ideologico costruito su brandelli di storia e finalizzato a scopi politici ben definiti.



giovedì 16 giugno 2016

Marcione. 265

Marcione di Sinope, secondo il suo biografo Adolf Von Harnack, fu la personalità religiosa più significativa del mondo cristiano del II secolo, sia per la sua strenua lotta contro lo stravolgimento dell’insegnamento di Gesù a livello filosofico, sia contro le tendenze compromissorie della Chiesa coi culti pagani , sia, infine, contro il lassismo allora già molto diffuso tra il clero e in molti seguaci della nuova religione.

Nato a Sinope, città mercantile greca sulla riva meridionale del Mar Nero, intorno agli anni ottanta del l secolo, figlio probabilmente di un vescovo che forse lo escluse dalla comunità patria per divergenze dottrinarie, esercitò il mestiere di armatore, navigando con la sua nave nel Mediterraneo fino a raggiungere Roma. Qui entrò a far parte della comunità cristiana, cui fece dono di 200.000 sesterzi, che lo accolse con grande entusiasmo. Ma ben presto, resosi conto dello stravolgimento dell'ethos evangelico diffuso nella capitale, egli si accinse a riformare il cristianesimo manu propria.

La sua riforma incontrò una fortissima opposizione nell'ambiente romano, che inizialmente lo aveva accolto con grande favore, e si concluse con una rottura irreparabile e la restituzione della somma dei 200.000 sesterzi da lui precedentemente donata. Gli stravolgimenti del cristianesimo sui quali Marcione intendeva focalizzare la sua riforma riguardavano: il rigorismo etico del Vangelo, ormai infiacchito dall’utilitarismo e dal moderatismo borghese; l'irruzione nel messaggio di Gesù del sincretismo di motivi religiosi e filosofici che lo snaturavano e, infine, il sempre più accentuato avvicinamento al Vecchio Testamento che annullava la vera essenza del messaggio evangelico. Per di più la situazione morale delle comunità cristiana era molto decaduta e la corruzione dilagava nel clero e tra i fedeli.

In accordo col Maestro di Galilea e in contrasto con la Chiesa, Marcione rifiutò filosofia e dogmatica e si concentrò sull’esegesi delle parole di Gesù e di Paolo e su una teologia puramente evangelica. Non rimpolpò il Vangelo con la sapienza misterica pagana, come la Chiesa ufficiale, ma richiamò alla memoria con passione l’amore come nucleo centrale del messaggio evangelico, scorgendo nell’esaltazione beatifica dei poveri e degli infelici l’elemento distintivo della predicazione cristiana. Nel discorso della montagna ravvisò la quintessenza dell’insegnamento di Gesù e nell’amore per i nemici la principale caratteristica della sua dottrina.


Marcione


martedì 14 giugno 2016

47– Il falso Jahvè. Fine di Mosè.3

Stando alla Bibbia, ai patriarchi si era palesato un altro Dio, e cioè El, "colui che è potente e non si chiama". Freud non manca di osservare anche la relazione tra la radice del nome Iovis, genitivo di Iupiter, con quello di Jahvè, nonché quella di Aton con Adon e Adonai, termini biblici per indicare Dio (Freud, op.cit., pag 371 e 353).
Esaminando le molte incongruenze riscontrabili nell'Esodo (ad esempio, il faraone non riconosce in Mosè il suo nipote adottivo), Freud formulò anche l'ipotesi che ci fossero stati due Mosè nella storia d'Israele: il primo, ucciso dal popolo che non era in grado di sopportare il suo monoteismo esigente; il secondo, vissuto alcune generazioni dopo, che trovò il proprio posto nella memoria della tradizione.
La teoria del doppio Mosè sostenuta da Freud era stata ventilata da Eduard Meyer fin dal 1906. Secondo quest'autore Mosè non era il nipote del faraone descritto dalla Bibbia, protagonista dell'esodo degli ebrei, bensì un madianita che faceva il pastore nell'oasi di Meribah-Qadesh, nell'attuale Negev, nel sud della Palestina. Lì avrebbe istruito gli ebrei ad adorare Jahvè, Dio vulcanico sinaitico, venerato dalla contigua tribù araba dei madianiti (E.Meyer, op. cit., pp 38-58). Il Mosè egizio e il Mosè madianita di Meyer erano quindi due persone diverse.
Freud traccia un parallelismo tra i due Mosè. Sul piano umano mette a confronto il Mosè egizio, intollerante, intransigente e coercitivo col Mosè madianita posteriore, disposto al compromesso. Sul piano religioso fa rilevare l'enorme divario tra il Dio unico egizio dei grandi misteri e di Akhenaton, e il Dio del Mosè madianita Jahvè, demone vulcanico e sanguinario. Infine, attribuisce al secondo Mosè tutte le imperfezioni del Dio biblico e della sua Legge, conseguenti ai compromessi concordati tra le fazioni dei fuoriusciti dall'Egitto (Freud, op. cit., pag. 361 e seguenti). Anche secondo Strabone (op. cit) nel corso della loro storia gli ebrei avrebbero sostituito l'autentica dottrina monoteistica con norme superstiziose.
Con il trascorrere dei secoli, per merito soprattutto dell'azione incisiva dei grandi profeti, e con l'affiorare del senso di colpa per la sua uccisione, il latente ricordo del primo Mosè sarebbe immancabilmente riaffiorato, sovrapponendosi a quello del Mosè madianita, col risultato di un'unica religione sincretica. Ciò spiegherebbe la mutazione che nella Bibbia subisce la figurazione di Jahvè da rozzo Dio primitivo, meschino, violento e assetato di sangue, quale ci viene raffigurato nella conquista della Terra di Canaan, al Dio-Signore che propone agli uomini una esistenza vissuta secondo verità e giustizia, come quello egizio dei grandi misteri, predicato da alcuni profeti d'Israele e delineato nella riforma di Giosia
.

venerdì 10 giugno 2016

46– Il falso Jahvè. Fine di Mosè.2

La tesi sostenuta da Sellin parve a Freud avvalorare la sua supposizione che Mosè fosse stato ucciso collettivamente dal popolo ebraico per il suo insopportabile dispotismo, durante una sommossa popolare: "Il popolo ebraico di Mosè non era in grado di capire una religione ad alto contenuto spirituale, di trovare in essa il soddisfacimento dei propri bisogni, così come non l’avevano capita gli egiziani della XVIII dinastia. Sia nell’un caso sia nell’altro, i dominati e i defraudati insorsero e si liberarono del peso di una religione imposta. Ma mentre i mansueti egiziani attesero che il destino togliesse di mezzo la sacra persona del faraone, i feroci semiti presero in pugno il destino stesso abbattendo il tiranno" (S. Freud, op.cit., pag. 373).
Un'esecuzione in piena regola, quindi. E dal pentimento, che secondo Freud si manifestò in seguito, si sarebbe generato un impreciso e immanente senso di colpa, ancora presente nell'inconscio ebraico. Tolto di mezzo il profeta, continua Freud, gli ebrei avrebbero ripudiato il monoteismo d'origine egiziana, mai del tutto assimilato, e giunti nella zona di Moab si sarebbero lasciati sedurre dal culto pagano di un nume vulcanico sinaitico, primordiale e sanguinario, chiamata Jahvè (S. Freud, op. cit., pag. 361). Questo nume tutelare, primordiale e sanguinario, corrisponde esattamente al Dio venerato in Israele almeno fino alla riforma d Giosia nel VI secolo a.C. Secondo Leoard C.Woolley (Abraham. Recent Discoveries and Hebrew Origins pag. 256) Jahvè era il Dio di tribù siriane stanziatesi in Palestina prima di Mosè. Freud era convinto che questo Dio fosse sconosciuto ai patriarchi, tant’è vero che è il Signore stesso a far sapere a Mosè di non essersi mai manifestato ad Abramo, né ad Isacco o a Giacobbe sotto l'appellativo di Yhwh o Jahvè che fosse (Esodo, 6,3).

giovedì 9 giugno 2016

Il sincretismo del cristianesimo ha incorporato il mondo religioso e filosofico del suo tempo. 264

Come dimostrato nei post precedenti, il cristianesimo, consapevolmente o inconsapevolmente, incorporò le esperienze religiose e filosofiche del suo tempo costituendo una sintesi, per il mondo antico, estremamente attraente, di vecchio e di nuovo.

Dai culti misterici trasse la mistica sacramentale e dalla filosofia pensieri e metodi speculativi per cui la fede cristiana, vista nel suo complesso, era molto simile a quella pagana. Già più di un secolo fa lo svedese Martin Persson Nilsson, prof. di archeologia classica e storia dell'arte antica nell'università di Lund, nonché studioso della religione preellenica, greca ed ellenistica, aveva chiaramente dimostrato che risultato finale tra cristianesimo e paganesimo «non sarebbe stato granché differente, se avesse vinto il paganesimo».

E nel 1840, un altro storico delle religioni, Henry Hart Milman, autore del libro "Storia della cristianità sotto l'impero" aveva suscitato grande notorietà, affermando: «Su questo punto si è tutti d’accordo: nelle filosofie e nelle religioni pagane si può ritrovare gran parte di ciò che comunemente è ritenuta una verità cristiana».

In polemica con questa affermazione il celebre cardinale inglese John Henry Newman, beatificato da papa Benedetto XVI, tentò di ribaltare il concetto affermando: «Milman ne trae questa conclusione: “Giacché tutto ciò si trova presso i pagani, allora niente di tutto ciò è cristiano”. Noi, al contrario, preferiamo evincere quanto segue: “Tutto ciò è cristiano, e dunque nulla di questo è pagano”»

Ma alla fine la Chiesa, facendo di necessità virtù, fu costretta a riconosce che la sua cattolicità onnicomprensiva di un universalismo che abbraccia il mondo intero, è una derivazione da quasi tutte le specie di religiosità che la precedettero. D'altra parte anche l'Islam e il Buddhismo incorporarono al loro nascere il mondo religioso circostante e attuarono un analogo sincretismo, benché non in forma così marcata come il cristianesimo.



John Henry Newman


martedì 7 giugno 2016

45– Il falso Jahvè. Fine di Mosè.1

Secondo la Bibbia, Mosè morì il giorno del suo centoventesimo compleanno, ancora in pieno vigore fisico e psichico. Non gli fu concessa da Jahvè la grazia di calcare la Terra Promessa ma soltanto di poterla guardare da lontano. Non il popolo ma il suo Dio avrebbe sotterrato Mosè, non si sa dove.
E Mosè, servo del Signore, morì lassù nel paese di Moab, come il Signore aveva ordinato, e Dio lo seppellì nella valle, nel paese di Moab, dirimpetto a Bet-Fegor; ma nessuno fino al presente ha mai saputo dove sia la sua tomba”. (Deuteronomio 34,5-6).
Infatti, né il monte, né la sua tomba sono mai stati identificati.
Il racconto della morte di Mosè ha dato origine a qualche perplessità tra gli storici e gli esegeti della Bibbia. Il suo dispotismo, la sua spietatezza nell'ordinare ai Leviti di passare a fil di spada tremila ebrei, rei di aver patrocinato la costruzione del vitello d'oro, la sua ossessiva intransigenza religiosa, non lo fecero mai amare dal popolo, che del resto gli era estraneo, per cui qualcuno ha sollevato il sospetto che Mosè non sia morto in mezzo al popolo che assisteva affranto alla sua dipartita, ma per mano del popolo.
Il biblista tedesco Ernst Sellin decifrando il libro di Osea, profeta minore dell'VIII sec a.C., nel passo in cui esotericamente si allude alla tribù di Ephraim (Osea 12,14-15 e 13,1-2), giunse alla conclusione che quella tribù, che discendeva dal secondogenito di Giuseppe, si sarebbe macchiata di empietà e del sangue di colui che l'aveva fatta uscire dall'Egitto, cioè di Mosè (E. Sellin, Moses und seine Bedeutung). Lo scritto di Sellin suscitò grande scalpore al suo apparire. Nel 1938 l'ebraista Abraham Yahuda diffuse la notizia che Sellin, prima di morire nel 1932, avesse ritrattato la sua tesi. Notizia assolutamente falsa perché nelle sue ultime opere Sellin aveva pubblicato altri riscontri biblici che confermavano più che mai la sua ipotesi sull'assassinio di Mosè (E.Sellin, Hosea und das Martirium des Mose pagg. 26-33).


venerdì 3 giugno 2016

44– Il falso Jahvè. Il senso di colpa e il nazireato. 4

Il termine nazireo sta anche alla base di un grosso equivoco che contraddistingue la nascita di Gesù. Secondo i Vangeli, Gesù era chiamato nazareno perché proveniva da Nazaret, piccolo villaggio della Galilea. È un fatto dato per ovvio da tutti. Ma è una gran bufala. Nazaret non è mai esistita nell'antichità. Giuseppe Flavio, quasi contemporaneo di Gesù nonché storico pignolo e informatissimo sulle vicende d'Israele, nelle sue "Antiquitates Judaicae " elenca tutte le località della Palestina del suo tempo, e non nomina mai Nazaret. Non solo. Nelle descrizioni che i Vangeli ci danno di Nazaret troviamo un alto monte che sovrasta la città e un mare (lago) che quasi la lambisce. Ebbene, la Nazaret odierna, inventata dai crociati nel Medioevo e avvallata dagli israeliani per scopi turistici e di pellegrinaggio, è adagiata su dolci colline e dista dal lago una trentina di chilometri.
Quindi, Gesù non era Nazareno bensì Nazireo come le erano molti ebrei del suo tempo. Lo era anche Giacomo suo fratello. Ce lo conferma Eusebio di Cesarea, un Padre della Chiesa che scrive: "Giacomo, fratello del Signore, era santo fin dal grembo materno. Non beveva vino, né altre bevande inebrianti e non mangiava assolutamente carne. Mai forbice toccò la sua testa; non si spalmava di olio e non prendeva il bagno. Non indossava abiti di lana, ma solo di lino" (Eusebio, Storia ecclesiastica II, 23,44-46). Più nazireo di così!
E i primi seguaci della Chiesa di Gerusalemme, guidati dagli apostoli Giacomo e Pietro, non erano chiamati Nazorei o Nazirei? Forse che provenivano tutti da Nazaret? (In tal caso avrebbero dovuto essere chiamati nazaretani).


giovedì 2 giugno 2016

Considerazioni sulla dipendenza del cristianesimo da forme precristiane di religione. 263



Abbiamo visto nei precedenti post che la filosofia viene felicemente accolta da alcuni importanti Padri della Chiesa come: Atenagora, Giustino, Clemente Alessandrino, Origene perché, secondo loro, conteneva verità parziali, esortazioni etiche del Vangelo ed era propedeutica alla fede ma, nel contempo, abbiamo visto che viene rigidamente respinta da Taziano, Teofilo, Minucio Felice, Tertulliano e dal vescovo di Milano Ambrogio ai quali si deve aggiungere anche Ignazio, Policarpo, Erma perché, secondo questi ultimi, è colma di contraddizioni, priva di capacità di conoscere il vero e pericolosa in tutto e per tutto.

Ma, nonostante questa apparente contraddizione, risulta evidente la dipendenza del cristianesimo primitivo dalla filosofia greca e da forme precristiane di religione, tanto che il cristianesimo del III e del IV secolo non differisce granché dal paganesimo né nelle forme di devozione né nella teologia. Da entrambe le parti: paganesimo e cristianesimo, vi è la medesima tendenza all’adattamento reciproco, dalla aspirazione all’ascesi alla speculazione teologica, dalla superstizione alla credenza nei miracoli.

Anche la maggior parte dei culti più importanti d’epoca ellenistica possiede esattamente gli stessi patrimoni salvifici del cristianesimo, proprio perché sono la risultante della comune derivazione dalla teologia greco-orientale. Paganesimo e cristianesimo sono religioni salvifiche, conoscono tutte il mito del Redentore fattosi uomo e il dramma cultuale del dio che muore e risorge; hanno in comune sacramenti, in particolare battesimo e pasto sacralizzato, apocalissi, sacre scritture, profezie e miracoli.

Il linguaggio dei filosofi e dei retori spesso non si distingue affatto da quello dei Padri della Chiesa, per cui i passaggi da una fede all’altra, anche dal cristianesimo al paganesimo, si potevano verificare sovente con facilità estrema. E dunque il cristianesimo non superò le religioni e le scuole filosofiche dell’Impero Romano ma semplicemente le assorbì e le continuò sotto altro nome. Quindi, quanto veniva offerto dal sincretismo pagano ed era caro all’uomo d’allora venne mantenuto dalla nuova religione, coincidendo con le idee e le concezioni universalmente diffuse: in ciò consistette uno dei motivi più importanti della sua vittoria sul paganesimo.



Sant'Ambrogio


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Se volete in qualche modo parlare con me, lasciate la richiesta nei commenti, vi contatterò per e-mail. Dato che il blog mi occupa parecchio tempo, sarò laconico nelle risposte.

Se gli argomenti trattati sono di vostro interesse, passate parola; e, se site studenti, proponeteli al vostro insegnante di religione. In tal caso fatemi sapere le risposte che avete ottenuto. Grazie.

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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)