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venerdì 28 ottobre 2016

80– Il falso Jahvè. Il Regno d'Israele 2

Nella Bibbia esistono due pseudo profezie, così possono essere definite in quanto sono state aggiunte a posteriori, cioè dopo l'accadimento dei fatti per giustificarli, dunque "prophetiae post eventum". Sono abilmente inserite nel racconto del crollo della monarchia unita e della fondazione del regno indipendente d'Israele e vogliono dimostrare, in base alla nuova teologia giosiana, che tutte le sciagure che colpivano Israele erano riconducibile a delle punizioni divine per ricadute nell'idolatria. La prima, annunciata a Salomone da un profeta per ordine di Dio, recita: "Poiché hai fatto questo e non osservasti il mio Patto e i miei statuti che ti prescrissi, strapperò da te il regno e lo darò ad uno dei tuoi servi.[..] Tuttavia non strapperò tutto il regno, una tribù la darò a tuo figlio, ciò faccio per riguardo a David mio servo e a Gerusalemme che elessi" (1 Re 11,11-13). Con ciò specificando che la promessa originale fatta a David, il regno imperituro su tutto Israele per i suoi discendenti, era stata compromessa ma non del tutto annullata dal peccato di Salomone. La ricongiunzione dei due regni, in un futuro più o meno lontano, era ancora possibile
Una seconda profezia (1 Re 11,31-39). designava che a regnare nel nuovo regno di Israele sarebbe stato Geroboamo, figlio di Nebat, un efraimita, funzionario di Salomone. Costui, all'uscita di Gerusalemme, incontrò il profeta Achia di Silo che, alla sua vista, si strappò le vesti di dosso, le fece in dodici pezzi e gliene porse dieci, dichiarandolo nuovo re d'Israele, a patto che non commettesse le stesse colpe di Salomone. La promessa che Dio fa a Geroboamo, tramite questa pseudo-profezia, a differenza di quella fatta a David, pone una condizione chiarissima: proteggerà il suo regno solo fintantoché egli farà quel che è giusto agli occhi del Signore, cioè non ricadrà nell'idolatria.

Lo storico deuteronomista quindi considerava la divisione della monarchia unita di David e Salomone un contrattempo temporaneo con un possibile lieto fine se il Regno di Giuda fosse rimasto fedele al Patto con Jahvè e ridiventato santo. Tra le righe si intuisce che un re virtuoso, chiamato Giosia, erede di David, avrebbe portato a termine la promessa di Jahvè al suo popolo eletto riunificando in un imminente futuro tutto Israele.

giovedì 27 ottobre 2016

La convivenza difficile del mondo monacale con la gerarchia della Chiesa. 281

La Chiesa mondanizzata oppose inizialmente una dura resistenza al movimento monacale perché lo considerava eversivo e lo vedeva come una denuncia del suo lassismo soprattutto in Occidente, ma cercò di tenere sotto controllo questa grave minaccia e di assorbire il fenomeno nel suo alveo. I monaci da parte loro, il cui movimento traeva alimento dal mondo laico, fuori dalla gerarchia clericale, spesso reagirono in maniera energica a questo tipo di approccio.

Quale fosse il concetto che avevano del clero del tempo è dimostrato dalla raccomandazione di non lasciare soldi in eredità alla Chiesa «perché li avrebbero divorati per colazione». L'incorporamento avvenne non senza lotte, come attestano diatribe anche violente fra conventi e vescovi, specie in Egitto, ma anche numerose battaglie di singole persone.

Molti monaci furono fatti preti con la forza. Il monaco Macedonio, detto il mangiatore d’orzo, inseguì il vescovo Flaviano di Antiochia, che voleva consacrarlo, con un fiume di insulti e armato di bastone; il monaco Paoliniano venne consacrato sacerdote dal vescovo Epifanio di Salamina, dopo essere stato imbavagliato e totalmente immobilizzato. In molti altri casi i monaci si sottrassero con la fuga all’ordinazione sacerdotale e vescovile.

Il Concilio di Calcedonia del 451, riconoscendo la validità dei voti monacali, riuscì a sottoporre definitivamente i monaci alla sorveglianza dei vescovi, annettendoli così all’apparato della Chiesa e ottenendo da essi incondizionata obbedienza. Così, già a partire dal VI secolo, il monachesimo venne annesso alla Chiesa sempre più mondanizzata, un processo che si accentuò nel Medio Evo come è dimostrato dal fatto che il papato riuscì di ridurre a ordine monacale il movimento di Francesco d’Assisi che si proponeva di richiamarsi al cristianesimo delle origini. Il monachesimo non fu quindi se non una riforma fallita.

Nel corso di questo processo nacque la cosiddetta «doppia morale», estranea al cristianesimo primitivo, nel quale non si verificavano distinzioni fra i fedeli e i comandamenti di Gesù erano validi indistintamente per tutti i cristiani. Poi venne la differenziazione fra preti e laici. Con l'istituzione dell'”ordine sacro” (il sesto sacramento) si è creata, secondo la Chiesa, una differenza tra ministri consacrati e fedeli non solo funzionale ma ontologica. Traducendo: il clero sacerdotale con l'unzione diventa, per investitura divina, quasi un’altra specie, una casta super umana e perciò con obblighi diversi rispetto ai comuni mortali determinando una distinzione fra i doveri dei «perfetti» (clero) e degli «imperfetti» (laici), fra criteri valutativi per la massa e per gli «eletti», che poi troverebbero miglior trattamento dei cristiani «normali» anche nell’aldilà.

Con l’accettazione di una doppia moralità la Chiesa rinunciò una volta per tutte a rendere vincolante per ogni cristiano l’ethos gesuano. Lutero eliminò il principio della doppia morale, sul quale riposa tutta l’etica cattolica, e impose a tutti i medesimi obblighi, ma con la differenziazione fra doveri cristiani e doveri civili creò una nuova duplicazione della moralità, allo scopo di giustificare la guerra per motivi religiosi nella quale era coinvolto.



Martin Lutero


mercoledì 26 ottobre 2016

79– Il falso Jahvè. Il Regno d'Israele 1

Il Regno del Nord, subito dopo la fine della monarchia unita intorno al 900 a.C., s'avviò a diventare uno Stato pienamente sviluppato, cioè ad essere governato da un apparato burocratico, a sviluppare un'importante attività edificatoria e una prospera economia basata sul commercio con le regioni vicine, a coltivare una diffusa alfabetizzazione e a istituire un esercito professionale. Le sue città principali: Meghiddo, Izreel e Samaria, stando alla più recente ricerca archeologica, divennero dei centri amministrativi importanti con palazzi governativi, edifici residenziali sontuosi costruiti con blocchi di pietra bugnata e decorati con capitelli, e anche dotate di imponenti fortificazioni. Contemporaneamente invece il Regno di Giuda rimase povero e arretrato, con appena una ventina di villaggi sperduti intorno a Gerusalemme, e un'economia imperniata su un'agricoltura di sussistenza e sulla pastorizia. Aveva una scarsa capacità edificatoria e non intratteneva contatti commerciali con gli Stati vicini. Insomma tra i due regni si formò ben presto un divario considerevole.
Ma stando alla Bibbia il Regno d'Israele era inferiore a Giuda non solo sotto l'aspetto religioso ma anche sociale, politico ed economico. I due libri dei Re, che ne ricostruirono la storia dopo che fu distrutto dagli Assiri, ce lo presentano come aborrito da Jahvè per la sua perversa idolatria, per i matrimoni misti e la sua corruzione, ma anche governato da re scellerati e incapaci (esattamente l'opposto di quanto ci tramandano i documenti dell'epoca). e fanno comprendere che la sua redenzione sarebbe potuta venire solo con la riunificazione con Giuda, cioè con la fine della divisione temporanea del regno unito in due stati antagonisti, dovuta all'infedeltà religiosa di un membro importante della stirpe di David, benedetta da Dio, Salomone.
Infatti il mitico Salomone, ritratto dalla Bibbia come uno dei più grandi re di tutti i tempi, era accusato di aver provocato la rottura dell'unità d'Israele, come punizione dei suoi peccati di idolatria. Circuito dalle centinaia di mogli che costituivano il suo harem, per lo più straniere e pagane, aveva costruito molti altari a divinità pagane come Astarte, Milcom, Kemosh e pertanto "fece ciò che è male agli occhi del Signore" e attirò il suo castigo.

venerdì 21 ottobre 2016

78– Il falso Jahvè. Lo scisma e la nascita dei regni di Giuda e di Israele 9

Si può pertanto affermare che al tempo di Ezechia i giudei erano arrivati a vedere un simile oggetto come un'immagine proibita dal secondo comandamento, ma per Mosè, il gran legislatore in persona, non era stato così. La realizzazione del bastone con il serpente, durante la peregrinazione nel deserto, è descritto nel Libro dei Numeri:
"Allora il Signore disse a Mosè: «Fa' un serpente di metallo e fissalo in cima a una pertica» [...] Mosè fuse un serpente di bronzo e lo pose in cima a una pertica" [...] (Numeri 21,8-9).
Parrebbe dunque che al tempo di Giosia i giudei avessero reso il secondo comandamento molto più rigido di quanto avesse originariamente indicato Mosè. Oltre al bastone con il serpente, Mosè impose anche di fissare le corna del toro ai due lati dell'altare dei sacrifici, come più tardi fecero i sacerdoti di Baal. Quindi, se gli autori dell'Antico Testamento ci danno l'impressione che il Regno d'Israele fosse una nazione di pagani, questo sembra dipendere dal fatto che al tempo in cui il testo fu compilato si erano sviluppate due interpretazioni diverse della religione ebraica.
Quali erano dunque gli idoli che i giudei rimproveravano agli israeliti? Effigi che rappresentavano Jahvè e antiche sacre reliquie. Quanto al nome Baal, sembra che in realtà fosse un antico titolo di Dio, prima che intervenisse il nome Jahvè; risalirebbe ad un periodo religioso più primitivo. Troviamo nel Libro di Osea, un profeta che predicava nel Regno d'Israele al tempo in cui fu conquistato dagli Assiri: "E quel giorno, disse il Signore, mi chiamerai Ishi, e non mi chiamerai più Baali (Baal)" (Osea 2,16).
Come mai a un certo punto il nome Baal fu severamente proibito nel Regno di Giuda? Probabilmente perché venne associato al nome del Dio filisteo Zebub.
Sembra infatti che alcuni israeliti, divenuti seguaci di questa divinità, cominciassero a chiamarla Baal-Zebub, "il Signore Zebub" da cui deriverebbe il nome del demonio Belzebù, usato nel Nuovo Testamento (2 Re 1,1-16).

giovedì 20 ottobre 2016

Nascita deI primi conventi cristiani. 280

Abbiamo visto nel post precedente che nei primi insediamenti romiti i monaci vivevano piuttosto liberamente, senza regole fisse e senza obblighi. Ma, all'inizio del IV secolo, il copto Pacomio, che aveva trascorso molti anni nel servizio militare e poi era diventato un asceta di Serapide, fondò il primo chiostro in un villaggio disabitato a nord di Tebe, presso il Nilo, imponendo ai compagni che vivevano nelle celle regole molto rigide e obbedienza incondizionata.

Al posto dell’originaria libertà degli eremiti subentrò allora il koinòs bios, la vita comunitaria irregimentata, una forma di vita militare di tipo conventuale. Questo nuovo ordinamento non riguardò solo i maschi ma trovò diffusione anche in campo femminile e determinò la nascita dei primi conventi di monache. Il primo di questi fu fondato da Pacomio per la sorella.

Questa nuova forma di ascesi impose un sistema di vita che ricordava quella militare di una caserma. Ogni monaco indossava la stessa uniforme, compreso cinturone di pelle; la cucina comune provvedeva al sostentamento una volta al giorno e la comunità mangiava in un refettorio comune. Il riposo notturno era regolato con precisione, la preghiera avveniva in orari specifici e le pratiche di pietà venivano svolte in comunità. In questi chiostri fu ben presto introdotta l’antica frusta egiziana della polizia che impartiva severe punizioni corporali non solo ai maschi ma perfino alle donne. Scenute, un cristiano copto molto eminente ai suoi tempi, torturava e bastonava manu propria i suoi monaci.

Verso la fine del IV secolo il monachesimo si diffuse anche in Occidente, soprattutto in Irlanda, dove superò addirittura la rigidità dell’ascesi dei monaci egizi, dando vita a forme punitive sotto forma di fustigazioni o bastonature, anche per le più banali mancanze, come starnutire o tossire durante il servizio divino.



S.Pacomio


martedì 18 ottobre 2016

77– Il falso Jahvè. Lo scisma e la nascita dei regni di Giuda e di Israele 8

 Quindi, molto prima di Ezechia e di Giosia, i due re riformatori, nel regno unito d'Israele era in uso una pratica che, successivamente, fu giudicata idolatria. Si continuò, cioè, a raffigurare aspetti della potenza di Dio sotto forma d'immagini devozionali, soprattutto quelle del serpente e del toro. I giudei arrivarono a considerare pagane tali pratiche e a separare il Dio venerato in Israele dal Dio venerato in Giuda. Sappiamo inoltre come il vitello d'oro avesse esercitato un'attrazione fortissima su tutto il popolo d'Israele durante i quarant'anni dell'Esodo, e come il toro fosse per molti israeliti una rappresentazione di Jahvè. Sembra quindi che per un certo periodo di tempo tali effigi non fossero affatto considerate “immagine di quello che è in cielo”, e che solo in un periodo molto più tardo della storia degli ebrei, probabilmente dopo la riforma di Giosia, le effigi del vitello e del toro finissero per essere viste come una violazione del precetto divino.
Sappiamo poi che Mosè, su ordine di Jahvè, si era costruito un bastone che recava attorcigliato un serpente di bronzo. Questo bastone era conservato dai sacerdoti del Regno d'Israele come una delle più sacre reliquie venerate dal popolo. Quando però, ci dice la Bibbia, Israele fu invaso dagli Assiri e molti suoi cittadini cercarono rifugio in Giuda, il re giudeo Ezechia, prima di accogliere i profughi pose due condizioni: che giurassero fedeltà al Tempio di Gerusalemme e che consegnassero il bastone col serpente, considerato come una forma d'idolatria proibita dalla legge di Dio:
"Ezechia eseguì la volontà del Signore [...] e fece a pezzi il serpente di bronzo costruito da Mosè" (2 Re 18,34).

venerdì 14 ottobre 2016

76– Il falso Jahvè. Lo scisma e la nascita dei regni di Giuda e di Israele 7

 L'archeologia ha confermato che il Dio che gli autori dell'Antico Testamento chiamavano Baal era effettivamente associato con il toro. Gli scavi effettuati alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso a Samaria, l'antica capitale d'Israele, da un'equipe dell'Università di Toronto (D. Simkiss, Archaeological Review, III, 1984), hanno portato alla luce i resti del tempio a cielo aperto costruito dal re Acab, distrutto verso l'anno 840 a.C. dal generale Ieu per ordine del profeta Eliseo, come ci viene testimoniato dalla Bibbia.
"Ieu ordinò alle guardie e ai loro capi: «Venite e uccideteli tutti (i seguaci di Baal). Non lasciatevi sfuggire nessuno!» Li uccisero a colpi di spada e gettarono fuori i cadaveri. Poi penetrarono nella parte più interna del tempio di Baal. Portarono fuori la stele di Baal e la distrussero con il fuoco. Distrussero la stele di Baal, demolirono il tempio" (2 Re 10,25-27).
Gli scavi del sito rivelarono che il tempio era stato distrutto dal fuoco dalle fondamenta. Statue grandi non furono trovate, ma vennero alla luce diverse effigi di tori e di vitelli, prova evidente che Baal era venerato con immagini del toro. Come si spiega la presenza di queste effigi, definite idoli dai giudei?
Sappiamo che il secondo dei Dieci Comandamenti di Mosè recita:
"Non fabbricarti nessun idolo e non farti nessuna immagine di quello che è in cielo [...] Non devi adorare né rendere culto a cose di questo genere" (Esodo 20,45).
Ma sappiamo che non sempre questo comandamento, di fondamentale importanza per la religione ebraica, era stato rispettato. Già Mosè aveva fatto adornare il coperchio dell'Arca dell'Alleanza con le statue di due cherubini ad ali spiegate, e Salomone aveva fatto erigere ai lati del portico del Tempio due massicce statue di angeli ad ali aperte.
"Salomone fece inoltre costruire due cherubini di metallo fuso, rivestiti d'oro, per il luogo santissimo. Da un'estremità all'altra le ali dei cherubini misuravano venti cubiti" [...] (2 Cronache 3, 10).
E che cos’è, questo, se non «fare immagine di quello che è in cielo»?

giovedì 13 ottobre 2016

La dura vita del monaco eremita 279

Nei primi insediamenti romiti i monaci vivevano piuttosto liberamente, senza regole fisse e senza obblighi. Alcuni svolgevano qualche lavoro, altri se ne stavano oziosi ma tutti pregavano molto. Il padrenostro veniva ripetuto, per accrescerne l’efficacia, fino a trecento volte al giorno. Ma oltre a pregare ci si macerava e si combatteva contro il demonio, visto soprattutto come tentazione carnale. Gli anacoreti, infatti, evitavano come la peste la vista di creature femminili. Scacciavano persino madri e sorelle minacciandole col lancio di sassi.

Seguendo questa prassi Simeone, il santo stilita, non guardò la madre per tutta la vita. Ma il diavolo per loro era sempre in agguato per cui a Sketis, una celebre colonia egizia di monaci, non venivano tollerati nemmeno giovani imberbi che potessero ricordare il viso di una donna o scatenare gli istinti pedofili di molti anacoreti, per cui Isacco, il presbitero di Kellia, aveva ordinato di tener lontani i bambini, perché a causa loro sarebbero andate in malora già quattro comunità di Sketis: a tal punto di sfrenatezza, dunque, erano giunti gli asceti cristiani da dedicarsi alla pederastia! Come si vede questo diffuso vizio tra il clero cattolico di oggi ha un'origine antica. L’abate Giovanni Colobo aveva affermato perentorio: «Chi è sazio e parla con un fanciullo, quegli ha con lui già commesso fornicazione”.

Si capisce così perché questi uomini avessero tanto bisogno di macerarsi. Maltrattavano il corpo in ogni modo: bevevano poco, si cibavano solo d’erbaggi selvatici, limitavano il riposo notturno, dormivano in piedi o dentro sepolcri o fra serpi e vermi. Evitavano la pulizia del corpo, emanando un fetore insopportabile, trascinavano catene di ferro o pesanti croci sulle spalle. Molti asceti indossavano cilici; taluni vagavano talvolta nudi come vermi. Ovviamente, però, ci furono anche forme di esistenza monacale più normali attuate da chi si sforzava di osservare i comandamenti di Gesù, calpestati dalla Chiesa ormai mondanizzata, senza arrivare al parossismo.


S.Simeone stilita


martedì 11 ottobre 2016

75– Il falso Jahvè. Lo scisma e la nascita dei regni di Giuda e di Israele 6

Ma chi era questo Dio venerato nel Regno d'Israele col nome di Baal? In base all'iscrizione che leggiamo sulla Pietra Moabita (John Rogerson in Chronicle, pagg. 101-102) possiamo dedurre che Baal era il nome israelita che corrispondeva a Jahvè. Quindi Baal e Jahvè erano lo stesso Dio con due nomi diversi.
Secondo l'iscrizione della Pietra di Moab, il re Mesa saccheggiò il tempio di Nebo e "ne prese le pietre dall'altare di Jahvè". Monte Nebo era uno dei siti religiosi più importanti d'Israele dove si venerava Baal e il re contro il quale Mesa condusse la sua campagna militare intorno all'853 a.C., era il re d'Israele Ioram, nipote di Omri. Secondo la Bibbia Ioram “rimase legato alla colpa del re Geroboamo, figlio di Nebat, che aveva fatto peccare Israele" (2 Re 3,14).
Se ne desume che in un'epoca in cui il Dio d'Israele sarebbe stato Baal, Mesa saccheggiò uno dei templi più importanti d'Israele che secondo l'iscrizione era invece dedicato a Jahvè. La stessa Bibbia conferma che i razziatori di Mesa portarono via idoli di Baal dal tempio di Nebo: “II Dio Bei [altra forma della parola Baal usata in più occasioni] è sconfitto, Nebo abbattuto, i loro idoli sono portati via su bestie da soma” (Isaia 46,1). Poiché l'iscrizione di Mesa identifica questi stessi «idoli» con le pietre dell'altare di Jahvè, allora Jahvè e Baal erano evidentemente la medesima divinità.
Ma se Israele e Giuda adoravano lo stesso Dio, sia pure attribuendogli nomi diversi, in che cosa consisteva l'accusa d'idolatria rivolta da Giuda ad Israele? Leggendo tra le righe del Vecchio Testamento scopriamo che l'oggetto delle accuse non era tanto il Dio o il suo nome, quanto il fatto che Baal era associato ad un toro o a un vitello.
"Essi presero il toro, lo prepararono e invocarono Baal [...] Fecero anche delle danze sacre attorno all'altare che avevano costruito" (1 Re 18,26).
Abbiamo visto in precedenza che Geroboamo eresse due statue raffiguranti dei vitelli, una delle quali fu collocata nel santuario più importante, quello di Bethel, la casa di Dio.

venerdì 7 ottobre 2016

74– Il falso Jahvè. Lo scisma e la nascita dei regni di Giuda e di Israele 5

La Bibbia è la versione giudea degli avvenimenti, cioè della parte vincente. E come si sa, la storia è sempre scritta dai vincitori. Se fosse sopravvissuto il Regno d'Israele e avesse compilato l'Antico Testamento, probabilmente avremmo una versione completamente opposta dei fatti.
Ciò premesso, di che cosa il Regno d'Israele veniva accusato dai giudei? Fondamentalmente, di avere sostituito il culto di Jahvè con quello del Dio Baal. Tradizionalmente i biblisti interpretano Baal come una divinità fenicia, introdotta intorno all'870 a.C. in Israele dalla moglie fenicia di re Acab, Gezabele, (D. Williams, New Concise Bible Dictionary, pag. 47). Il riferimento diretto al culto di Baal collegato al Regno d'Israele lo troviamo nel Libro Primo dei Re:
"Commise [Acab] più colpe di Geroboamo, figlio di Nebat. Sposò Gezabele [...] adorò il Dio Baal, si inchinò davanti a lui" (I Re 16,31).
In realtà non fu Gezabele a introdurre in Israele il culto di Baal, ma lo stesso Geroboamo, come ricaviamo dalla Bibbia, che ogni qualvolta descrive un re che segue questo culto recita testualmente: "seguendo le orme di Geroboamo". Nonostante le affermazioni dei biblisti, l'archeologia non ha mai portato alla luce alcuna testimonianza che i fenici avessero avuto un Dio chiamato Baal. I fenici veneravano tutto un pantheon di divinità, ma in nessuna delle loro iscrizioni o dei loro testi, che sopravvivono numerosi, troviamo che si parli di un Dio con questo nome, o con un nome simile.
E allora? Baal non è un termine fenicio, bensì ebraico. Significa "signore" ed è molto usato nella Bibbia sia riferito ai nomi di persona, come Baal-Hanan (Signor Hanan, un re di Edom), sia nei toponimi. Un esempio: Beth-Baal-Meon la "casa del signore Meon". Baal, cioè "signore" non era un nome proprio ma soltanto un titolo onorifico riferito alle persone importanti e soprattutto alla divinità. (Francis Brown, Hebrew and the English Lexicon of the Old Testament).

giovedì 6 ottobre 2016

Origine del monachesimo 278

Il monachesimo nacque per contrastare il processo di secolarizzazione del cristianesimo che, come abbiamo visto in precedenza, ebbe inizio assai presto. Infatti il suo ethos evangelico molto severo venne continuamente attenuato dai vescovi monarchi col crescere delle comunità e fu ridotto al punto da poter essere accessibile comodamente a qualsiasi persona. A poco a poco il livello morale del mondo cristiano si uniformò a quello precedente, i cristiani fedeli al Vangelo se ne scandalizzarono e lasciarono la Chiesa, chi dando origine a sette, come quella dei marcionisti e dei montanisti, chi confluendo nel movimento del monachesimo.che poteva benissimo incorporarsi nel movimento cattolico.
Da sempre la cristianità primitiva si era dedicata all’ascesi, seguendo le direttive impartite da Paolo di Tarso che rasentavano il fanatismo, e nella'attesa della parusia aveva seguito la tendenza alla fuga dal mondo, per cui, evidentemente, in quel periodo non potevano esistere i monaci. Solo quando la Chiesa andò sempre più mondanizzandosi, molti cristiani, scandalizzati soprattutto dal clero epulone e dal lassismo dei più, ritornarono alle concezioni rigoristiche dei vecchi tempi o le proseguirono. E’ significativo che il monachesimo si sviluppò soprattutto proprio sotto il governo di Costantino, allorché il cattolicesimo compì il passo definitivo in direzione del mondo e della vita mondana.

Nel III secolo il cristianesimo conosceva già asceti, uomini e donne, che vivevano in piccole comunità; la fase successiva di sviluppo del monachesimo fu l’ascetismo singolo in luoghi solitari e sperduti. Alla fine del III secolo in Egitto il copto Antonio si ritirò in eremitaggio nel deserto, seguito da una schiera sempre più numerosa di giovani che abbracciarono il medesimo stile di vita. Ben presto, seguendo l'esempio di questo anacoreta, si diffusero insediamenti monastici per tutti i deserti e le zone più desolate d’Egitto, Siria e Mesopotamia .Gli storici ci raccontano che questi monaci ed eremiti erano nudi o vestiti di stacci e si nutrivano esclusivamente brucando l’erba, come ci racconta lo storico Sozomeno (Storia della Chiesa 7,15).

In Etiopia, gli eremiti del territorio di Chimezana erano diventati così concorrenti con le capre del luogo che i pastori si videro costretti a ricacciarli nelle loro spelonche, dove morirono di fame. Sappiamo che nel VI secolo un anacoreta, che viveva presso il Giordano, era da tutti conosciuto come Pietro il Pascolatore e che Apa Sofroniade, un altro anacoreta dello stesso periodo, brucò per settant’anni, nudo, sulle rive del Mar Morto.

S.Antonio anacoreta


martedì 4 ottobre 2016

73– Il falso Jahvè. Lo scisma e la nascita dei regni di Giuda e di Israele 4

Osea, altro profeta di Giuda, circa venti anni prima, al tempo cioè in cui gli assiri stavano occupando Israele, interpretò l'invasione assira come una punizione divina perché gli israeliti veneravano Dio a Bethel. Lo stesso dicasi del profeta Geremia, il presunto autore dei due libri dei Re. Vedremo in seguito che il tempio di Bethel fu distrutto con estrema ferocia da Giosia, intorno al 630 a.C., dopo che Israele ebbe cessato di esistere.
La Bibbia, che ci consente di individuare molti antichi luoghi legati al culto perché dà di essi dei punti di riferimento, non ci permette di localizzare in nessun modo il sito dell'antica Bethel. Si può dedurre che gli scribi giudei, a causa del loro odio verso quest'antico santuario che si opponeva al Tempio di Gerusalemme, abbiano voluto che di esso non rimanesse alcuna traccia che servisse a localizzarlo.
Secondo il profeta Geremia, che predicò negli anni immediatamente precedenti la conquista babilonese, Bethel e le bomath d'Israele erano stati tutti dedicati a Baal. Il Libro secondo dei Re, nel descrivere le attività religiose del Regno del Nord, condanna senza appello Geroboamo e i suoi successori per avere allontanato il popolo dal Tempio di Gerusalemme e per aver adorato Baal in un santuario idolatrico.
Ma tutto ciò corrisponde a verità, oppure fu dovuto all'influenza esercitata dalla nuova teologia sorta in seguito alla scoperta, al tempo di re Giosia, del Deuteronomio, libro attribuito a Mosè e ispiratore dell'intera Bibbia? Prima di rispondere a questa domanda bisogna fare una premessa importante.
A seguito dello scisma politico-religioso tra i regni di Giuda e d'Israele, i due popoli presero a odiarsi a morte, e il Regno d'Israele fu considerato dai giudei una nazione di idolatri. Si era probabilmente creato tra le due fazioni lo stesso clima che s'instaurò tra la Chiesa Cattolica e quella Protestante al tempo della Riforma di Lutero. Entrambe le Chiese veneravano lo stesso Dio e si basavano sugli stessi testi canonici, ma si consideravano reciprocamente eretiche ed espressioni dell'Anticristo. Dobbiamo inoltre tenere presente che coloro che compilarono l'Antico Testamento erano scribi del Regno di Giuda e che a quel tempo Israele era già stato distrutto dagli Assiri e aveva cessato di esistere e, infine, che c'era stata la restaurazione fondamentalista del re Giosia, il probabile inventore del Deuteronomio, che aveva dato una diversa interpretazione della religione ebraica.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)