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mercoledì 29 novembre 2017

Peccato e redenzione n,39

Questi nuovi inserimenti determinarono l'introduzione nei Vangeli fino allora esistenti, ufficializzati precedentemente sotto Costantino il Grande, della "Natività verginale" di Cristo "figlio unigenito", aggiunta appositamente dopo quella data. Tuttavia gli scribi di Dio, dopo aver inserito due "Natività verginali" di Gesù, totalmente discordanti nei Vangeli di Matteo e di Luca, dimenticarono di "aggiornare" gli altri passi dei Vangeli, fino allora in uso, dai quali tutt'oggi risulta che Maria, oltre a Gesù, aveva altri quattro figli maschi e due o più femmine. In conseguenza di ciò gli scribi cristiani, non potendo ammettere che siano esistiti altri figli della “Madre di Gesù Cristo unigenito”, sempre immacolata anche dopo il parto, furono costretti a clonare più "Marie" nei Vangeli e in "Atti", come abbiamo visto in precedenza. Il dogma mariano ha di conseguenza immerso la Chiesa in un ginepraio di menzogne e l'ha costretta ad arrampicarsi sugli specchi per far passare i fratelli di Gesù come cugini. I cattolici continuano tuttora a credere nella verginità di Maria ma i cristiani protestanti di ogni tendenza, più ligi ai testi evangelici, hanno rigettato questo assurdo dogma per cui ritengono che Gesù abbia avuto fratelli e sorelle.
La "Natività" di Gesù, nei Vangeli di Luca e Matteo, è servita a fornire la documentazione teologica utile ai Vescovi per decretare, nel successivo Concilio di Efeso del 431 d.C., l'ulteriore dogma mariano che conclamò la SS. Vergine Maria "Madre di Dio". Ciò in conformità al mondo pagano che proclamava tutti gli dei soterici partoriti da vergini mortali a cominciare dalle due dee allora super venerate nel mondo pagano: Iside e Artemide.
Col Concilio di Efeso e con il progressivo affermarsi del primato episcopale di Roma dopo il IV secolo, possiamo considerare completata la travagliata nascita del Cristianesimo anche se esso si è successivamente arricchito con l'invenzione dei sacramenti e di ulteriori dogmi.
A conclusione della lunga, tormentata e contrastata nascita del Cristianesimo va ribadito con chiarezza che la Chiesa ha sempre saputo che la nuova religione da essa creata, si è evoluta da una dottrina primitiva filo giudaica zelota, che postulava una figura di Messia che propugnava l'uso della forza per liberare la terra d'Israele dall'occupazione romana e pertanto non ha alcun riferimento con una Rivelazione divina. Ecco perché la Chiesa, volutamente, ha sempre evitato di far conoscere ai propri fedeli questo aspetto basilare della dottrina, tanto grave quanto imbarazzante.

Ecco perché la Chiesa si è sempre preoccupata, attraverso i secoli, di manipolare, alterare, distruggere i codici antichi, caduti nelle sue mani dopo la caduta dell'Impero romano, che potevano mettere a nudo le sue origini legate alla lotta armata messianica ed evidenziare la contrastata e contorta gestazione della sua dottrina; si è sempre preoccupata di manipolare nomi, date e descrizioni per rendere inconoscibili molti avvenimenti in contrasto coi suoi principi; si è sempre preoccupata di inventare personaggi mai storicamente dimostrati, come Paolo di Tarso; infine, si è sempre preoccupata di infierire con estrema ferocia contro chiunque contrastava le sue inventate verità. Una vera religione rivelata direttamente da Dio non avrebbe mai avuto bisogno di ricorrere a questi mezzi estremi e, soprattutto, non avrebbe mai conosciuto un'involuzione che le rendesse oppressiva e oscurantista come è divenuto nei secoli il Cristianesimo.   

venerdì 24 novembre 2017

Peccato e redenzione n.38

Gli scribi che manipolarono i Vangeli primitivi per adattarli alle innovazioni paoline, non essendo ebrei e non conoscendo la Palestina, commisero nelle loro trascrizioni molti pacchiani errori di tipo storico e geografico, oggi evidenziati da archeologia, toponomastica, orografia e numismatica, al punto dal rendere i Vangeli attuali inattendibili. La più colossale mistificazione riguardò la descrizione di Nazaret dal tutto improponibile come presentata nei Vangeli attuali perché scopiazzata da Gamala con una conformazione orografica del tutto diversa. Non solo, ma lasciarono inavvertitamente molte tracce evidenti che si allacciavano alla lotta zelota, come alcuni proclami bellicosi di Gesù, la cacciata dei mercanti dal Tempio e i soprannomi partigiani degli Apostoli.
Il trapasso dall’originario messianismo escatologico, sostenuto dai giudei, ad un nuovo messianismo sacramentale e trascendente, che al posto dell'imminente avvento del messianico Regno di Dio sulla Terra, ansiosamente atteso dall'intero Israele, accogliesse il concetto greco di immortalità nell'aldilà e trasformasse il Messia escatologico nel Figlio di Dio, Redentore dell'umanità, avvenne quindi creando una nuova dottrina, di presunta derivazione divina, proclive all'Impero, favorevole alla schiavitù e nemica della originale religione ebraica fondamentalmente antiromana, e, per di più, agganciata alle religioni misteriche diffuse allora in tutto il mondo antico.
La nuova dottrina originata da Paolo, scontrandosi con le tendenze gnostiche sempre molto diffuse nel mondo cristiano primitivo ebbe una gestazione molto tormentata fino a quando Costantino, il Grande, una volta riunificato l’Impero, nella veste di Pontefice Massimo, decise di sincretizzare, in un unico “Salvatore”, i “Soteres” delle più importanti religioni esistenti nelle Province imperiali e, forse consigliato e diretto dal vescovo Eusebio di Cesarea suo probabile parente, indisse il Concilio di Nicea del 325 che segnò la nascita ufficiale del Cristianesimo.
Le differenze teologiche allora esistenti fra le molte dottrine in embrione diedero origine, durante il concilio, a scontri anche violenti poiché ognuna di esse si considerava unica depositaria della vera “Rivelazione sulla Verità della Salvezza”, o della vera “Sostanza del Salvatore”, o della “gnosi del Figlio a forma del Padre” o di quante “Potenze o Sostanze” dovesse essere composto “Il Verbo” o il “Logos”, e così via. Finché non venne trovata la soluzione definitiva sulla “transustanziazione”, cioè “il rituale attraverso il quale si attua la presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù nell’Eucaristia, con la conversione del vino nel Sangue e del pane nel Corpo di Gesù Cristo rimanendo immutate solo le apparenze del pane e del vino”.
Gli scontri dottrinari, però, si susseguirono fino al IV secolo per cui si rese necessario indire Concili su Concili per tentare di “conciliare” dottrine scismatiche che si accusarono reciprocamente, come “eretiche”, “apostate” o “folli”. Dottrina contro dottrina, vescovi contro vescovi, cristiani contro cristiani. Le eresie anatemizzate furono alcune decine: Ariani Pneumatomachi, Basilidiani, Docetisti, Marcioniani, Donatisti, Pelagiani, Monofisiti, Nestoriani, Abelliani, Valentiniani, Montaniani e via discorrendo.
Solo nel IV secolo, col massiccio appoggio imperiale e la promulgazione dell'Editto di Tessalonica con il quale il cattolicesimo venne imposto come religione dell'Impero, tutte le dottrine cristiane dichiarate “eretiche”, soprattutto quella fondata sulla “gnosi” più adatta ad asceti portati all’esaltazione mistica che ai semplici fedeli attratti soprattutto dal mito della resurrezione dei corpi, furono eliminate, con i rispettivi Vangeli, lasciando vincente il Cristianesimo che perdura fino ai nostri giorni, e tutte le opere dei polemisti anticristiani che avevano messo in luce le incongruenze e le contraddizioni dell'evoluzione della nuova dottrina, come gli scritti di Celso e Porfirio, furono messe al rogo. L'odio che imperversava tra i cristiani in quell'epoca di lotte fratricide viene così descritto da Ammiano Marcellino, il maggiore degli storici imperiali del IV secolo nelle sue "Res Gestae" del 378 d.C.:"Nessuna bestia feroce è ostile a se stessa come la maggior parte dei cristiani fra loro" (Res Gestae, XXII 5,3-4). E il frenetico andirivieni dei padri apostolici nei frequenti concili così viene documentato dallo stesso autore: "A caterve i Clerici viaggiavano con la scusa dei Concili, a spese dello Stato, da una parte all'altra dell'Impero" (op. cit. XXI 16,18).

Col Concilio di Costantinopoli del 381, il Credo cristiano subì un'ulteriore evoluzione con l'inserimento di nuove importanti verità dogmatiche non presenti nel Concilio di Nicea del 325: la “Santissima Trinità”, la "Vergine Maria, Madre di Cristo unigenito per opera dello Spirito Santo” e la crocifissione di Gesù sotto Ponzio Pilato. Esso infatti recitava: "Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli … Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, il terzo giorno è resuscitato…”.   

martedì 21 novembre 2017

Peccato e redenzione n. 37

Paolo viene descritto dotato di poteri divini miracolistici straordinari, addirittura superiori a Gesù. Risuscitava i morti (At 20,9-10), guariva gli storpi (At 14,8-10) e chiunque fosse affetto da un qualsiasi male solo a contatto della sua ombra "Dio operava prodigi straordinari per opera di Paolo, al punto che si mettevano sopra i malati fazzoletti o grembiuli che erano stati a contatto con lui, le malattie cessavano e gli spiriti maligni fuggivano" (At 19,11).
Solo che le sue gesta, come quelle di Gesù, assolutamente incredibili, sono state totalmente ignorate dagli storici e pure dalle Epistole, rilasciate a futura memoria, dagli apostoli Giacomo, Giovanni e Giuda. Gli evangelisti, che secondo la cronologia degli scritti del Nuovo Testamento, compilarono i loro Vangeli dopo le Lettere di Paolo, avrebbero dovuto almeno citarlo in qualche modo. Invece, silenzio assoluto, da parte loro ma anche da parte dei primi Padri della Chiesa. Allora ci chiediamo: questo Paolo è veramente esistito o è stato soltanto una ideologia “incarnata” in un mitico nuovo apostolo di Gesù”, resasi necessaria per revisionare il messianismo zelota, dopo le guerre di Tito, Traiano e Adriano, e aprirsi, con una evoluzione successiva, ai culti misterici pagani della “salvezza” oltre la morte, sino al punto di ottenere la grazia di risorgere con un corpo incorruttibile per l'eternità; di adottare la liturgia teofagica (consistente nel cibarsi della carne e del sangue di un dio immolato, simbolicamente rappresentati dal pane e dal vino) a similitudine di quella praticata nei riti pagani in onore del dio Mitra e di altre divinità legate ai culti misterici; e, infine, sotto il profilo politico, di creare una dottrina antisemita proclive al dominio di Roma che accettasse la schiavitù e tutti gli ordinamenti dell'Impero romano.
E’ bene stare sottomessi e pagare i tributi perché quelli dediti a questo compito sono funzionari di Dio” (Rm 13,1); “Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore” (Ef 6,5);“Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite perché non c’è autorità se non da Dio, e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio” (Rm 13,1/7).
Paolo, il nuovo apostolo dei Gentili, se avesse predicato questi principi al tempo di Giovanni di Gamala sarebbe stato lapidato all'istante, a furor di popolo. Ma i tempi stavano velocemente cambiando e verso la fine del III secolo, con l'aggravarsi della crisi economica e dell’incapacità militare dell'Impero romano di difendere i propri confini, si era determinata la perdita di credibilità popolare nei confronti delle Divinità capitoline tutelari di Roma e ciò aveva favorito la diffusione di molteplici religioni orientali, fra le quali, in un primo momento, primeggiò il culto di Mitra, dio del Sole, ma favorì anche la diffusione del Cristianesimo paolino, promotore del Credo della "salvezza per la vita eterna" che faceva presa su masse crescenti di nuovi proseliti.
Questa dottrina offriva ai Gentili l'illusione dell'immortalità dell'anima tramite un sincretismo liturgico voluto da Dio; a tal fine istituiva l'eucaristia, il sacrificio teofagico pagano, che Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi (1 Corinzi 11, 23-29 ), affermava di aver ricevuta, in una visione celeste, direttamente dal Signore che l'aveva istituita nell'ultima cena quando aveva trasformato il vino del suo calice nel proprio sangue da far bere ai seguaci.
Ma l'innesto del sacrificio eucaristico teofagico del "Salvatore" pagano nella religione ebraica tramite il Messia dei Giudei si dimostrò improponibile perché, essendo "Yeshùa" Salvatore un "Nazireo" e al contempo "Dottore della Legge", come veniva connotato il Messia nei primitivi Vangeli, non avrebbe mai potuto trasformare il vino nel suo sangue, in totale contrasto con la fede masaica; pertanto gli ideologi cristiani modificarono la forma originaria ebraica da "Nazireo" in "Nazareno" e questa mutazione la giustificarono nei Vangeli con l'appartenenza di Gesù alla sua nuova patria, appositamente inventata: la città di "Nazaret" di Galilea.



venerdì 17 novembre 2017

Peccato e redenzione n. 36

L'evoluzione della dottrina
L'asmoneo rabbino Giovanni di Gamala, figlio di Giuda il Galileo, che approfittando del momento propizio in cui Roma nel 35 d.C. era impegnata contro i Parti, aveva conquistato il potere a Gerusalemme e si era fatto riconoscere, per circa un anno, Re dei Giudei e sommo sacerdote, una volta sconfitto e giustiziato nella pasqua del 36 da Lucio Vitellio, fu, come abbiamo già accennato, disconosciuto come Messia e dimenticato dagli esseni della Palestina, ma non dagli esseni d'Egitto. Dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel 70 d.C. ad opera di Tito, i terapeuti di Alessandria, cominciarono ad elaborare una nuova “gnosi” divina ripresa dal “logos” ideato dal filosofo ebreo Filone Alessandrino, ipotizzando una nuova figura di “Messia”: non più il "Figlio di Dio" “Dominatore del Mondo” come concepito nei frammenti dei rotoli di Qumran, bensì un sofferente “Figlio di Dio” “Salvatore del Mondo”. Per essi un “Messia”divino non più combattente nazionalista, quindi accettabile dal potere imperiale di Roma e meno pericoloso per la popolazione ebraica della diaspora, poteva incarnare l’uomo celeste, il Redentore, il modello perfetto dell'essere spirituale inviato da Dio sulla Terra per un puro gesto d'amore e dotato di una natura essenzialmente unica e spirituale.
Per essi Giovanni di Gamala che si era sacrificato docilmente per la salvezza della Giudea, soffrendo immani torture e mitizzato come agnus Dei, poteva raffigurare questo inviato celeste. Fu l'inizio di una dottrina intesa ad elaborare una religione che accogliesse, in un geniale sincretismo, le aspirazioni del mondo ebraico e di quello gentile, e che appagasse l'immaginario collettivo di un Salvatore universale, che trasversalmente era condiviso da tutto il mondo antico.
Questa iniziale dottrina gnostica, molto sentita e condivisa nel primitivo mondo cristiano di tendenza mistica, con il coinvolgimento di masse sempre più crescenti e più sensibili ai culti misterici si evolse ulteriormente nel II secolo con l'innesto del rito eucaristico teofagico dell'Ostia (vittima sacrificata alle divinità pagane) e successivamente con la "Natività virginale", derivata dal mondo pagano che proclamava tutti gli dei soterici partoriti da vergini mortali come le due dee allora super venerate nel mondo antico: Iside e Artemide.
All'inizio del processo di adattamento dottrinale, gli esseni terapeuti di Alessandria fondatori avevano deciso di custodire la “verità storica” della loro fede, incentrata sulla crocifissione di Giovanni di Gamala e sulla lotta armata degli zeloti, divenute leggendarie per una parte di ebrei. Quindi i primi Vangeli facevano riferimento a Giovanni di Gamala e ai suoi fratelli condottieri di un popolo che lotta per liberare la loro terra dai pagani. Ma quando, con l'evolversi della dottrina, i Padri fondatori della nuova religione compresero che i martiri irredentisti descritti nei loro Vangeli apparivano tutt'altro che docili "agnelli di Dio" perché perseguivano ideali rivoluzionari conformi all'integralismo ebraico violento, ed erano ormai in aperto contrasto con la nuova dottrina improntata al pacifismo che andava sempre più consolidandosi, furono costretti a trasformare i cruenti rivoluzionari della “quarta filosofia” zelota, in Apostoli miti come agnelli, predicatori di pace e di giustizia in terra e della vita eterna nell'aldilà.
Si trovarono inoltre nella necessità di cancellare il nome Giovanni, sostituendolo col titolo messianico Gesù (Yeshùa=Salvatore) e di replicare nei Vangeli più “Marie”, apparentate come “sorelle” e “cognate” di Maria, ingenerando nei Vangeli e negli Atti assurde contraddizioni. Infatti, cinque di queste “Marie” (tranne la “Maddalena”) sono madri di figli i cui nomi, di volta in volta, sono sempre gli stessi e di stretta osservanza giudaica: Giacomo, Simone, Giovanni, Giuda e Giuseppe ma attribuiti a padri diversi: Alfeo, Clopa, Zebedeo e Cleofa. Tutte queste “mogli” sono sorelle e portano lo stesso nome di “Maria” la madre di Gesù, mentre in realtà la vera Maria, madre di cinque figli maschi e due o più femmine, era, come abbiamo visto sopra, una nobile discendente degli Asmonei, moglie di Giuda il Galileo. A dimostrazione che nei primitivi Vangeli in uso prima del concilio di Nicea l'attuale Gesù evangelico era chiamato col suo vero nome Giovanni basta evidenziare che nel “Novum Testamentum Graece et Latine”, A. Merk – Roma – Pontificio Istituto Biblico, anno 1933, in una nota a fondo pagina, il curatore, Agostino Merk, riferisce che alcuni codici latini ed altri greci, risalenti al IX secolo nel brano di Matteo (Mt 13,55-56) citato sopra, tra i fratelli, figli di Maria, è presente “Iohannes” (Giovanni) come primogenito. Quindi il nome vero del Gesù nei protovangeli era Giovanni. È significativo il fatto che il prologo dell'attuale "Vangelo di Giovanni" inizi così:
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni…
Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1, 6-11).
L'evolversi della nuova dottrina verso le istanze dei culti misterici pagani, allora molto diffusi in tutto il mondo antico, comportò, la necessità di trasformare la dottrina precedente di origine messianico-zelota creata dagli esseni alessandrini, ma rimasta ancorata al giudaismo più ligio, aggiungendo una seconda “Rivelazione” di Gesù, artatamente presentata come coerente evoluzione di quella primitiva.
Allo scopo fu inventato un altro apostolo, superiore agli altri, denominato “Paolo”, presentandolo perennemente ispirato da Dio e fargli scrivere alcune Lettere posteriori ai Vangeli originali, (da non confondere con quelli che leggiamo oggi, totalmente diversi) per testimoniare la sua esistenza e il suo nuovo credo, inteso come una nuova Rivelazione da divulgare fra i Gentili pagani. Negli Atti degli Apostoli, testo fondamentale del Nuovo Testamento,


martedì 14 novembre 2017

Peccato e redenzione n. 35

Complessivamente, dal 6 d.C., nascita dello zelotismo messianico nazionalista, al 135 d.C., fine dello stato di Israele, a causa delle sommosse zelote e delle guerre da esse provocate, oltre alle molte città incendiate e rase al suolo, perì più di un milione di ebrei, senza considerare gli schiavi catturati, il cui numero fu talmente elevato da far crollare il mercato, e quanti, inoltre morirono per fame, per malattia e per gli incendi, cosicché al tempo di Adriano quasi tutta la Giudea era rimasta spopolata” (Dione Cassio Storia Romana LXIX 13,1-2).
Questa incredibile carneficina umana, di immani proporzioni, ci porta a fare un'inquietante considerazione. Come è possibile che mentre in Palestina si susseguivano massacri, continue rivolte sanguinosamente represse, crocefissioni, lotte fratricide tra fazioni ostili e distruzioni di villaggi e città, tutto storicamente documentato, di tutto ciò nei nostri Vangeli non vi sia la minima traccia; che mentre un Messia ebraico, proclamatosi Figlio di Dio, vagava nei villaggi, seguito da folle esultanti per i suoi miracoli e le sue "parabole", questo Messia risulti del tutto incredibilmente inconsapevole o indifferente a quanto gli accadeva intorno; che i dodici Apostoli che lo seguivano qualificati, negli stessi Vangeli, coi nomi partigiani: “zeloti”, “iscarioti”, “barionà” e “boanerghès”, cioè “fanatici nazionalisti”, “sicari”, “latitanti, ricercati” e “figli dell'ira”, vengano evangelicamente presentati come mansueti e docili predicatori di pace, sempre pronti ad offrire l'altra guancia? Tutto ciò ha dell'assurdo. Leggendo i nostri Vangeli la Galilea di allora ci viene presentata come un'oasi di pace e di esultanza dove Gesù è sempre immerso in un bagno di folla festante mentre, invece, la storia ci dice che era esattamente l'opposto, cioè scossa continuamente da violente sommosse e repressioni.
Perché tutto ciò è sparito dai Vangeli e da ogni documento del Nuovo Testamento? Perché bisognava creare nei nuovi “Sacri Testi” del nascente Cristianesimo una raffigurazione del Messia ebreo, diversa dallo zelota nazionalista modellato su Giovanni di Gamala, figlio di Giuda il Galileo. Ecco quindi che durante il Medioevo, i clerici amanuensi dei monasteri, ricopiarono, alterandoli con aggiunte e soppressioni anche vistose, i rotoli manoscritti o codici originali degli storici imperiali ereditati dalla Chiesa, in seguito alla caduta dell'Impero romano, e poi, dopo la copiatura, li distrussero del tutto. A noi restano solo copie datate dal X secolo in poi. Così i copisti di "Antichità Giudaica" di Giuseppe Flavio - l'opera più ricca di particolari e riferimenti storici risalenti al periodo evangelico - hanno tagliato nel XVIII libro tutte le azioni sanguinose del movimento nazionalista di liberazione, allo scopo di nascondere i nomi dei capi guerriglieri catturati dai romani, corrispondenti al rabbino fariseo Giovanni, e ai suoi fratelli aventi lo stesso nome dei fratelli di Gesù. I codici dell'apparato critico biblico (vedi “Novum Testamentum Graece et Latine”, A. Merk – Roma – Pontificio Istituto Biblico, anno 1933), che nel brano di Matteo (Mt 13,55-56) elenca i figli di Maria, tra i suoi figli, includevano anche “Iohannes” Giovanni, sono stati esclusi dal "canone", per nascondere che Gesù era il figlio primogenito di Giuda il Galileo e martire zelota sacrificato alla causa nazionalista giudaica. Il testo greco più antico in assoluto, contenente originariamente i libri di "Antichità Giudaiche" è il "Codex Palatinus MS 14", che si trova nella Biblioteca Vaticana. Datato al decimo secolo è mancante dei libri XVIII, XIX e XX, proprio quelli attinenti l'epoca di Gesù e dei suoi successori.

Cosa vi dice questo? Anzitutto, che la Chiesa ha commesso un crimine immane contro l'umanità intera alterando e distruggendo i codici, ad essa affidati per salvarli dalle invasioni barbariche, che testimoniavano gli avvenimenti del mondo antico; e ciò al solo scopo di mascherare la sua falsa origine e la sua contrastata evoluzione. Secondariamente, che la Chiesa ha sempre saputo che il suo Cristo, chiamato Gesù nei Vangeli, era Giovanni di Gamala, un capo zelota e i suoi Apostoli erano suoi fratelli.    

venerdì 10 novembre 2017

Peccato e redenzione n.34

Cominciamo da Giuda, che negli Atti viene chiamato Theudas e viene presentato come uno dei capi del Movimento Nazionalista Giudaico antiromano. Secondo Giuseppe Flavio, durante il periodo in cui Cuspio Fado era Procuratore della Giudea (44-46 d.C.), Giuda, atteggiandosi come Profeta col nome di Theudas, era riuscito a radunare un cospicuo numero di zeloti presso il fiume Giordano, forse pronti ad un colpo di mano, ma il procuratore Fado li colse di sorpresa inviando tempestivamente uno squadrone di cavalleria che piombò improvviso su di essi uccidendone molti e facendone altri prigionieri. Lo stesso Theudas fu catturato, gli mozzarono la testa e la portarono a Gerusalemme per esporla come trofeo e monito (Libro XX di “Antichità Giudaiche” versetti 97/102). Un paio d'anni dopo, sotto l’amministrazione di Tiberio Alessandro (Procuratore dal 46 al 48 d.C.), dopo una lunga latitanza, Giacomo e Simone (Pietro), figli di Giuda il Galileo, vennero catturati per essere sottoposti a processo e poi giustiziati di spada. Gli Atti riferiscono il loro arresto, confermando l'uccisione di Giacomo e inventando la liberazione di Pietro per intervento divino (Atti 12).
A causa dei continui scontri tra zeloti e romani la Palestina fu perennemente in preda ad un caos inarrestabile e nel 66 d.C. la situazione precipitò definitivamente. Fu allora che Giuseppe, conosciuto anche col nome di Menahem, l'ultimo dei figli di Giuda il Galileo e fratello del Messia crocifisso Giovanni, mirando alla restaurazione della monarchia asmonea di cui si sentiva erede, messosi alla testa di un folto manipolo di zeloti, assalì la roccaforte di Masada, si appropriò dell’arsenale del re Erode Agrippa II e, piombato a Gerusalemme, massacrò la guarnigione romana e assunse il comando della città (Bellum VII 433-434).
Ma il Sommo Sacerdote Anania gli si oppose, forse con l'appoggio del Sinedrio. Allora Giuseppe Menahem non esitò ad ucciderlo e a sostituire il vecchio Sinedrio con un altro rivoluzionario che lo riconobbe come Re dei Giudei e Sommo Sacerdote. Mentre, però, ornato in gran pompa con la veste regia, si trovava a pregare nel Tempio, Eleazar, capitano delle Guardie del Tempio e figlio del Sommo Sacerdote Ananìa che lui aveva ucciso, riuscì ad imprigionarlo e dopo averlo sottoposto a molti supplizi, ad ucciderlo con i suoi luogotenenti. La morte di Giuseppe, “detto Menahem” segnò la fine dei cinque fratelli appartenenti a una dinastia definita più volte da Giuseppe Flavio “di grande potere” ... Una stirpe di sangue reale che – rivendicando il diritto a sedersi sul trono dei Giudei, appartenuto agli Asmonei spodestati dai romani in favore di Erode – si impegnò, fino al martirio, in una guerra contro il dominio di Roma attraverso un contesto storico estremamente catastrofico per la nazione ebraica. Il casato asmoneo ebbe un ultimo e terrificante epilogo nel 73 d.C. per opera di Eleazar bar Jair (Lazzaro figlio di Giairo) nipote di Giuda il Galileo in quanto nato da una sua figlia (sorella quindi di Giovanni) che aveva sposato Giairo. Dopo l'uccisione delle zio Menahem, Eleazar capo della setta dei sicari, la fazione più irriducibile degli zeloti, si rifugiò nelle fortezza di Masada e durante la prima Guerra Giudaica, a partire del 70 d.C. ne diresse la resistenza. Nel 73 d.C. la decima legione sotto il comando di Flavio Silva, procuratore della Giudea, mediante la costruzione di una rampa imponente riuscì ad iniziare l'espugnazione della rocca. Allora Eleazar con un focoso discorso convinse, con la promessa della “resurrezione dell'anima”, circa mille ribelli, famiglie comprese, a suicidarsi in massa per evitare l'umiliazione di stupri e schiavitù da parte dei legionari (Bellum VII 253). Quando i romani penetrarono nell'altopiano, trovarono i corpi esanimi di tutti i difensori, tra cui donne e bambini. Una vera ecatombe. Con la morte di Eleazar si conclude definitivamente la tragica saga degli ultimi discendenti della regia famiglia degli Asmodei. È doveroso riconoscere che tutti i membri di quella potente dinastia, hanno lottato e pagato per un fine patriottico nobile. Per quattro generazioni, da Ezechia ad Eleazar, hanno condotto una guerriglia sempre a rischio della vita, accettando la morte con coraggio indomito e totale sprezzo del dolore.
La componente zelota, sempre molto diffusa in Israele, non volle mai sottomettersi al giogo romano nonostante la fine degli Asmonei e la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, e si riaccese violentissima nel 135 d.C con la insurrezione di Simone bar Kochba, che determinò la seconda e definitiva distruzione di Gerusalemme e della Palestina e la diaspora dell'intero popolo ebraico. L'imperatore Adriano, di fronte a quell'ennesima rivolta, pensò bene di risolvere il problema alla radice. Ordinò di cancellare a Gerusalemme e nella Palestina ogni traccia che si riferisse all'ebraismo. Quindi fece spianare il Golgota, sconvolse radicalmente ogni aspetto della vecchia città santa e sulle rovine del Tempio fece erigere, come suprema profanazione, un tempio pagano con le statue di Giove Capitolino e di altre divinità. Non pago degli stravolgimenti radicali operati a Gerusalemme e in Palestina, Adriano proibì agli ebrei, che si erano salvati nella fuga, di rientrare, pena la morte, nei loro territori e nella nuova Gerusalemme, ribattezzata Aelia Capitolina, e da allora iniziò la vera diaspora ebraica che durò fino alla nascita dello Stato d'Israele nel 1948.


martedì 7 novembre 2017

Peccato e redenzione n. 33

Il regno di Giovanni non durò a lungo. Alla fine dell’anno 35 d.C., Lucio Vitellio, dopo aver costretto Artabano alla fuga e aver assoggettato nuovamente l’Armenia al dominio di Roma, rientrò ad Antiochia con le sue legioni” (Tacito, Annales VI 37). Venuto a conoscenza degli eventi accaduti in Giudea, dopo aver fatto riposare l’esercito nei quartieri invernali, alla testa delle sue legioni si avviò verso Gerusalemme per giustiziare il monarca, che, illegittimamente, si era proclamato Re dei Giudei e ristabilire l'ordine. Nel frattempo il Prefetto Marcello era giunto a Cesarea Marittima per rilevare Ponzio Pilato dal suo incarico.
Giunto nel periodo pasquale del 36 d.C., Lucio Vitellio, cinse d’assedio la Città Santa, già stremata dalla lunga carestia, e le inviò un ultimatum di resa. Fu il Sinedrio, convocato dallo stesso Giovanni in qualità di Sommo Sacerdote del Tempio a decretare in quel momento la fine del Re e del suo breve regno. Nel Vangelo di Giovanni le parole di Caifa ai sinedriti che recitano: “Considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (Gv 11,50) suonano assurde se riferite ad un mite predicatore che offre sempre l'altra guancia qual è il Gesù evangelico, ma sommamente pertinenti se riferite ad un Messia zelota la cui sopravvivenza metteva a rischio l'incolumità di un intera nazione. Per Giovanni, il “Salvatore” Re dei Giudei, non vi fu alcuna possibilità di scampo e accettò la resa di Gerusalemme e il suo atroce destino: la crocifissione.
Venne arrestato, portato nella Fortezza Antonia, incatenato, sottoposto a dileggi e ad atroci torture. Il giorno dopo, venne crocefisso pubblicamente, come monito rivolto agli Ebrei inteso a rimarcare la potenza dell'Impero romano. Il popolo distanziato da un fitto cordone di sbarramento di miliziani romani, assistette in silenzio, impietrito e impotente, alla morte di Giovanni, sopraggiunta dopo una lunga agonia “fra i più atroci tormenti d'ogni sorta fino all'ultimo istante di vita” (Bellum VII cap. 8,272).
Poco prima di morire, secondo Marco e Matteo, il Gesù evangelico ebbe un attimo di smarrimento e pronunciò il grido di terrore e solitudine: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Marco 15,34), inconcepibile se Cristo fosse stato il Figlio di Dio che s'immolava per la salvezza dell'umanità, ma chiarissimo per un Messia che, avendo fermamente creduto nell'intervento di Jahvè in suo aiuto, constatava con disperazione l'abbandono divino e il fallimento della sua missione. In base alla legge romana, al collo del crocifisso venne appeso un cartello con il nome e la motivazione della pena capitale:
I N R I: IOHANNES NAZIREVS REX IVDAEORVMU.
Non vi fu alcuna via crucis, del resto mai accennate da Cicerone, Seneca, Maccio Plauto e Plinio il Vecchio che riferirono sulle crocifissioni. Questa tortura avrebbe creato grossi problemi di servizio d'ordine mettendo a rischio l'incolumità dei miliziani di scorta obbligati a seguire il condannato per un lungo tratto di strada. Non vi fu alcun processo per stabilire la colpevolezza perché il reato era flagrante. Quindi il processo di Gesù celebrato nei Vangeli, oltre ad essere una summa di incoerenze e di assurdità, era totalmente escluso dalla flagranza del reato. Allora perché è stato inserito nei Vangeli? Per far ricadere sui Giudei la colpa dell’uccisione del “Salvatore”. Infatti, Gesù Cristo “Nostro Signore”, per la nuova dottrina del Cristianesimo nascente, non doveva risultare giustiziato dal potere di Roma perché ciò avrebbe dimostrato che era un re ebreo zelota guerriero e questo contrastava la figura dell’“Agnus Dei”, vittima sacrificale divina per il bene dell’umanità. Inoltre i Vangeli narrano, in contrasto palese con la storia documentata e tra assurdità e incoerenze di ogni genere, che a far uccidere Gesù fu Ponzio Pilato, costretto dai Giudei, e non Lucio Vitellio. Falso storico conclamato perché la condanna di “Gesù” è avvenuta dopo la destituzione di Pilato (Ann. XV cap. 44).

La crocifissione di Giovanni di Gamala, per gli ebrei del suo tempo, significava che lui non era il Messia prescelto da Jahvè perché secondo i Profeti ebrei, il loro Dio non aveva schierato le potenze celesti in suo aiuto per annientare la supremazia dei “Kittim” pagani invasori (Rotoli di Qumran: frammento 4Q 246). Perciò dopo la fuga dei suoi seguaci zeloti, venne in un primo tempo dimenticato in Palestina, anche se la rivendicazione dinastica, come vederemo continuerà coi suoi fratelli, datesi alla macchia. Prima di analizzare sinteticamente l'evoluzione della nuova dottrina derivata dalla crocifissione di Giovanni di Gamala, che sfocerà nell'attuale Cristianesimo, esaminiamo per brevi linee le vicende finali, tutte altamente drammatiche e crudeli, degli altri quattro fratelli di Giovanni e del loro nipote Eleazar. 

venerdì 3 novembre 2017

Peccato e redenzione n. 32

A causa delle continue sommosse provocate dagli zeloti accadde che: “Spinti dall'odio e dal furore, i soldati romani si divertivano a crocifiggere i prigionieri in varie posizioni, e tale era il loro numero che mancava lo spazio per le croci e le croci per le vittime” (Bellum V 451). Come vedremo nel proseguo della trattazione, tutti i cinque figli di Giuda il Galileo e il loro nipote Eleazar finiranno di morte violenta combattendo con spietata durezza per la causa messianica.
Ma perché gli zeloti, nonostante la continua e feroce repressione romana che costò loro migliaia di crocifissioni e la distruzione di città e villaggi, mai desistettero dalla loro lotta armata contro i romani? Per una complessa serie di motivi, tra i quali era determinante il sostegno massiccio avuto dall'opinione popolare, specie dai giovani; ma principalmente perché credevano fermamente che, come avevano vaticinato i Profeti ebrei, Jahvè sarebbe intervenuto schierando le potenze celesti e la sua ira avrebbe annientato la supremazia dei “Kittim” pagani invasori, con una grande strage, consentendo al popolo eletto di costituire l'antico regno di Davide che sarebbe durato in eterno” (Rotoli di Qumran: frammento 4Q 246).
E, come vedremo nel prosegue dello studio, il vero Gesù (Giovanni di Gamala) e suo fratello minore Giuseppe o Menahem, riuscirono, in due successivi momenti, a scacciare i romani dalla Giudea e farsi ungere re d'Israele. Il “Rotolo della Guerra” trovato a Qumran nel 1947 ci ha dimostrato il linguaggio rassicurante, basato sulla certezza dell'intervento divino, adottato dai Profeti zeloti per istigare le masse a ribellarsi contro i “kittim” invasori: “Ascolta, Israele! Voi state per combattere contro i vostri nemici… Non spaventatevi e non allarmatevi innanzi a loro. Poiché il vostro Dio cammina con voi per combattere i vostri nemici e per salvarvi… Allorché nel vostro paese verrà una guerra contro un oppressore che vi opprime, suonerete le trombe e il vostro Dio si ricorderà di voi e sarete salvi dai vostri nemici ... ” . E , una volta sconfitti e catturati, non avendo avuto il tempo di suicidarsi prima della cattura, come affrontavano la morte gli zeloti? Giuseppe Flavio, il massimo storico ebraico che li odiò a morte, ritenendoli responsabili della distruzione di Gerusalemme e del Tempio e che forse era lontano parente dei figli di Giuda il Galileo, nel suo libro Guerra Giudaica così dice degli zeloti: “…non vi fu alcuno che non restasse ammirato per la loro fermezza e per la loro forza d’animo, o cieco fanatismo che dir si voglia…accogliendo i tormenti e il fuoco, con il corpo che pareva insensibile e l’anima quasi esultante” (Bellum VII 416-419). E ancora: “Il loro spirito fu assoggettato ad ogni genere di prova durante la guerra contro i romani, in cui stirati e contorti, bruciati e fratturati e passati attraverso tutti gli strumenti di tortura perché bestemmiassero il Legislatore, o mangiassero qualche cibo vietato, non si piegarono a nessuna delle due cose, senza una parola meno che ostile verso i carnefici e senza versare una lacrima. Ma sorridendo tra i dolori e, prendendosi gioco di quelli che li sottoponevano ai supplizi, esalavano serenamente l'anima, certi di tornare a riceverla” (Antichità II 152).
Nel 34 d.C. in Giudea imperversò una grave carestia che opprimeva l'intera popolazione, costringendo molti poveri a morire di fame. La carestia era aggravata anche dai forti contributi imposti da Roma sui prodotti agricoli e determinava scontri sociali cavalcati prontamente dagli zeloti allora campeggiati da Giovanni di Gamala, figlio primogenito di Giuda il Galileo. Nello stesso anno scoppiò un conflitto fra l'Impero romano e il Regno dei Parti, obbligando le legioni romane del Medio Oriente a marciare, sotto il comando di Lucio Vitellio, verso il fiume Eufrate per bloccare l'esercito persiano.
Approfittando di questa eccezionale situazione, Giovanni di Gamala (il Gesù dei Vangeli), stante i medesimi rapporti di forza fra i due Imperi, il Romano e il Partico, adottò l'identica strategia del suo predecessore, Antigono II asmoneo, contando, come lui, sulla vittoria dei Parti e si accordò con il re parto Artabano III per sollevare la Giudea contro i romani. Durante la Festa delle Capanne del 35, che riuniva a Gerusalemme gran parte della popolazione giudaica, spinse la nazione a ribellarsi, e dopo aver annientato la guarnigione romana, si impadronì del potere facendosi osannare dal popolo come “Re dei Giudei” e “Salvatore” (Yeshùa). Giovanni restaurò la prassi degli antenati monarchi Asmonei che rivestivano entrambi i sacri uffizi di Re e Sommo Sacerdote. Per gli Ebrei Giovanni divenne così il “Yeshùa” (Salvatore) della terra santa, e tramite il rituale dell'unzione, il nuovo Messia (Cristo). A quella data, il Prefetto Ponzio Pilato era stanziato nel palazzo pretorio di Cesarea Marittima, ma, non avendo saputo disporre forze sufficienti per impedire la rivolta, venne da Roma riconosciuto colpevole e destituito.




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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)