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martedì 31 gennaio 2017

107– Il falso Jahvè. La scomparsa del quarantesimo libro della Bibbia 2

Nel XIX secolo cominciarono a circolare dei libri medioevali, scritti in ebraico, tutti denominati "Il libro di Jashar" ma un po' diversi tra loro per forma e contenuto. Secondo Edgar J.Goodspeed, professore emerito dell'Università di Chicago, autore di "Modern Apocrypha, Famous "Biblical" Hoaxes (The Beacon Press, Boston, 1956) essi riguardavano:
1. Un trattato ebraico sull'etica, attribuito a Rabbi Tham, morto nel 1171, pubblicato a Venezia nel 1544 e ripubblicato a Vienna nel 1811, menzionato nell' Encyclopedia Judaica (Jerusalem: Macmillan, 1971, vol. 14, pag. 1099).
2. Una sinopsi dei primi sette libri del Vecchio Testamento pubblicata a Londra nel 1751. Nella prefazione si dice che il testo era stato tradotto in inglese dall'abbate di Canterbury Flaccus Albinus Alcuinus (650 circa d.C.), che l'aveva acquistato in Persia in occasione di un pellegrinaggio in Terra Santa. È ritenuta da Edgar Goodspeed e da altri studiosi assolutamente falsa, ed è conosciuta anche come Pseudo-Jasar.
3. Un terzo Libro di Jasar derivato da un documento ebraico cui viene attribuita una certa attendibilità. Secondo fonti ebraiche questo testo era stato rinvenuto da un ufficiale romano di origine spagnola e di nome Sidrus, nel 70 d.C. durante la conquista di Gerusalemme in una biblioteca nascosta di quella città. Da lui portato a Siviglia, nel XII secolo fu donato all'Università Ebraica di Cordova. Pubblicato a Venezia nel 1625 in ebraico, venne poi tradotto in inglese da un erudito ebreo chiamato Samuel di Liverpool e pubblicato a New York nel 1840. Questo libro ha incontrato subito il favore di alcune sette cristiane, in particolare di quella dei Mormoni, perché integrava e riordinava la Bibbia fino all'epoca dei Giudici, aggiungendo particolari inediti.
Queste varie versioni del Libro di Jashar non hanno né capitoli né versetti, come originariamente erano i libri dell'Antico Testamento. Trattano della schiavitù in Egitto degli ebrei, del loro esodo e della conquista della Terra Promessa. Rispetto alla Bibbia, presentano varianti significative. Per esempio, la causa dell'uccisione dei tremila ebrei nel deserto non dipese dall'adorazione del vitello d'oro, come racconta Esodo, ma fu provocata da una sommossa. Dio, parlando tramite Jashar, non solo non perdona quella strage, ma rimprovera Mosè e condanna tutti gli israeliti per quella guerra fratricida.
Il successore di Mosè, sempre secondo questi testi, non fu Giosuè ma Jashar dal quale il libro prende il nome. Fu Jashar, che era nel contempo sacerdote e guerriero, a nominare Giosuè comandante in campo degli eserciti israeliti. Ma, soprattutto, fu Jashar su nomina di Mosè a rivestire la carica di sommo sacerdote di Bethel, il santuario a cielo aperto più importante di tutto Israele, e fu la sua tribù a ricevere l’incarico di custodirlo. Questo fatto potrebbe costituire il motivo per cui il Libro di Jashar è stato tolto dal canone dell'Antico Testamento, forse per ordine di Giosia, il re fondamentalista che distrusse Bethel e sterminò i devoti del santuario e ne profanò perfino le tombe.
Il libro afferma anche che Jashar e la sua tribù erano gli edomiti. Nella parte iniziale del testo vengono ricalcati episodi narrati in Genesi ma con sostanziali differenze. L'episodio del diseredamento di Esaù per un piatto di lenticchie e la sua sostituzione con Giacobbe al momento della benedizione di Isacco, con la complicità di Rebecca, davvero poco credibile per non dire inverosimile, non si trova in questo testo. Anzi, il nome di Esaù non compare mai e il fratello di Giacobbe è chiamato Edom, cosa del resto confermata anche in Genesi 36,8 :"Esaù prese dunque a dimorare nella regione montuosa di Seir. Esaù è Edom".



venerdì 27 gennaio 2017

106– Il falso Jahvè. La scomparsa del quarantesimo libro della Bibbia 1

Sappiamo che nel Regno di Giuda veniva coltivato un odio mortale verso il regno fratello d'Israele a causa del culto di Baal, e sappiamo che dopo la sua distruzione il Regno di Giuda cancellò di proposito ogni traccia della vera impronta religiosa d'Israele, limitandosi a dichiararlo idolatra. Ma Giuda nutriva un eguale e forse più intenso odio anche per il regno di Edom, che comprendeva il territorio poi chiamato Idumea.
Gli edomiti erano collegati politicamente e religiosamente agli Israeliti, e molti Alti Luoghi – santuari a cielo aperto dedicati a Baal, cioè a Jahvè – si trovavano nel loro territorio. Per alcuni biblisti addirittura il Monte di Dio, cioè il luogo dove Mosè ricevette le famose Tavole della Legge, si trovava a Teman, nella terra di Edom, e non nel Sinai.
Durante l'invasione assira gli edomiti riuscirono a salvaguardare la loro indipendenza e autonomia e conservare il loro culto ma, col passare dei secoli, vennero assimilati dai nabatei, che fondarono la loro capitale a Petra. Secondo il Libro di Jashar gli edomiti erano i sacerdoti di Bethel, i guardiani del Monte di Dio e una tribù importante d'Israele.
Nel Libro di Giosuè viene raccontato un fatto insolito e misterioso. Un giorno, mentre era vicino a Gerico, Giosuè alzò gli occhi e vide di fronte a sé un uomo con la spada sguainata. Gli andò incontro e gli domandò: “Sei dei nostri oppure un nemico?” Egli rispose: “Né uno dei vostri né un nemico. Sono il capo dell'Esercito del Signore, e ora vengo ad aiutarti”. Giosuè si prostrò a terra e gli domandò: “Che cosa vuol dire il mio Signore al suo servo?” Il capo dell'Esercito del Signore rispose: “Togliti i sandali dai piedi perché questo luogo è sacro”. E così fece Giosuè (Giosuè 5,13-15).
Chi era questo personaggio misterioso che si presenta come più importante del successore di Mosè? Il Libro di Giosuè non ce lo dice perché il racconto s'interrompe bruscamente, quasi fosse stato censurato. Non è impossibile supporre che l'uomo misterioso e così potente fosse il capo degli edomiti, Jashar. Infatti, la Bibbia contiene la prova che un tempo esisteva un quarantesimo libro dell'Antico Testamento chiamato appunto Libro di Jashar, o Libro del Giusto. Questo libro nella Bibbia viene citato due volte. La prima quando descrive il "giorno lungo di Giosuè a Gabaon":
"Il giorno che l'Eterno diede gli Amorei nelle mani dei figli d'Israele, Giosuè parlò all'Eterno e disse in presenza d'Israele: «Sole, fermati su Gabaon, e tu, luna, sulla valle di Ajalon!». Così il sole si fermò e la luna si arrestò, finché il popolo si fu vendicato dei suoi nemici. Questo non sta forse scritto nel libro di Jashar?" (Giosuè 10,12-13).
La seconda in Samuele:
"Allora David intonò questo lamento su Saul e suo figlio Giònata e ordinò che fosse insegnato ai figli di Giuda. Ecco, si trova scritto nel Libro di Jashar "(2 Samuele, 1, 17-18).
Cenni brevissimi, forse sfuggiti agli scribi redattori ma importantissimi perché ci fanno sapere che quel libro è esistito e quindi o è stato perduto, o volutamente nascosto dalla classe sacerdotale.


giovedì 26 gennaio 2017

Un episodio significativo riferito da Eusebio di Cesarea. 294

Eusebio di Cesarea riferisce un episodio riguardante l'imperatore Massimino Trace (235-238), che serve ad illuminarci a proposito del clima di tensione creato dai cristiani. Questo imperatore, preoccupato per il diffondersi della nuova religione che riteneva nociva all'Impero, fece stampare e diffondere le memorie di Pilato (Acta Pilati), integralmente tratte dagli archivi imperiali, al fine di rendere evidente a tutti la pericolosità politica e sociale dei cristiani.

Pur essendone state create molte copie, distribuite anche alle scuole affinché gli studenti le conoscessero, di queste memorie di Pilato oggi non esiste traccia. Qualcuno, e non è difficile capire chi, ha provveduto a farle sparire perché forse davano una versione totalmente diversa della condanna di Gesù, rispetto a quella tramandataci dai nostri Vangeli. Probabilmente negavano tout court la crocifissione di Gesù o lo presentavano come un pericoloso zelota crocifisso per insurrezione.

Nessuno dei ben noti polemisti cristiani dell'epoca, sempre pronti a rintuzzare i pagani, osò contestarle nel merito. Ma se il rapporto di Pilato fosse stato utile al cristianesimo, magari collimando coi racconti evangelici della Passione, quanto lo avrebbe strombazzato la Chiesa, una volta raggiunto il potere, per documentare la reale esistenza di Gesù e il suo martirio.


Massimino Trace imperatore


martedì 24 gennaio 2017

105– Il falso Jahvè. Le fonti bibliche 3

a).La fonte P
La fonte P risale al VI secolo a.C., e interessa i libri di Genesi, Esodo, Levitico e Numeri. Lo stile è frequentemente ripetitivo perché, allo scopo di dare una continuità al popolo ebraico fin dai primordi della creazione, abbonda di lunghi e puntigliosi elenchi di patriarchi e di capostipiti. L’autore, sicuramente d'origine sacerdotale o levitica, mostra un particolare interesse per il rituale religioso degli israeliti, che trova la sua massima espressione nel codice di santità del Levitico (17-26), e per gli eventi storici che egli descrive spesso in uno stile poetico, mettendo sempre in rilievo la sacralità della storia d'Israele. Possiamo attribuire a lui la descrizione della creazione del mondo in sette giorni (Genesi 1). È sua anche la geniale intuizione che nel settimo giorno Dio si riposò, dando in tal modo al mondo il riposo settimanale del Sabato. Per certi versi si rifà all'epica della creazione mesopotamica, ma a differenza di Marduk che deve lottare contro il caos creato da Tiamat, il Dio dell’autore sacerdotale non ha rivali con cui competere, e appare lontano e al di fuori del mondo naturale.
Diversamente dalle fonti J ed E, il Dio della fonte P non dà confidenza alle sue creature, e sebbene distaccato e lontano, appare soddisfatto del suo lavoro creativo. È attribuibile a questa fonte la descrizione del patto dopo il diluvio, nel quale Dio manda un arcobaleno e promette che non tenterà più di distruggere l'umanità.
Questa fonte insiste molto sulla santità di Dio e del suo popolo, e tra le regole della santità introduce anche quelle di purezza, che in fattispecie erano norme alimentari molto rigorose che dividevano gli animali in puri ed impuri. Tra gli animali impuri venivano annoverati i maiali, i conigli e tutti i molluschi. Queste norme non riguardavano regole d'igiene e nemmeno d'utilità pratica ma forse discendevano da antiche superstizioni, legate al contagio della lebbra.
Le regole di purezza riguardavano anche la macellazione degli animali e vietavano l'uccisione per soffocazione e il consumo del sangue. Si tradurranno in una vera palla al piede per gli ebrei della diaspora che non riusciranno a rispettarle vivendo tra i pagani. Una curiosa proibizione, forse determinata da qualche rito magico che la prescriveva, riguardava i cuccioli di agnello o di capra, la cui carne non poteva essere bollita nel latte della madre, per essere poi mangiata.
Appartiene a questa fonte anche la descrizione del capro espiatorio. Aronne, in qualità di sommo sacerdote, doveva ogni anno scegliere per il perdono dei peccati del popolo due capri e presentarli a Dio nel giorno dell'Espiazione. Uno di questi veniva sacrificato come offerta riparatrice; sull'altro Aronne doveva confessare i peccati del popolo e quindi lasciarlo andare libero nel deserto. In tal modo tutte le colpe venivano perdonate e di conseguenza Israele poteva rientrare nello stato di santità. Tutta la liturgia sacrificale, che interessa gran parte del Levitino e che è posta a fondamento del culto templare, deriva da questa fonte.
In seguito alla doppia conquista di Gerusalemme per opera dei romani nel 70 e nel 135 d.C., e la conseguente distruzione definitiva del Tempio, seguita dalla cacciata degli ebrei dalla Palestina, il culto sacrificale venne totalmente abolito e sostituito dal culto della parola, che si poteva celebrare in qualsiasi luogo alla presenza di almeno dieci maschi ebrei adulti. Le sinagoghe divennero così i centri del nuovo culto ebraico e in breve si diramarono in tutto il mondo antico. Ancora oggi sono l'unico luogo in cui si svolge il culto ebraico e sono diffuse in tutti gli angoli della Terra. Si differenziano tra di loro per alcuni aspetti rituali che dipendono dagli usi e costumi assimilati nei vari Paesi che accolsero gli ebrei durante la loro diaspora (rito spagnolo, rito germanico, rito levantino e così via).



venerdì 20 gennaio 2017

104– Il falso Jahvè. Le fonti bibliche 2

La fonte D
La fonte D risale all'età tardomonarchica e si fa portatrice dell'ideologia e delle esigenze del Regno di Giuda. Interessa il Deuteronomio, i libri di Giosuè, dei Giudici, di Samuele e dei Re. Ha avuto un impatto enorme su Israele perché ha determinato le rigide prescrizioni legali, attribuite retrospettivamente a Mosè, e la Storia Deuteronomistica che è la seconda grande opera letteraria sulla storia d'Israele contenuta nella Bibbia e che va dalla conquista della Terra Promessa fino all'esilio babilonese. Lo stretto collegamento sia linguistico che teologico tra il Deuteronomio e i libri storici è ammesso da tutti gli studiosi così come è accettata universalmente l'attribuzione di questa fonte a re Giosia e alla casta sacerdotale di Gerusalemme. È da ascrivere a questa fonte la conquista di Canaan, il periodo dei Giudici, e l'intero paradigma reale. Indubbiamente è la fonte più importante perché ha determinato l'assetto teologico fondamentale della Bibbia.


giovedì 19 gennaio 2017

La prima vera persecuzione fu attuata nel 250 dall'Imperatore Decio. 293

La prima persecuzione vera e propria, generalizzata e pianificata, avvenne per opera dell'imperatore Decio con l’editto del 250, che ordinava la convocazione per il sacrificio di tutti i cittadini, bambini compresi, anche se il tutto avvenne con molta moderazione. Solo in casi estremi e rari vennero eseguite sentenze di morte.

Evidentemente a Decio interessava non l’eliminazione radicale dei cristiani, ma solo contrastare la lotta religiosa da essi scatenata soprattutto sotto l'aspetto della disobbedienza civile. Ma benché le misure dell’imperatore riguardassero tutto il territorio dell’impero, il cristianesimo non ne fu indebolito. Perché?

Perché moltissimi cristiani abiurarono con grande facilità e si salvarono; poi, cessata la persecuzione, rientrarono, con altrettanta facilità, nel cristianesimo. Infatti, molti cristiani furono così spaventati dall’editto che abiurarono subito la loro fede, differenziandosi in varie categorie: i sacrificati, coloro che compirono effettivamente l’atto sacrificale, e i thurificati, coloro che si limitarono a gettare l’incenso sulle braci davanti ai simulacri degli dèi e dell’imperatore, spesso ritenuto atto sufficiente dai funzionari imperiali.

Molti cristiani, come ci informano Tertulliano e Origene, ritenevano di poter tranquillamente invocare gli dèi, purché in quel momento il loro pensiero fosse rivolto al Dio vero (conoscevano già il trucco della riserva mentale di stampo gesuitico). Altri fecero i primi passi verso il martirio, facendosi incatenare o gettare in prigione, ma trovarono poi che la vita era ancora più attraente e rinnegarono la propria fede. Infine, i libellatici ottennero con la corruzione un falso attestato di sacrificio o fecero sacrificare i propri schiavi al loro posto. Ma anche non pochi cristiani fuggirono sui monti o nel deserto, abbandonando tutti i loro beni, oppure scomparvero nella confusione delle grandi città straniere. Non appena, però, Decio cadde nella guerra contro i Goti, nel 251, i cristiani infedeli si pentirono e tornarono a schiere nel seno della Chiesa ben felice di accoglierli.

Dopo Decio, ebbe luogo una breve persecuzione, ammesso che si possa usare questo termine, sotto l’imperatore Gallo (251-253): le sue disposizioni si limitarono probabilmente a Roma, dove, in ogni caso, non vennero comminate sanzioni severe.



Più dura fu la persecuzione di Valeriano del 257/58, rivolta quasi esclusivamente contro il clero e le gerarchie superiori. Ci furono alcune sentenze capitali, specie in Africa, dove, su 87 vescovi dodici subirono il martirio, fra i quali Cipriano.

Decio imperatore


martedì 17 gennaio 2017

103– Il falso Jahvè. Le fonti bibliche 1

Diamo ora un'occhiata più approfondita alle quattro fonti bibliche.Le fonti J ed E
Va anzitutto posto in evidenza come il rapporto che s'instaura tra Dio e il suo popolo appaia molto diverso nelle due fonti J ed E.
In J, Dio parla direttamente agli uomini, quasi faccia a faccia. È un Dio a portata di mano che non disdegna i consigli delle sue creature. Quando decide di distruggere Sodoma e Gomorra si lascia a poco a poco convincere da Abramo a mansire il suo drastico provvedimento, risparmiando almeno Lot e la sua famiglia. Insomma un Dio diretto, a tu per tu, a distanza più che ravvicinata. Con Mosè diventa addirittura logorroico, gli detta con estrema pignoleria il rituale dei sacrifici, la diagnosi della lebbra, la distinzione tra animali puri e impuri, e così via. Ma parla con lui solo, il popolo viene escluso da ogni confidenza divina.
Invece, per E la distanza tra Dio e il suo popolo è piuttosto netta. Non ha contatti diretti con gli individui ma rende noti i suoi desideri tramite angeli o attraverso sogni o profezie.
Nella fonte J, che è la più antica, troviamo la storia di Adamo ed Eva e gran parte della storia di Abramo, del suo Patto dell'Alleanza e della promessa del possesso delle terra di Canaan. Dio dice ad Abramo che lo renderà padre di una grande nazione e che tutta la terra che vedeva sarebbe stata data ai suoi discendenti per sempre. L'autore di questa fonte si preoccupa di dimostrare il costante interesse e coinvolgimento di Dio nelle vicende del suo popolo eletto.
La fonte E ci narra il terrificante episodio del comando di Dio ad Abramo di sacrificare il suo amato figlio Isacco, l’erede della promessa. In questa circostanza Jahvè dice ad Abramo: “Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della Terra, perché tu hai obbedito alla mia voce” (Genesi 22,18), e viene inserito a posteriori il rituale della circoncisione che invece diverrà d'uso comune al tempo dell'esilio, molti secoli dopo (Genesi 34,15 e 34,17). Nella lunga storia di Giuseppe le due fonti J ed E sono abilmente intrecciate. Le due fonti entrano invece in contrasto sul vero nome di Dio. Il redattore E, più tardo di circa un secolo e che operava nel Regno del Nord, afferma che il vero nome di Dio, JHWH (Jahvè), fu rivelato solo al tempo di Mosè, in contrasto con la fonte J che afferma che era noto ai primi esseri umani.


venerdì 13 gennaio 2017

102– Il falso Jahvè. Incongruenze storico-linguistiche dei testi biblici 5

Tra i libri del Pentateuco, il Deteronomio col suo messaggio e col suo stile caratteristico, non fu possibile ascriverlo né alla tradizione jahvista, né a quella eloista e si rivelò quindi un documento indipendente, chiamato "D". Furono trovati nel Pentateuco anche numerosi passaggi rituali che si riferivano al culto e alle leggi del sacrificio. Non potendo ascriverli alla fonte deuteronomica si arrivò a considerarli parte di un trattato, chiamato "P", o fonte sacerdotale. Quindi i primi cinque libri della Bibbia, come ora li conosciamo, sono il risultato di un complesso lavoro editoriale nel quale scribi, compilatori o redattori hanno combinate e messe in relazione tra loro, non troppo abilmente visti i doppioni, i triploni e le incongruenze, quattro fonti documentali principali: la javistica, la eloistica, la sacerdotale e la deuteronomica, collegandole tra loro da frasi di passaggio e digressioni redazionali che risultano evidenti. L'ultima di queste redazioni ebbe luogo in epoca postesilica.
Come abbiamo visto in precedenza il Deuteronomio presenta un messaggio e uno stile diversi rispetto alla tradizione jahvista ed eloista e, come si narra in 2 Re 22,8-23,24, fu la fonte ispiratrice della radicale riforma religiosa attuata da re Giosia. Gli studiosi hanno scoperto che i libri storici: il libro di Giosuè, il libro dei Giudici, i due libri di Samuele e i due libri dei Re, sono linguisticamente e teologicamente così legati al Deuteronomio da essere chiamati da essi "La Storia Deuteronomistica" tout court. Le più recenti scoperte archeologiche hanno fornito prove inequivocabili per affermare che l'attuale composizione della Bibbia abbia avuto luogo sotto la guida di re Giosia nel settimo secolo a.C. per poi essere ampliata durante l'esilio di Babilonia, e, infine codificata definitivamente dopo il rimpatrio a Gerusalemme e la restaurazione del secondo Tempio da Ezra.


giovedì 12 gennaio 2017

Il decreto di Traiano del 112 per regolare il rapporto tra Stato e cristianesimo. 292

Per oltre un secolo il rapporto fra lo Stato e la nuova religione fu regolato, anche se in modo poco chiaro, da un decreto di Traiano (98-117) del 112. Tale disposizione pervenne al governatore di Bitinia e Ponto sul Mar Nero, Plinio il Giovane, Legato Imperiale scrupoloso ma equanime e giusto, amico di Tacito e celebre nell'antichità per ill suo epistolario, stilisticamente pregevolissimo. Egli non sapeva come comportarsi coi cristiani, presso i quali riuscì a scoprire soltanto «una superstizione perversa e smodata».

Indeciso, Plinio chiese lumi a Traiano, che gli rispose: «Non bisogna andarli a cercare, ma bisogna punirli, se vengono denunciati e accusati apertamente. Tuttavia è necessario badare a che colui il quale nega d’essere cristiano e lo dimostri coi fatti, cioé tributando gli atti di culto ai nostri dei, quantunque per il passato possa aver suscitato dei sospetti, ottenga indulgenza grazie al suo ravvedimento. Riguardo poi alle denunce anonime, non devono dar luogo a procedere in nessuna azione giudiziaria; sarebbe, infatti, un pessimo esempio affatto adeguato ai nostri tempi» (Plin., 10, 96 sg.).

Ma per molti storici, ed anche per la Chiesa, i cristiani del Ponto non erano cristiani veri e propri ma giudei seguaci del messianismo zelota come denota il fatto che seguivano «una superstizione perversa e smodata».


Traiano Imperatore


martedì 10 gennaio 2017

101– Il falso Jahvè. Incongruenze storico-linguistiche dei testi biblici 4

Esistono anche le prove che alcuni episodi dell'Antico Testamento sono stati inventati, come la profezia della distruzione per opera del re Giosia del santuario di Bethel, annunciata da un profeta tre secoli prima che il fatto storico accadesse. Di questo saccheggio abbiamo due versioni: una nel Libro Secondo dei Re (23,15-20); e un'altra nel Libro Primo dei Re. Stando a 1 Re 13,1-2, un profeta era stato a Bethel ai tempi di Geroboamo e aveva pronosticato la sua distruzione, avvenuta tre secoli dopo.
"Per ordine del Signore un profeta si recò dal territorio di Giuda fino a Bethel. Arrivò proprio mentre Geroboamo stava offrendo incenso sull'altare. Come gli aveva ordinato il Signore, il profeta si volse verso l'altare e gridò: «Altare, Altare! Tra i discendenti di David nascerà un uomo di nome Giosia, dice il Signore. Egli sacrificherà sopra di te i sacerdoti dei santuari sulle colline, quelli che depongono su di te le loro offerte d'incenso. Su di te bruceranno ossa umane!"
Siccome questo passo profetico è un resoconto preciso dell'operazione di Giosia, addirittura chiamato con il suo nome, avvenuta tre secoli dopo, è chiaramente un'interpolazione aggiunta a posteriori, cioè dopo l'accadimento del fatto, una vera e propria "prophetia post eventum" quindi.
Ci son dunque molti doppioni e triploni nel sacro testo. Nella Genesi, per esempio, sono evidenziate due versioni contraddittorie della creazione (1,1-2,3 e 2,4-25), due diversi racconti del diluvio (6,5 e 9,17) e due genealogie abbastanza differenti della discendenza di Adamo (4,17-26 e 5,1-28) nonché decine di altri doppioni e talvolta perfino triploni degli stessi eventi riferiti alle peregrinazioni dei patriarchi, all'Esodo e alla consegna della Legge.

Tutte queste incongruenze e contraddizioni portano alla conclusione che non solo questi testi biblici non sono stati scritti da Mosè, Giosuè e dai Profeti Samuele e Geremia al tempo della loro esistenza ma che sono stati composti da più mani e in epoche molto lontane dagli eventi descritti. Analizzando poi le scelte terminologiche e geografiche e l'uso nella narrazione di nomi differenti per descrivere alcuni personaggi e il Dio di Israele si è giunti ad individuare le fonti da cui gli scribi di Giosia hanno ricavato il materiale grezzo da utilizzare, dopo gli opportuni aggiustamenti per renderlo conforme alla riforma religiosa del momento, per la costruzione della Bibbia. Cosi un gruppo di storie che per riferirsi a Dio usa prevalentemente il tetragramma YHWH (Jahvè)), furono attribuite soprattutto alla tribù e al territorio di Giuda. L'altro gruppo di storie che si riferisce a Dio usando i nomi di Elohim o di El furono attribuite alle tribù del nord (Efrain, Manasse e Beniamino). Gli studiosi chiamarono "J" la fonte jahvista ed "E" quella eloista. I testi jahvisti furono attribuiti al Regno di Giuda e fatti risalire all'epoca di Salomone (ca. 970-930 a.C.), quelli eloisti al regno indipendente d'Israele (ca. 930-720 a.C.

venerdì 6 gennaio 2017

100– Il falso Jahvè. Incongruenze storico-linguistiche dei testi biblici 3

Ma sono citati da Redford diversi altri esempi. Dal punto di vista linguistico, i testi dell'Antico Testamento sono stati composti molto dopo gli eventi che riportano, in quanto prima del IX secolo a.C. non esisteva una scrittura ebraica. Questa si sviluppò subendo abbondanti adattamenti e cambiamenti, conseguenti alle vicende storiche. Anche l'alfabeto subì una graduale trasformazione: partendo dalla forma fenicia giunse, durante l'esilio, alla forma quadrata attuale (B. Comrie, The Major Languages of South Asia, the Middle East and Africa).
Il linguista David Benedek della Hebrew University di Gerusalemme (The Language and Dialects of Ancient Israel) conferma che i testi dell'Antico Testamento hanno avuto una stesura tarda e afferma che non poterono essere stati scritti se non dopo che gli assiri avevano occupato la Palestina, intorno al 725 a.C. Infatti, durante il secolo in cui gli Assiri dominarono il Regno del Nord, si sviluppò in Israele una lingua ibrida conosciuta come l'ebraico mishnaico.
Benedek sostiene che molti passi dell'Antico Testamento hanno un senso, o funzionano liricamente, solo se scritti in questo linguaggio ibrido. Un tipico esempio citato da Benedek è la parola "beth", che in mishnaico significa sia casa sia famiglia, mentre nell'ebraico arcaico venivano usati due vocaboli diversi per indicare le due cose. Ma le discrepanze sono molto diffuse in tutto il testo a dimostrazione che il racconto deriva da più fonti.
Nella storia di Giuseppe (Genesi, 37), il padre si chiama sia Giacobbe sia Israele; i fratelli odiano Giuseppe per i suoi sogni, ma in altre parti del racconto, lo detestano piuttosto per essere lui il prediletto del padre; ancora, Giuseppe risulta venduto a mercanti sia ismailiti sia madianiti. A Bersabea e a Bethel viene dato il nome due volte (Genesi 21,31 e 26,33; 28,19 e 35,15). Il suocero di Mosè si chiama sia Reuel sia Ietro (Esodo 2,18 e 4,18). Gli esseri umani sono creati dopo tutti gli altri animali (Genesi 1), mentre l’uomo è creato prima delle altre creature (Genesi 2). Ci sono lievi discrepanze anche riguardo le leggi: in Esodo (22,24) il sacrificio può essere offerto “in ogni luogo che vi ho riservato per onorarmi” (chiara allusione agli Alti Luoghi), mentre in Deuteronomio (12,14) il sacrificio può essere offerto solo in “un luogo che Dio sceglierà” (chiara allusione al Tempio di Gerusalemme costruito molti secoli dopo). Ma la discrepanza maggiore riguarda il fatto che Dio è chiamato con nomi diversi. In Esodo (6) viene affermato risolutamente che Mosè è il primo a chiamare Dio col suo nome proprio JHWH (Jahvè); mentre, secondo Genesi (4, 26), gli uomini cominciarono a invocare il nome di JHWH (il Signore) sin dal tempo di Giacobbe. Inoltre Dio si rivela in alcuni episodi biblici col nome di Elohim (“Dio”).


giovedì 5 gennaio 2017

Nel primo secolo spesso i cristiani venivano confusi coi messianisti zeloti. 291

A causa della Guerra Giudaica (ordinata da Nerone nel 64) e conclusasi nel 70 con la conquista e la distruzione di Gerusalemme, si sviluppò a Roma un clima di forte tensione contro il giudaismo che si estese anche al cristianesimo, confuso spesso con questo. Ciononostante, coi successori di Nerone: Galba, Vespasiano e Tito, conquistatore di Gerusalemme, per quasi una generazione non ci furono conflitti tra cristiani e l'Impero. Ma Domiziano, fratello di Tito, fece condannare nel 95 alcune personalità d’alto rango per «empietà», fra le quali un cugino dell’imperatore, il Console Tito Flavio Clemente, mentre fece deportare la moglie Flavia Domitilla su un’isola delle coste italiche. Ma anche questa azione punitiva rimase circoscritta a Roma, senza contare che sussiste la quasi certezza che costoro non fossero effettivamente cristiani ma legati in qualche modo al messianismo zelota.

Sempre sotto Domiziano, come ci testimonia Eusebio di Cesarea, ciambellano di Costantino che poté consultare gli archivi imperiali di Roma, accadde un fatto che ci descrive così: ."Della famiglia del Signore restavano ancora i nipoti di Giuda, detto fratello di lui (Gesù) secondo la carne, i quali furono denunciati come appartenenti alla stirpe di David. L'evocatus li condusse davanti a Domiziano Cesare poiché, come Erode, anch'egli temeva la venuta del Messia (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, III, 20)". Domiziano, però, scoprendo che erano del tutto inocui, cioè non avevano alcun seguito politico, li lasciò liberi. Questo per far capire come in quel momento esisteva una grande confusione tra giudei messianisti e cristiani.

Questa testimonianza di Eusebio di Cesarea, uno dei più grandi dottori e Padri della Chiesa, ci fornisce, tra l'altro, l'informazioni importantissima che Giuda, nonno dei nipoti convocati dall'Imperatore, era fratello carnale di Gesù e che quindi Gesù aveva i fratelli decritti nei Vangeli e Maria, anziché vergine, era la madre di ben otto figli. Inoltre ci informa che i famigliari di Gesù, dopo la sua morte, continuarono a perseguire la medesima causa dinastica, per la quale Gesù era stato crocifisso.


Domiziano Imperatore


martedì 3 gennaio 2017

99– Il falso Jahvè. Incongruenze storico-linguistiche dei testi biblici 2

Per quanto riguarda le attribuzioni, i Cinque Libri di Mosè, come ci narra il Deuteronomio. erano stati messi per iscritto dallo stesso Mosè sul monte Nebo poco prima di morire; i libri di Giosuè, dei Giudici e i due libri di Samuele venivano considerati registri sacri, conservati a Silo dal profeta Samuele, e i due libri dei Re erano ritenuti il prodotto della penna del profeta Geremia. Similmente si credeva che re David fosse l'autore dei Salmi e re Salomone quello dei Proverbi e del Cantico dei Cantici.
Ma fin dal diciassettesimo secolo, all'alba dell'età moderna, alcuni studiosi sollevarono interrogativi molto inquietanti sull'affidabilità storica e sulla presunta rivelazione divina della Bibbia. Fecero osservare che Mosè non poteva essere l'autore dei Cinque Libri a lui attribuiti dal momento che l'ultimo, il Deueronomio, ne descriveva in modo dettagliato le circostanze della morte quasi che Mosè avesse collaborato alla sua stesura post mortem. Osservarono poi che il testo biblico era zeppo di digressioni letterarie riferite a località, nomi, costumi e perfino animali (ad esempio i cammelli) inesistenti ai tempi di Mosè in Egitto. Negli anni Settanta del secolo scorso, per esempio, il professor Donald B. Redford, egittologo della Toronto University, riscontrò che numerosi termini presenti nell'Antico Testamento e riferiti all'Egitto di Giacobbe o di Mosè, non entrarono in uso prima del VII secolo a.C. (Redford, D.B., A Study of the Biblical Story of Joseph). Per esempio nella storia del patriarca Giacobbe e del suo periodo in Egitto, avvenuta intorno al 1700 a.C., si racconta che Giuseppe e i suoi fratelli incontrarono una carovana di mercanti ismaeliti: “Proveniva dal Galaad e si recava in Egitto. I cammelli erano carichi di svariate merci: spezie, resina odorifera e mirra” (Genesi 37,25). Ora, noi sappiamo con certezza che i cammelli in Egitto non furono introdotti prima del VII secolo a.C. Intorno al 1700 a.C. per il trasporto delle merci si usavano solo gli asini. I cammelli per uso domestico giunsero nel Golfo Arabico intorno all'850 a.C., e tra gli egiziani solo dopo due secoli. Altri esempi: Giuseppe giura «sulla vita del faraone» (Genesi 42,16), formula che non esistette fino al VII secolo a.C. E i fratelli di Giuseppe pagano il grano con denaro sotto forma di moneta, mentre la forma più antica di conio risale al regno di Lidia, intorno al 650 a.C. 

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)