Le
prime comunità cristiano-ellenistiche che si svilupparono in
Oriente (Siria e Turchia attuali), giudicando la fine del mondo ormai
prossima, vivevano appartate dalla società, applicando una rigorosa
condotta morale. Chi le guidava non veniva imposto dall'alto o
eletto dai fedeli ma derivava la sua autorità per il carisma
spirituale che sapeva emanare. Era chiamato Profeta ed era
considerato in grado di avere visioni e di comunicarle alla comunità.
Assieme
al Profeta c'era anche un altro personaggio importante nella
comunità, chiamato Maestro, il cui compito consisteva nell'istruire
i fedeli su Dio. Il cristianesimo più antico fu dunque carismatico e
profetico. Accanto a queste due guide spirituali c'erano altre
persone, incaricate di funzioni prevalentemente
economico-amministrative e sociali: raccolta delle offerte,
assistenza dei bisognosi, allora molto numerosi, servizio alle mense
e così via. Godevano di un prestigio notevolmente inferiore rispetto
ai Profeti e ai Maestri ma erano indispensabili. Ricorrendo alla
terminologia pagana, erano chiamati diaconi (gli inservienti più
comuni), presbiteri (quelli di rango più importante) e vescovi (i
controllori).
Quando,
in seguito al procrastinarsi della parusia, nel II secolo,
l'influenza degli spirituali (Profeti e Maestri), andò scemando,
crebbe per contro, l'influenza dei vescovi e dei presbiteri, i quali,
essendo i dispensatori di denaro e di altri beni, acquisirono sempre
più importanza e prestigio. In un tempo relativamente breve, i
vescovi subordinarono i presbiteri e poterono disporre, ad libitum,
di tutte le entrate e le donazioni della comunità, senza dover
render conto a nessuno del loro operato.
Il
Sinodo di Antiochia (nel 341), tentò, inutilmente, di mettere sotto
controllo il comportamento amministrativo dei vescovi. Essi
continuarono a servirsi dei capitali ecclesiastici autonomamente,
soprattutto per consolidare la loro posizione personale. Per
accrescere le loro entrate si dedicarono in particolar modo alla
conversione dei ricchi, con la conseguente rivalutazione della
ricchezza e dei ceti superiori.
L'affluire
di sempre maggiori ricchezze nelle mani dei vescovi determinò, come
ci fa sapere Origene, gravi fenomeni di decadenza morale e
religiosa, tanto che Vescovi, presbiteri e diaconi furono spesso
accusati di avarizia, avidità di potere, ambizione arrogante e
simonia. La Chiesa si era trasformata in una spelonca di lucratori
senza scrupoli e si era rapidamente mondanizzata.
La
situazione peggiorò quando i vescovi aggiunsero alle funzioni
economiche anche quelle pastorali ed eucaristiche. Alla fine del II
secolo essi avevano tutto il potere nelle loro mani: economico,
giuridico e pastorale (celebrare l'eucaristia, ammettere nuovi
fedeli, somministrare il battesimo e così via); inoltre erano
inamovibili fino alla morte e governavano la loro comunità come
monarchi assoluti.
Erano
eletti dal popolo, ma avendo la carica vescovile un enorme potere
economico suscitava sempre enormi e smodati appetiti per cui alla
morte di un vescovo, l'elezione del successore spesso avveniva tra
risse furibonde e perfino sanguinose, come ci racconta Gregorio di
Nazianzio, Padre della Chiesa.
A
reagire al lassismo e alla sempre più diffusa mondanizzazione della
Chiesa sorsero allora i
Montanisti, fondati da Montano, i quali proclamando la continuità
dei doni della grazia, specie della profezia, il sacerdozio
universale e la dottrina del prossimo ritorno di Gesù, rigettavano
la gerarchizzazione ed esigevano un’elevata moralità insieme
alla riforma dell’intera vita cristiana.
Nessun commento:
Posta un commento