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mercoledì 5 dicembre 2012

Il falso Jahvè. Il nazireo esseno-zelota Gesù. 189


Gesù rimase sempre un ebreo assolutamente ligio alla Legge, che intendeva integrare con l’ascetismo esseno e in nessun caso abolire, come invece farà Paolo, il vero fondatore del cristianesimo (D.S.Russel, Dal primo giudaismo alla chiesa delle origini, 1986, Paideia 1991). Gesù non annunciò mai l’intenzione di fondare una nuova religione, né mai si proclamò Figlio di Dio (se lo avesse fatto, sarebbe stato immediatamente lapidato a furore di popolo) (E.P.Sanders, Gesù, la verità storica, Mondatori,1995).

Durante il suo vagabondaggio nei villaggi e nelle campagne della Galilea fu costantemente seguito da un piccolo gruppo di seguaci a lui molto legati, alcuni dei quali appartenevano sicuramente alla setta degli zeloti, cioè dei messianisti javisti (S.G.F.Brandon,Gesù e gli Zeloti, Rizzoli, Milano, !983).

Convinto di essere il Messia profetizzato dalle Scritture per ripristinare il Regno di Dio in Israele con l'aiuto di Jahvé e dei suoi angeli, Gesù, dopo due anni di peregrinazioni in Galilea, si recò a Gerusalemme dove, dopo un ingresso trionfale nella città santa, acclamato come figlio di David e re d’Israele, provocò disordini nel Tempio .

Considerato politicamente pericoloso dai sacerdoti e dagli erodiani, che paventavano le conseguenze del suo messianismo, venne, su loro denuncia, fatto arrestare e condannare alla crocifissione dal prefetto Ponzio Pilato con l’accusa di insurrezione armata contro l’autorità imperiale. Una condanna, quindi, dettata da motivi esclusivamente politici e non religiosi. I romani non condannarono mai nessuno per le sue idee religiose, a meno che queste non prevedessero la ribellione ai poteri dello Stato.

Quindi l'autentico Gesù storico fu uno dei tanti Messia falliti. A quel tempo in Palestina questi sorgevano e tramontavano con una certa frequenza, come ci racconta Giuseppe Flavio nel suo Bellum judaicum. Quando, appeso alla croce come un ribelle, constatato il fallimento della sua missione si convinse dell'abbandono da parte di Jahvè, morì disperato gridando: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?" (Marco 15,34). Invocazione inconcepibile se Cristo fosse stato il figlio di Dio che s'immolava per la salvezza dell'umanità, come lo proclameranno i seguaci di Paolo di Tarso, ma chiarissima per un aspirante Messia che, avendo fermamente creduto nell'intervento di Jahvè per restaurare il regno di David, constatava con disperazione l'abbandono divino e il fallimento della sua missione.

I suoi discepoli, atterriti per la fine ignominiosa del loro capo e delusi del mancato intervento divino, si diedero a una fuga precipitosa e si nascosero tremanti presso la Piscina di Siloe, temendo rappresaglie a seguito del fallimento della loro impresa.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)