Tutti
gli studiosi sono concordi nell'ammettere che i manoscritti più
antichi
del
Nuovo Testamento risalgono al II secolo, sono tutti scritti in greco
e provengono da codici e non da rotoli. (I più antichi che
possediamo - Codice Sinaitico e Codice Vaticano- risalgono però a
dopo il IV secolo). Inoltre sono altrettanto concordi nell'affermare
che non è mai esistito il presunto Vangelo originale in aramaico,
tradotto poi in greco, e che non esistono tracce di alcun genere
di sue citazioni.
Però
la tradizione patristica sostiene che i primi documenti cristiani
non furono scritti direttamente in greco ma in una lingua
semitica, l’ebraico oppure
l’aramaico. L’ebraico era nel I secolo la lingua
“ufficiale” della religione e della letteratura giudaica mentre
l’aramaico (una forma dialettale dell'ebraico) era la lingua
parlata di fatto dagli ebrei in quel periodo. Quindi in Palestina si
parlavano sia l’ebraico che l’aramaico ma anche il greco era
molto diffuso e conosciuto in quanto da Alessandro Magno in poi era
diventato una sorta di lingua franca internazionale, parlata un po’
ovunque nella sua versione detta koinè, che si discostava
significativamente dal greco letterario degli autori classici.
Secondo
le testimonianze molto antiche negli scritti dei Padri dellaChiesa
(le cosiddette prove esterne) che riportano informazioni sia
sull’ordine di stesura dei Vangeli, sia sulla lingua nella quale
vennero originariamente scritti, la lingua originaria dei Vangeli non
era affatto il greco. Ad esempio lo storico della Chiesa Eusebio
di Cesarea (265-340 d.C.) nella sua Storia Ecclesiastica,
opera scritta tra il 315 e il 320 d.C. e pervenutaci in greco,
riporta una citazione di Origene (185-250 d.C. circa) tratta dal
“Commentario a Matteo” su questo argomento, nella quale Origene
afferma che il Vangelodi Matteo venne scritto originariamente in
ebraico. L’esistenza di una primitiva versione ebraica di questo
testo è testimoniata anche da Girolamo (340-420 d.C),
l’autore della Vulgata latina, secondo cui ai suoi tempi un
esemplare di questo Vangelo ebraico veniva ancora conservato presso
Cesarea, verso il 392 dopo Cristo. Ma, molto probabilmente, esso
non corrisponde a quello che attualmente attribuiamo a Matteo quanto
invece al "Vangelo
degli Ebrei"
quello che, oltre ad essere stato il primo ad apparire, è stato
anche la matrice degli altri. Fu definito da Paolo nelle sue Lettere
il "Vangelo maledetto", perché sconfessava il Gesù
teologico da lui inventato e sosteneva soltanto quello messianico,
crocifisso da Pilato. Questo Vangelo fu fatto sparire dai Padri della
Chiesa perché considerato contrario all'ortodossia.
Scritto
in ebraico e utilizzato dai primi giudeo-cristiani di Gerusalemme, il
Vangelo degli Ebrei risaliva, nel suo nucleo originario, a pochi
decenni dopo la morte di Cristo, ed era molto diverso dai nostri
Vangeli canonici. Non conteneva, ad esempio, il processo di Gesù di
fronte a Caifa, perché questo non era ancora stato inventato, e,
soprattutto, ignorava tutte quelle aggiunte inverificabili di natura
teologica e catechistica che vanno dalla nascita verginale
all'istituzione dell'eucaristia. Pur contenendo forti richiami
all'ascetismo esseno, escludeva tutti quei molteplici inviti
all'amore per i nemici (che allora erano soltanto i romani
oppressori) e alla non violenza che avrebbero suscitato scandalo e
indignazione in tutto Israele, se fossero stati predicati nella
Palestina del tempo, e scatenata la vendetta inesorabile degli
zeloti. In esso Gesù era considerato il Messia davidico di natura
umana e non divina, venuto a liberare Israele dal giogo romano, e un
ebreo ligio all'osservanza della Legge e non il fondatore di una
nuova religione. In altre parole, Gesù non era stato demessianizzato
e degiudeizzato come nei Vangeli posteriori. Veniva attribuito
all'apostolo Matteo ed era chiamato sia il Vangelo
secondo gli Ebrei, sia il Vangelo
secondo Matteo. Quello che ora porta lo stesso nome
fu fatto riscrivere posteriormente dai seguaci di Paolo in lingua
greca.
Secondo
molti studiosi, questo Vangelo è stato il prototipo da cui sono
derivati tutti gli altri ed è chiamato anche la Fonte Q. Di esso,
che come abbiamo già accennato fu fatto scomparire dalla Chiesa, ci
sono pervenuti soltanto brevi accenni che i Padri della Chiesa nei
secoli II, III, e IV hanno riportato nelle loro opere al solo scopo
di confutare i nazirei e gli ebioniti (nomi coi quali si designavano
i cristiano-giudei della Chiesa di Gerusalemme) che rimasero sempre
fedeli ad esso. In base a queste considerazioni, anche se
è un dato di fatto che non abbiamo frammenti
in ebraico od aramaico dei Vangeli e del resto del Nuovo Testamento,
alcuni studiosi che hanno esaminato a fondo il testo greco dei
quattro Vangeli da un punto di vista linguistico sono giunti a
conclusioni sorprendenti: una analisi lessicale approfondita del
greco presente in quei testi mostra l’esistenza di un
evidente sostrato
semitico,
in particolare ebraico.
Nessun commento:
Posta un commento