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martedì 14 gennaio 2014

La dottrina di Gesù. (Parte seconda) 105

Nemmeno il concetto gesuano di Dio è nuovo, di quel Dio immensamente buono e misericordioso, che ama il peccatore publicano e la meretrice più del fariseo tronfio della propria virtù, che gioisce del ritorno di un figlio perduto più che di novantanove giusti. Infatti, già il Vecchio Testamento, almeno nella parte attribuita a Giosia, affermava che Dio inclina verso colui che si converte, anzi, che è proprio la disponibilità di Dio alla misericordia che rende possibile la conversione
dell’infedele.

Il concetto della figliolanza divina era assai diffuso presso gli Ebrei. Del «Padre
che sta nei cieli» essi parlarono molto prima di Gesù, il quale, per altro, vi accenna
piuttosto di rado. È solo, infatti, nei Vangeli posteriori a Marco, specie nel Vangelo giovanneo, che l’uso del nome del Padre diventa più frequente in bocca a «Gesù». Ma anche la definizione gesuana di Dio quale «Padre mio» (Mt. 7,21; 10, 32; 11, 27), pronunciata da Gesù, si trova già in molti Rabbini.

Inoltre, l’idea della filiazione divina era presente anche fuori dell’ambito della re-
ligiosità giudaica. Nel terzo millennio a.C. esisteva una preghiera alla divinità così concepita: «Non ho una madre, tu sei mia madre; non ho un padre, tu sei mio padre». Il libro Lotus-Sutra (capitolo IV) contiene una parabola buddhista del figliol prodigo, che, nonostante evidenti differenze, assomiglia alla parabola di Luca.

Anche nell’Inno a Zeus di Cleante, (nato nel 330 a.C.), il pensiero della filiazione divina trova un’espressione grandiosa. Esso ritorna poi soprattutto nella Stoa, dove Dio appare quale Padre premuroso e viene ribadita l’affinità degli uomini con la Divinità. I Greci definivano Dio «Padre» anche più spesso degli Ebrei, benché forse non così confidenzialmente come fa Gesù, la cui invocazione a Dio col termine abba, diminutivo aramaico del linguaggio infantile, che sarebbe meglio tradurre con «babbino» o «papà».

Perfino la relazione madre-figlio come espressione del rapporto fra Dio e uomo era ben nota alle religioni misteriche molto prima del Cristianesimo. Gli studenti ellenistici conoscevano il «caro» Zeus fin dalle prime letture omeriche, così pure la «cara Signora» Atena e la «cara» Artemide.



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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)