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martedì 25 febbraio 2014

Per la cristianità primitiva gli scritti neotestamentari non erano né sacri né ispirati. 117

Nel Concilio di Firenze ( 1442), in quello di Trento (IV Seduta dell’8 aprile 1546) e nel Concilio Vaticano (III seduta del 24 aprile 1870) la Chiesa Cattolica rese dogma di fede la dottrina dell’ispirazione divina
della Bibbia (Antico e Nuovi Testamento), in base al quale i suoi testi sacri non contiengono in sé degli errori e devono essere considerati pura verità.

Ma fra tutti i trattati neotestamentari, solo l’Apocalisse (che entrò a stento nel
Canone) avanza la pretesa che il suo autore sia stato ispirato direttamente da Dio e pretende di possedere la propria autorevolezza non in quanto libro canonico, bensì - sulla base di modelli ebraici - in quanto libro profetico. Essa, infatti, ha la presunzione d’essere una profezia che, peraltro, si è dimostrata del tutto fasulla in quanto i suoi vaticini, che in grandissima parte si riferivano a un tempo assai prossimo alla sua apparizione, non si sono mai realizzati.

Nessun altro autore neotestamentario, ha definito divina la propria produzione, neppure Paolo, il quale distingue espressamente e con grande chiarezza fra ciò che indica come derivante dal Signore e ciò che esprime come personale opinione (1 Cor., 7,10; 7, 12; 7, 25; 13, 12).

Come Paolo e gli altri autori delle Epistole neotestamentarie, nemmeno gli Evangelisti pretendono espressamente d’essere ispirati da Dio; è vero il contrario! Il prologo del Vangelo di Luca, laddove l’autore assicura «d’aver indagato accuratamente tutti i fatti fin dal principio», è la prova migliore che lo scrittore non era neppure lontanamente sfiorato dal pensiero dell’ispirazione divina.

Né riteneva di compiere alcunché di eccezionale, se è vero che sin dal primo versetto ammette che «già molti» prima di lui avevano raccolto analoghe notizie, anche se non lo soddisfacevano perché non raccontate «fin dagli inizi e nella giusta sequenza». E dunque egli intendeva solo apportarvi miglioramenti tali da poter persuadere della «attendibilità» delle notizie insegnate il «nobilissimo Teofilo», per il quale scrive la propria opera (Lc., i, 1 sgg.). L’Evangelista si presenta, dunque, non come un autore ispirato da Dio, ma come un epitomatore di storie ampiamente in circolazione, delle quali intendeva irrobustire la forza persuasiva.

Quindi per l’intera cristianità primitiva fino a tutto il Il secolo la validità delle scritture, poi accolte nel Canone neotestanientario, si fondava semplicemente sull’uso che se ne faceva nel culto, cioè per scopi edificanti e devozionali. Il loro numero non era concluso e nuovi scritti potevano aggiungersi e in effetti si aggiungevano di continuo.



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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)