Dopo
Costantino, la Chiesa istituzionalizzata e vincente si trovò ad
affrontare tutta una serie di problemi che derivavano dal continuo
proliferare di ideologie, spesso contrastanti, riguardanti le sue
origini e la sua dottrina. Dovette perciò elaborare un criterio di
verità che non sarebbe dipesa, come per l'Antico Testamento, dai
dati storici (gli avvenimenti biblici), ma sarebbe discesa
direttamente della sua autorità, attraversi i vescovi. Una verità
di fede, quindi, prodotta e sancita dalla gerarchia ecclesiastica per
mezzo di continue e sempre più complesse elaborazioni teologiche,
a seconda delle esigenze determinate dall'espansione
dell'ortodossia. Ad elaborare questa verità di fede furono proposti
esclusivamente i vescovi, mentre i fedeli ne furono del tutto
esclusi.
Ben
presto le verità emanate dalla gerarchia si tramutarono in dogmi,
cioè in verità considerate rivelate, di diretta emanazione divina,
assolute e indiscutibili, e furono imposte senza la possibilità di
essere modificate. Chi le contrastava diventava, ipso facto, eretico
con tutte le conseguenze che ne derivavano: esilio, confisca dei
beni e talvolta anche la pena di morte.
I
dogmi hanno riguardato tutti gli aspetti dell'ortodossia cristiana e
hanno determinato la nascita di invenzioni teologiche che non
discendono dalla Bibbia, da Gesù o dagli apostoli, ma soltanto
dalla Chiesa. Vengono proclamati, infatti, da un concilio (assemblea
di vescovi) o dal papa in prima persona, e impegnano tutti i
cristiani a credervi per fede
I
principali dogmi riguardano la trinità, la divinità di Gesù,
l'esistenza dell'aldilà, l'infallibilità del papa, la Madonna e
l'esistenza degli angeli. Prenderemo qui in esame, come esempio, i
dogmi che sono alla base del culto mariano e dell'aldilà.
La
madre di Gesù non fu mai oggetto di culto o di venerazione presso
gli apostoli, né tanto meno per Paolo che nelle sue Lettere (i più
antichi documenti del Nuovo Testamento), senza mai nominarla nemmeno
per nome, la considerò una “donna” come tutte le altre,
dichiarando che Gesù era “nato da donna” (Galati 4,4). Mai
gli apostoli e Paolo, quindi, affermarono che la madre di Gesù fosse
vergine e che suo figlio fosse stato concepito da seme divino. In un
Vangelo siriaco assai antico, l’attuale versetto di Matteo 1,16 che
recita: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale
è nato Gesù chiamato Cristo”, recita invece “A Giuseppe, al
quale la fanciulla era fidanzata, essa generò Gesù” (Nestle,
Novum Testamentum graece et germanice, Matteo 1,16).
In
base a questo antichissimo documento, quindi, Giuseppe è il padre
di Gesù, Maria non è vergine e neppure sposata quando lo genera.
Per noi, oggi Gesù sarebbe nato da una ragazza madre o da una
coppia di fatto.
Matteo
e Luca nell’annunciazione ci fanno sapere che un angelo informa sia
Giuseppe sia Maria della prossima venuta di un figlio divino (Matteo
1,20 sgg.; Luca 1,26 sgg.). Ma quando Gesù inizia la sua attività
pubblica, Maria sembra ignorare del tutto le parole dell'angelo e,
assieme agli altri suoi figli, tenta di ricondurre Gesù a casa con
la forza, ritenendolo fuori di senno (Marco
3,20-21).
Tertulliano,
di fronte ad un fatto così incredibile, rinfaccia Maria di non aver
creduto al Cristo (Tertulliano, De carne Christi 7). Infatti
quest’episodio ci fa comprendere che l’annunciazione è una
favola posticcia. Fino al III secolo non solo si ignorava la perenne
verginità di Maria ma tutti i Padri della Chiesa, come ad esempio
Ireneo e Tertulliano, erano convinti del matrimonio effettivo di
Maria e di Giuseppe. La divinizzazione di Gesù, iniziata con Paolo e
imposta per volontà di Costantino nel Concilio di Nicea del 325,
determinò tutta una serie di implicazioni dottrinali, riferite a
Maria, che, progressivamente, diedero inizio verso il IV secolo al
culto mariano.
Poiché
Gesù, divinizzato come figlio di Dio, era stato partorito da una
donna, bisognava assegnare a questa sua madre terrena delle
caratteristiche, se non divine, almeno semi-divine. Il primo passo fu
di considerare il concepimento di Cristo opera di Dio e non di uomo.
Ecco
allora l’inserimento, nei Vangeli di Luca e di Matteo, verso il IV
secolo, dell’annunciazione, ignorata dagli altri due evangelisti e
ritenuta dubbia da Girolamo, autore della Vulgata. A compimento di
questo primo passo, nel 431 d.C., con il concilio di Efeso (convocato
dall’imperatore Teodosio I), alla Madonna venne attribuita
ufficialmente la qualifica di Deipara, e cioè di madre di Cristo
inteso come Dio e come uomo, superando le molte perplessità di
quanti ritenevano improponibile, per non dire blasfemo, che un essere
umano potesse essere la madre di un Dio.
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