La credenza dell'immortalità, divenuta per Paolo la colonna portante della dottrina che stava creando, era diffusa tra i pagani seguaci delle Religioni Misteriche, ma totalmente ignorata dagli ebrei. Per l'Antico Testamento, infatti, non c'era un aldilà dove la parte spirituale dell'uomo avrebbe continuato a vivere, in un paradiso, se buona, o nell'inferno, se malvagia. Nella Bibbia ebraica sta scritto: «La sorte degli uomini e delle bestie è la stessa, come muoiono queste muoiono quelli. C’è un soffio vitale per tutti: non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità» (Qohélet 3,19). Con la morte, quindi, secondo il teologo biblico, tutto finisce, sia l'anima sia il corpo, perché tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere.
Infatti i Sadducei, cioè l’alto clero del Tempio di Gerusalemme detentore dell'ortodossia ebraica, sostenevano che Mosè non aveva mai parlato né dell'immortalità dell'anima, né della "resurrezione dei morti", e non credevano nella perpetuazione dell'individuo dopo la morte, in corpo e spirito. Quindi, per loro, non esisteva un aldilà dove le anime sarebbero state punite con l'inferno o premiate col paradiso.
Invece i culti misterici, diffusi in Occidente alcuni secoli prima del cristianesimo e interiorizzati e moralizzati dai greci, ponevano l'immortalità a base della loro dottrina e la associavano alla redenzione di un Dio che si incarnava in una vergine mortale per redimere l'umanità dalle sue colpe e renderla degna di una vita eterna e beata in un mondo utopistico, collocato nell'aldilà.
L’intero dramma salvifico del cristianesimo - preesistenza, incarnazione, martirio, morte, resurrezione, discesa all’Inferno e ascesa in cielo – risulta, quindi, una contaminazione di concezioni misteriche e di filosofia ellenistica. E si configura come una totale negazione dell'ebraismo.
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