Secondo
il teologo F. Overbeck: tutti gli aspetti più belli del
Cristianesimo sono legali a Gesù, tutti quelli deteriori a Paolo. Da
una attenta lettura dei Vangeli e basandoci su tutto ciò che è
stato tramandato su Gesù si può affermare con certezza che la
dottrina paolina della redenzione fu completamente estranea al
Maestro.
Infatti,
Gesù predica un «Padre» che non perdona il peccatore pentito
mediante una mediazione espiatoria ma un «Padre» che, come nella
parabola del figliol prodigo, va egli stesso alla ricerca del
peccatore. Gesù non fa dipendere la remissione dei peccati dalla sua
morte, bensì, come insegna nel Pater Noster e in altri luoghi,
unicamente dalla disponibilità degli uomini a perdonare il prossimo
(Mt. 6, 12; 6, 14 sg.; Mc. 11,25 sg.).
Se
la sua morte fosse stata da lui ritenuta necessaria per la redenzione
e per la remissione dei peccati, come avrebbe potuto dire a Dio che
il calice amaro della crocifissione gli venisse allontanato «Padre
mio, se è possibile, passi via da me questo
calice!»
(Mt
26,39)
e al peccatore «i tuoi peccati ti sono perdonati»? (Mc. 2, 9 sgg.).
Con
la teoria della redenzione l’insegnamento originario del Vangelo
non venne solo modificato, ma anche svuotato di significato. È
significativo il fatto che per gli Ebioniti, gli immediati eredi
della Chiesa dei giudei cristiani, la morte di Gesù sulla croce non
ebbe alcun carattere conciliatorio né alcun significato salvifico, e
perciò essi non usavano calici durante la loro agape fraterna,
celebrata significativamente con estrema semplicità con pane e
acqua come
leggiamo negli Atti.
Quest'agape
non aveva niente a che vedere con la cerimonia eucaristica di
invenzione paolina. Ai cristiano-giudei sarebbe sembrato, infatti,
sacrilego ed empio collegare questo pasto comunitario al corpo e al
sangue di Cristo, in una specie di cannibalismo rituale. Com’é
noto, i discendenti degli Apostoli negavano anche la divinità di
Gesù e la sua nascita da una vergine.
E
allora, da dove trasse Paolo la propria teoria della salvazione? La
purificazione dai peccati mediante il sangue era praticata da molti
popoli primitivi, ed era anche antichissima la credenza nella
salvazione dell’umanità mediante il sacrificio del «figlio».
Nell’antica
religione babilonese Marduk venne inviato sulla terra dal padre Ea
per salvare gli uomini; Eracle e Dioniso discesero anch’essi sulla
terra come divinità redentrici, Nel culto di Mitra il sangue di un
toro ucciso, versato sul peccatore, lo purificava dalle colpe; in
sanscrito era molto usata la parola significante «riconciliare»,
«placare la collera divina»
.Nell’antichità
era altresì diffusissima l’idea del re, che soffre e muore per il
suo popolo. Un’opera cristiana del primo secolo ricorda i numerosi
monarchi pagani, che in circostanze critiche, in seguito a un
responso oracolare, avevano sacrificato la vita «per salvare i
concittadini col proprio sangue». Anche il Sommo Sacerdote Caifa
allude a tale concezione, quando consiglia ai Giudei ch’era meglio
per loro «che un singolo perisse per il popolo, e non che un intero
popolo precipitasse nella rovina». Tertulliano, Padre della
Chiesa, intorno al 200 scriveva:«Nel mondo pagano era consentito
riconciliarsi mediante sacrifici umani con la Diana degli Sciti, col
Mercurio dei Galli e col Saturno degli Africani; ancor oggi, proprio
a Roma, viene versato sangue umano in onore di Giove Latino».
Verso
la metà del III secolo anche Origene fa un chiaro riferimento a
questa
usanza
specifica del Re e del Giusto, che patisce e muore per le colpe del
suo popolo, parlando dei «numerosi racconti di Greci e Barbari, che
trattano della morte di pochi in nome del bene comune, per liberare
le loro città e i loro popoli dalle disgrazie che li opprimevano. In
occasione di questi atti di riconciliazione, spesso venivano uccisi
anche dei malfattori, come avveniva ancora in epoca tarda nella greca
Rodi e a Marsiglia.
Gli
Ebrei d’età più antica condividevano con Cananei, Moabiti e
Cartaginesi
l’usanza
di uccidere dei bambini per riconciliarsi con la divinità. In
seguito al posto
dei
bambini subentrarono i delinquenti. Anche l’agnello pasquale,
arrostito a forma
di
croce (simbolo religioso presente già in epoca precristiana), era un
surrogato
dell’uccisione
del primogenito.
Simili
usanze erano note a Paolo, che una volta vi allude nelle sue Lettere
e che probabilmente lo spinsero a considerare il fatto che anche
Gesù era
stato giustiziato come malfattore per redimere l'umanità come
tutti gli uomini immolati prima di lui. Paolo nelle sue Lettere
predica continuamente la riconciliazione e la redenzione ,
l’espiazione «nel suo sangue», la redenzione «mediante il suo
sangue», la pacificazione «attraverso il sangue versato sulla
croce». Evidentemente non fu nemmeno sfiorato dal pensiero che Dio
potrebbe, perdonare una colpa anche senza una riparazione
«ufficiale».
A
qualsiasi uomo d'oggi che usi almeno qualcuno dei trilioni di
neuroni che possiede il suo cervello risulta lapalissiana
l'assurdità che il buon Dio abbia creato il mondo per darlo in
preda al demonio che incita al male, come ci ricorda Arthur
Schopenhauer, e poi sia stato costretto a sacrificare suo figlio
per redimere le colpe degli uomini da lui creati peccatori
incalliti. Ma purtroppo, pochi colgono questa ovvietà che nega ogni
validità alla redenzione e ad ogni altra assurdità religiosa.
Nessun commento:
Posta un commento