Il
tradimento, l'arresto, il processo ebraico e romano, il supplizio, la
morte e infine la resurrezione, nel modo in cui sono narrati nei
Vangeli, confermano la supposizione della maggior parte degli
studiosi che ritengono questi testi risalenti, nella loro forma
attuale, a dopo le fatidiche distruzioni di Gerusalemme del 70 e del
135 d.C., e la loro stesura a mani non ebraiche ma gentili.
Nelle
due guerre giudaiche del 70 e del 135, infatti, le armate romane, in
seguito alle continue insurrezioni di tipo messianico, annientarono
definitivamente lo Stato ebraico, cacciarono la totalità dei suoi
abitanti dalla Palestina e, praticamente, cancellarono non solo
l'intera comunità ebraica ma anche la Chiesa giudaico-cristiana di
Gerusalemme.
La
Chiesa neocristiana ed ellenistica fondata nel frattempo da Paolo, in
opposizione a quella di Gerusalemme, che, come vedremo in seguito, si
era ampiamente diffusa in tutte le contrade dell'Impero, divenne,
allora, l'incontrastata padrona del campo, senza più nemici e
rivali, ma fu politicamente collegata al popolo ebraico che si era
dimostrato il nemico più implacabile di Roma.
Infatti,
i cristiani apparivano, loro malgrado, gli eredi della religione
ebraica e venivano ritenuti, a causa delle guerre del 70 e del 135,
una forza rivoluzionaria perniciosa e pericolosa all'interno
dell'impero romano. Bisognava, quindi, far apparire il suo fondatore
del tutto estraneo alle tensioni messianiche del tempo.
Gli
evangelisti, trovandosi in un clima persecutorio nei confronti dei
cristiani, ritennero allora che accusare i giudei e non i romani
della condanna a morte di Gesù, accreditare l'immagine di un Gesù
pacifista e non messianico, che invitava ad amare i nemici (anche i
romani, odiati visceralmente da tutto il popolo ebreo), a dare a
Cesare quello che era di Cesare e a sacrificarsi come gli dei pagani
salvifici per il bene dell'umanità, fino a diventare oggetto di un
culto teofagico, potesse far superare la diffidenza verso la nuova
religione e conciliarla con l'Impero.
Ecco
allora l'invenzione del processo ebraico e la creazione, durante
l'arresto di Gesù, di numerosi episodi assurdi e incongrui, intesi
a nascondere o a travisare gli accadimenti reali di quella
drammatica notte. Noi, leggendo i Vangeli tra le righe e in
controluce, metteremo in evidenza tutte queste contraddizioni e
cercheremo di stabilire una possibile verità storica. Cominciamo
dall’arresto. Gli evangelisti vogliono farci credere che l'arresto
di Gesù avvenne per ordine delle autorità del Tempio e per
motivi squisitamente religiosi. Gesù si era proclamato Figlio di
Dio, andava quindi punito come bestemmiatore.
Tesi
assolutamente assurda e che non riesce a spiegare le macroscopiche
incongruenze che accompagnarono l'avvenimento: l'urgenza
dell'arresto, la complicità di un traditore e lo spiegamento di
forze romane. Quella notte, prossima ad una ricorrenza sacra
importantissima per gli ebrei, era il momento meno opportuno per
l'arresto di un innocuo predicatore reo, al massimo, secondo i
Vangeli, di essersi proclamato Figlio di Dio, cosa che per gli ebrei
si poteva risolvere con la lapidazione decisa dal sinedrio o a furor
di popolo.
Quindi
l'accusa di blasfemia in nessun caso richiedeva un così urgente e
drammatico intervento. E che bisogno c'era che un traditore con un
bacio ne evidenziasse la persona, dal momento che Gesù, a detta
degli stessi evangelisti, era conosciutissimo in tutta Gerusalemme e
da tutte le personalità del Tempio, comprese le guardie?
Una
settimana prima era entrato nella città santa tra un tripudio di
gente che lo aveva acclamato festosa come il figlio di David, il
nuovo re d'Israele. E nel Tempio discuteva tutti i giorni coi
sacerdoti e i farisei di teologia e di giustizia e ne aveva scacciato
i mercanti che lo profanavano,
suscitando grande
scandalo. E, infine, come spiegare che per arrestare un inerme e mite
propugnatore della non-violenza, dell'amore del prossimo, occorresse
una coorte di soldati romani (Giovanni parla chiaro:
in greco, cohortem in latino, ma ma per la Chiesa, in base alla sua
traduzione fuorviante, un vago “distaccamento”), cioè di
seicento legionari armati di tutto punto, oltre naturalmente le
guardie del Tempio. Cosa c'entravano i soldati romani e in un numero
così spropositato col reato di bestemmia, visto che Roma ammetteva
in tutti i territori dell'Impero la massima libertà religiosa, e per
la cattura di un individuo che i Vangeli ci tramandano come mite e
ascetico?
A
questo punto una domanda è inevitabile: Gesù venne arrestato per la
sua scarsa ortodossia religiosa (e allora cosa c'entravano i soldati
romani?) o perché si voleva sedare un'incipiente rivolta armata
contro il potere imperiale da lui preparata? Se, come i fatti
descritti dimostrano, questa risposta è l'unica valida perché
Gesù, convinto di essere il Messia profetizzato dalle Scritture,
nella notte del Monte degli Ulivi voleva attuare un colpo di Stato,
fallito per l'opposizione dei sacerdoti e degli erodiani, allora
tutto è chiaro, anche il gesto di Giuda. Il compito del traditore,
infatti, non fu quello, stranamente superfluo, di indicare, col bacio
convenuto, il personaggio conosciutissimo da tutti a Gerusalemme, ma
di avvertire i sacerdoti tempestivamente che la sommossa stava per
avere inizio, al fine di cogliere i rivoltosi di sorpresa, prima che
ricevessero eventuali rinforzi da parte del popolo, e di bloccare
così l'insurrezione sul nascere.
Ecco
allora perché i sacerdoti aspettavano un segno dal traditore e
perché era intervenuto un vero esercito. Questa tesi, destinata
senz'altro a suscitare un vespaio in chi crede pedissequamente nella
tradizione del Gesù solo salvatore spirituale, vedremo che verrà
suffragata da ulteriori dimostrazioni nel seguito della passione.
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