Nessun
documento testimonia la presenza dell'apostolo Pietro a Roma, della
sua carica episcopale e del suo martirio. Si tratta quindi di una
una pura leggenda.
D’altra
parte, si narra del viaggio a Roma e del successivo martirio in città
dell’Apostolo Giovanni, di cui si sa con certezza che non ha mai
messo piede nella capitale dell’impero. Eppure si favoleggia che
sotto Domiziano sia stato gettato nell’olio bollente e quindi
miracolosamente salvato (Tertulliano praescr. 36).
La
cosa più incredibile riguardo la presenza di Pietro a Roma è che
né Paolo, che scrisse da Roma le sue ultime lettere citando i nomi
di molti dei suoi collaboratori, né gli Atti degli Apostoli, che
arrivano fini al 62, accennano mai alla presenza a Roma di Pietro.
Anche gli scritti cristiani fino alla metà del II secolo ignorano la
questione. Infatti,
il viaggio di san Pietro a Roma e la sua disputa con Simon Mago, la
sua crocifissione ed altri episodi a lui riferiti, sono narrati
esclusivamente in libri dichiarati apocrifi dalla Chiesa stessa, come
gli Acta Petri.
Un
gran numero di storici e di teologi ha negato, quindi, tout court, la
presenza di Pietro a Roma. Uno di essi, il teologo K. Heussi, già
nel 1936, dopo accurate analisi dei testi antichi, l'aveva esclusa
categoricamente. (K.Heussi, Die roimische Petrustradition. in Theol.
Literaturzeitung, 1959, nr. 5, 359 sgg.).
Più
recentemente lo storico Michael Grant
(Saint
Peter,
Penguin Books, London, 1994)
ha messo in evidenza che ci sono otto incontrovertibili motivi che
negano sia la presenza romana di Pietro, sia il suo presunto status
di vescovo della città. Uno di questi è che se Pietro si fosse
trovato a Roma all'arrivo di Paolo (o che fosse ancora vivo il
ricordo di una sua precedente venuta), Luca ne avrebbe sicuramente
data menzione nell'ultimo capitolo degli Atti, come aveva menzionato
gli altri incontri tra i due a Gerusalemme e ad Antiochia.
Anche
il presunto ritrovamento del sepolcro di San Pietro, inteso come
prova archeologica della sua sepoltura, è stato più volte
annunciato e altrettante volte smentito, perché di esso non è stata
trovata una traccia sicura. Quindi, la presenza a Roma e la
cattedra pontificia di Pietro costituiscono uno dei falsi più
vistosi della Chiesa, finalizzato a suffragare il dogma
dell’episcopato universale del vescovo di Roma. Pietro quindi non
fu né il primo vescovo di una presunta successione apostolica né,
tanto meno, il primo papa.
La
Chiesa adduce a prova del martirio di Pietro e Paolo la persecuzione
subita dai cristiani nell'anno 64 da parte di Nerone in seguito
all'incendio di Roma; persecuzione, però, considerata falsa da parte
di molti storici . Ma di questo martirio non c'è traccia in nessun
documento storico e nemmeno ecclesiastico del primo secolo.
Secondo
l'abate cattolico francese Louis Duchesne,
autore di una monumentale e rigorosa storia della Chiesa
(L.Duchesne,
Histoire
ancienne de l'Eglise,
Paris, Fontemoing, 1911) e di
un Liber Pontificalis (L.Duchesne,
Liber Pontificalis,
t. I-Il, Parigi 1886-1892. Riedizione con un terzo tomo di C. Vogel,
Parigi 1955-1957),
ricavati dagli archivi del Vaticano, che ricostruiscono con grande
rigore storico la genealogia dei pontefici, i primi nove vescovi di
Roma, compreso lo stesso Pietro, erano da togliere perché mai
esistiti.
Infatti,
la carica episcopale monarchica si impose a Roma soltanto nel IV
secolo e per molto tempo tutti i vescovi furono considerati alla pari
e nessuno di loro godette di uno stato privilegiato rispetto agli
altri. Per Cipriano, Padre della Chiesa, non esisteva un vescovo dei
vescovi, poiché nessuno poteva costringere all’obbedienza con
autorità tirannica i propri confratelli. Solo nel IV secolo, ad
imitazione dell’amministrazione imperiale romana, i vescovi dei
capoluoghi delle province acquisirono il controllo dell'intera loro
regione e furono chiamati metropoliti.
I
metropoliti erano quattro: quello di Alessandria che controllava
l'Egitto, quello di Antiochia che guidava l'episcopato siriaco,
quello di Cartagine che sovrintendeva all'episcopato dell'Africa del
nord, e, infine, quello romano che vigilava sulla Chiesa italiana ma
non sul resto dell’Occidente.
I
vescovi di Roma nei primi secoli non si interessarono mai della
presunta introduzione del Primato di Pietro. Solo nel V secolo un
decreto di Papa Gelasio I, inteso a stabilire l'autenticità dei 27
testi del Nuovo Testamento, decretò anche l'istituzione del primato
papale su tutti i vescovi della cristianità, basandosi
sul passo di Matteo: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò
la mia chiesa.... Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto
ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che
scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli" (Matteo 16,18-19).
Ma
questo è un altro clamoroso falso, come tanti altri passi, aggiunto
al Vangelo di Matteo dopo il IV secolo, quando si consolidò il
concetto di Chiesa, travasando in essa l’intero edificio giuridico
romano. Al tempo di Matteo, ovviamente, nessuno era a conoscenza di
questa istituzione non ancora inventata.
Quindi il papato non deriva da questo passo del Vangelo di Matteo,
unico dei Sinottici a riportarlo, quantunque anche Marco e Luca
narrino la medesima scena (Marco 8:27-30 e Luca 9:18) .
Se
fosse vero che Gesù intendeva fare di Pietro "il primo papa",
ci sarebbe almeno qualche allusione negli Atti degli Apostoli, nelle
Lettere di Paolo, o nel resto del Nuovo Testamento. Invece in questi
testi non risulta nemmeno una sola volta che Pietro abbia
esercitato nella Chiesa primitiva una funzione di comando. Anzi,
quando si riunisce il primo Concilio a Gerusalemme, questo viene
presieduto da Giacomo, uno dei fratelli di Gesù, e non da Pietro,
che pure era presente. Solo con Gelasio I si può, quindi,
ipotizzare l'istituzione del papato. Il termine papa (padre),
inizialmente titolo onorifico di tutti i vescovi per parecchi secoli,
solo con l’inizio del secondo millennio diventò prerogativa
esclusiva del vescovo di Roma.
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