La
Chiesa ci ha trasmesso un'immagine deformata e antistorica delle
persecuzioni da essa subite dagli Imperatori.
Purtroppo,
i testi storici che vanno per la maggiore, hanno convalidato questa
verità di regime e accettato, senza una seria indagine testuale,
quella che David Donnini
(Cristo, Una Vicenda
Storica da riscoprire,
R. Massari Editore, Bolsena (VT), 1994)
chiama
la "retorica vittimistica delle persecuzioni”, per cui
dobbiamo ammettere che molto di ciò che ci è stato tramandato su di
esse è quasi completamente falso e del tutto leggendario perché
fortemente condizionato sia dalla tradizione cattolica, sia da opere
storico-letterarie di dubbio valore. Chi conosce, anche
approssimativamente, la storia antica sa che i romani, senz'altro
duri e spietati sotto il profilo politico, erano del tutto
tolleranti in campo religioso e ammettevano che i diversi popoli
sottomessi seguissero liberamente i loro culti e le loro tendenze
religiose.
Roma
stessa era un coacervo di centinaia di divinità, spesso importate
dai soldati da ogni parte dell'Impero, e tutte avevano il loro tempio
e i loro seguaci. Nessun storico romano accenna mai a persecuzioni di
tipo esclusivamente religioso. Solo se un culto si profilava ostile
al potere costituito o palesemente immorale, poteva subire delle
censure.
Com'è
possibile allora che una religione che predicava la non-violenza,
l'amore del prossimo (e perfino dei nemici) e la fratellanza
universale (imperativi etici fortemente condivisi anche da molti
pagani), e per di più dichiarava che bisognava dare a Cesare quello
che era di Cesare (cioè riconosceva implicitamente il potere
imperiale e ammetteva il dovere di pagare le tasse), subisse delle
dure repressioni da parte degli Imperatori? Forse che questi erano
disturbati dal fatto che il suo fondatore si proclamava figlio di
Dio e vantava la sua resurrezione? Ma neanche per sogno! Erano così
anche le altre divinità che andavano allora per la maggiore come
Osiride, Attis, Mitra, Eracle e così via. E allora? La verità è
che la religione non c'entra niente con queste persecuzioni; c'entra,
invece, e come, la politica. Per i romani la parola "cristianesimo",
che traduceva letteralmente il termine ebraico "messianismo”,
era sinonimo di fondamentalismo nazional-religioso, cioè di una
forma di fanatismo patriottico-giudaico inteso a scalzare il potere
di Roma.
Infatti,
il cristianesimo del primo secolo della Chiesa di Gerusalemme, prima
che Paolo lo demessianizzasse e lo degiudeizzasse, non era affatto
simile al nostro ma fortemente legato alle istanze esseno-zelote e i
romani lo sapevano. Perciò essi non perseguitavano la nuova
ideologia religiosa bensì l'ostilità contro Roma, unita alla
disobbedienza civile, che essa implicava.
I
cristiani, infatti, rifiutavano il servizio militare, atto
considerato dai romani intollerabile e antipatriottico, non
frequentavano né il circo né il teatro, e nemmeno le feste e le
processioni pagane, cioè si autoescludevano dalla vita civile.
Inoltre,
predicavano che solo il loro Dio era vero e che tutti gli altri dèi,
adorati dai pagani, erano falsi e andavano distrutti, e si dedicavano
ad un proselitismo accanito, inconcepibile per il politeismo del
tempo. Infine, invocavano fanaticamente la fine del mondo e
consideravano quella raccapricciante catastrofe, che avrebbe arrecato
interminabili tormenti, la giusta punizione per la malvagità dei
pagani e invece per loro l'inizio di una eterna felicità.
Si
definivano, come gli ebrei, il popolo eletto, il popolo santo e, in
contrapposizione, consideravano tutti i pagani degli iniqui
peccatori. Ecco perché erano considerati nemici degli dèi e li si
accusava di ateismo e di empietà mostruose, come incesto, omicidi
rituali e cannibalismo (Eusebio di Cesarea, op. cit. 4,7; 11 e sgg.).
Il
crimine più grave, però, di cui erano accusati i cristiani,
riguardava il rifiuto del sacrificio alle divinità imperiali. I
romani attribuivano al favore di queste divinità i propri successi
militari e politici e ritenevano il sacrificio loro attribuito
una manifestazione di patriottismo. Chi si sottraeva diventava nemico
della comunità e metteva in pericolo la stabilità dello Stato.
L'ordine di sacrificare alle divinità imperiali era quindi un atto
di lealtà politica che doveva garantire l’unità interna
dell’Impero e non intaccava minimamente l’esercizio libero della
religione personale. Ma per i cristiani l’apoteosi di una persona
umana era impensabile e considerato un atto di apostasia. Quando
nuclei sempre più numerosi di cristiani si opposero al culto
imperiale, scattarono inevitabilmente le persecuzioni che non
rivestirono mai un carattere religioso ma esclusivamente politico.
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