Paolo
entra in scena non molto dopo la crocifissione di Gesù e si
presenta subito come un fanatico agente dei sadducei, partecipando
attivamente agli attacchi contro i nazirei di Gerusalemme. Gli Atti
(22,4; 8,3; 26 e sgg.) ce lo presentano come un fanatico persecutore
dei cristiani ellenisti e testimone, non occasionale, della
lapidazione di Stefano, il protomartire cristiano, e lui stesso
nelle sue Lettere lo conferma senza mezzi termini.
"Voi
avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel
giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la
devastassi,
superando
nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali,
accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri" (Galati
1,13-14).
"[Paolo]infuriava
contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li
faceva mettere in prigione" (Atti 7,3). E ancora: "Sempre
fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, [Paolo] si
presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di
Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a
Gerusalemme uomini e donne seguaci della dottrina di Cristo, che
avesse trovati" (Atti 9,1-2).
Lo
scopo di tanto accanimento era di bloccare sul nascere il
messianismo jahvista dei primi cristiani, foriero di tremende
catastrofi. Non era quindi una persecuzione religiosa ma politica.
Paolo era fermamente convinto che i sommi sacerdoti, che desideravano
mantenere lo status
quo, esprimessero il
volere di Dio, mentre gli zeloti e i messianisti in genere, che
volevano sconvolgere tutto, erano dei pazzi criminali che andavano
eliminati e magari crocifissi.
Egli
era fin troppo felice di dar loro la caccia con feroce
determinazione. Dobbiamo tener presente che i cristiani di quel
particolare momento storico non erano dei pacifisti, come diverranno
i gentili convertiti successivamente da Paolo, bensì dei giudei
messianisti legati agli zeloti, aspiranti alla rinascita del Regno di
Jahvè e alla cacciata dei romani.
Ma
un fatto nuovo, straordinario e sovrannaturale (secondo la sua
testimonianza), cambiò all'improvviso la sua vita (36 d.C.?).
Quest'evento viene raccontato pittorescamente in versioni diverse,
due volte nelle sue Lettere ( Galati 1,15; 1 Cor. 9,1; 15,8) e tre
negli Atti (Atti, 9,3-9; 22,6-11; 26,12-18).
Durante
una spedizione punitiva contro i cristiano-ellenisti di Damasco (era
stato incaricato dal sommo sacerdote Caifa di arrestarli e tradurli a
Gerusalemme), fu folgorato da una visione celeste che lo portò ad
una radicale conversione personale. Così passò dalla parte di
quelli che fino ad allora aveva così ferocemente perseguitato, i
seguaci della "Via", diventando, da quel momento in poi,
altrettanto fanatico nella divulgazione della parusia (ritorno di
Gesù dal cielo) quanto lo era stato prima nel tentare di
ostacolarla. Questa sua conversione coincise con una rovinosa caduta
(da cavallo?) che possiamo sicuramente attribuire ad un improvviso
attacco epilettico.
Gli
studiosi non hanno dubbi sull'epilessia di Paolo. Il neurologo A.
Ragot scrive: “Paolo era soggetto a crisi epilettiche: oscuramento,
aura luminosa e sonora, caduta, coma, cecità, afasia che
regrediscono nei giorni seguenti, paralisi che migliora
progressivamente lasciando ogni volta conseguenze emiplegiche
definitive.”(A.Ragot.
Paolo di Tarso,
Quaderno del Circolo Renan, 4° trim., 1963). Tutti
fenomeni accaduti a Paolo durante la sua prima rivelazione.
Ma
la medicina odierna, a proposito dell'epilessia, spiega dell'altro.
Secondo Vilayanur Ramachandran
(Che cosa sappiamo
della mente,
Mondadori, Milano, 2004)
dell'Università San Diego di California, sono numerosi e ben
documentati i casi di persone che,
colpite da una crisi epilettica, hanno riferito di aver vissuto
esperienze mistiche e di aver ricevuto rivelazioni religiose
direttamente da un’entità ultraterrena. Si tratta di allucinazioni
intense che accadono specialmente nelle “crisi estatiche” che
provengono dal lobo temporale.
Nonostante
la brevissima durata, questi episodi provocano la sensazione di
grandiose visioni celesti, fanno udire voci arcane e determinano una
gioia così intensa da non poterla descrivere. Fyodor Dostoevskij,
che era soggetto a questi episodi di “crisi estatiche”, li
descriveva come “il tocco di Dio”. “È venuto da me, Dio
esiste. Ho pianto e non ricordo niente altro. Voi non potete
immaginare la felicità che noi epilettici proviamo il secondo prima
di avere una crisi. Non so quanto possa durare nella realtà ma tra
tutte le gioie che potrei avere nella vita, non farei mai scambio con
questa”.
A
conferma della stretta relazione epilessia-visioni celesti, nel
Campus della Laurentian University in Canada il neuroscienziato
Michael Persinger facendo indossare a centinaia di volontari un casco
che emette dei campi magnetici complessi a frequenza molto bassa (il
casco Koren o casco di Dio) è riuscito a provocare nei loro lobi
temporali dei micro-attacchi di epilessia che inducono epifanie
divine, apparizioni, sensazioni extracorporee ed altre forti
allucinazioni. Tutti i partecipanti all'esperimento, in base al loro
retroterra religioso, hanno visto Gesù, la Madonna, lo Spirito
Santo, Maometto e altre divinità; in taluni casi perfino Satana.
Persinger, a seguito di questi suoi numerosissimi esperimenti è
giunto a concludere che tutte le esperienze spirituali altro non sono
che semplici allucinazioni collegate a forme epilettiche.
(Persinger,
M.A. e Koren, S.A. “Esperiences of spiritual visitation”,
Perceptual and Motor Skills,
2001)
Anche
per il ricercatore Orrin Devinsky e i suoi colleghi neurologi
l'attacco epilettico provoca una dissociazione mentale che genera un
profondo stato di alterazione della coscienza e causa
allucinazioni e visioni così vivide da sembrare più reali della
realtà per cui queste allucinazioni non hanno un'origine
sovrannaturale ma sono parte della normale esperienza umana.
Determinano però in alcuni pazienti un cammino di conversione
religiosa (Devinsky Orrin, Lai, Giorgio, La spiritualità e la
religione in epilessia, Epilessia
e comportamento,
maggio 2008, vol.12).
Esattamente
come è accaduto in Paolo.
Ecco quindi come si deve spiegare la folgorazione di Damasco, le
ripetute testimonianze delle sue visioni e i presunti rapimenti al
terzo cielo. D'altronde è lo stesso Paolo che nelle Lettere conferma
indirettamente la sua malattia, accennando spesso ad una spina nel
fianco, forma allegorica per indicare un disturbo fisico ricorrente,
che più volte aveva chiesto a Dio di togliergli, e scrivendo in
Galati: “Voi sapete, fratelli, che fu a causa di una malattia del
corpo che vi annunciai il vangelo” (da lui sempre dichiarato una
rivelazione divina) (Galati 4,13). Ai suoi tempi l'epilessia era
considerata un morbo sacro che gli dèi riservavano a coloro che
sceglievano come loro intermediari. Paolo dalle sue Lettere ci
appare come un individuo di forte tempra morale. È probabile che il
disagio interiore da lui provato per aver perseguitato i primi
cristiani (aveva partecipato anche alla lapidazione di Stefano, il
primo martire della Chiesa), acuito dal fatto che era in procinto di
compiere un'altra missione crudele, abbiano scatenato in lui un
forte complesso di colpa che sfociò in una violenta crisi
epilettica durante la quale avvenne in lui una subitanea rivoluzione
esistenziale, una totale catarsi.
Le
successive visioni, di cui parla Paolo, potrebbero coincidere con
altre crisi epilettiche. Per tre anni Paolo predicò il ritorno del
Risorto in Arabia (Giordania attuale) e a Damasco (Galati 1,15-17),
Questo comportamento, simile ad un esilio volontario, sembra molto
strano e probabilmente fu determinato dal fatto che il suo turbolento
passato di persecutore lo costringeva a rivolgersi a gente che non lo
aveva conosciuto prima e che quindi non poteva contestarlo.
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