Quando
decise di recarsi nella città santa e contattare quelli che erano
gli unici depositari
dell'insegnamento di Cristo (39 d.C.?), a causa del suo passato di
spietato persecutore, tutti lo schivarono e riuscì a malapena ad
avvicinare due dei cosiddetti apostoli: Pietro e Giacomo (uno dei
fratelli di Gesù, non il figlio di Zebedeo) per merito di Barnaba,
un ebreo della diaspora molto stimato dagli apostoli perché a
Gerusalemme aveva venduto tutti i suoi beni immobili e ne aveva dato
il ricavato alla comunità cristiana (Galati 1,18-19 – Atti
10,26-27).).
Quindi,
senza l'intervento di Barnaba, Paolo, a causa del suo passato di
spietato aguzzino che i cristiano-giudei ricordavano fin troppo bene,
sarebbe stato evitato da tutti. Non è da escludere che in città
dovesse muoversi con circospezione per evitare di dar nell'occhio ai
grandi sacerdoti che non gli avevano perdonato il suo voltafaccia di
Damasco e che pare avessero messo una taglia sulla sua testa.
Comunque
il suo contatto con la Chiesa di Gerusalemme fu breve, limitato a
pochi incontri e assolutamente negativo; segnò indubbiamente
l'inizio del conflitto fra lui e la comunità di Gerusalemme che si
aggraverà nel tempo. Gli Atti degli Apostoli, estremamente
tendenziosi e composti probabilmente da Luca, discepolo di Paolo,
cercheranno, senza riuscirci, di occultare gli aspri conflitti che
seguiranno tra Paolo e la comunità di Gerusalemme. Stabilitosi ad
Antiochia ove si era costituita una comunità cristiana fondata dai
giudei-ellenisti fuggiti da Gerusalemme, ne divenne ben presto il
leader indiscusso e carismatico. Lì ad Antiochia Paolo iniziò
quella evoluzione che lo porterà, sotto l'influsso del paganesimo,
a passare dall’ambito culturale palestinese a quello ellenistico e
a creare il suo cristianesimo personale che soppianterà in seguito
quello giudaico.
La
Chiesa di Gerusalemme, preso atto del ruolo di leader di Paolo ad
Antiochia, superando dubbi e riserve, inviò Barnaba, l'unico che
riteneva la sua conversione sincera, ad incontrarlo e a proporgli
un'azione missionaria in Asia Minore e lungo le coste del
Mediterraneo per convincere gli ebrei della diaspora, allora molto
numerosi in tutte le contrade dell'Impero, dell'imminente ritorno di
Cristo dal cielo (Atti 13,1).
Così,
Paolo e Barnaba, coadiuvati dal figlio dell'apostolo Pietro di nome
Marco, si diedero a diffondere il Vangelo (la parusia) tra gli ebrei
che vivevano fuori della Palestina e che parlavano esclusivamente la
lingua greca. Ma incontrarono quasi sempre da parte di costoro una
forte ostilità e un rifiuto ostinato (Paolo per poco non venne
addirittura lapidato).
Questi
ebrei di tendenza conservatrice, che volevano semplicemente
frequentare la sinagoga, fare l'elemosina e dedicarsi ai propri
affari, non tolleravano di essere coinvolti nell'esaltazione del
ritorno del Messia e della fine dei tempi. Se il ritorno di Cristo,
infatti, comportava spazzar via Imperatore, senato, tribunali e
quant'altro, ciò suonava estremamente sedizioso alle loro orecchie.
Era chiaro che per loro Gesù non era il Messia Martirizzato ma un
falso Messia.
Paolo
e Barnaba decisero allora di rivolgere la loro predicazione ai
gentili timorati di Dio. Costoro erano quei pagani che frequentavano
le sinagoghe come uditori, essendo favorevolmente impressionati dal
modo di vita ebraico che imponeva il monoteismo, severe norme
morali e l'assistenza ai bisognosi, e si dimostrarono spesso molto
più disponibili e ricettivi degli ebrei ad accettare la prospettiva
dell'imminente restaurazione del Regno di Dio. A Gerusalemme non
tutti erano d'accordo sull'inserimento dei non ebrei nella nuova
comunità cristiana. Alcuni farisei vi si opponevano recisamente,
convinti che il ritorno del Risorto riguardasse solo il popolo
eletto e non i pagani peccatori. Erano ancora fermi al concetto di
religione tribale. Probabilmente a sollevare il problema era stato
Marco, il figlio di Pietro, che improvvisamente (forse non
condividendo la conversione dei pagani) aveva interrotto la sua
collaborazione con Paolo e Barnaba ed era rientrato a Gerusalemme,
mettendo in guardia quella comunità sul metodo seguito da Paolo.
Allora la Chiesa di Gerusalemme, che sotto Giacomo era totalmente
ligia al giudaismo, sospettando che la comunità ellenistica guidata
da Paolo avesse ormai assunto una caratteristica tutta propria che
la poneva in aperta contraddizione con la tradizione giudaica,
mandò alcuni suoi inviati (per Paolo “falsi fratelli
intromessisi”) ad Antiochia a studiare la situazione e ne nacque
una «violenta polemica» (Galati 2,4; Atti, 15,2) con Paolo, che
rasentò la ribellione.
Quando,
dopo lunghe discussioni, la Chiesa di Gerusalemme decise di aprire il
cristianesimo ai gentili, impose loro, come conditio
sine qua non per
essere accolti come cristiani, l'obbligo di farsi prima ebrei, di
abbracciare cioè in toto la legge mosaica e di subire la
circoncisione. Condizione estremamente dura e insopportabile per i
gentili ma facilmente comprensibile per gli ebrei che ritenevano il
cristianesimo non una nuova religione, come diverrà successivamente
con Paolo, ma un completamento dell'ebraismo.
Paolo
e lo stesso Barnaba si resero subito conto dell'assurdità della
cosa. Già la legge ebraica era di difficile osservanza in Palestina,
dove la maggior parte della popolazione era ebrea, e diventava quasi
impossibile per gli ebrei della diaspora che vivevano in mezzo ai
gentili perché, tra le altre cose, imponeva il rispetto rigoroso del
riposo del sabato, del tutto ignorato dai pagani e oggetto di scherno
da parte loro, e prescriveva norme alimentari e di purificazione di
difficile attuazione al di fuori della Palestina.
Se,
per il pagano che voleva convertirsi, si aggiungeva a queste
difficoltà anche l'obbligo della circoncisione, per di più in età
adulta e con tutte le conseguenze che implicava, non ultima
l'umiliazione di una mutilazione spregevole che simboleggiava una
castrazione, appariva evidente per Paolo l'impossibilità per un
gentile di convertirsi.
Nessun commento:
Posta un commento