Intanto
a Gerusalemme Sila aveva informato prontamente la comunità
cristiana, diretta da Giacomo, circa gli stravolgimenti che Paolo
stava attuando e questa era subito corsa ai ripari inviando in Asia e
in Grecia messi incaricati di visitare i cristiano-ellenisti e gli
ebrei della diaspora che avevano aderito alla parusia. Costoro,
approfittando delle assenze dovute ai suoi frequenti viaggi
missionari, si insinuarono nelle comunità paoline con lettere degli
apostoli, per «arginare la dottrina fuorviante di Paolo». Tra i
Galati si precipitarono «quelli di Giacomo»; a Corinto, i seguaci
di Pietro.
Paolo
reagì con estrema durezza a questa invasione di campo e accusò gli
inviati degli apostoli di predicare un Vangelo falso, mossi
dall'invidia, dall'odio e dalla discordia e li maledisse
ripetutamente. Nella seconda Lettera ai Corinzi scrive sarcastico:
«Genti di tale conio sono falsi apostoli, operai imbroglioni, che di
Apostoli del Cristo hanno soltanto la maschera. E non c’è da
meravigliarsi: infatti, lo stesso Satana assume la maschera di Angelo
della Luce» (2 Corinzi 11,13 e sgg.). Per contrastare più
efficacemente l'offensiva di Gerusalemme e per consolidare nella sua
fede le comunità cristiane da lui costituite ricorse allora alla sua
proficua produzione epistolare, che tanto influenzerà i futuri
Vangeli canonici.
Le
Lettere furono per lui un potente mezzo di evangelizzazione. Gliene
sono attribuite tredici ma alcune sono considerate falsi o
manipolazioni di discepoli, come vedremo nell'ultima parte del libro.
Costituirono i primi documenti del Nuovo Testamento ed esercitarono
una grande influenza sulle comunità cristiane da lui fondate.
Esse
trasudano di formule dedotte dal lessico religioso pagano e denotano
una fortissima influenza dell’Ellenismo, del Platonismo, della Stoa
e perfino dall'Epicureismo, oltre che dei culti misterici. A
dimostrazione che Paolo aveva assimilato molti concetti della
filosofia greca.
La
prima Lettera scritta verso gli anni 49-51 a Corinto, quando Paolo
era ancora convinto che il ritorno di Cristo risorto fosse imminente,
fu indirizzata ai Tessalonicesi che attraversavano particolari
momenti di difficoltà, soprattutto sotto il profilo morale e della
parusia. Dopo averli spronati ad un maggior rigore etico, specie nel
campo sessuale, egli affrontò la grave questione dell'attesa
apocalittica del ritorno del Risorto, da tutti ritenuto imminente.
Quell'attesa
spasmodica aveva creato delle situazioni paradossali; molti, infatti,
avevano venduto tutti i loro averi per essere liberi da
preoccupazioni materiali, e abbandonata ogni tipo di attività, erano
scivolati in un ozio pernicioso nell’attesa del ritorno
imminente di Gesù dal cielo.
Paolo
cercò di superare queste preoccupazioni (ingenerate da lui stesso
con la sua predicazione), spiegando che la parusia poteva anche
tardare, secondo i piani imperscrutabili del Signore, e invitando
tutti ad attendere alle normali occupazioni della vita, rifuggendo
dall'ozio malefico. Si intravvedono, però, le sue prime
preoccupazioni per questo inspiegabile ritardo e il dubbio che la
parusia potesse essere procrastinata all'infinito e ingenerare la
sfiducia dei suoi seguaci, portandoli all'abbandono della fede.
Durante
un viaggio missionario ad Efeso, la città più importante
dell'Asia, Paolo venne a sapere che a Corinto i fedeli si erano
abbandonati al vizio della fornicazione e in più si erano divisi in
gruppi contrapposti su istigazione dei messi degli apostoli.
Corse
subito ai ripari inviando una lettera, conosciuta come la prima
Lettera ai Corinzi, nella quale ribadisce con fermezza che il suo
insegnamento, derivando direttamente da Dio (tramite le sue
rivelazioni celesti), era l'unico che tutti dovevano seguire.
Affermazione che egli ribadirà in più occasioni per sancire il
principio della sua indiscutibile autorità, derivata per
investitura divina.
Questa
Lettera è
importante perché ci illumina sul suo concetto di morale sessuale,
argomento fondamentale della nuova teologia paolina e tema ricorrente
della sua predicazione. Scopriamo così che per Paolo la
trasgressione sessuale, che Gesù aveva sempre trattato con
indulgenza - vedi il suo incontro con la Samaritana (Giovanni
4,17-18)) e la difesa dell'adultera (Giovanni 8,3-11)) - si avvia a
diventare il peccato per antonomasia. "Non sapete che i vostri
corpi sono membra di Cristo? Prenderò io dunque le membra di Cristo
per farne membra di una meretrice? Non sia mai!…Fuggite la
fornicazione" (1 Corinzi 6,15).
Addirittura
per Paolo la lussuria precede ogni altro vizio. Tutti gli altri:
idolatria, inimicizia, discordia, ostilità e via discorrendo,
vengono dopo (Galati 5,19 e sgg,). Nel suo delirio contro il corpo,
da lui chiamato la “carne”, considerato la sede del peccato,
egli afferma che il cristiano deve «spossare e asservire il corpo»,
«ucciderlo» (1 Corinzi 9,27; Galati, 5,24; Romani, 8,13; Colossesi
3,5), in quanto esso è un «corpo di morte» e tutto ciò che vuole
«significa morte» e «odio contro Dio» (Romani, 7,18; 7,24; 8,6
sgg.). Quindi la vita del cristiano deve incentrarsi nell'ascesi e
nella mortificazione delle passioni. Conseguentemente il sesso viene
aborrito e la donna, con marcato disprezzo, considerata soltanto
un'entità sessuale, ignorando la grande considerazione che Gesù
aveva nutrito per le molte discepole che lo accompagnavano nei
villaggi della Galilea. Anche il matrimonio viene disprezzato da
Paolo che lo considera una concessione alla carne peccaminosa, un
male necessario, consentito solo «onde evitare di cadere in preda
alla concupiscenza» (1 Corinzi 7,1 sgg. - 7,8 sgg.).
Per
lui sarebbe proferibile rimanere scapoli giacché il matrimonio non
reca con sé nulla di buono (1 Corinzi 7,28 sgg.) e condurre una vita
casta come la sua. Solo che giustifica la sua castità non per virtù
propria ma come conseguenza di una menomazione fisica. “Vorrei
che tutti voi conduciate una vita casta come me, ma non tutti hanno
il dono dell’impotenza”(1 Corinzi 7,1 sgg.).
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