Paolo
considerava la fornicazione il peccato per antonomasia per cui
l'ascetismo da lui imposto aborrì il sesso e degradò la donna ,
con marcato disprezzo, a volgare entità sessuale, ignorando la
grande considerazione che Gesù aveva nutrito per le molte discepole
che lo accompagnavano nei villaggi della Galilea.
Per
di più, l'affermazione di Paolo che la caduta del primo uomo
Adamo doveva essere attribuita ad Eva, accrebbe il dileggio nei
suoi confronti, al punto che Tertulliano, dottore della Chiesa,
scrisse con palese acredine: “A causa tua (Eva, donna) il Figlio
di Dio dovette morire. Tu dovresti sempre essere vestita a lutto con
stracci”.
Ecco perché nella Chiesa, fin dai primi secoli, la donna è stata
considerata inferiore all'uomo e vista come una creatura volgare,
carnale e seduttrice. È Eva, la peccatrice per antonomasia
(Tertulliano, De exhortatione castitatis 9,10).
La
misoginia di Paolo viene sottolineata nelle sue Lettere in più
occasioni. "Non
concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo;
piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è
stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma
fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa
potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare
nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia"
(Timoteo 2,12).
Tutti
i grandi dottori della Chiesa abbracciarono in pieno la misoginia
paolina e furono concordi nell'affermare che la donna doveva
servire solo alla propagazione della specie. Ma per altro, secondo le
farneticazioni di Tommaso d'Aquino, anche in questo ruolo essa
trascinava in basso dalla sua sublime altezza l’anima dell’uomo,
portando il suo corpo in «una schiavitù più amara di qualsiasi
altra».
Le
affermazioni di questi sommi dottori riguardo all'inferiorità della
donna arrivano alla pura demenzialità. Alberto Magno affermava
con sicumerica supponenza che dovrebbero essere generate solo
persone perfette, cioè uomini. Tuttavia, «affinché l’opera della
natura non vada completamente distrutta, essa plasma un essere
femminile». La qual cosa poteva dipendere da una «corruptio
instrumenti», vale a dire da una errata operazione del sesso
maschile. Quindi, secondo lui, anche la Madonna, idolatrata dai
cristiani come madre di Dio, sarebbe nata per una carenza funzionale
del pene di suo padre Gioacchino.
Un
altro grande misogino e sessuofobo fu sant'Agostino per il quale solo
«Cristo fu concepito senza piacere carnale, esente dalla macchia
derivante dal peccato originale», mentre tutti noi veniamo al
mondo con una natura decaduta. Da notare che fino ai trent'anni
Agostino condusse una vita tutt'altro che morigerata, anzi
decisamente peccaminosa, accompagnandosi con più donne e perfino con
bambine. Oggi sarebbe stato giudicato un pedofilo. Dopo la
conversione, però, arrivò a disprezzare la donna a tal punto da
definirla, demenzialmente, un essere inferiore, creato da Dio non a
sua immagine e somiglianza (mulier non est facta ad imaginem Dei).
Non
solo aborriva il sesso ma anche il matrimonio in quanto lo
considerava, spregiativamente, il veicolo di trasmissione del peccato
originale. Scrisse: «Mariti, vogliate bene alle vostre mogli, ma
amatele nella
castità (sic). Insistete nelle opere della carne nella misura in cui
è necessario per la procreazione. Dal momento che non è possibile
generare figli in altro modo, dovete vostro malgrado, degradarvi
perché è questa
la punizione di Adamo».
Quindi
il sesso è aborrito come piacere e visto soltanto come degradato
dovere procreativo. A
lui risale la condanna dei
metodi di contraccezione che oggi la Chiesa, che ha fatto suoi tutti
gli insegnamenti di Agostino, equipara ad autentici omicidi. Agostino
li definiva «veleni della sterilità» e considerava le donne che ne
facevano uso come le «meretrici dei
propri mariti».
Sulla
scia di Paolo e di Agostino per quasi venti secoli la donna è stata
dileggiata da dottori e teologi in mille modi: «porta
del diavolo»
(Tertulliano), «male
di natura»
(Giovanni Crisostomo), «insaziabile»
di piacere (Girolamo), «di
mente instabile»
(Gregorio I), «sacco
di escrementi»
(Odo, abate di Cluny), «una
sorta di inferno»
(Pio II), «osso
in soprannumero»
(Bossuet), arrivando, in casi estremi, a negare perfino che
possedesse l'anima. Solo, infatti, nel Concilio di Trento le fu
apertamente riconosciuto di possederla. Ecco perché nel Medioevo
la donna «non
aveva nessuna autorità, non poteva insegnare, né testimoniare …
né giudicare»
(Decretum
Gratiani,
XII sec.) e nemmeno accostarsi «ai
sacri altari»
(papa Gelasio). Fino al XX secolo le fu vietato perfino di “servire”
messa o cantare in chiesa (motivo quest’ultimo per cui dal
Cinquecento, avendo bisogno di voci bianche, si ricorse alla
castrazione).
La
pretesa inferiorità della donna, perdurata nella dottrina della
Chiesa fino al XX secolo, servì a giustificare non solo la sua
estromissione dal sacerdozio ma anche la sua totale sottomissione
all'uomo. Per Leone XIII «il
marito è il principe della famiglia e il capo della moglie»
(Arcanum
divinae).
Per Pio XI «l’ordine
dell’amore»
richiede «da
una parte la superiorità del marito sopra la moglie ed i figli, e
dall’altra la pronta sottomissione e ubbidienza della moglie»
(Casti
connubii,
1930).
Solo
a partire dal Vaticano II, grazie anche all’influenza del movimento
femminista, cominciò a essere posta in discussione la misoginia
cattolica. Ma soltanto a parole. Infatti, anche se il Catechismo
della Chiesa
(1992) afferma la parità dei sessi, negando l’idea paolina che
solo l’uomo sia “immagine di Dio”, la Chiesa, non non ha
mai voluto riconoscere di aver discriminato la donna per venti
secoli e ancor meno ha voluto trarre le conseguenze del suo nuovo
orientamento.
Ancor
oggi, infatti, continua a negare alla donna l'accesso al
sacerdozio con motivazioni infantili e persiste nel suo
anti-femminismo medievale.
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