A
conclusione della trattazione della triplice metamorfosi della figura
di Gesù nei primi secoli della nostra èra e della nascita e
mondanizzazione della Chiesa, vengono qui esaminati i documenti
canonici e storici che sono a fondamento del cristianesimo e ai quali
si è fatto di continuo riferimento nel corso del libro.
Le
fonti sulle quali si basa il cristianesimo comprendono: i documenti
canonici, i libri apocrifi, i documenti di storici ebrei e latini,
gli scritti apologetici e teologici degli antichi Padri della Chiesa
e i Manoscritti del Mar Morto.
I
27 testi neotestamentari riconosciuti dalla Chiesa come canonici,
come abbiamo già accennato all'inizio del testo, sono trascrizioni
di trascrizioni di trascrizioni. Sono tutti scritti in greco e i più
antichi codici a noi pervenuti, il Sinaiticus e il Vaticanus,
risalgono al IV secolo.
Il
secondo, custodito nella Biblioteca Vaticana, è incompleto e ha
subito tre rappezzamenti. Il primo, quello Sinaiticus, così chiamato
perché scoperto nel Monastero Caterino del Sinai, si trova dal 1933
nel British Museum di Londra e contiene per intero il Nuovo
Testamento e persino due Apocrifi.
Nel
383 papa Damaso incaricò il dottore della Chiesa, Girolamo, di
tradurre in latino l'intera Bibbia (l'Antico e il Nuovo Testamento),
perché il greco era poco conosciuto in Occidente. Nei Concili di
Firenze (1442), di Trento (1546) e del Vaticano I (1870) la Chiesa
Cattolica proclamò come dogma di fede la dottrina dell’ispirazione
divina della Bibbia, escludendo in essa qualsiasi errore. Quindi,
ogni rilievo storico-critico sui ventisette testi neotestamentari e
sulla Bibbia ebraica, è per la Chiesa improponibile, malgrado le
innumerevoli contraddizioni, incongruenze e assurdità che essi
contengono. I
ventisette documenti canonici che la Chiesa riconosce come ispirati
da Dio e a fondamento di tutta la sua dottrina, sono: i quattro
Vangeli, attribuiti rispettivamente a Marco, Matteo, Luca e
Giovanni; gli Atti degli Apostoli, attribuiti a Luca; l'Apocalisse,
attribuita a Giovanni; le tredici Lettere di Paolo di Tarso; la
Lettera di Giacomo, il Minore; le due Lettere di Pietro; la Lettera
di Giuda; le tre Lettere di Giovanni e la Lettera agli Ebrei di
incerta attribuzione.
Tutti
questi documenti sono scritti in greco
e furono elencati
per la prima volta da Atanasio di Alessandria nel 367, ma
formalizzati come canonici solo col “Decretum Gelasianum de libris
recipiendis et non recipiendis” di Papa Nicola I nell'865.
La
cernita avvenne dopo ripetuti ripensamenti, se consideriamo che
l'Apocalisse rimase a lungo in discussione con alterne vicende. Per
quanto riguarda i Vangeli, la Chiesa, dopo aver scelto come canonici
i quattro che più le convenivano, dichiarò tutti gli altri
“apocrifi”. Al di
fuori dei testi canonici ci
sono, quindi,
altri racconti evangelici non riconosciuti dalla Chiesa, riferiti
ad apostoli o a teologie diverse, come il Vangelo degli Egiziani, il
Vangelo di Pietro, il Vangelo di Tommaso, il Vangelo di Filippo e il
Vangelo di Maria di Magdala, il Vangelo di Giuda Iscariota, per
citare i più importanti. Di essi possediamo dei frammenti più o
meno lunghi.
Un
discorso a parte meritano i Manoscritti del Mar Morto, scoperti nel
1947 e solo nel dicembre 2001 pubblicati integralmente. Sono di
un'importanza fondamentale e gettano una nuova luce sui rapporti di
Gesù con la setta degli esseni e sullo sviluppo dei
cristiano-giudei, che costituirono la primitiva Chiesa di
Gerusalemme. I pochi documenti storici di scrittori ebraici e latini,
che accennano al cristianesimo (ma che mai nominano Gesù),
comprendono: Le Antichità Giudaiche (o Storia dei Giudei) e La
Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio, ebreo, scritti in greco; gli
Annali di Tacito, la Lettera di Plinio il Giovane e Le Vite dei
Cesari di Svetonio, scritti in latino.
I
Vangeli canonici
Sono
ritenuti unanimemente il fondamento portante di tutto l'edificio
cristiano. Sono quattro e almeno due di essi sono attribuiti agli
apostoli che ne danno il nome: Matteo e Giovanni. Gli altri due,
quello di Marco e di Luca, sono attribuiti a discepoli di Paolo.
Vennero codificati solo nel IV secolo scartando gli altri ottanta e
rotti Vangeli (gnostici ed apocrifi) che sino ad allora erano stati
considerati validi, ma presentavano contenuti così diversi da non
ammettere, in taluni casi, perfino l'esistenza fisica di Gesù, e
di ignorare spesso anche la sua morte e resurrezione.
Si
cominciò a scriverli alcuni decenni dopo la Crocifissione (dal 70 in
poi) e la ragione della loro tarda stesura va spiegata nel fatto che
agli apostoli e alla comunità primitiva dei cristiano-giudei, non
passò minimamente per il capo di tramandare per iscritto le vicende
di Gesù, in vista delle generazioni future, essendo loro
costantemente in attesa del suo imminente ritorno.
Solo
quando questo, col passare del tempo, mostrò di non verificarsi,
si dovette rimandare nell’aldilà ciò che invano si era o
atteso nell'aldiquà e nacque la fede in una storia salvifica
prevista da Dio, mediante un'istituzione storica come la Chiesa, che
aveva bisogno di fondare la sua dottrina su testi sacri.
Partendo
dalla testimonianza di alcuni seguaci di Gesù, trasmessa in forma
orale, sono nati, in ambienti ellenistici, i testi scritti in greco
dai seguaci di Paolo di Tarso. Questi testi sono stati sottoposti nei
primi secoli a continue e nuove formulazioni teologiche da parte dei
Padri della Chiesa e del Concilio di Nicea e, posteriormente, a
grossolane manipolazioni nella traduzione dal greco antico al latino
e alle lingue moderne, che continuano tuttora, come abbiamo
documentato in precedenza. Tutto ciò ha comportato la presenza nei
Vangeli di molte contraddizioni e incongruenze, nonché di errori di
carattere storico, geografico, politico ed etnografico che non li
rendono attendibili.
Infatti sulla loro
scarsa attendibilità, Agostino, principe della patristica, non
aveva dubbi al punto che dichiarava che la loro validità poggiava
solo sull'autorità della Chiesa. Dimenticava però che la Chiesa, a
sua volta, si fonda sulla tradizione evangelica. Insomma: il classico
cane che si morde la coda!
Le
manipolazioni dei Vangeli iniziarono fin dal tempo del vescovo
Ireneo di Lione. Ce lo conferma Origene che parla di colleghi che
egli chiama "correttori". La pratica fu poi seguita da
Eusebio, Crisostomo, Agostino, Girolamo e tanti altri "padri",
e fu recentemente confermata da papa Wojtyla con l'ammissione che
certi passi dei Vangeli rivelano "una mano estremamente tarda"!
La
Chiesa, avendo decretato che le Scritture debbono considerarsi
ispirate da Dio, ha escluso ogni possibilità che possano essere
soggette a verifiche critiche. Pietrificate nel passato, nel presente
e nel futuro. Imbalsamate per l'eternità. Così ha sempre
ostacolato un'indagine storico-critica sul cristianesimo. D'altra
parte, essendo consapevole della quantità enorme di contraddizioni e
di incongruenze presenti nei suoi testi sacri, è stata costretta a
esigere una fede acritica in essi e a impedire ai suoi fedeli di
avvicinarli in proprio.
Infatti,
fin dai primi secoli della sua istituzione, ha severamente vietato
ai fedeli lo studio, e perfino la sola lettura, dei libri canonici,
e questo divieto lo ha codificato nel Sinodo di Tolosa del 1229 che
dispose: «I laici non possono possedere i libri del Vecchio e del
Nuovo Testamento; possono avere solo il Salterio e il breviario o
anche i calendari mariani, e nemmeno questi libri, per altro, devono
essere tradotti nella lingua nazionale» (Can, 1-14).
Solo di recente la moderna teologia storico-critica protestante, non
più vincolata ai dogmi, ai giuramenti e agli imprimatur, è giunta
a comprendere e a dimostrare che il cristianesimo, nel suo cammino
attraverso i primi secoli della nostra èra, ha subito una radicale
involuzione e che i Vangeli non sono storicamente attendibili ma
sono, al contrario, dei romanzi mitologici.
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