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domenica 1 maggio 2011

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 65

Quando giunsero ai confini dell'Idumea, Davide si accomiatò dal capo carovana, dall'amico cammelliere e dall'amico Fineas che, a stento, riuscì a trattenere le lacrime. Costui volle, a tutti i costi, offrirgli un po' di denaro e gli rivolse, per l'ennesima volta, la profferta che gli aveva fatta più volte durante il viaggio, di lavorare con lui. Lo avrebbe fatto socio e lo avrebbe nominato erede unico di tutti i suoi beni. Davide lo ringraziò con accenti commossi e sinceri e spiegò che, dovendo portare a termine un compito, per lui molto importante, non poteva che dedicarsi ad esso.

Dopo due giorni di cammino giunse a Ebron e si diresse alla casa di Giuda, sperando d'avere sue notizie. Trovò uno zio, di nome Samuele, che aveva conosciuto in precedenza e che lo accolse con grande affetto e gli raccontò le ultime vicende del nipote. Venne così a sapere che Giuda, da circa un paio d'anni, era rientrato dall'Egitto; che era molto cambiato nell'aspetto e nel carattere; che aveva imparato a leggere papiri e pergamene; che aveva comperato una casa a Damasco; che aveva ripreso il commercio; che gli affari gli andavano piuttosto bene, e, infine, che era ansioso di rivederlo e che, dovunque andasse, si metteva subito alla sua ricerca. Quando gli chiese di Naomi, cascò dalle nuvole e rispose che non l'aveva mai sentita nominare.

Si fermò a Ebron per la notte, poi riprese il viaggio verso le foci del Giordano. Si sentiva fortemente attratto dal nuovo profeta e non vedeva l'ora di incontrarlo. Passando nei pressi di Qumran fu dominato dal ricordo di Giovanni e della comunità degli esseni e provò la tentazione di chiedere ospitalità per la notte, per rivedere il caro amico e risentire la profonda quiete del luogo. Avrebbe anche voluto riprendere con lui il dialogo sulla salvezza, in tono dolce e sereno, senza strascichi polemici. Ma qualcosa lo spinse a scartare l'idea e a proseguire nel cammino, nonostante la stanchezza.

Giunto vicino alle foci del Giordano incontrò numerosi pellegrini diretti ad ascoltare Giovanni, e, rompendo ogni indugio, si unì a loro. Ad un certo punto, nella distesa arida che si apriva davanti a lui, cominciò a scorgere una piccola moltitudine formata da un centinaio di persone, la più parte seduta sulla sabbia, che pareva in ansiosa attesa di qualcosa. Tutti erano assorti nel silenzio; soltanto qualcuno parlottava sommessamente.

Davide si accostò al gruppo e si sedette vicino a due giovani che intuì, dall'accento, essere galilei. Chiese loro notizie del profeta e gli risposero che il suo arrivo era imminente. Gli mostrarono un cumulo di grosse pietre che s'intravedeva poco lontano e gli fecero capire che quello era una specie di pulpito eretto per lui. Davide chiuse gli occhi e si assopì. Tutta la stanchezza del viaggio sembrava essergli caduta addosso. Nonostante il sole alto, la temperatura era mite ed invitava ad un dolce assopimento.

Fu destato da un clamore improvviso e dal fatto che tutti si erano rizzati in piedi all'unisono. Si uniformò agli altri e finalmente vide il profeta avanzare verso il cumulo di pietre. Aveva l'aspetto ancor più selvatico di come glielo aveva descritto l'amico mercante. La testa era un folto cespuglio di peli bianchi e irsuti, che copriva il viso, il collo e le spalle, e faceva intravedere soltanto gli occhi febbrili e ardenti.

Il corpo, di una magrezza spettrale, era avvolto da una striminzita pelle di un qualche animale che, allacciata alla vita, lasciava a nudo gran parte del torace e gli arti. La sua pelle, cotta dal sole, era scura e luccicava come il cuoio.
Davide guardò affascinato quella strana figura che gli dava una sensazione di follia e di grandezza. Per un attimo ebbe un brivido.

Gli era sembrato di riconoscere in quell'essere inselvatichito il suo amico Giovanni, ma scacciò subito l'idea come assurda. Lo richiamò alla memoria sempre perfettamente rasato e vestito di una candida tunica. No, non poteva essere lui.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)