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domenica 5 agosto 2012

In nomine Domini 26


Quel tardo pomeriggio, appena Cassio si precipitò al suo richiamo con un'espressione mogia e contrita, il papa capì che le ricerche erano ancora in alto mare.
"Forse Vostra Santità potrebbe, domenica prossima, celebrare un pontificale in San Pietro per sollecitare la devozione della giovane e farla accorrere nuovamente in chiesa", propose il domestico.
"L'idea non è male", fece il papa, dopo qualche attimo di riflessione. Nonostante il fastidio di dover sobbarcarsi una lunga e noiosa cerimonia che lo metteva sempre a disagio, perché ancora non la conosceva bene e spesso s'impaperava nelle formule e si imbrogliava nella procedura, il gioco valeva la candela.
"Darai ordine che tutte le campane di Roma, annuncino per domenica prossima il mio pontificale e avverti gli informatori e soprattutto Manlio, il capo delle mie guardie personali, di star con gli occhi bene aperti e di pedinare inosservati la giovane misteriosa se verrà ad assistere, come bramo ardentemente, alla cerimonia. Non voglio assolutamente scandali. Ed ora", concluse il giovane papa allargando le braccia con un sospiro di sollievo, "finalmente, dopo una lunga e impegnativa giornata, posso rifugiarmi nel santuario, come lo chiamano i saraceni, tra le mie amate favorite".
"Sono tutte ansiose di riceverla, Santità", concluse Cassio.
Il giovane papa si diresse giulivo verso il suo piccolo harem, accolto con gran sussiego dall'eunuco Eufrasio che lo custodiva.

L'indomani la carrozza papale giunse puntuale alla casa di Ascanio. Ad attenderlo all'interno c'era Teofrasto, maestro di palazzo.
Ad Ascanio che lo accolse sorpreso, l'eunuco spiegò che il papa quella mattina si era alzato di buonora e di ottimo umore, cosa che non accadeva da tempo, e si era preso una giornata di svago per andare a caccia di cinghiali nella campagna romana. Gli mandava a dire che continuasse lui, intanto, l'esame dei rotoli col venerando Simone e facesse anche una visita al cardinale prete Giacomo per convincerlo a tornare in Laterano. Nel tardo pomeriggio lo avrebbe ricevuto nel suo studio privato. Al momento del commiato, il pomposo eunuco, che aveva appreso l'arte del sussiego e dell'affabilità nella raffinata Bisanzio, gli rivelò con una certa commozione, di essere molto felice che lui fosse tornato al servizio del papa e che sperava che anche il cardinale Giacomo seguisse il suo esempio.
Così Ascanio fu condotto nel cenobio del venerando Simone.
"E il giovane papa?", chiese il monaco, vedendolo solo.
"Oggi ha troppi impegni e non può venire, ma si farà vivo nei prossimi giorni. Intanto mi ha incaricato di proseguire con te l'esame dei rotoli. Questa sera lo vedrò e lo metterò al corrente d'ogni cosa".
Il monaco lo ascoltò perplesso e parve voler chiedergli qualcosa perché rimase per alcuni istanti muto e pensieroso. Ma non disse nulla e prese a sfogliare il codice.
"Forse hai qualcosa da chiedermi", fece Ascanio, senza dar peso alla sua domanda.
"Sei molto perspicace, eh vecchio diacono," rispose Simone con un dolce sorriso. "Sei capace anche di leggere il pensiero degli altri".
"Non proprio", rispose Ascanio, sorridendo a sua volta.
"Beh", fece il monaco un po’ esitante, "visto che siamo soli vorrei che mi dicessi con franchezza che cosa pensi dei documenti che stiamo esaminando".
"Esattamente quello che pensi tu", rispose Ascanio senza esitare. "Ti dirò di più", aggiunse. "Fin da quando ho letto le confutazioni dei Padri della Chiesa contro i Nazirei, cioè i cristiano-giudei di Gerusalemme, nelle quali questi venivano accusati di eresia perché seguivano il Vangelo degli Ebrei, ho capito subito che questo era il vero e unico Vangelo che storicamente raccontava la vita di Gesù e che per questo era stato fatto distruggere dalla Chiesa nei primi secoli della nostra èra".
"Da che cosa l'hai capito, esattamente?", lo interruppe Simone con vivo interesse.
"Epifanio, uno dei Padri della Chiesa, ci dice che il Vangelo che stiamo esaminando era considerato dai nazirei assolutamente autentico e integrale, e conservato da loro come era stato originariamente composto in ebraico. Poi aggiunge che questo Vangelo per la Chiesa non era invece completo, ma alterato e mutilato, e infine che i nazirei che lo seguivano non avevano una conoscenza esatta del Signore.
"Com'era possibile, mi sono chiesto leggendo Epifanio, che questo Vangelo pur essendo integrale, cioè esattamente identico a quello composto in ebraico dagli apostoli, risultasse per i Padri della Chiesa incompleto e mutilato? Come spiegare queste affermazioni contraddittorie? La risposta possibile era una sola: che la incompletezza di questo Vangelo dipendeva esclusivamente dal fatto che esso non conteneva le manomissioni e le aggiunte teologiche volute da Paolo e dai suoi seguaci, come le divinità di Cristo, la nascita verginale, l'eucaristia e così via. Ed ecco allora spiegato perché i nazirei, secondo Epifanio, non avevano una conoscenza esatta del Signore. Essi non credevano infatti che Gesù fosse figlio di Dio, avesse cioè una natura divina, come voleva la teologia paolina, ma lo consideravano soltanto un Messia di natura umana, cioè l'Unto di Jahvè, destinato a ricostituire l'antico regno di Davide. Alla fine ho concluso che questo era il vero Vangelo scritto dagli unici depositari della parola di Cristo che annoveravano tra di loro anche i discendenti della famiglia di Gesù, i cosiddetti Desposyni!"
"Molto, molto perspicaci queste deduzioni", sbottò il vecchio monaco con grande trasporto. "Con l'eliminazione, da parte della Chiesa, della versione originale del Vangelo degli Ebrei che dimostrava la falsità dei nostri quattro Vangeli canonici", proseguì Simone, "abbiamo perduto il documento chiave che poteva far luce sulla reale personalità di Gesù e sugli avvenimenti storici che lo riguardavano. Ma, per i Padri della Chiesa questo Vangelo, oltre che ignorare la divinità di Gesù e le altre invenzioni paoline come la verginità di Maria e l'eucarestia, conteneva anche due messaggi troppo pericolosi: l'istanza messianica intesa a riscattare Israele dal giogo romano, nella convinzione che lo stesso Jahvè avrebbe approvato questo scontro e avrebbe concesso la vittoria agli ebrei, e l'istanza rivoluzionaria e social-religiosa che nasceva dal Discorso della Montagna di derivazione essena e che suonava come una chiara protesta contro le ingiustizie. Entrambe queste istanze erano in contrasto con la teologia salvifica di Paolo".
"Confesso la mia ignoranza sugli esseni", interloquì a questo punto Ascanio. "So che di loro hanno scritto gli storici Giuseppe Flavio, Filone Alessandrino e Plinio il Vecchio e i Padri della Chiesa Egesippo ed Ippolito. Ma non conosco alcun rapporto tra Gesù e questa setta".
"Questo Vangelo lo spiega con chiarezza. Tu ricordi che i sinottici ci dicono che Gesù, dopo il battesimo ricevuto dal Battista, si ritirò per quaranta giorni nel deserto dove fu tentato da Satana e servito dagli angeli? La realtà è molto diversa. Gesù è vissuto nel deserto di Giuda per alcuni anni come membro della comunità degli esseni. Questa setta viveva sulle rive del Mar Morto in uno dei luoghi più inospitali della Terra e aveva, come punto ideologico fondamentale, l'aspettativa quasi febbrile dell'imminente liberazione d'Israele dagli oppressori romani e la restaurazione, con l'aiuto divino, del Regno terreno di Jahvè. Ma oltre alla restaurazione politica, gli esseni perseguivano anche quella religiosa che mirava al ritorno dell'osservanza rigorosa in senso integralista della legge di Mosè, e alla costituzione di uno stato santo. Questo stato santo implicava una perfetta uguaglianza sociale, l'accettazione della povertà come scelta di vita, l'esaltazione degli umili e degli oppressi. Infatti gli esseni avevano adottato la comunità dei beni e praticavano una vita ascetica, improntata al lavoro, alla preghiera e allo studio della Bibbia e vissuta in lieta povertà. Ma essi non si limitavano solo a pregare e a studiare la Bibbia, si preparavano anche ad uno scontro militare apocalittico e risolutivo. Infatti ospitavano tra loro una componente zelota, cioè un gruppo di ribelli decisi a tutto per liberare la Palestina dal giogo romano".
"Mi stai rivelando un mondo nuovo, che non avevo mai preso in considerazione", esclamò Ascanio con grande stupore. "Ma ancora non afferro i legami di Gesù con questa setta".
"Invece sono chiarissimi e fuori di ogni dubbio e si possono rintracciare anche nei nostri Vangeli canonici, specialmente in Matteo e Giovanni. Basta saperli leggere. L'esaltazione dei poveri, dei miseri, degli umili e l'invito a distribuire i propri beni ai bisognosi e a non giurare, e soprattutto il disprezzo per la ricchezza e l'esaltazione della povertà, intesa come scelta di vita, erano insegnamenti tipici degli esseni, come ampiamente hanno dimostrato Giuseppe Flavio e Filone Alessandrino. Il Discorso della Montagna, considerato, a ragione, il culmine della spiritualità evangelica, è un tipico manifesto esseno ed è di chiara derivazione dal loro Documento di Damasco nel quale essi manifestavano tutta la loro attenzione ai poveri, ai derelitti e agli umili. Il perenne contrasto tra Dio e Mammona - il denaro - sempre presente nei discorsi di Gesù, come chiara dimostrazione che l'amore per la ricchezza è un ostacolo per la salvezza, è un concetto squisitamente esseno. Le istruzioni che Gesù dà al giovane che gli chiede che cosa deve fare per essere salvato ricalcano il comportamento degli esseni i quali, prima di entrare nella setta, dovevano vendere i loro beni e donare il ricavato ai poveri. Inoltre essi proibivano completamente il divorzio, come fa Gesù nel Vangelo di Marco.
"Ma c'è anche una prova indiretta", continuò il monaco. "Tutti i comportamenti dei primi cristiano-giudei di Gerusalemme, come vengono ritratti negli Atti, costituiscono uno straordinario parallelo con gli esseni. Difatti anche i cristiano-giudei vendevano i loro beni per distribuirli ai poveri, erano retti da un consiglio di dodici apostoli che ricalcavano chiaramente i dodici anziani a capo della comunità essena ed aspettavano l'imminente avvento del regno di Dio in Terra, che era una costante essena e sempre presente anche nei Vangeli.
"Singolare a questo proposito è il fatto che Gesù, così implacabile con le classi forti, mai, dico mai, abbia sollevato la più labile critica agli appartenenti alla setta essena e ancor meno a zeloti e sicari che insanguinavano allora le strade d'Israele. Per un pacifista, che predicava di offrire l'altra guancia, ciò risulta piuttosto strano!" 

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)