Vediamo
alcuni esempi del “meccanismo di censura”. L'apostolo Simone
risulta avere nei Vangeli tre appellativi: Bariona, Cananites e
Kefas. Vediamo qual è il loro significato, cominciando dal primo
“bariona”. Secondo la versione attuale dei Vangeli,
Pietro viene
chiamato da Gesù: "Simone, figlio di Giona"
(Matteo 16,17)
facendo erroneamente riferimento al testo greco “”
(Simon bar Iona). Ma questa traduzione è un falso.
Bar, infatti, è sì
un termine aramaico che significa:
"figlio
di" ma nel testo
greco questa espressione dovrebbe essere tradotta:
più il nome del padre. Nel nostro caso:
Infatti, in tutti
gli altri casi in cui nei Vangeli si nomina la paternità di
qualcuno, non
si usa mai la desinenza ebraica “bar”, ma sempre la formula greca
“uios tou”…, “figlio di…”
Cito
alcuni esempi tratti dai Vangeli:
(Giuseppe figlio di David) (Matteo 1,12);
(Zaccaria figlio di Baruc) (Matteo 23,35);,
figlio di Abramo) (Luca 19,9) etc... Come mai allora nel caso
di Pietro si usa il termine aramaico e non greco? La spiegazione è
semplice: nel testo greco antico si legge:
(e non quindi “”),
dove Bariona è un unico vocabolo che in aramaico, al tempo di Gesù,
significava "fuorilegge, terrorista, partigiano alla macchia",
cioè zelota o sicario. Quindi non "figlio di Giona" come
traduce falsamente la Chiesa. Sempre Simone, soprannominato da Luca
senza mezzi termini, lo Zelota (Luca 6,15), viene chiamato da Marco
""
(cananaios) (Marco 3,18) e da Matteo ""
(cananites) (Matteo 10,4), termini tradotti nei Vangeli attuali
con l'aggettivo "cananeo", cioè proveniente da Cana.
Niente di più falso. Il termine aramaico "qanana" da cui
deriva quello greco cananaios, equivale a "zelota, fuorilegge,
terrorista", esattamente come bariona. Infine, il termine Kefas
o Cefa, significa in aramaico “Roccioso” e allude alla durezza
combattiva e al carattere violento attribuiti a Pietro, sia dai
documenti apocrifi (Vangelo di Maria di Magdala), sia dagli stessi
Vangeli canonici, che riportano il fatto che al momento dell'arresto
di Gesù, l'apostolo con un colpo di spada tagliò netto l'orecchio
di Malco, servo di Caifa (Giovanni 18,10). Quindi questi tre termini
indicano inequivocabilmente che Pietro non era il pacifista descritto
dalla tradizione ma uno spietato combattente per la causa messianica.
Altro
esempio. Taddeo nel Vangelo di Matteo, versione antica già citata
(54,17), è definito a chiare lettere ""
(Ioudas zelotes). Da questo Vangelo ricaviamo che il vero nome
dell'apostolo in questione era Giuda (da non confondere con
l'Iscariota) e Taddeo era, in aramaico, il suo soprannome di
battaglia che significava "coraggioso"; cioè, in parole
semplici: partigiano coraggioso.
Anche
Giuda Iscariota, il presunto traditore di Gesù, viene considerato
dagli studiosi uno zelota. Nell'Angelus del 26 agosto 2012, papa
Ratzinger lo ha ammesso chiaramente affermando che Giuda era uno
zelota che voleva che Gesù, come Messia, si ponesse al comando di
una rivolta militare contro i romani e sentendosi deluso lo
denunciò. Quindi, secondo il papa, il tradimento di Giuda fu
politico e non ebbe nulla a che fare coi trenta denari. Difatti,
l'appellativo Iscariota (che deriva dall'ebraico ekariot, che
significa sicario, e non da Keriot città della Giudea, mai esistita
ma semplicemente inventata dalla Chiesa), veniva attribuito agli
zeloti più oltranzisti che eseguivano azioni di terrorismo anche in
forma isolata.
Giuseppe
Flavio li descrive così: “In Gerusalemme nacque una nuova forma di
banditismo, quella dei così detti sicari (ekariots), che
commettevano assassini in pieno giorno nel mezzo della città. Era
specialmente in occasione delle feste che essi si mescolavano alla
folla nascondendo sotto le vesti dei piccoli pugnali coi quali
colpivano i loro avversari. Poi, quando questi cadevano, gli
assassini si univano a coloro che esprimevano il loro orrore e
recitavano così bene da essere creduti e quindi non riconoscibili”
(Giuseppe Falvio, La
Guerra Giudaica, op. cit. 1, 12).
In
realtà, stando alle più antiche versioni del Vangelo di Marco (vedi
il "Novum Testamentum" citato sopra), non solo questi ma
tutti gli altri apostoli appartenevano alla cerchia degli zeloti,
perché erano chiamati col nome di battaglia “Boanerghes”, cioè
“figli del tuono” (Marco 3,17).
Ad
ulteriore dimostrazione della natura violenta dei cosiddetti apostoli
ricordiamo il comportamento dei due fratelli Giacomo e Giovanni,
figli di Zebedeo, (denominati dallo stesso Gesù “figli del
tuono”), i quali nel Vangelo di Luca chiedono al Maestro il
permesso di incendiare il villaggio dal quale erano stati respinti,
(Luca 9,51-56), confermando, come ci tramanda Giuseppe Flavio, che
gli zeloti non solo si accanivano contro i romani ma anche contro gli
ebrei che non volevano collaborare con loro (La
Guerra giudaica, 2, 12 op. cit.).
A
proposito dei figli di Zebedeo, appena citati, c'è un episodio
raccontato dai Sinottici che mette in evidenza da un lato la loro
smodata ambizione e dall'altra la loro certezza che il regno
annunciato da Gesù non fosse l'aldilà, ma un regno puramente
terreno. Scrive infatti Matteo: "Allora gli si avvicinò la
madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per
chiedergli qualcosa. Egli (Gesù) le disse: «Che cosa vuoi?». Gli
rispose: «Dì che questi miei figli siedano uno alla tua destra e
uno alla tua sinistra nel tuo regno»" (Matteo 20,20-21).
Secondo
Marco (Marco 10,35-37) sono gli stessi Giacomo e Giovanni e non la
loro madre a fare questa richiesta direttamente a Gesù.
Ad ulteriore prova
dell'appartenenza degli apostoli al messianismo jahvista ricordo che
l'apostolo Giacomo, detto il Maggiore, sotto il procuratore romano
Tiberio Alessandro, fu arrestato nel 44, insieme all'apostolo Simone,
e giustiziato di spada come sobillatore del popolo (Atti 12), e che
l'altro Giacomo, detto il Minore, in tutti i documenti canonici
chiamato fratello del Signore, secondo Eusebio di Cesarea e Giuseppe
Flavio, fu lapidato nel 63, per ordine del sommo sacerdote, per aver
"osannato pubblicamente al figlio di David", cioè a Gesù,
che, quale Messia erede al trono d'Israele, avrebbe presto liberato
la Palestina dall'invasione romana (Eusebio,
Storia Ecclesiastica, 2-23, op.cit.).
Le
supposizioni di R. Eisenman
(James the brother
of Jesus, Penguin book, London, 1997)
che tutti gli apostoli erano zeloti, come abbiamo evidenziato sopra,
gettano una luce inquietante sui discepoli di Gesù, vero covo di
accesi messianisti e non di persone dedite alla non-violenza, alla
fratellanza e alla salvezza spirituale dell'umanità.
Quindi,
si intuisce facilmente perché Gesù e il suo movimento fossero
considerati una minaccia dai romani e dai giudei moderati, e
perché costoro abbiano collaborato con Pilato per la sua condanna a
morte. I termini riferiti ai combattenti messianici erano in latino:
Sicarii, Latrones e Galilaei; in greco: Zelotes e Lestes e in
ebraico: Qanana e Bariona
(Novum Testamentum Graece et Latine, E. Nestle, Stuttgart, 1957).
Come
attestano le fonti rabbiniche, quelli ebraici, di origine accadica,
venivano utilizzati già prima di Gesù per designare un “terrorista”
o un “partigiano”.
"L'invenzione
del cristianesimo " ebook € 1,99 (store:
Amazon, LaFeltrinelli, Kobo, Internet
Bookshop Italia, Bookrepublic
Store,
etc...)
per favore chiedo la rimozione dei commenti presenti alla pagina:
RispondiEliminahttp://impegno-laico.blogspot.it/2011/05/il-maxiscandalo-di-don-riccardo-seppia.html
in quanto diffammatori.
Grazie e cordiali saluti.
Gabriele Silvagni