Finché
Gesù perseguì il suo apostolato politico-religioso nella Galilea,
lontano da Gerusalemme, nella città santa era poco noto e forse
considerato uno dei tanti rabbi improvvisati che sorgevano e
tramontavano con una certa frequenza e che la gerarchia templare
sopportava con malcelato fastidio. Ma quando calò a Gerusalemme e
intensificò il suo ruolo messianico, suscitò ben presto
l'attenzione delle alte classi del clero e degli erodiani,
fortemente antimessianici, e verosimilmente degli stessi romani i
quali, preoccupati dai continui disordini provocati da zeloti e
sicari, controllavano capillarmente la città, specie durante le
frequenti feste religiose che attiravano molti pellegrini da tutta la
Palestina. La permanenza di Gesù a Gerusalemme non fu lunga ma
subito suscitò un'ostilità potente e durissima che lo incupì e
amareggiò.
L'atmosfera
gioiosa, che lo aveva circondato nei villaggi della Galilea, veri e
propri bagni di folla allegra e festante, si trasformò in aride e
pedisseque dispute sotto i portici del Tempio con scribi e farisei
arroganti e sprezzanti, che lo trattavano con supponenza e
apertamente lo minacciavano.
L'amarezza
di Gesù risulta in tutta la sua evidenza nell'accorata apostrofe a
Gerusalemme: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e
lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere
i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e
voi non avete voluto!" (Matteo 23,37).
Nonostante
l'appoggio, più sotterraneo che esplicito, di alcuni importanti
sinedriti, come i già accennati Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea e di
altri personaggi molto in vista come Lazzaro (ricordiamo che
all'annuncio della sua morte erano giunti nella sua casa di Betània
molti scribi e farisei di Gerusalemme), non pare, stando ai Vangeli,
che Gesù fosse riuscito a raccogliere nella città santa un
consistente gruppo di seguaci.
I
gerosolimitani non erano così facili da conquistare come le semplici
popolazioni rurali della Galilea.
Avvezzi
ad assistere ad un flusso costante di pellegrini e di stranieri, si
erano fatti più smaliziati e non si lasciavano facilmente incantare
dal primo rabbi che giungeva dalla provincia. Soltanto scribi e
farisei sembravano interessati al nuovo arrivato, ma unicamente per
contestarlo e irriderlo. Di fronte ad una così palese ostilità, ad
un così deliberato ostruzionismo, Gesù reagì con due gesti
clamorosi che, se da una parte gli procurarono notorietà, ponendolo
al centro dell'attenzione generale in quanto sfidava l’aristocrazia
sacerdotale e il potere politico-militare romano, dall'altra
portarono inesorabilmente al suo arresto fatale e alla sua condanna
a morte. Il primo eclatante episodio, che maggiormente impressionò
il Tempio e destò l'attenzione delle stesse autorità romane, fu
l'ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme, acclamato trionfalmente
dalla popolazione come figlio di David e re d'Israele. Avvenne,
secondo Giovanni (12,12-15), poco dopo la resurrezione di Lazzaro, e
verosimilmente ebbe come punto di partenza Betània.
Durante
il suo soggiorno a Gerusalemme Gesù, come abbiamo visto in
precedenza, soggiornò frequentemente in questo piccolo villaggio che
distava appena qualche chilometro dalla città santa, pernottando
nella casa di Lazzaro assieme a Marta e alla Maddalena, sorelle di
quest'ultimo. In quell'ambiente rurale, popolato da gente semplice,
Gesù dopo gli aspri e continui scontri con gli scribi e i farisei
sotto i portici del Tempio, che tanto lo amareggiavano, trascorse ore
serene che gli ricordavano la gioiosa permanenza in Galilea.
Lì,
dove era avvenuta, secondo Giovanni, la resurrezione del discepolo
più amato e forse più vicino al suo ideale messianico, Gesù fu
acclamato festosamente dalla gente del posto, che ben lo conosceva
a causa delle sue frequenti visite nella casa di Lazzaro e della
probabile parentela con lui, e condotto trionfalmente nella vicina
Gerusalemme a cavallo di un asinello. La scena sembra ricalcata da
una profezia di Zaccaria.
"Esulta
grandemente….
Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re.
Egli è giusto e vittorioso,
umile,
cavalca un asino,
un puledro figlio d'asina” (Zaccaria 9, 9).
Secondo
Marco, i gerosolimitani lo accolsero in un tripudio di canti e di
rami di palma, al grido: “Osanna! Benedetto colui che viene nel
nome del Signore! Benedetto il regno che viene, il
regno di David,
nostro padre. Osanna negli altissimi!” (Marco 11,9-10).
Questa
entrata trionfale nella città santa, intesa come clamorosa
rivendicazione di messianicità regale, era un chiaro atto di
deliberata provocazione politica e di piena sfida a Roma, perché
inteso a conquistare i favori popolari nell'imminenza
dell'insurrezione messianica. Che l'ingresso a Gerusalemme fosse
intriso di implicazioni politiche divenne evidente, quando, pochi
giorni dopo, Gesù entrò nel Tempio per scacciarne i mercanti che
l'avevano trasformato in una "spelonca di ladroni" (Marco
11,17).
Questo
secondo gesto fu un vero atto di guerriglia di stampo zelota, attuato
con deliberata violenza etico-politica. L'immagine di Gesù che da
solo si avventa tra i mercanti del sacro edificio, fustigandoli e
rovesciando i loro banchi, appare inverosimile. È molto più
verosimile che il suo intervento sia stato una vera e propria azione
di massa e il mancato pronto intervento dei romani sia stato dovuto
al fatto che i dimostranti erano così soverchianti di numero da
costringere i romani ad asserragliarsi nella Torre Antonia, situata
in linea d'aria, a pochi metri dal Tempio, senza osare di
intervenire.
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