Sull'osservanza
della Legge, terreno di scontro durissimo tra Paolo e i
cristiano-giudei di Giacomo, come vedremo in seguito, Gesù non diede
adito a dubbi. "Non pensate che io sia venuto ad abolire la
Legge o i profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare
compimento" (Matteo 5,17 ). "È più facile che abbia fine
il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge"
(Luca 16,17).
Matteo
per due volte (9,20; 14,36) insiste sul fatto che il il mantello di
preghiera di Gesù aveva le frange, cioè i fiocchi rituali
prescritti da Mosè in Numeri (15,37-40). Ciò a significare la
scrupolosa osservanza della Legge da parte di Gesù anche
nell'abbigliamento.
Quello
che bisogna sfatare nel modo più assoluto è ritenere che tutti gli
inviti alla non-violenza, al perdono dei nemici, all'amore
universale, al porgere l'altra guancia, ad amare il prossimo e così
via, che costituiscono gli insegnamenti più elevati e sublimi dei
Vangeli, valessero allora come li intendiamo adesso.
Per
Gesù il prossimo
era riferito soltanto ai soli ebrei; tutti gli altri: i romani e i
pagani in genere, erano esclusi. A
quel tempo, nel clima rovente di odio e di vendetta contro i romani,
diffuso ad ogni livello della popolazione, non solo zeloti e sicari
(termini intercambiabili) ma qualsiasi altro ebreo, dal più umile
al più elevato, mai avrebbero tollerato il più piccolo accenno di
amore e perdono per i nemici d'Israele, cioè i romani e i pagani in
genere, e chi avesse osato proporre una cosa simile sarebbe stato
immediatamente lapidato a furor di popolo, prima ancora dell'arrivo
dei sicari. Il
vero Gesù, quello messianico, non ha niente del Gesù teologico
inventato da Paolo, pacifista e predicatore della non-violenza. Egli,
infatti, lancia sette maledizioni contro l'ipocrisia degli scribi e
dei farisei (Luca 11,42-52); destina alla Geenna (sinonimo di
inferno)
quelli
che non credono in lui (Luca 10,15 e 12, 10); afferma che chi non è
con lui è contro
di
lui (Luca 11,23); preconizza la rovina
di
Gerusalemme e la distruzione
del
Tempio (Marco 13,1-2; Matteo 24,2); insegna che è venuto non per la
pace, ma per la spada
(Matteo
10,34), minaccia di morte violenta quanti dei suoi nemici non
volevano che diventasse loro re (Luca 19,27). Insomma tutto l'opposto
del Gesù evangelico che la Chiesa ci presenta.
Un'altra
cosa da sfatare è che Gesù approvasse, sia pure indirettamente, il
tributo a Cesare da parte degli ebrei, come ci viene raccontato dai
Sinottici ("Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò
che è di Dio") (Marco 12,13-17; Matteo 22,15-22; Luca
20,22-26). Il tributo imposto ai giudei dai romani era inaccettabile
e oltraggioso per qualsiasi ebreo rispettoso della Legge perché
concedeva “ciò che è di Dio”, cioè le risorse della terra
santa di Jahvè, ad un sovrano straniero e implicava il
riconoscimento dell'autorità imperiale.
Quindi
l'accettazione del tributo a Cesare che troviamo nei Sinottici viene
smentito da due fatti: 1) che il Vangelo di Giovanni ignora
totalmente l'episodio riferito dagli altri evangelisti; 2) che gli
stessi Sinottici, contraddicendosi, accusano Gesù davanti a Pilato
di obiezione fiscale: "Abbiamo
trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare
tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re" (Luca
23,2).
L'obiezione
fiscale fu una tematica costante di tutti i Messia che precedettero e
seguirono Gesù, a cominciare da Giuda il Galileo, qualificato da
Giuseppe Flavio “terribilissimo sofista” (cioè dotto). oltre che
terribilissimo guerriero.
La
sentenza di Gesù, quindi, che imponeva il tributo da versare a
Cesare, cioè a Roma, assolutamente obbrobriosa e blasfema per
qualsiasi giudeo e meritevole di immediata lapidazione per chi
l'avesse pronunciata, fu inserita nei Vangeli allo scopo di
presentare Gesù connivente coi romani.
Doveva
far capire ai cristiani di Roma che Gesù non era stato giustiziato
per sedizione contro l'Impero ma come vittima dell’odium
theologicum dei capi ebrei e del popolino di Gerusalemme. Tenendo
quindi conto che Gesù era circondato da seguaci in gran parte
affiliati alla setta degli zeloti, è assolutamente improponibile
ammettere che gli inviti al perdono e a pagare i tributi agli
oppressori romani siano usciti dalla sua bocca.
Essi
sono stati aggiunti dagli evangelisti nel corso della costruzione
teologica della figura di Gesù, durata come minimo tre secoli,
durante la loro opera di spoliticizzazione, indispensabile alla
Chiesa nascente per superare i conflitti con le istituzioni
imperiali, prima di Costantino, e creare la sua simbiosi col potere
imperiale, dopo Costantino.
A
riprova di ciò sono rimasti nei Vangeli certi proclami che alludono
chiaramente alle istanze del messianismo zelota. Per citarne
alcuni: "Ed egli (Gesù) aggiunse: "Ma ora, chi ha una
borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il
mantello e ne comperi una" (Luca 22,36). "Non crediate che
io sia venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a
portare la pace ma la spada"
(Matteo 10,34).
Tornando
alla dottrina di Gesù, è stato dimostrato, con una relativa
facilità, che gli insegnamenti morali in essa contenuti non sono
affatto originali perché derivano dai Salmi, dai Profeti e dagli
Esseni, ai quali forse apparteneva, ed erano patrimonio comune di
molti filosofi pagani, soprattutto degli Stoici e dei Cinici. Infatti
a Gadara, dove predicò più volte Gesù, esisteva una scuola
filosofica cinica fin dal III secolo a.C.
Questa
scuola, che certamente Gesù ebbe modo di conoscere e dalla quale
forse attinse alcuni ammaestramenti, predicava il monoteismo (cioè
la condanna del culto degli dèi), il disprezzo per gli onori, il
lusso e la ricchezza; l'amore per i deboli, gli umili e gli oppressi.
I suoi predicatori vaganti, percorrevano le contrade e i villaggi,
rivolgendosi preferibilmente ai poveri, agli schiavi, agli
emarginati anche di pessimi costumi. Insomma, come Gesù, che
accettava tra i suoi seguaci pubblicani e prostitute.
Seguendo
la dottrina essena, che esaltava la povertà come libera scelta di
vita, Gesù con molta durezza denunciò nei suoi discorsi il
perenne contrasto tra Dio e Mammona (il dio denaro).
L'ostilità
verso i ricchi e la classe abbiente, è presente in molto passi
evangelici: “Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra
consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame”
(Luca 24, 25). "... è più facile per un cammello passare
attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di
Dio" (Matteo 19,22). In sintesi, i ricchi non vengono
condannati per i loro peccati ma semplicemente per la loro ricchezza.
Al
riguardo sono importanti le istruzioni che Gesù dà al giovane che
gli chiede che cosa deve fare per essere salvato: "… vendi
tutto quello che hai e distribuiscilo ai poveri" (Luca 18, 22),
(Matteo 19, 21) che ricalcano il comportamento degli esseni che prima
di entrare nella setta dovevano vendere i loro beni e donare il
ricavato ai poveri.
C'è
un'ultima considerazione da fare, a proposito della dottrina di Gesù,
che ritengo della massima importanza, ed è quella che bisogna
sfatare nel modo più assoluto che Gesù, durante la sua attività
pubblica, si sia proclamato Figlio di Dio, non tanto in forma
simbolica come tutti noi che ci riteniamo figli spirituali di Dio,
quanto come partecipe diretto di una divinità consustanziale al
Padre celeste, come vuol farci credere la teologia paolina. Una tale
pretesa sarebbe suonata empia e blasfema all'intera comunità
ebraica, perché violava il principio più sacro dell'ebraismo: il
monoteismo, e avrebbe scatenato, per chi l'avesse proclamata, la
lapidazione immediata a furor di popolo, ancor prima della condanna
del sinedrio. E i romani di questa lapidazione se ne sarebbero
infischiati altamente, in quanto rientrava nei diritti religiosi
riconosciuti ad Israele. Quindi la condanna a morte di Gesù per
blasfemia, decretata da Pilato, suona doppiamente falsa: in primo
luogo perché questo reato veniva punito direttamente con la
lapidazione (vedi quella di Stefano, il cosiddetto protomartire
cristiano); in secondo luogo, perché i romani, oppressivi e spietati
in campo politico, evitavano qualsiasi ingerenza religiosa nei
confronti dei popoli sottomessi. Il
Gesù sinottico era, per il suo tempo, un rivoluzionario che
contestava la gerarchia templare, i teologi formalisti, il ritualismo
vuoto e ipocrita, la pedante osservanza della Legge, i vacui esercizi
dei bigotti: tutti abluzioni e digiuno. Secondo la nostra ottica era
antilegalistico, anticultuale e anticlericale. Ma, al suo tempo,
tutto ciò era
estraneo alla blasfemia. Tutti i profeti, prima di lui, si erano
comportati allo stesso modo.
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