Stavano
per accomiatarsi quando il papa, come colpito da un ricordo
improvviso, gli fece cenno di attendere ancora un po'.
"Da
alcuni giorni", riprese, "sono sollecitato, con una certa
petulanza dal mio maestro di palazzo, ad occuparmi di una faccenda
che mi è completamente oscura. Si tratta di esaminare alcuni
documenti, che secondo l'eunuco Teofrasto sono d'incalcolabile
interesse e che si riferiscono alla nostra santa religione. Si
trovano nell'ex cenobio qui vicino, a pochi passi dal nostro palazzo,
e sono custoditi da un monaco venerando chiamato Simone il Siriaco.
"Costui
era stato incaricato da mia nonna Marozia a tradurre questi antichi
testi, scritti in una lingua sconosciuta, nell'imminenza delle sue
nozze con mio nonno Ugo di Provenza. Poi, come tu ricorderai, nonno
Ugo fu cacciato da Roma e nonna Marozia finì rinchiusa per
ordine di mio padre nel suo palazzo Teofilatto. Il monaco Simone
rimase perciò dimenticato da tutti, nonostante le sue continue
richieste di essere ascoltato per esporre il contenuto di quei
documenti. Penso che, appena avrai terminato di scrivere la mia
lettera, potresti occuparti di questa faccenda e riferirmi. Sei
l'unico, in tutta Roma, competente a risolvere questa situazione".
Allora
Ascanio si ricordò di Sofronio, il fanciullo che aveva
tentato di trafugare da palazzo Laterano strani documenti antichi per
un giudeo di nome Malachia.
"Ricordo
vagamente l'accaduto", rispose al papa. "Quegli antichi
rotoli, se non erro scritti in aramaico, erano stati rinvenuti in
Laterano dal giudeo Malachia durante il restauro del palazzo, e da
lui nascosti in una nicchia segreta per poter poi farli trafugare
al momento opportuno. Quando fu catturato Sofronio, il giovanetto che
doveva recuperarli, Malachia, sentendosi scoperto, fuggì
subito dalla città travestito da monaco, e si rifugiò
presso i saraceni di Frassineto.
"Malachia
non era un giudeo ebreo ma cristiano, non però cristiano della
Santa Romana Chiesa, ma cristiano eretico della setta degli ebioniti
o nazirei che i Padri della Chiesa hanno combattuto aspramente. Forse
quei documenti riguardano questa particolare eresia e sarebbe quindi
opportuno che vostra Santità li esaminasse per poi decidere
della loro sorte. Se risultassero nocivi alla nostra santa religione,
vostra Santità avrebbe l'obbligo di farli distruggere, come
fecero i Padri della Chiesa che mandarono al rogo tutti quegli
scritti dei primi cristiani che erano in contrasto con l'ortodossia
della fede. Tutto quanto può insinuare dubbi o incertezze
sulla nostra santa religione, in nomine Domini deve essere distrutto;
viceversa, tutto quanto, anche se inventato, come i diplomi di
donazione di Costantino e di altri imperatori e forse le decretali di
Leone IV, serve ad accrescere il dominio e la potenza di San Pietro,
va difeso strenuamente".
"Ho
capito", rispose il papa contrariato, "mi dovrò
occupare anche di questa faccenda. Domani, dopo che avrò
approvato la bozza della lettera che avrai scritto per l'imperatore,
mentre il tuo amanuense la ricopierà noi due andremo dal
monaco Simone a vedere di che si tratta e prenderemo una decisione".
Mentre
Ascanio leggeva, con estrema lentezza, perché ne venissero
soppesate bene le parole, la lettera che aveva preparato per Ottone,
il giovane papa si sentì invadere da due opposti sentimenti:
uno, di profonda ammirazione per la nobiltà e la raffinatezza
dello stile usato dal diacono nell'esporre il riconoscimento dei
molti e ripetuti tradimenti effettuati e i suoi propositi di
ravvedimento, resi con parole persuasive e toccanti; l'altro, di
intimo, accorato furore, al sentire esposta con spietata durezza e
senza nessuna attenuante, la sua ignominiosa condotta privata.
Consapevole però che la lettera avrebbe provocato
nell'imperatore, e ancor più nella sua giovane e augusta
consorte Adelaide, un forte sentimento di pietà e di clemenza
nei suoi riguardi, con grande eroismo trattenne la rabbia e la
vergogna che gli ribollivano dentro e con il nodo alla gola e le
lacrime agli occhi dichiarò che venisse subito trascritta
nella pergamena e sottoposta al più presto alla sua firma.
Non
c'era nulla da aggiungere e nulla da togliere, disse al diacono,
incredulo per quell'assoluta accondiscendenza papale. Ascanio s'era
aspettato una forte e puntigliosa rimostranza e perciò aveva
calcato i toni, convinto di doverli in parte attenuare; invece tutto
era andato liscio come l'olio. Il giovane papa, passato l'attimo di
sgomento, s'era subito sentito sollevato e aveva in breve ripreso il
suo umore allegro e gioviale. Stava acquisendo la certezza che la
riconciliazione con l'imperatore fosse orma alla portata di mano e
che, con il diacono ritornato al suo fianco, avrebbe rimediato a
tutti gli errori del passato. Avrebbe voluto festeggiare il suo nuovo
stato d'animo con le favorite che lo attendevano ansiose nel suo
harem, che lui chiamava, come i saraceni, "il santuario",
ma aveva promesso ad Ascanio di esaminare gli antichi rotoli
custoditi dal venerando Simone. Perciò s'avviò con lui
nell'ex cenobio che sorgeva quasi a fianco del Laterano e che era
stato trasformato nell'archivio di Stato.
Quando
vide giungere il piccolo corteo papale, scortato dalle guardie, il
maestro di casa per poco non svenne dell'emozione. Si prostrò
a baciare la sacra pantofola del papa, fece un profondo inchino al
diacono Ascanio, che conosceva da vecchia data, e senza indugio
condusse gli illustri ospiti al piano superiore dove alloggiava il
monaco Simone. Il quale, ignaro di quanto stava accadendo, se ne
stava seduto al suo tavolo ad ascoltare la lettura di un dialogo di
Platone che Adeodato, ormai esperto conoscitore del greco, gli
leggeva con voce sommessa.
Il
vecchio canuto e venerando, così immerso nell'ascolto della
lettura da non accorgersi quasi dell'arrivo degli ospiti, fece
subito una viva impressione al giovane papa. La sua austera figura e
la dolce spiritualità che emanava dal volto, gli ispirarono
una viva ammirazione e una fortissima simpatia. Lo colpì anche
la serena atmosfera del luogo, così avvolto com'era da un
ovattato silenzio e arredato da pochi mobili austeri, ma arricchito
di tanti rotoli e codici negli scaffali.
Simone,
strabiliato per quella improvvisa apparizione, pur intuendo di aver
davanti a sé dei personaggi illustri, in un primo tempo rimase
muto e senza parole, ma vedendo Adeodato, che aveva riconosciuto
subito il papa avendolo visto più volte in Laterano,
prostrarsi per baciargli la sacra pantofola, intuì che aveva
davanti a sé il capo della cristianità e tentò
di ripetere a sua volta il gesto di Adeodato. Ma il suo corpo, ormai
anchilosato dagli anni, non glielo permise, e sarebbe caduto
rovinosamente a terra se il papa non lo avesse amorevolmente soccorso
per sorreggerlo. Con un amabile sorriso lo accompagnò quindi
alla sedia e gli rivolse la parola dicendogli: "Tu sei il
venerando monaco Simone, detto il Siriaco, che da molti anni,
ignorato dal mondo, vive in questa cella con l'incarico di
custodire e tradurre importanti e preziosi documenti antichi della
cui esistenza sono venuto a conoscenza solo di recente. Io e il
diacono Ascanio, appena messi al corrente della situazione, siamo
accorsi per ascoltarti. Siamo ansiosi di scoprire il contenuto di
questi misteriosi rotoli".
"Ringrazio
vostra Santità per il grande onore che mi sta facendo e ancor
più perché si degnerà di ascoltare le mie umili
parole", rispose il monaco con grande umiltà, non appena
i due illustri ospiti si furono accomodati davanti a lui. Nonostante
la vista appannata trovava il papa giovanissimo, quasi fanciullo, e
ciò, anche se gli era noto da tempo, lo rendeva strabiliato e
sgomento.
"Il
contenuto dei preziosi documenti che mi furono affidati",
riprese Simone, mentre Adeodato allineava i due rotoli sulla
scrivania, "è molto complesso e la sua esposizione, anche
sommaria, richiederà molto tempo e susciterà in vostra
Santità e nel diacono Ascanio non poche perplessità".
Intanto
il giovane papa, incuriosito, aveva afferrato a caso un rotolo di
papiro e non conoscendone la scrittura, lo stava osservando alla
rovescia, suscitando, per il suo modo maldestro di maneggiarlo, non
poca apprensione sia in Simone, sia in Ascanio. Per fortuna la
curiosità del giovane papa si esaurì ben presto, senza
danni per il fragilissimo papiro.
"Per
oggi", fece il papa amabilmente, "ci esporrai una visione
d'insieme del contenuto di questi documenti e caso mai nei prossimi
giorni approfondiremo con calma i singoli argomenti". Non gli
dispiaceva, infatti, l'idea di ritornare in quel luogo, così
accogliente per lui, e riascoltare il simpatico monaco.
"Dei
due rotoli scritti interamente in aramaico, l'antica lingua di Gesù,
uno si riferisce al primitivo Vangelo degli Ebrei, molto diverso,
come vedremo, dai nostri quattro Vangeli canonici, e l'altro
ricalca, con notevoli differenze, gli Atti degli Apostoli. Dirò
subito che quello che emergerà, soprattutto dal Vangelo degli
Ebrei, susciterà in ciascuno di voi una forte contrarietà
perché apparirà come una sconfessione, quasi assoluta,
del nostro cristianesimo", iniziò Simone con estrema
schiettezza. A queste parole il giovane papa e Ascanio si guardarono
sconcertati.
"Probabilmente",
intervenne il diacono dopo aver superato lo sconcerto iniziale, "si
tratta dello stesso Vangelo che l'apostolo San Paolo aveva chiamato,
nelle sue Lettere, Vangelo Maledetto e che i Padri della Chiesa hanno
fortemente contrastato e alla fine deciso di distruggere, perché
in netto contrasto con la nostra santa fede, come avevo anticipato a
vostra Santità. Si tratta del cosiddetto Vangelo degli Ebrei,
conosciuto anche come Vangelo degli Ebioniti o dei Nazirei",
proseguì il diacono. "Ireneo, Teodoreto ed Eusebio di
Cesarea, sommi Padri della Chiesa, hanno detto di questo Vangelo che
era incompleto, alterato e mutilato e dava una visione distorta del
Signore; inoltre accusava San Paolo di essere un apostata della
Legge e un uomo di menzogna".
"Esattamente",
esclamò Simone, sorpreso per le conoscenze del diacono
Ascanio. "Il nocciolo fondamentale di questo Vangelo è
che Gesù non era il figlio di Dio, incarnatosi per redimere
l'umanità dal peccato e portarla alla vita eterna, come
sostengono i nostri Vangeli, ma semplicemente il Messia, discendente
carnale di Davide, il quale in ottemperanza alla profezia di Isaia,
doveva liberare Israele dalla schiavitù politica, scacciando
gli oppressori romani e poi instaurare il regno di Dio in Terra".
"Immagino
che le conseguenze derivanti da questa premessa che rinnega il ruolo
salvifico di Cristo, siano, a dir poco, devastanti", sbottò
il diacono, aprendo le braccia sconsolato.
"Più
che devastanti, catastrofiche per il nostro cristianesimo",
rispose prontamente il monaco. "Affermando che la condanna a
morte di Gesù non avvenne per motivi religiosi: l'accusa di
blasfemia, ma per motivi esclusivamente politici: insurrezione armata
contro i romani, cade ogni presupposto per riconoscere l'immolazione
di Gesù sulla croce e quindi la sua origine divina, e vengono
smentite molte altre cose che contengono i nostri Vangeli, come la
verginità di Maria, l'istituzione dell'eucaristia, solo per
citarne alcune".
"Una
disfatta totale per la nostra santa religione se questi documenti
sono attendibili", intervenne il giovane papa con espressione
desolata.
"Ma
come è stato possibile, allora, se quanto ci vai esponendo
rappresenta la verità, aver creato questa immane
mistificazione religiosa che va sotto il nome di cristianesimo?",
si chiese Ascanio, ancora incredulo delle parole del monaco.
"La
risposta a questa domanda la troviamo in questo secondo rotolo"
intervenne prontamente Simone, agitandolo davanti a loro, "che
narra le vicende dei primi cristiani di Gerusalemme e i forti
contrasti che opposero Giacomo, fratello del Signore, a San Paolo.
In esso viene evidenziato che quanto sostengono i nostri testi
canonici, che noi consideriamo rivelati da Dio, è tutto falso
e interamente inventato da Paolo di Tarso, il nostro San Paolo,
definito più volte, in questi scritti, apostata della Legge
ebraica e uomo di menzogna".
"Insomma,
tutta la nostra santa fede sarebbe interamente una colossale
macchinazione", sbottò il papa tra lo sbigottito e il
divertito. Ormai la cosa per lui stava assumendo toni grotteschi.
"Stando
a questi testi, che io ritengo assolutamente attendibili, parrebbe
proprio di sì", rispose il monaco. "Quando poi li
esamineremo in dettaglio, la falsità del cristianesimo vi
apparirà in tutta la sua evidenza".
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