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domenica 29 luglio 2012

L'enigma svelato 128


Giuda, ormai avanti negli anni, aveva affidato a Dianteo la conduzione dei suoi affari e, benché fosse diventato uno dei più importanti uomini della città, si recava sempre più raramente nel Foro. Preferiva starsene tranquillo nel suo giardino assieme a Davide. All'ombra di un sicomoro trascorrevano molte ore del giorno riandando con la memoria ai grandi avvenimenti dei quali erano stati in parte protagonisti.
L'argomento più importante sul quale discutevano tutti giorni, riguardava le conseguenze della pseudoresurrezione di Gesù. Erano sgomenti di fronte all'immensa cosa che ne era scaturita. Il cristianesimo, che si stava diffondendo a macchia d'olio in tutto il mondo greco-romano, era in gran parte opera loro e di Maddalena. Ma dovevano riconoscere anche che, senza Paolo, le conseguenze della loro azione sarebbero state vane.
Il Potere aveva saputo muovere le pedine al momento giusto: prima Gesù, poi la sua pseudoresurrezione e, infine, Paolo. Convenivano che Paolo era sì un esaltato e un visionario che aveva inserito senza scrupoli, nella nuova religione da lui creata, riti e figure del paganesimo e aveva messo in moto la progressiva deificazione di Gesù; ma gli riconoscevano anche, e senza riserve, enormi meriti sulla fondazione del cristianesimo; soprattutto di aver compreso e diffuso la percezione del divino che è in noi, la necessità di un'etica forte che diventasse baluardo al lassismo edonistico del mondo pagano e, infine, l'universalità e la fratellanza tra gli uomini. Un altro punto a suo favore era che aveva svincolato il cristianesimo dalla matrice ebraica che altrimenti lo avrebbe soffocato tra le spire della Torà. Ora che Gerusalemme era stata cancellata dalla faccia della Terra e con essa i giudeo-cristiani, la chiesa paolina non avrebbe avuto più ostacoli alla sua diffusione e, ben presto, avrebbe travolto il paganesimo, diventando la religione di gran parte dell'umanità.

Col trionfo del cristianesimo di Paolo, Davide giunse alla conclusione che anche la sua missione era terminata e che quindi la sua permanenza a Damasco non aveva più scopo. Sarebbe ternato nell'oasi dei saggi caldei per fare la ricapitolazione della sua vita e prepararsi alla morte che ormai sentiva vicina. Avvertiva ogni giorno telepaticamente il loro richiamo, ma temeva la reazione di Giuda. Ormai si sentivano come fratelli e Giuda non faceva un passo senza consultarsi con lui. Il distacco, quindi, sarebbe stato molto doloroso. Con tatto affrontò la cosa quando gli sembrò che Giuda fosse più disponibile ad accoglierla. Ma Giuda all'udirla rimase sconvolto e non riuscì a trattenere a lungo le lacrime. Per molti giorni non seppe darsi pace e Berice temette per la sua salute. Ma Davide, a poco a poco riuscì a fargli superare l'angoscia del distacco. Quando alla fine Giuda si rassegnò alla perdita del suo più caro amico, concordò con lui le modalità della partenza. Convocarono il nabateo Ismin che avevano conosciuto a Petra e presero tutti gli accordi per il lungo viaggio. Egli li rassicurò che il percorso non era pericoloso e ciò tranquillizzò molto Giuda. La partenza però fu straziante e ancora Berice temette per la salute di Giuda. Ismin promise di farsi rivedere al ritorno, e mantenne la promessa. Dopo circa un mese ritornò da Giuda a comunicargli che Davide era felicemente arrivato a destinazione, accolto dai saggi caldei con grande affetto.  

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)