Il
venerando Simone aspettava con ansia l'arrivo dei suoi ospiti. Questa
volta si era preparato a dovere e durante la notte, visto che dormiva
assai poco, al lume di candela aveva riguardato i codici in questione
e ne aveva confrontato il contenuto con gli Atti degli Apostoli, cui
si riferivano, per meglio valutare con questi coincidenze e
discrepanze.
Dopo
i convenevoli d'uso, conscio della complessità e vastità
dell'argomento, il vecchio monaco aveva cominciato senza indugi, e
con grande sicurezza di sé, la sua nuova esposizione.
"Oggi
esamineremo sommariamente, perché come potete vedere il contenuto
di questo rotolo è molto complesso e vasto, il racconto della
nascita del cristianesimo primitivo della Chiesa di Gerusalemme, e
quello del neo cristianesimo di Paolo di Tarso e dei suoi seguaci.
Entrambi questi racconti concordano in parte cogli Atti degli
Apostoli, che attribuiamo a Luca, ma talvolta o divergono totalmente
da essi o li completano in modo nuovo.
"Cominciamo
dal momento in cui Maria di Magdala, che per prima si era recata
all'indomani del sabato a visitare la tomba di Gesù, trovando questa
aperta e vuota, corse fuori di sé per l'esaltazione, ad annunciare
agli apostoli che Gesù era risorto. Galvanizzati da questa
folgorante e inaspettata notizia, essi si convinsero che con la sua
resurrezione Gesù, da Messia fallito come avevano creduto dopo la
sua crocifissione, si era trasformato nel Messia Martirizzato, nel
Figlio dell'Uomo assiso alla destra del Padre come profetizzato da
Daniele, e che sarebbe tornato ben presto sulle nuvole per compiere
la redenzione d'Israele e ricostruire il Regno di Dio in Terra.
"L’aspettativa
escatologica, ritenuta imminente, divenne quindi il fondamento di
questo primitivo cristianesimo e si trasmise, come vedremo poi,
anche a Paolo e ai suoi discepoli, diventando in certi casi una vera
ossessione. Gli apostoli quindi, non più impauriti per la fine
ignominiosa e cruenta del loro Maestro, dilagarono in preda
all'euforia per le vie della città annunciando la resurrezione del
Messia Martirizzato e il suo imminente ritorno dal cielo, e fecero
ben presto nuovi proseliti tra gli ex seguaci di Gesù. Ebbe inizio
così una setta che fu chiamata dei nazorei o nazirei.
"La
nuova comunità, a similitudine della comunità essena da cui
discendeva, era diretta da dodici anziani e dai familiari del
Maestro, tra i quali spiccava, per il suo grande attaccamento alla
Legge e alle tradizioni ebraiche, Giacomo, uno dei fratelli di Gesù.
I nazirei s'incontravano ogni giorno nel Tempio a pregare e poi si
riunivano in casa di uno di loro per adempiere al rito esseno
dell'agape fraterna: spezzavano
il pane e consumavano il pasto comune in letizia e semplicità di
cuore. Il loro
zelo nel rispettare rigorosamente la Legge, il loro amore per la
povertà e l'ascetismo e la dedizione ai bisognosi, li resero
popolari anche presso alcuni farisei e favorirono la loro crescita
costante, finché non subirono una dura persecuzione per opera di un
giovane fariseo della diaspora, inizialmente chiamato Saul, poi
conosciuto come Paolo di Tarso, il nostro San Paolo.
"Costui,
che aveva partecipato alla lapidazione di Stefano, messosi al soldo
del Tempio, si era dato con particolare ferocia ad arrestare e a
condannare a morte i nazirei di lingua greca i quali, per sfuggire
alla sue persecuzioni, dovettero darsi ad una fuga precipitosa e
rifugiarsi in Asia ove crearono nuove comunità cristiane ad
Antiochia, a Damasco e a Cipro".
"Fu
allora che essi si rivolsero anche alla conversione dei pagani?"
chiese il papa.
"Non
proprio", rispose Simone. "Gesù si era rivolto
esclusivamente ai figli d'Israele e i suoi seguaci, seguendo la sua
linea, continuarono a diffondere la nuova dottrina della parusia,
cioè del ritorno di Gesù risorto dal cielo, esclusivamente tra gli
ebrei. Lo stesso fecero i cristiani di lingua greca, fuggiti da
Gerusalemme per sottrarsi alle persecuzioni di Paolo. Essi si diedero
a diffondere tra gli ebrei della diaspora, sparsi nelle varie
contrade dell'impero romano, la fede nel ritorno di Gesù da loro
considerata un adempimento profetico e non una nuova religione.
"I
pagani non furono toccati da quell'opera evangelizzatrice che si
svolgeva esclusivamente nell'interno delle sinagoghe, finché
avvenne che alcuni cristiani ebrei ellenisti di Antiochia, accanto ai
correligionari, inserirono nel loro gruppo anche i timorati di Dio
pagani che desideravano frequentare le sinagoghe,come uditori,
attratti dal monoteismo e dalla profonda eticità dell’ebraismo, e
questi nuovi fedeli furono chiamati per la prima volta "cristiani",
cioè messianisti, seguaci del Messia.
"Durò
molto la persecuzione di Paolo contro i cristiano-ellenisti?"
chiese il papa.
"Non
molto, per la verità, perché, come sappiamo bene dagli Atti degli
Apostoli, Paolo, giunto nei pressi di Damasco per catturare e poi
tradurre a Gerusalemme i cristiani di quella città, fu colpito, a
suo dire, dalla folgorazione divina che lo convertì al
cristianesimo".
"Perché
a suo dire?", chiese il papa stupefatto.
"Perché,
come vedremo meglio in seguito", rispose con schiettezza Simone,
"la repentina conversione di Paolo fu sempre considerata falsa e
menzognera dai veri apostoli. Comunque, subito dopo questa
conversione, le persecuzioni che erano soprattutto opera sua,
cessarono del tutto e i cristiano-giudei vissero indisturbati a
Gerusalemme, protetti dai farisei e dal loro capo Gamaliele, e
durante questo periodo di tranquillità poterono incrementare i loro
i proseliti fino a raggiungere alcune migliaia".
"Chi
era il capo di questa comunità", chiese Ascanio.
"Il
principale esponente della Chiesa di Gerusalemme era Giacomo, come
abbiamo detto prima, sempre chiamato in questo testo, ma anche negli
Atti, il fratello del Signore. Da come ci viene descritto da Eusebio
di Cesarea era senz'altro un esseno ed anche uno che aveva fatto
voto di nazireato.
Le cose procedettero tranquillamente finché
a sconvolgere la loro opera di evangelizzazione arrivò Paolo di
Tarso".
"Da
come hai anticipato, parlando della sua conversione, si può intuire
che Paolo in questo codice venga presentato come un personaggio poco
credibile", chiese il diacono.
"Senza
mezzi termini viene definito come un apostata della Legge ebraica e
un uomo di menzogna", rispose seccamente il monaco Simone.
"Infatti egli trasformò gradualmente Cristo, da Messia politico
fallito com'era stato nella realtà, e da Messia Martirizzato, come
credevano i nazirei dopo la sua resurrezione, in una specie di
salvatore universale, nel redentore dell'intero genere umano".
"Al
momento della sua conversione però non mi sembra che Paolo avesse
già maturato questo suo ideale di salvezza ", precisò Ascanio.
"Come
vedremo fra poco questa fu la conclusione finale cui giunse, dopo che
ebbe visto fallire l'ossessiva aspettativa del ritorno del Risorto
per la restaurazione del regno davidico in Terra. All'inizio della
sua conversione infatti egli condivideva coi cristiano-giudei di
Gerusalemme soltanto questa aspettativa, conosciuta col nome di
parusia, ed era convinto che fosse imminente e riservata
esclusivamente al popolo eletto".
"Come
viene spiegata la sua folgorazione", intervenne Ascanio.
"Per
rendersi credibile come apostolo e per cancellare il suo passato di
persecutore, Paolo ricorse all'artificio dell'illuminazione sulla via
di Damasco e alle sue ripetute visioni celesti. Accortamente fece
coincidere la sua prima visione con una rovinosa caduta da cavallo,
provocata come lui tentò in tutti i modi di far credere, da una
folgorazione divina ma, come è scritto in questo codice, causata da
una forma di malcaduco o morbo sacro che lo affliggeva e che gli dava
non poche preoccupazioni".
"Dopo
la sua conversione, come si comportò con gli apostoli?", chiese
il diacono.
"In
modo assai strano. Lui che non aveva conosciuto Gesù nella carne,
giunse a proclamarsi apostolo per elezione divina, basandosi sulle
sue presunte rivelazioni celesti e si diede a predicare la parusia
tra gli ebrei della diaspora in Arabia e a Damasco, ignorando
totalmente la Chiesa di Gerusalemme".
"Quindi
la sua investitura apostolica è stata esclusivamente una sua
autoproclamazione, senza alcuna conferma dalla Chiesa di
Gerusalemme", fece Ascanio sbalordito.
"Solo
sancita dai suoi rapimenti al terzo cielo, provocati probabilmente
dagli attacchi del suo malcaduco, perché quel tipo di malattia, a
detta di molti, provoca visioni molto vivide", spiegò il
monaco. "Tre anni dopo la sua folgorazione Paolo decise di
recarsi a Gerusalemme per incontrare gli apostoli, ma a causa del suo
passato di feroce persecutore e perché nessuno voleva credere alla
sua conversione, fu evitato da tutti e poté a stento avvicinare
Giacomo, fratello del Signore, e Simon Pietro. Dopo quel breve e
freddo incontro tornò ad Antiochia ove in breve divenne il capo
della comunità cristiana di quella città"
"Chi
lo spinse allora ad intraprendere i suoi viaggi missionari in Asia?",
chiese il papa, mostrando una certa conoscenza delle vicende
dell'apostolo.
"La
Chiesa di Gerusalemme su insistenza del levita Barnaba, un amico
degli apostoli che credeva nella conversione di Paolo", rispose
Simone. "Fu lui, che era un ebreo della diaspora proveniente
da Cipro, a insistere perché Paolo fosse mandato tra gli ebrei
dell'Asia, che parlavano greco, a diffondere la parusia. Comunque,
durante questa sua missione Paolo incontrò quasi sempre da parte dei
suoi correligionari una forte ostilità e un rifiuto ostinato. Essi,
infatti non erano interessati alla parusia e consideravano Gesu un
falso Messia. Solo i gentili, timorati di Dio, che frequentavano le
sinagoghe come uditori perché favorevolmente impressionati dal
modo di vita ebraico, si dimostrarono molto più disponibili e
ricettivi degli ebrei ad accogliere l'aspettativa messianica di Gesù,
per cui Paolo si dedicò alla loro conversione".
"Come
reagì la Chiesa di Gerusalemme nei confronti dei gentili
convertiti?", chiese Ascanio.
"Essa,
che riteneva la parusia non una nuova religione ma un completamento
messianico dell'ebraismo, quando dopo lunghe discussioni decise di
aprire le porte del cristianesimo ai gentili, impose loro come
"conditio
sine qua non",
l'obbligo di farsi prima ebrei, abbracciando in toto la Legge
mosaica, e quindi di subire la circoncisione.
"Paolo,
che in base all'esperienza fatta in quella sua missione aveva
maturato l'idea che il cristianesimo difficilmente avrebbe
attecchito tra i suoi connazionali della diaspora, mentre sarebbe
stato accolto molto favorevolmente dai gentili timorati di Dio, si
ribellò a quella imposizione che rendeva di fatto impossibile la
conversione dei pagani Perciò maturò l'idea di attuare lo scisma
totale dal giudaismo e proclamare che la salvezza per il cristiano
non dipendeva nel modo più assoluto dalla circoncisione e
dall'osservanza della Legge ma solo dalla fede in Cristo e rivolse il
suo apostolato quasi esclusivamente ai gentili, trovandoli più
ricettivi dei suoi connazionali".
"Quando
e in che modo avvenne la rottura definiva di Paolo con Gerusalemme?"
chiese Ascanio.
"Non
subito, come ho accennato prima", rispose Simone. "Fu
un'azione graduale, in linea con l'evoluzione teologica di Paolo.
Abbiamo visto ch'egli era partito dalla parusia, dall'attesa
spasmodica del ritorno del Risorto che tutti credevano imminente.
Molti suoi seguaci gentili erano arrivati a vendere ogni loro
proprietà ed a abbandonare le loro normali attività, cadendo in un
ozio pernicioso, nell'attesa spasmodica del ritorno di Gesù dal
cielo. Ma la parusia tardava ad arrivare mettendo Paolo in un serio
imbarazzo, e fu allora che egli diede inizio alla creazione del terzo
Gesù, quello teologico, che è descritto nei nostri Vangeli. Il
nuovo Gesù non era più il Messia Martirizzato, assiso alla destra
del Padre, destinato in breve a giungere dal cielo per creare in
Terra lo Stato santo di Jahvè, ma il figlio di Dio, immolatosi sulla
croce per redimere l'intera umanità e ottenere il perdono dei
peccati, che sarebbe ritornato alla fine dei tempi per attuare il
Giudizio Universale e portare i buoni con sé in paradiso e cacciare
i malvagi nell'inferno.
"Per
ottenere questa trasformazione bisognava però degiudeizzare Gesù,
buttando
alle ortiche l'ebraismo, e demessianizzarlo,
rinunciando cioè al
suo ruolo messianico e alla sua regalità, sempre ostentata dai
cristiano-giudei, ma diventata un ostacolo insormontabile
all'evangelizzazione, sia degli ebrei della diaspora, sia dei pagani,
in quanto dava adito alle accuse di violazione degli editti di
Cesare, di insubordinazione contro l'Impero e di trasgressione della
"lex Iulia de maiestate". Il concetto di Messia, tradotto
in greco col termine "Cristo", subì con Paolo una
trasformazione radicale rispetto al suo significato originario.
Anziché l'Unto del Signore per redimere Israele, come l'intendevano
i giudei, prese a significare il figlio di Dio, incarnatosi per
redimere l'intera umanità peccatrice.
"A
questo punto la divisione tra i due cristianesimi: quello giudaico e
quello paolino, divenne totale e irreversibile. Essa rappresentò lo
scontro tra due opposte concezioni: quella dei cristiano-giudei,
chiusa nell'ortodossia ebraica, legata al rispetto assoluto della
Legge e all'attesa spasmodica della parusia, e quella di Paolo,
aperta ai gentili e fautrice di un nuovo cristianesimo fondato sul
principio salvifico di un salvatore spirituale e universale, tipico
dei greci, dei persiani, dei caldei e di gran parte del mondo antico,
compreso quello orientale".
"Una
rivoluzione totale", esclamò Ascanio, "tale da fare di
Paolo il vero fondatore del cristianesimo".
"Chiarissimamente",
disse Simone. "Se non ci fosse stato Paolo a trasformare Gesù
da Messia fallito a salvatore universale, e a diffondere la sua nuova
teologia ai gentili in tutte le contrade dell'Impero, il
cristianesimo sarebbe rimasto una piccola e insignificante setta di
cristiani nazirei, sconosciuta a tutti e destinata a sparire durante
la guerra giudaica combattuta sotto Vespasiano e Tito, e nessuno di
noi avrebbe mai sentito parlare di Gesù".
L'ipotesi
che senza San Paolo il cristianesimo non sarebbe mai esistito,
suscitò una lunga e serrata discussione che coinvolse
appassionatamente anche il papa. Al termine di quel lungo e acceso
dibattito, si convenne di sospendere la seduta e di rinviare
all'indomani la decisione definitiva sulla sorte da riservare ai
papiri.
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