"Come
si concluse a Roma il processo contro Paolo?”, chiese il papa con
vivo interesse.
"Paolo
trascorse a Roma due anni di prigionia dorata poi, prosciolto dalle
accuse, se ne andò in Spagna, poco prima che i cristiani venissero
accusati dell'incendio di Roma. Dopo aver visitato la Spagna, Creta e
la Macedonia, si ritirò a Nicopoli in Epiro, dove morì di
vecchiaia dopo aver completato l'organizzare della Chiesa da lui
fondata, dotandola di una solida gerarchia. Quindi la nostra
tradizione che vuole che durante la persecuzione di Nerone sia stato
martirizzato non corrisponde a quanto dicono questi documenti".
"Quando
si ritirò a Nicopoli, Paolo cessò la sua attività apostolica?"
chiese il papa.
"No,
perché dovette affrontare il clima di odio contro i cristiani che si
andava diffondendo in tutto l'Impero in seguito alla persecuzione di
Nerone e alla Guerra Giudaica conclusasi con la distruzione di
Gerusalemme. I cristiani erano accomunati dai romani agli ebrei
nemici di Roma e accusati di continui atti di sedizione. Paolo
dovette quindi togliere al nuovo movimento cristiano, che si andava
rapidamente diffondendo tra i pagani, ogni residuo di messianismo e
giudaismo, che erano alle origini dell'ostilità dei romani, e
rivestirlo di pacifismo, di non-violenza, di amore per i nemici, di
rispetto quasi servile verso le autorità costituite, di spirito di
comprensione per le classi più ricche e potenti. Quindi, manipolando
i Vangeli preesistenti, li trasformò in manifesti consoni alla sua
nuova teologia, togliendo da essi i riferimenti messianici e
inserendo tra i loro vecchi contenuti, una nuova serie di eventi non
verificabili, quali: il processo ebraico, i miracoli, la nascita
virginale, le apparizioni angeliche, le parabole, l'eucaristia e
tutta una serie di proclamazioni di perdono e d'amore per i nemici -
che per gli ebrei erano solo i romani - che se il Gesù storico le
avesse veramente pronunciate nella Galilea degli anni trenta, sarebbe
sicuramente incorso nella lapidazione a furor di popolo. In tal modo
Roma venne scagionata da ogni responsabilità della morte
ignominiosa di Cristo e quest'ultima fu fatta ricadere
esclusivamente sui perfidi giudei, assieme al delirante messianismo
che aveva portato alla distruzione di Gerusalemme e dell'intera
Palestina".
"E
l'apostolo Pietro quando venne ad evangelizzare Roma?", chiese
il papa.
"In
base a questi rotoli la
presenza di Pietro a Roma non ha alcun fondamento. Egli muore in
Palestina, dalla quale non era mai uscito se non per un breve
soggiorno ad Antiochia, prima di Giacomo, fratello del Signore.
D'altronde com'è possibile che la concomitante presenza a Roma dei
due apostoli, Pietro e Paolo, non trovi alcun cenno né nelle Lettere
di Paolo, né negli Atti, e che, negli stessi Atti, Pietro sia fatto
svanire nel nulla ancor prima della metà del testo e che di lui non
si accenni più in nessun documento? È evidente che la presenza e il
martirio di Pietro a Roma sono una leggenda messa in circolazione dai
Padri della Chiesa
per rivendicare il diritto della capitale dell'Impero di essere anche
la capitale del cristianesimo, al posto della città santa di
Gerusalemme".
"Quindi
il martirio dei due massimi esponenti della nostra santa fede, Pietro
e Paolo, è un'invenzione dei Padri della Chiesa!" esclamò
Ascanio visibilmente scosso.
"Questa
e forse tante altre", rispose Simone, "se è vero che
importantissimi documenti, come questi che ho tra le mani, sono
stati distrutti da loro".
"Come
si concludono questi testi?", concluse il papa.
"Con
la morte di Paolo a Nicopoli, assistito dal fedele Luca e circondato
dai molti seguaci, nel compiacimento generale del trionfo del suo
cristianesimo in tutte le contrade dell'Impero e della scomparsa
quasi totale della chiesa di Gerusalemme", rispose Simone.
"Riassumendo,
in una sintesi estrema, quanto vi ho esposto finora", concluse
il monaco,"possiamo affermare, in base a questi antichi testi,
che Gesù, nel giro di mezzo secolo dalla sua morte, subì tre
radicali trasformazioni passando dal Gesù storico, inteso come
Messia davidico finito crocifisso come un ribelle javista, al Gesù
Messia Martirizzato, divenuto tale dopo la sua presunta resurrezione
e inteso come il Figlio dell'Uomo, preconizzato da Daniele, e
infine, al Gesù teologico dei nostri Vangeli, trasformato da Paolo
in Nostro Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, incarnatosi e
immolatosi per la salvezza universale.
"Solo
il primo è l'autentico Gesù, uno dei tanti Messia falliti che a
quel tempo in Palestina sorgevano e tramontavano con una certa
frequenza. Il secondo è una pura invenzione della Maddalena e il
terzo il capolavoro teologico di Paolo. I primi due Gesù
riguardavano esclusivamente il popolo ebraico, il terzo, con la sua
elevazione a figlio di Dio, l'intero genere umano".
E
porgendo i codici che aveva sul tavolo agli illustri ospiti concluse:
"Qui trovate la traduzione fedele dei due rotoli e, da questo
momento, li affido alle vostre mani".
"A
questo punto sarebbe opportuno che ognuno di noi esprimesse una sua
valutazione su quanto abbiamo ascoltato", disse il giovane papa.
"Non sarà facile, almeno per me, ma dobbiamo farlo".
"Io
gradirei sentire per primo il parere del venerando Simone",
intervenne Ascanio. "Dalla sua relazione mi sembra di aver
capito che considera questi rotoli dei documenti autentici. La mia
domanda è: quanto di vero c'è in essi e quanto nei nostri testi
canonici? Perché è chiaro che gli uni escludono gli altri".
"Il
diacono Ascanio mi addossa una responsabilità enorme ponendomi
questo quesito", rispose Simone tentennando il capo. "Ma io
risponderò anche se le mie parole potranno sembrare blasfeme e non
in linea con la nostra ortodossia. Comincerò col precisare che
quando, parecchi anni fa, ho affrontato la lettura di questi testi,
ho subìto un trauma quasi mortale. Per molti mesi sono vissuto
nell'angoscia e nella disperazione. Tutto il mio mondo interiore era
crollato e tutte le mie certezze religiose svanite nel nulla. Ero
continuamente tentato di distruggerli, considerandoli opera di
Satana. Poi mi sono messo a soppesare il contenuto di questi testi e
a confrontarlo, quasi parola per parola, con quello dei nostri libri
canonici. Ebbene, lentamente ma inesorabilmente, sono arrivato alla
conclusione, molto amara e molto sofferta, che la verità
sull'origine del cristianesimo si trova in questi due rotoli e non
nei nostri testi rivelati. In parole semplici e brutali, che il Gesù
storico non ha niente a che vedere col cristianesimo che noi
professiamo, e che il Gesù teologico, quale ci propongono i nostri
Vangeli, è una pura invenzione di Paolo di Tarso".
"Una
cosa mostruosa che potrebbe sembrare una enorme bestemmia",
sbottò il papa, allargando le braccia in segno di sconforto, "se
non fosse che quello che abbiamo sentito nella relazione ci induce a
crederlo senza difficoltà".
"Anch'io
concordo col venerando Simone", ammise Ascanio senza perifrasi
inutili. "Da parecchi anni, considerando le molte ed evidenti
contraddizioni e incongruenze che si trovavo nei Vangeli e negli
Atti e leggendo le feroci diatribe dei Padri della Chiesa contro gli
eretici, ritenevo i testi canonici poco credibili e sottoposti a
grossolane manomissioni. Soltanto ora però, dopo aver ascoltato la
meravigliosa sinossi di Simone, comprendo appieno che il ruolo
messianico di Gesù, pur camuffato in mille modi, affiora di continuo
in essi e mi illumina su tanti episodi poco coerenti che mi
lasciavano perplesso. Indubbiamente il cristianesimo è nato da una
colossale mistificazione inventata da Paolo allo scopo di creare una
religione che prendesse dall'ebraismo il monoteismo e l'eticità dei
costumi e dal paganesimo l'idea del soterismo, cioè del Dio
salvifico che si immola per redimere le colpe dell'umanità.
"Ciò
premesso", continuò il diacono, "dobbiamo anche dare atto
che Paolo, fondendo in un sintesi geniale la religiosità ebraica
con quella salvifica dei gentili, seppe interpretare quel vago
sentimento escatologico che era diffuso trasversalmente in tutto
l'Impero, riuscendo a creare la religione del futuro. Egli, infatti,
seppe interpretare coraggiosamente le aspirazioni religiose
dell'universo pagano, che anelava alla trasformazione radicale del
mondo sotto il livello politico, sociale e spirituale. Creando
un Dio unico e giusto, che amasse i suoi figli senza distinzione di
casta; che s'incarnasse tra gli uomini per un puro gesto d'amore,
allo scopo di consentire a ciascuno di loro la salvezza; che unisse
il genere umano sotto il segno della fratellanza; che restituisse
dignità umana a quanti, vittime di una società schiavista, avevano
dimenticato di possederne una; che esaltasse gli umili, i reietti e
i mansueti, egli seppe cogliere e appagare le più profonde
aspirazioni dell'intero mondo antico.
"Questo
è indubbiamente il merito supremo di Paolo e fa di lui uno dei più
grandi geni religiosi dell'umanità, al cui confronto il Gesù della
storia scompare, come abbiamo capito dalla relazione di Simone, e il
Gesù, quale noi oggi conosciamo dai Vangeli, è soltanto una sua
creatura, il frutto del suo geniale assemblaggio teologico".
"Parole
nobili ed elevate", esclamò Simone, "che possono in
qualche modo dare un valida giustificazione al nostro cristianesimo,
pur fondato sulla frode. Posto in questi termini, infatti, possiamo
riconoscere che il cristianesimo è riuscito a dare a gran parte
dell'umanità alcuni valori umani e religiosi fondamentali. Se non
che il suo primitivo slancio, imperniato soprattutto sull'amore e la
fratellanza universale, si è infranto in una pletora di norme, riti,
dogmi, liturgie e istituzioni che lo hanno reso sterile e vuoto".
"La
straordinaria perspicacia di Simone ancora una volta ha colto nel
segno", replicò Ascanio. "Il cristianesimo, nato come
sublime aspirazione all'amore universale, si è trasformato, a poco a
poco, in una corazza rigida e soffocante, quale è oggi la nostra
religione. Però alcuni suoi valori hanno conservato una qualche loro
valenza e giustificano appieno la sua esistenza. D'altra parte si è
talmente radicato nel mondo che qualsiasi nostro modo di sconfessarlo
risulterebbe inimmaginabile e sicuramente catastrofico. Dobbiamo
quindi tenercelo così com'è e perfino difenderlo anche dalla
verità".
"In
altre parole dobbiamo distruggere questi antichi rotoli che in
qualche modo lo sconfessano, come fecero gli antichi Padri della
Chiesa", fece scandalizzato Simone.
"Proprio
così", affermò con vigore Ascanio. "Possiamo e dobbiamo
conservare la sapienza degli antichi, perché creata al di fuori
della fede, anche se esprime valori contrari ad essa. Non possiamo
nel modo più assoluto ammettere questi testi che si trovano
all'interno della fede e che finirebbero per corroderla e
distruggerla".
Il
dibattito tra Ascanio e Simone, pur condotto nel modo più
rispettoso, continuò serrato e rigoroso per quasi un'ora. Ognuno dei
due sosteneva con gran foga il suo punto di vista e gli argomenti pro
e contro la distruzione dei rotoli parevano al papa in perfetto
equilibrio.
Mentre
egli ascoltava muto e attento lo scambio dialettico tra Ascanio e
Simone si rendeva conto, con sempre maggiore consapevolezza, di
quanto grande fosse la sua pochezza culturale nel campo religioso.
Purtroppo spettava a lui, alla fine, prendere la decisione finale.
Era decisamente dalla parte di Ascanio ma gli dispiaceva anche
contrariare il venerando Simone, verso il quale nutriva una gran
ammirazione e una profonda simpatia.
"La
notte porta consiglio", disse al termine di quel serrato
dibattito. "Domani ci rincontreremo per prendere una decisione
definitiva. Nel frattempo valuterò con la massima ponderazione i
vostri due punti di vista. Devo però confessare umilmente",
ammise con sincera commozione", che sono molto ammirato della
vostra sapienza e saggezza e che ascoltando le vostre parole ho
toccato con mano quanto sia carente la mia cultura religiosa e quanto
grande, invece, la mia indegnità".
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