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martedì 6 marzo 2012

Il processo in casa di Caifa (“L'invenzione del cristianesimo”) 56


Una piccola menzione merita anche il luogo dello scontro, il cosiddetto Monte degli Ulivi. Le precedenti sommosse antiromane (ce ne furono parecchie in quegli anni) partirono sempre da quel monte. Gli insorti, infatti, si radunavano lì prima di tentare l'assalto al presidio romano della Torre Antonia. Sotto Nerone un ennesimo Messia riuscì a raccogliere sullo stesso monte 30 mila seguaci.

Secondo gli evangelisti, dopo l'arresto, Gesù fu condotto nella casa privata del sommo sacerdote Caifa per un sommario processo, esclusivamente ebraico. Certamente questo non corrisponde al vero. Se, infatti, erano intervenuti i soldati romani, il ribelle o i ribelli avrebbero dovuto essere rinchiusi nella Torre Antonia, sede dal presidio romano. (Vedremo che Paolo al suo arresto a Gerusalemme verrà rinchiuso proprio in quella Torre).

Quindi, i modi, il luogo, la dinamica temporale e tanti altri elementi che appaiono assolutamente incompatibili con la prassi giudiziaria ebraica, ci dicono che quello fu un processo inventato a posteriori e aggiunto dopo il 70, o forse dopo il 135, per opera dei seguaci di Paolo, allo scopo di scagionare i romani della responsabilità di aver condannato Gesù e per farla ricadere esclusivamente sulle spalle del popolo ebreo. Infatti, il processo giudaico è una farsa perché porta tutti i segni della illegalità.

Anzitutto, non è in una casa privata che si poteva celebrare un processo alla presenza di sacerdoti, anziani e scribi. Anche perché il luogo pubblico addetto alla convocazione del sinedrio era poco lontano e si chiamava "Beth Din". Ma forse gli estensori dei Vangeli, quando inventarono questo processo, non essendo ebrei, non lo conoscevano. In secondo luogo non si celebrava un processo di notte e per direttissima. Le leggi ebraiche di allora prescrivevano il tempo minimo di due giorni per un processo. Anche la dinamica processuale è assurda. I testimoni sono inesistenti e le accuse di carattere religioso molto vaghe e non dimostrate.

Ma l'atmosfera, pesantemente drammatica di quella notte, riecheggiava la precedente convocazione del sinedrio durante la quale la tragica fine di Gesù, come abbiamo visto in precedenza, era stata decisa non in base a motivi religiosi ma squisitamente politici perché riguardavano unicamente il suo ruolo messianico-javista, come ci racconta Giovanni (11, 47-50).

Le parole pronunciate da Caifa in quell'occasione: “ è meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera»" non lasciano adito a dubbi sulla pericolosità politica di Gesù e sulle necessità del suo arresto tempestivo, all'indomani del suo ingresso trionfale a Gerusalemme acclamato dalle folle come l'atteso Messia, e che escludono a priori che si riferiscano ad un mistico maestro di amore fraterno.

Le catastrofi del 70 e del 135 d.C. sono la dimostrazione che le preoccupazioni dei sinedriti erano più che legittime e che la distruzione del Tempio e dell'intera Palestina dipesero dai continui tentativi di rivolta scatenati da fanatici messianisti come il Gesù storico. Ciò spiega anche il motivo per cui Paolo, in seguito, sarà spinto a ridisegnare completamente la figura e il messaggio di Cristo e a demessianizzarli completamente.

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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)